La sanità è donna, ma nei tavoli che contano ci sono solo uomini

(da M.D.Digital)  Secondo i dati del Servizio Sanitario Nazionale di appena due anni fa si contavano il 78% di donne tra gli infermieri e il 72,3% di donne tra il personale amministrativo, senza contare i medici, con le dottoresse che fanno segnare oltre il 48% della forza lavoro stabile (e che peraltro sono quasi il 65% dei medici sotto i 45 anni). Per questo, l’associazione ‘Donne protagoniste in sanità’, coordinata da Monica Calamai, ha espresso il proprio dissenso sulle nomine del tavolo tecnico  riguardanti i decreti ministeriali 70 e 77 in cui non è rappresentata alcuna donna. Motivo per cui l’Associazione ha lanciato una petizione in cui chiede la revisione del tavolo tecnico e ha inviato una lettera aperta al ministro della Salute Orazio Schillaci e al Ministro delle Pari Opportunità Eugenia Roccella che ha risposto prontamente alla missiva, assicurando che interloquirà con il Ministro Schillaci.

“Intendiamo esprimere una profonda preoccupazione e delusione alla luce delle nomine del Tavolo istituito dal Ministero della Salute per la revisione degli standard di ospedali e territorio. È estremamente difficile  – ha precisato nella missiva l’associazione ‘Donne protagoniste in sanità’ – comprendere come, in tutta Italia, non sia stata inclusa nemmeno una donna”, si legge nell’attacco della lettera aperta destinata ai due membri del governo, ai quali si rammenta che “nel settore sanitario le donne rappresentano il 70% degli operatori. Abbiamo direttrici generali, presidenti di società scientifiche, accademiche, medici del territorio ed esperte della materia, ma sembra che nemmeno una di loro sia stata considerata idonea”.

Una scelta che per l’associazione è “umiliante per le tante professioniste del Ssn”, che lamentano la mancanza di una rappresentanza femminile “in un contesto decisionale così rilevante”.   “Desideriamo sottolineare che solo una settimana fa si è tenuta a Bologna la Convention della nostra community, un evento che ha visto ben 3.700 partecipanti, di cui 700 in presenza, discutendo proprio delle tematiche legate al territorio. Questo simposio ha dimostrato l’entusiasmo e l’impegno delle donne nel contribuire allo sviluppo e alla crescita del settore sanitario. È fondamentale che tale impegno venga riconosciuto e che queste voci influenti siano considerate nel processo decisionale. La vostra decisione di escludere le donne è, invece, un indicatore chiaro del persistente problema di disuguaglianza di genere in Italia, come dimostra il recente Global Gender Report, in cui il nostro Paese ha addirittura subito un regresso rispetto al 2022, quando già occupava una posizione poco favorevole. Ancora più preoccupante è l’assenza di figure provenienti dalle professioni sanitarie, protagonisti concreti del sistema salute e della cura dei pazienti. Come può un tavolo tecnico affrontare le problematiche legate ai DM 70 e 77 senza la partecipazione di coloro che vivono e affrontano quotidianamente le sfide del settore sanitario? Questa mancanza di rappresentanza solleva dubbi sulla validità e sulla completezza delle delibere e dei documenti prodotti”, prosegue la missiva.

“Questa non è solo una questione di giustizia e uguaglianza, ma anche di efficienza e progresso. Siamo convinte che la vostra volontà di agire sarà una testimonianza della vostra sensibilità e impegno per il futuro del nostro Paese”, conclude la lettera.

Da luglio è consultabile la banca dati delle Pec

(da Odontoiatria33)  Dal giorno 6 luglio è consultabile la banca dati degli indirizzi Pec delle persone fisiche, Indice Nazionale dei Domicili Digitali (INAD). Da questo mese darà la possibilità di ricercare gli indirizzi PEC, o meglio il domicilio digitale, dei cittadini e dei professionisti inscritti agli Albi. La consultazione è libera, basta inserire (al LINK https://domiciliodigitale.gov.it/dgit/home/public/#!/home) il numero di codice fiscale o partita iva di chi cerchiamo ed otterremo l’indirizzo PEC registrato.   Il portale sarà utilizzato dalla Pubblica Amministrazione per notificare cartelle di pagamento, avvisi di accertamento, atti di recupero, multe per infrazioni al codice della strada e altri atti aventi valore legale a mezzo posta elettronica certificata (PEC). 

Chi non è presente nell’elenco riceverà le comunicazioni attraverso i soliti canali, raccomandata, con addebito dei costi.    Se i cittadini dovranno iscriversi (basta entrare con lo Spid e indicare il proprio indirizzo di posta Certificata) per essere presenti nell’elenco e ricevere le comunicazioni della PA via mail, i professionisti iscritti ad un Ordine professionale, se avevano fornito la propria Pec (cosa obbligatoria per legge) sono iscritti d’ufficio. 

