Covid. Gli enti regolatori mondiali confermano il buon profilo di sicurezza dei vaccini approvati

(da Quotidiano Sanità)   L'Ema ha appena approvato una dichiarazione congiunta sulla sicurezza dei vaccini Covid (https://icmra.info/drupal/strategicinitiatives/vaccines/safety_statement)  rilasciata dalla Coalizione Internazionale delle Autorità Regolatorie dei Medicinali (Icmra).
I dati relativi a oltre 13 miliardi di dosi di vaccini Covid somministrati in tutto il mondo dimostrano che questi vaccini, volti a proteggere le persone dagli esiti gravi della Covid, hanno un "ottimo profilo di sicurezza in tutte le fasce d'età, compresi i bambini e le persone con condizioni mediche di base, i pazienti immunocompromessi e le donne in gravidanza. I vaccini hanno salvato milioni di vite in tutto il mondo, riducendo in modo significativo il rischio di malattie gravi, ricoveri ospedalieri e decessi dovuti all'infezione da Sars-CoV-2".
La dichiarazione sottolinea inoltre che i vaccini riducono l'impatto del long Covid sulla base di diversi studi su dati reali e che non vi è alcun segnale di sicurezza dall'insieme molto ampio di dati in possesso delle autorità regolatorie internazionali che suggerisca che questa condizione sia un possibile effetto collaterale della vaccinazione Covid.
Mentre la stragrande maggioranza degli effetti collaterali del vaccino sono "lievi e temporanei", i sistemi di monitoraggio della sicurezza hanno identificato alcuni effetti collaterali molto rari (si verificano in meno di 1 persona su 10.000) ma gravi. La dichiarazione sottolinea che i Paesi dell'Icmra dispongono di sistemi di monitoraggio della sicurezza molto solidi, che raccolgono e analizzano continuamente le segnalazioni di sospetti effetti collaterali, e di misure solide per ridurre il rischio di danni da questi effetti collaterali.
La dichiarazione richiama l'attenzione sull'impatto devastante che informazioni false e fuorvianti sulla sicurezza dei vaccini Covid hanno sulla salute pubblica, in quanto possono provocare decessi o gravi malattie se le persone evitano di ricevere i vaccini di cui hanno bisogno. Poiché sui social media sono state diffuse false affermazioni secondo cui i vaccini Covid sarebbero responsabili dell'eccesso di decessi durante la pandemia, la dichiarazione sottolinea la mancanza di prove che dimostrino come i vaccini Covid starebbero causando un eccesso di mortalità. Gli enti regolatori mondiali incoraggiano le persone a ottenere informazioni da fonti affidabili, come gli operatori sanitari, le fonti scientifiche e gli enti regolatori dei farmaci.
L'Icmra riunisce 38 autorità regolatorie dei farmaci di ogni regione del mondo, con l'Organizzazione Mondiale della Sanità (Oms) come osservatore. Gli enti regolatori dei farmaci riconoscono l'importanza di facilitare l'accesso a prodotti sicuri, efficaci e di alta qualità, essenziali per la salute e il benessere dell'uomo. Ciò significa tenere il passo con i progressi scientifici necessari per definire gli standard e guidare il processo decisionale, nonché mantenere processi normativi efficienti che supportino lo sviluppo e la fornitura di medicinali innovativi, garantendo al contempo che i benefici di questi prodotti siano superiori ai rischi associati.

Stop al rilascio delle certificazioni digitali Covid interoperabili dalla piattaforma nazionale del Ministero della Salute

(da DottNet)    Dal primo luglio è scaduto il regolamento n 953/2021 che stabilisce il quadro per il rilascio, la verifica e l’accettazione di certificati interoperabili di vaccinazione test e guarigione da Covid (Eu Digital Covid Certificate - Eu Dcc). In ogni caso, la certificazione già emessa dalla piattaforma nazionale potrà essere ancora utilizzata anche se la loro interoperabilità potrebbe non essere garantita in caso di scadenze tecniche del certificato di firma. Ma, avverte il Ministero, tenuto conto che alcuni Paesi richiedono ancora per l’ingresso l’Eu Dcc o, in alternativa, la prova di avvenuta vaccinazione o guarigione o test negativo, il rilascio della relativa certificazione, su richiesta dell’interessato per i casi i cui sussiste questa necessità, dovrà avvenire anche il lingua inglese. In ogni caso tutte le informazioni sui prerequisiti di ingresso dei Paesi sono disponibili sul sito Viaggiare sicuri del ministero degli affari esteri e/o sui siti governativi dei paesi meta del viaggio.

Covid. Aggiornate le indicazioni operative per l’attività odontoiatrica dopo la pandemia. Vademecum in 5 regole

Triage preliminare al telefono e in office; ottenere il consenso dal paziente in modo specifico anche relativamente al rischio da Covid; invitare il paziente al lavaggio o disinfezione delle mani; areare adeguatamente la sala d'attesa e porre attenzione all'igiene delle superfici; utilizzare da parte degli operatori dispositivi di protezione individuale; attuare protocolli operativi predisponendo tutto il necessario prima che entri il paziente.    Leggi L'articolo completo al LINK

Mascherine negli studi di medici di famiglia e pediatri: ecco le linee guida

(da DottNet - riproduzione parziale) A partire da sabato scorso i medici di medicina generale e i pediatri di libera scelta potranno contare su un documento snello, con solide basi scientifiche, per decidere in autonomia e sulla base della situazione contingente se e come rendere obbligatorio l’uso delle mascherine nei loro studi e garantire il contenimento del rischio infettivo.  Grazie ad un lavoro realizzato di concerto tra i medici della Federazione italiana dei medici di medicina generale (Fimmg) e della Federazione italiana dei medici pediatri (Fimp), è stato infatti varato un manuale operativo che, in poco più di 10 pagine, offre ai singoli camici bianchi criteri di valutazione che si adattano ai differenti scenari epidemiologici e allerispettive specificità organizzative. «Non un’elencazione rigida di linee guida – sottolinea Tommasa Maio (Fimmg) – bensì uno strumento agile e flessibile che, guardando alle differenze che inevitabilmente contraddistinguono le varie realtà assistenziali di prossimità, riesca a favorire comportamenti omogenei. 

Donne in sovrappeso a maggior rischio di Long Covid

(da MSD Salute e PLoS Global Public Health)  Le donne che sono in sovrappeso hanno un maggior rischio di sviluppare il Long COVID, sindrome che può determinare stanchezza, sensazione di mancanza di respiro, palpitazioni, annebbiamenti, quindi problemi di concentrazione e memoria, che possono avere, in ultimo, un impatto negativo sulla qualità di vita. A mostrarlo è uno studio condotto nel Regno Unito e pubblicato su 'PLoS Global Public Health'.  Il team ha preso in considerazione persone che erano risultate positive all’infezione da virus SARS-CoV-2. SU un totale di 1.487 persone che hanno completato un questionario online, 774 (52%), ha dichiarato di aver avuto almeno un sintomo del Long COVID. I sintomi più comunemente riferiti sono stati ansia (32%) dolore generalizzato (28%), stanchezza (25%), insonnia (22%), e alterazione cognitiva (22%).  Andando ad analizzare, nello specifico, quali fattori possono essere legati a sviluppare il long COVID, il team ha considerato l’indice di massa corporea, il sesso, l’uso di determinati farmaci e altre comorbosità. Dai risultati è emerso che le donne con un elevato indice di massa corporea sono a maggior rischio, così come ci sarebbe un trend tra le persone più anziane.

(https://journals.plos.org/globalpublichealth/article?id=10.1371/journal.pgph.0001188)

Covid, per uscire dall’isolamento non servirà più il tampone negativo. Sarà abolito il Green Pass