Entrando nel portale si potrà eventualmente cambiare il proprio indirizzo Pec, se si vuole ricevere le comunicazioni ad uno diverso da quello registrato, ma non sembra essere prevista la possibilità di cancellarsi se non inviando una comunicazione scritta ad INAD che dovrà essere vagliata ed eventualmente approvata entro 90 giorni.

(N.B: ai sensi di questo provvedimento da oggi in poi i cittadini sono tenuti a verificare regolarmente la propria casella di posta elettronica certificata per essere informati delle comunicazioni ufficiali inviate. Non ricevere o non visualizzare le notifiche inviate tramite PEC non costituisce motivo di opposizione o annullamento della notifica stessa.)

Psichiatri forensi, ‘troppi pseudo-sani pericolosi, servono nuovi modelli’

(da Adnkronos Salute)  “E’ imprecisato il numero dei soggetti considerati ‘pericolosi’ che minacciano medici, infermieri, avvocati, magistrati, insegnanti, etc., ai quali non si riesce a fornire una risposta di cura o rieducazione. Non sono così ‘malati’ da poter essere sottoposti a Trattamento sanitario obbligatorio, che comunque dura una settimana e loro stessi non si ritengono ‘malati’ per sottoporsi volontariamente ad alcuna forma di trattamento. Tuttavia, non appaiono così ‘sani’ da poter essere arrestati e custoditi in carcere senza un accertamento psichiatrico”. Lo denuncia il presidente della Società italiana di psichiatria forense che, Enrico Zanalda, che dopo l’agguato mortale alla psichiatra di Pisa, Barbara Capovani, sollecita le Istituzioni a risposte concrete, a partire dal conferire un maggior potere ai giudici tutelari e nuove strutture educative”.

“Queste persone attribuiscono il loro disagio interno alla società o ad alcune categorie di questa che diventano il loro persecutore; hanno delle idee così bizzarre che difficilmente vengono considerati sani. Talvolta si mimetizzano in gruppi o associazioni alternative in cui ci sono correnti di pensiero come quella antipsichiatrica, terrapiattisti, cercatori di Ufo che comprendono persone rispettabili e tutt’altro che violente. E’ un argomento delicato perché da un lato non si riescono a prevenire omicidi di sanitari come quello di Pisa, e dall’altro non si vuole impedire alle persone di manifestare il proprio dissenso o pensiero in qualunque ambito anche molto originale. Bisogna impedire però – spiega Zanalda – che dal dissenso si passi alla rabbia e da questa alla violenza che viene agita da quei soggetti meno dotati intellettivamente che non riescono a dominare l’impulso violento”.

“Bisognerebbe poter contenere e rieducare queste persone dal momento in cui diventano reiteratamente minacciose, individuando delle soluzioni restrittive che non sono né il carcere né la Rems (Residenze per l’esecuzione delle misure di sicurezza). Molti dei pazienti in Rems non hanno una malattia psichiatrica certa: si tratta di detenuti assegnati alla Rems per disturbi di personalità antisociale e dipendenza da sostanze o marginalità sociale, che non vanno confuse con le malattie mentali che possono usufruire dei percorsi residenziali nelle strutture di cura”.

“Le Rems – continua Zanalda – dovrebbero accogliere solo autori di reato giudicati, in maniera definitiva, infermi o seminfermi di mente, socialmente pericolosi e non adatti a soluzioni meno restrittive”. Sui 709 ospiti ricoverati nelle 31 Rems distribuite sul territorio nazionale, oltre la metà sono destinatari di misure provvisorie, analoghe alla custodia cautelare in carcere. In molti casi si tratta di detenuti non affetti da una patologia mentale conclamata che vengono ‘etichettati’ come psichiatrici e assegnati alle Rems senza avere un’indicazione clinica. Persone che sottraggono posti a chi ne ha davvero bisogno e che dovrebbero andare in carcere o essere presi in carico da altri servizi sociosanitari rieducativi. Per queste ragioni si può ritenere non necessario aumentare i posti nelle Rems ma poter indirizzare le persone con disturbo antisociale di personalità in altre situazioni rieducative. Tra queste già esistono le ‘case di lavoro’ sottoutilizzate e sottorappresentate. Per curare bisogna prevenire ma non vi sono strumenti per poter limitare pazienti con noti comportamenti violenti prima che venga commesso un grave reato”.