(da IlSole24Ore)  Il decreto "Rave party" approvato la scorsa settimamana al Senato e passato all'esame della Camera contiene anche alcune norme di carattere sanitario importanti nella gestione della pandemia, a partire da quelle annunciate dal ministro della Salute Orazio Schillaci, sull'isolamento dei contagiati da Covid. L'isolamento delle persone infettate si concluderà senza bisogno di fare un tampone. Chi ha il Covid deve restare a casa per 5 giorni, ma al termine potrà uscire senza più l'obbligo di fare un test. La modifica ha bisogno però di un chiarimento. Cosa succede se una persona ha ancora sintomi dopo 5 giorni? La questione dovrà essere risolta da una circolare del ministero della Salute.    Non finisce qui. Il decreto prevede l'abolizione del green pass negli ultimi luoghi in cui era rimasto l'obbligo. Familiari e visitatori di pazienti in ospedali e residenze sanitarie assistite (RSA) non avranno più l'obbligo di esibire il certificato verde. Cambiano le norme anche per la quarantena. Chi ha avuto contatti stretti con positivi oggi può uscire seguendo un regime di autosorveglianza per 10 giorni, indossando la mascherina. Un emendamento ha abbassato la durata a 5 giorni, sempre con mascherina al chiuso o in caso di assembramenti. E ha abolito la misura attuale che prevede «l'obbligo di effettuare un tampone» alla «prima comparsa dei sintomi».  Come noto, grazie a un emendamento della Lega, quando entrerà in vigore la legge di conversione saranno sospesi fino al 30 giugno 2023 i procedimenti per le sanzioni da 100 euro per insegnanti, forze dell'ordine e in generale over 50 che al 15 giugno scorso non erano in regola con le vaccinazioni. Infine l'Unità per il completamento della campagna vaccinale, guidata dal generale Tommaso Petroni (istituita dopo la fine dell'incarico di commissario al generale Figliuolo), che doveva passare tutte le competenze al ministero alla Salute dal primo gennaio 2023, è stata prorogata fino al 30 giugno dell'anno prossimo.

Al via le somministrazioni del vaccino contro Covid-19 per la fascia di età 6 mesi – 4 anni (compresi)

(da Ufficio Stampa Ausl Romagna) Dopo l’autorizzazione di Ema e AIFAe ilvia libera del ministero della Salute, una formulazione specifica del vaccino Comirnaty (BioNTech/Pfizer) contro Covid-19 è disponibile per la fascia di età 6 mesi - 4 anni (compresi). La vaccinazione, come specificato nella circolare del Ministero della Salute, è raccomandata ai bambini che presentino condizioni di fragilità tali da esporli allo sviluppo di forme più severe di infezione da SARS-Cov2 quali immunodeficienze, patologie oncologiche, alcune patologie ematologiche, cardiologiche e respiratorie, malattie renali croniche, quadri gravi di obesità, diabete di tipo 1, patologie neurologiche e muscolari, trisomia 21 e altre malattie cromosomiche e sindromiche, prematurità nei primi 2 anni di vita, disabilità grave. Per la raccomandazione alla vaccinazione i genitori potranno confrontarsi con il proprio Pediatra di Famiglia, con i medici del centro specialistico di riferimento e della Pediatria di Comunità che provvederanno anche a contattare le famiglie per una sensibilizzazione.

Il vaccino potrà essere reso disponibile anche per la vaccinazione dei bambini che non presentino condizioni di rischio, su richiesta del genitore.

Dal 20.12 al via per tutti i bambini le prenotazioni presso le Pediatria di Comunità, secondo le modalità di seguito riportate:

Ravenna: presso CMP - primo piano, su prenotazione

sportello da lunedì a giovedì: 8.30-11; mail pedcom.ra@auslromagna.it; telefono 0544 286909 da lunedì a giovedì 8.30 12.30

Lugo: Viale Masi 20, su prenotazione

sportello da lunedì a giovedì: 8.30-11.00; mail pedcom.lu@auslromagna.it; telefono 0545 213930 da lunedì a giovedì 12-14

Faenza: Via della Costituzione 28/51, su prenotazione

Sportello da lunedì a giovedì: 8.30-11; mail pedcom.fa@auslromagna.it; telefono 0546 602121 da lunedì a giovedì 12-14

Forlì: via Colombo 11, ingresso C primo piano, su prenotazione

sportello n. 13 dal lunedì al venerdì 8.00-12.30; mail vaccpedcovid.fo@auslromagna.it; telefono 0543 733145 dal lunedì al venerdì 8.30-12.30

Cesena: Piazza Anna Magnani 146, 1° piano, scala B, su prenotazione

segreteria  0547/394204 da lunedì a venerdì 8.00-8,30 e 12,00-13,00 ped.comunita.ce@auslromagna.it

Savignano sul Rubicone: Via F.lli Bandiera 15, su prenotazione

segreteria 0541/801830 da lunedì a venerdì 8,00-9,00 e 12,30-13,30 ped.comunita.ce@auslromagna.it

Rimini: via Coriano 38 (presso Colosseo), Rimini - piano terra, su prenotazione

sportello oppure telefonare allo 0541-707512/16 dal lunedì al venerdì ore 12.00 -14.00, martedì ore 8.30-14.00; mail   vacc.pediatriche.rn@auslromagna.it