“L’accesso nelle carceri, nelle case di lavoro o nelle Rems – prosegue il presidente degli psichiatri forensi – avviene solo successivamente a un reato grave. Vi è la necessità di strutture comunitarie nuove, educative e contenitive il cui accesso prescinde dalla condanna ma potrebbe attuarsi attraverso la segnalazione al Giudice tutelare da parte delle agenzie deputate alla tutela e alla cura della persona, come già avviene in molti paesi dell’Unione europea. E’ necessario pertanto realizzare nuovi percorsi rieducativi – conclude Zanalda – in particolare per quei soggetti con disturbo antisociale di personalità che non beneficiano di trattamenti psichiatrici tradizionali. Per loro risulterebbero utili percorsi contenitivi e di rieducazione di lunga durata a cui se non costretti non si sottopongono. Il problema della psichiatria trattamentale – conclude – è un tema estremamente attuale tanto che durante il recente convegno della Psichiatria Forense si è discusso su come individuare nuovi modelli di intervento da proporre alle Istituzioni come risposta concreta a questa nuova emergenza”.

Colazione, chi la evita è a rischio di declino cognitivo

(da M.D.Digital)   Precedenti studi hanno delineato la correlazione degli effetti avversi del saltare la colazione con la funzione cognitiva. Tuttavia, la maggior parte di questi studi si è concentrata sugli effetti a breve termine; ad oggi, l’effetto a lungo termine del saltare la colazione sulla funzione cognitiva tra gli anziani rimane poco chiaro. In un recente studio prospettico di coorte condotto su una coorte di 712 adulti anziani (età media 70.8 anni), è stata indagata la correlazione tra saltare la colazione una o più volte alla settimana e il declino del punteggio cognitivo (definito come diminuzione del punteggio del Mini-Mental State Examination MMSE) di due o più punti nel periodo osservato. Durante il follow-up 135 dei 712 partecipanti hanno evidenziato un calo del punteggio cognitivo.

L’analisi statistica ha confermato che il tasso di incidenza del declino del punteggio cognitivo era significativamente più alto in chi faceva a meno del primo pasto della giornata (rapporto del tasso di incidenza (IRR), 2.10). Ulteriori aggiustamenti del punteggio di propensione relativi all’evitamento della colazione rispetto ai parametri di base (età, sesso, abitudine al fumo e al consumo di alcol, indice di massa corporea, reddito familiare, livello di istruzione, sintomi depressivi, ipertensione, diabete, sonniferi, attività fisica, apporto calorico e cognizione di base) hanno prodotti risultati coerenti (IRR, 2.21). Per quanto riguarda l’assunzione giornaliera di gruppi di alimenti, chi saltava la colazione consumava una quantità significativamente inferiore di verdura, frutta e pesce rispetto a chi faceva colazione. In conclusione, i dati sembrano quindi deporre a favore del fatto che che saltare la colazione si associa a un declino del punteggio cognitivo tra gli anziani.

(Rika Ishizuka, et al. Breakfast Skipping and Declines in Cognitive Score Among Community-Dwelling Older Adults: A Longitudinal Study of the HEIJO-KYO Cohort. J Geriatr Psychiatry Neurol 2023; 36: 316-322. Doi: 10.1177/08919887221135551) 

ENPAM: Contributi e adempimenti sospesi per medici e dentisti delle zone alluvionate

L’Enpam ha sospeso e rinviato fino a cinque mesi il termine per adempimenti e pagamento dei contributi previdenziali per i medici e dentisti delle zone di Emilia Romagna, Marche e Toscana colpite dall’alluvione del maggio scorso.

Il provvedimento dell’Ente di previdenza, in accordo con le disposizioni del ‘Decreto legge Alluvione’ (61/2023), riguarda tutti gli iscritti che al 1° maggio 2023 avevano residenza, sede legale o sede operativa nel territorio dei Comuni interessati dall’alluvione e riguarda gli adempimenti e i versamenti dovuti, con scadenze fino al 31 agosto 2023.

Nello specifico, sono rinviati i pagamenti delle rate dei contributi di Quota A 2023, Quota B 2022 (redditi 2021) e le rate dei provvedimenti di regolarizzazione contributiva. In termini pratici, agli iscritti Enpam interessati, che hanno attivato il pagamento automatico dei contributi direttamente sui loro conti correnti, non verranno addebitate le rate sospese.

Le rate sospese saranno poi recuperate, senza applicazione di sanzioni e interessi, in un’unica soluzione con scadenza 30 novembre 2023, secondo le modalità di pagamento che ciascun iscritto aveva scelto in precedenza.

Inoltre i medici agli odontoiatri delle aree alluvionate potranno dichiarare all’Enpam i redditi libero professionali (modello D) entro il 20 novembre, anziché entro il 31 luglio come tutti gli altri.

Nei prossimi giorni, gli iscritti Enpam interessati dalla sospensione degli adempimenti e dal pagamento dei contributi riceveranno una comunicazione via email con tutti i particolari.

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