Riccione: via Formia 14 (Palazzina Direzione Medica), su prenotazione

sportello oppure telefonare allo 0541 - 608681 lunedì-mercoledì e giovedì dalle ore 12 alle 13.30; mail vacc.pediatriche.rn@auslromagna.it

Le vaccinazioni saranno effettuate all’interno dei servizi Pediatrie di Comunità dei diversi ambiti

Corte Costituzionale: legittimo l’obbligo del vaccino per medici, operatori sanitari e over 50

(da DottNet)   La Corte Costituzionale "salva" l'obbligo del vaccino anti Covid introdotto dal governo Draghi nel 2021 per alcune categorie professionali e gli over 50. La Corte ha ritenuto inammissibili e non fondate le questioni poste da cinque uffici giudiziari. La Corte ha in particolare ritenuto inammissibile, per ragioni processuali, la questione relativa alla impossibilità, per gli esercenti le professioni sanitarie che non abbiamo adempiuto all'obbligo vaccinale, di svolgere l'attività lavorativa, quando non implichi contatti interpersonali. Sono state ritenute invece non irragionevoli, né sproporzionate, le scelte del legislatore adottate in periodo pandemico sull'obbligo vaccinale del personale sanitario. Ugualmente non fondate, infine, sono state ritenute le questioni proposte con riferimento alla previsione che esclude, in caso di inadempimento dell'obbligo vaccinale e per il tempo della sospensione, la corresponsione di un assegno a carico del datore di lavoro per chi sia stato sospeso; e ciò, sia per il personale sanitario, sia per il personale scolastico. È quanto rende noto l'Ufficio comunicazione e stampa della Corte costituzionale, in attesa del deposito delle sentenze. L’udienza in cui era stata trattata la causa aveva vissuto momenti di tensione. Anche se le motivazioni del verdetto arriveranno nelle prossime settimane, è facile supporre che i giudici abbiamo ritenuto prevalente l’interesse alla tutela della salute pubblica su quello dell’autodeterminazione e della libertà dell’ singolo cittadino.    Una montagna di sanzioni che sfiorano i due milioni. Sono scattate ieri per chi era tenuto a vaccinarsi contro il Covid e non l'ha fatto: scadono infatti i 180 giorni fissati per giustificare il mancato adempimento all'obbligo vaccinale. Si tratta di professori, operatori sanitari, forze dell'ordine e over 50 che dovranno pagare multe pari a 100 euro a testa. L'avversione al vaccino è stata più forte in alcune regioni: la maglia nera in termini di multe ai no vax over 50 va al Friuli Venezia Giulia, seguito dalla Calabria e dall'Abruzzo. Mentre tra i territori più virtuosi ci sono Puglia, Lazio, Toscana e Molise, con percentuali delle persone che si sono vaccinate almeno con due dosi che superano il 90% nella fascia di età tra i 50 e i 59 anni. Mentre i no vax tornano a far sentire la loro voce con una protesta proprio davanti alla Consulta in nome della libertà di autodeterminazione: si ritrovano in una cinquantina da tutta Italia, con cartelli e tricolori stretti al collo.

Covid-19, epidemie intermittenti saranno la nuova normalità? L’ipotesi in uno studio

(da Doctor33)  La pandemia di Sars-CoV-2 è stata caratterizzata «dall'emergere regolare di varianti». Con l'immunità della popolazione naturale e indotta dal vaccino a livelli elevati, la pressione evolutiva «favorisce le varianti che sono meglio in grado di eludere gli anticorpi neutralizzanti». La variante Omicron ha mostrato un alto grado di evasione immunitaria, portando a un aumento dei tassi di infezione in tutto il mondo». «Supponendo l'emergere di ulteriori varianti distinte, epidemie intermittenti di entità simile potrebbero diventare la 'nuova normalità'». È quanto viene prospettato da un gruppo di scienziati dell'Imperial College London in uno studio pubblicato su 'Nature Communications', in cui hanno analizzato e stimato la dinamica dell'ondata di Omicron dal 9 settembre 2021 al 1 marzo 2022, utilizzando i dati dello studio React-1, una serie di indagini trasversali che valutano la prevalenza dell'infezione da Sars-CoV-2 in Inghilterra.
Gli autori del lavoro hanno stimato un picco iniziale nella prevalenza nazionale di Omicron del 6,89% (5,34%-10,61%) nel gennaio 2022, seguito da una recrudescenza delle infezioni da Sars-CoV-2 quando il sottolignaggio Omicron più trasmissibile BA.2 ha sostituito BA.1 e BA.1.1. Nel mese di febbraio 2022, invece, gli scienziati hanno osservato che la prevalenza di Omicron 2 (BA.2) è aumentata costantemente, mentre la prevalenza di Omicron non BA.2 è diminuita. Gli esperti ragionano sul fatto che, «poiché l'incidenza cumulativa e la copertura vaccinale continuano ad aumentare, il virus Sars-CoV-2 si troverà a competere con un panorama immunitario diversificato e complesso all'interno della popolazione umana. Di conseguenza, la dinamica evolutiva del virus sarà dominata dall'evasione immunitaria».

Dato l'emergere regolare di varianti di preoccupazione (Voc) durante i primi 2 anni della pandemia di Covid, dunque, «non ci sono ragioni per credere che questa tendenza non continuerà», affermano gli scienziati, ricordando che «altre infezioni respiratorie come l'influenza portano epidemie annuali dovute all'emergere di nuovi ceppi in grado di navigare meglio nel panorama immunitario. Se vediamo una tendenza simile per Sars-CoV-2, allora le onde intermittenti di infezione di entità simile a Omicron rientrano nei limiti delle possibilità».

La sorveglianza continua, i richiami vaccinali e gli aggiornamenti dei vaccini, elencano gli autori, «saranno cruciali per ridurre al minimo gli effetti dannosi di questo nuovo paradigma di salute pubblica». E «una maggiore equità nell'accesso ai vaccini a livello mondiale può aiutare a ridurre il tasso di comparsa di queste varianti dannose».
Il virus, intanto, inizia a frenare. Nel mondo si registra una diminuzione dei contagi dell'ultima settimana anche se resta stabile il numero delle vittime. E anche in Italia calano i casi quotidiani segnalati ma sono ancora molti i decessi, mentre i medici sono di nuovo bersaglio di attacchi da parte dei 'no vax'.

Gli adulti non si vaccinano. Ricciardi: servono campagne capillari e una comunicazione pubblica efficace

(da Doctor33)   Perché le strategie vaccinali diano copertura efficace nel complesso mondo contemporaneo, c'è bisogno di campagne condotte in modo capillare attraverso medici di famiglia, di agenzie regolatorie coraggiose e di una comunicazione pubblica efficace. L'indicazione giunge da Walter Ricciardi, ordinario di Igiene all'Università del Sacro Cuore, consigliere scientifico del Ministro della Salute al novantennale di Glaxo Smith Kline. Con Rino Rappuoli, chief scientist GSK Vaccines, Ricciardi commenta un paradosso: se l'aumento della spesa totale per i vaccini nel 2020 in Italia è stato di 562,5 milioni di euro, per le vaccinazioni dell'adulto - antinfluenzale, pneumococco 23valente, Herpes zoster- sono stati spesi solo 108 milioni. L'antinfluenzale per gli over 65 enni ha raggiunto il 63%, a fronte di un target del 75% del Piano di prevenzione vaccinale 2017-19. Nella stessa fascia di età, l'antipmeunococcico ha raggiunto solo il 3% a fronte di un indice previsto del 75%; l'anti herpes zoster riguarda solto l'1% del target-adulti, contro un obiettivo del 50%. Come dimostra l'esperienza Covid, vaccinare gli adulti è difficile, e le agenzie regolatorie sembrano saperlo. «Dopo la decisione della Food & Drug Administration USA che aveva autorizzato la vaccinazione anti-Covid per gli over 60 malgrado avessimo gli stessi dati su anziani e fragili, in Europa abbiamo atteso 2 mesi per fare la stessa cosa». Di fatto la campagna vaccinale è rimasta sospesa. «Ora l'EMA ha dato l'ok e gli stati membri la seguono in fretta e furia. È mancata un'agenzia nazionale che avesse il coraggio di confermare le decisioni da prendere sulla base degli studi scientifici, con rapidità. Servono agenzie regolatorie competenti, rapide, trasparenti ed efficaci. Inoltre -prosegue Ricciardi- le istituzioni pubbliche devono fare comunicazione scegliendo bene i canali, la tv per gli anziani, i social per giovani». Lo spot, insomma, non è uguali per tutti, e il mezzo che lo comunica va presidiato. «I no-vax hanno usato i social in modo mirato, le istituzioni pubbliche devono ancora ingaggiarsi attivamente, ad oggi siamo in un limbo».
Secondo uno studio della John Hopkins University ogni dollaro speso in vaccini genera un risparmio di 44 dollari di cui 16 di spese mediche e 28 di costi indiretti legati alla produttività del lavoro. Come convincere gli adulti che vaccinarsi è il primo gesto per costruire una sanità meno povera e tendenzialmente migliore? «Attorno al vaccino va costruito un sistema organizzato, ovunque», dice Ricciardi. «La campagna contro il Covid ci ha insegnato che neanche nei paesi più poveri c'è fiducia nei vaccini. Se in quei paesi le mamme sanno che vaccinando i figli li proteggono da malattie causa di morte e disabilità, negli adulti per il Covid-19 c'è stata grande diffidenza: sono scadute centinaia di migliaia di dosi donate perché culture locali lamentavano la sperimentalità dei vaccini, la scarsa sicurezza, quando non il sospetto di "una trappola dell'Occidente"». In Italia non cambia molto. «Da tempo contro il Covid abbiamo a disposizione la vaccinazione per gli over 80 e da questa settimana c'è per gli over 60, ma fin qui si è vaccinato un anziano su 4. Anche chi dovrebbe sapere che il vaccino gli salva la vita è riluttante. Accanto all' innovazione nella ricerca per portare i vaccini a destinazione servono una logistica, un'attività culturale e di informazione. Introdurre un obbligo vaccinale per gli adulti non è pensabile».
Rappuoli ricorda come i nuovi vaccini debbano molto all'arrivo di nuove tecnologie. Il vaccino anti-Covid è stato una grande conquista della tecnologia a RNA. Presto toccherà al vaccino contro il virus sinciziale: «Abbiamo avuto fallimenti dal 1967 al 2019. Ma un mese fa abbiamo potuto annunciare che un vaccino sperimentale funziona sugli anziani; ora è in fase di ammissione regolatoria, in meno di 2 anni potremmo avere un vaccino sognato 60 anni. Lavoriamo inoltre a vaccini contro l'antibiotico-resistenza, altra pandemia in arrivo. Gli antibiotici hanno salvato tantissime vite ma ne abbiamo abusato, e nel mondo i batteri stanno diventando resistenti. I vaccini possono essere un'alternativa che non dà resistenze: a differenza dei farmaci funzionano per sempre». A Siena GSK ha dato vita ad un Vaccines Institute for Global Health che usa le conoscenze usate nei vaccini commerciali per produrre vaccini su cui non investirebbe nessuno. «Abbiamo prodotto un vaccino per bambini contro il tifo in Asia e lavoriamo su salmonella e shigella contro le resistenze», dice Rappuoli. «Infine, stiamo lavorando su vaccini contro il cancro, terapeutici».

Bassetti, 4 dose? no a vaccino sotto ombrellone

(da AGI)   "Vaccino a settembre/ottobre assolutamente sì, ma ora non ha senso inseguire gli over 60 sotto l'ombrellone: parliamo, in alcuni casi, di persone che hanno fatto già 3 dosi e il Covid e gli studi internazionali ci dicono che l'immunità ibrida è la migliore". Così all'AGI l'infettivologo Matteo Bassetti, direttore della clinica malattie infettive dell'ospedale San Martino di Genova, in relazione alla decisione dell'Aifa che ha allargato a tutti gli over 60 la possibilità di ricevere il nuovo booster.   "Ieri ho sentito il ministro della Salute parlare di 'linee guida', ma bisognerebbe parlare di raccomandazioni più che altro - dice Bassetti -. Il primo a conoscere il significato di 'linee guida' dovrebbe essere il ministro e il fatto che non lo sappia, mi rende perplesso". Le 'linee guida', spiega l'infettivologo, "sono una di quelle cose da fare con le società scientifiche e sulle quarte dosi non esistono dati così solidi per la somministrazione a un 60enne sano che non è un 90enne: metterli sullo stesso piano è un errore clamoroso".

A parere di Bassetti il ministero della Salute non ascolta i medici sul campo. "La linea è di totale contrasto con quella del 2021 dove Figliuolo parlava con tutti - aggiunge- Io come presidente della società italiana di terapia antinfettiva e come primario del mio ospedale non appoggio questa posizione: continuiamo a considerare tutti uguali, ma è sbagliato". "Bisognerebbe capire anche perché il 75% degli over 80 non hanno fatto la quarta dose - dice Bassetti - Io non ce l'ho con il ministro, ma con l'ignoranza di alcuni. A settembre darò una mano per convincere le persone, ma oggi no". E in ospedale come vanno le cose? "A marzo 2022 ho utilizzato l'ultimo casco su un paziente Covid, oggi ho due ricoverati in reparto: una 90enne con una polmonite, ma non da Covid; e un 87enne che domani andrà a casa. Gli altri 48 hanno tutt'altro".

Vaccini Covid. Il sesso e lo stile di vita influenzano la risposta immunitaria acquisita

Lo studio, pubblicato sul Journal of Personalized Medicine, è stato promosso dalla Sapienza e dal Policlinico Umberto I. Dai risultati è emerso, tra l’altro, una diminuzione mediana del 72% del livello anticorpale a 5 mesi dalla vaccinazione, che però è meno evidente nelle donne e nei soggetti con infezione pregressa, mentre era più alta nei fumatori, negli ipertesi e nei meno giovani. Anche i single o conviventi avevano un migliore mantenimento della risposta anticorpale rispetto a sposati, divorziati o vedovi.  Leggi L'articolo completo al LINKhttps://www.quotidianosanita.it/scienza-e-farmaci/articolo.php?articolo_id=106169&fr=n

Pregliasco, ‘chiusura Usca terribile, rischio affollamento ospedali’

(da Adnkronos Salute)  "E' terribile la chiusura delle Usca in questa fase, perché" senza il contributo delle Unità speciali di continuità assistenziale nella gestione del territorio, in questo momento di ondata estiva di Covid-19 c'è un "rischio di affollamento ospedali". Una possibilità reale secondo il virologo Fabrizio Pregliasco, direttore sanitario dell'Irccs Galeazzi di Milano e docente UniMi. Lo smantellamento anticipato delle Usca, spiega all'Adnkronos Salute, alla luce del rialzo dei numeri della pandemia in Italia, è un problema nel problema.    "Le Usca - afferma il medico - rappresentano l'anello di congiunzione tra ospedale e territorio, in quella che deve essere la 'filiera' dell'assistenza ai pazienti Covid. Vanno assolutamente riattivate", anzi di più: "Questo tipo di intervento va proprio strutturato", mantenuto stabilmente, esorta Pregliasco. "Se vogliamo, possiamo modificarlo nell'organizzazione in base al contesto e alle esigenze. Ma è davvero necessario", assicura, per fortificare la 'trincea' del territorio e proteggere gli ospedali che devono poter garantire cure anche a tutti gli altri malati e recuperare i ritardi accumulati nelle fasi emergenziali.

Sileri: “Test sierologici Covid non servono per decidere se vaccinarsi o meno”

"L’indicazione data dal Ministero della salute di non usare la sierologia come elemento per decidere se sottoporsi o meno alla vaccinazione anti-Covid appare in linea con le più recenti evidenze scientifiche e con la netta posizione dei più importanti Organi scientifici internazionali" Leggi L'articolo completo al LINK

https://www.quotidianosanita.it/governo-e-parlamento/articolo.php?articolo_id=104502&fr=n

Comunicazione Ministero della salute n. 5125 del 25.03.2022

Stante la rilevanza della questione e in
considerazione della diffusione sul territorio nazionale della
Comunicazione del Ministero della salute, avente ad
oggetto “Proroga della validità delle certificazioni di
esenzione alla vaccinazione anti-SARS-CoV-2” del 25
marzo 2022, prot. n. 5125 si ritiene opportuno portare alla
attenzione di tutti gli Ordini territoriali che il Ministero della
Salute ha comunicato a questa Federazione, con la nota
allegata, che la suddetta comunicazione è falsa e, pertanto,
non ha alcuna validità.
Eventuali richieste da parte degli iscritti che facciano
riferimento alla suddetta nota non dovranno trovare
accoglimento da parte degli Ordini territoriali.

Precisazioni su esenzioni/differimenti telematici dall’obbligo vaccinale

Su richiesta del segretario provinciale FIMMG Dr. Ragazzini sul tema delle esenzioni/differimenti telematici dall’obbligo vaccinale si precisa quanto segue.

Secondo l’art. 4 del D.L. 44/2021 e successive modifiche, il certificato di esenzione dalla vaccinazione anti Sars – Cov 2 può esser rilasciato “solo in caso di accertato pericolo per la salute, in relazione a specifiche condizioni cliniche documentate, attestata dal medico di medicina generale, nel rispetto delle circolari del Ministero della Salute”.

Il successivo DPCM 04.02.2022 stabilisce che tale certificazione debba essere rilasciata informato digitale, utilizzando il sistema TS, prevedendo altresì che il certificato sia rilasciato dai medici di medicina generale oppure dai medici vaccinatori.

La definizione delle possibili cause di esenzione è contenuta nella circolare del Ministero della Salute 4.8.2021, per cui ci si richiama alla necessità di rispettare le prescrizioni ivi contenute.

Questa è la situazione normativa vigente al momento attuale, per cui si invitano tutti i colleghi ad attenersi a quanto previsto dalle norme sopra ricordate.

Si rammenta che la certificazione di esenzione dalla vaccinazione, al pari di tutti gli altri certificati sottoscritti da qualunque medico, devono rispettare l’obbligo di verità, la cui violazione può dare causa a conseguenze di tipo penale e disciplinare.

Vaccini anti – covid: ecco i Centri vaccinali che cambiano sede e orari dal 1 aprile

DAL 1 APRILE  I SEGUENTI CENTRI VACCINALI DELL’AUSL ROMAGNA SARANNO APERTI NELLE SEDI ED ORARI DI SEGUITO SPECIFICATI:

Faenza: dal 1 aprile la sede Hub Distrettuale si trasferirà nella Casa della Salute Centro Nord, presso il Punto prelievi – Piano Terra,  garantendo l'attività vaccinale  il martedì, il giovedì ed il sabato dalle ore 14 alle 19,30.

Forlì: dal 1 aprile il Centro vaccinale provinciale di Forlì si trasferirà all'Ospedale Morgagni-Pierantoni, presso il Padiglione Vallisneri, Punto prelievi, garantendo l'attività vaccinale dal lunedì al sabato dalle ore 14 alle 19.

Cesena: dal 1 aprile il Centro vaccinale provinciale si trasferirà alla Piastra Servizi dell’Ospedale Bufalini, presso il Punto prelievi,  garantendo l'attività vaccinale il lunedì, mercoledì, venerdì e sabato dalle ore 14 alle 19.

Cesenatico. dal 1 aprile il Centro vaccinale distrettuale si trasferirà dalla sede di Savignano all’Ospedale Marconi,  presso la Pediatria di Comunità, garantendo l’attività vaccinale il martedì e giovedì dalle ore 14 alle19.    

Riccione: dal 1 aprile la sede Hub Distrettuale si trasferirà all'Ospedale di Riccione, presso i locali dell’Igiene Pubblica via Formia (Palazzina Direzione Medica), garantendo l'attività vaccinale il martedì, il venerdì  e il sabato dalle ore 8.30 alle 14.

Nessuna variazione nei Centri Vaccinali di Ravenna, Lugo e Rimini.

VACCINAZIONI ANTI - COVID FASCIA 5 – 11 ANNI:  ECCO LE SEDI, GLI ORARI E LE MODALITA’ DI ACCESSO DAL 1 APRILE 

Ravenna: stessa sede, CMP Pediatria di Comunità primo piano, tutti i martedì dalle 14.30 alle 16.30, in libero accesso.

Lugo: dal 1° aprile  l’attività vaccinale fascia 5 – 11 anni si trasferisce alla Pediatria di Comunità (Viale Masi 20) e sarà garantita in libero accesso  tutti i mercoledì 14.30-16.30

Faenza: dal 1° aprile l’attività vaccinale fascia 5 – 11 anni si trasferisce alla Pediatria di Comunità (Via della Costituzione 28/51) e sarà garantita in libero accesso tutti i martedì 14.30- 16.30.

Forlì: dal 1 aprile l’attività vaccinale fascia 5 – 11 anni sarà effettuata in libero accesso solo presso la Pediatria di Comunità, via Colombo 11, ingresso C primo piano, giovedì 14 aprile e giovedì 28 aprile dalle ore 14.30 alle 18.30.  Il giorno 31 marzo le vaccinazioni saranno effettuate dalle ore 14:30 alle 18:30. 

Rimini: dal 1° aprile l’attività vaccinale fascia 5 – 11 anni si trasferisce presso la Pediatria di Comunità, c/o Colosseo – piano terra e sarà garantita su prenotazione il martedì dalle ore 14.30 alle 16.30

Riccione: dal 1° aprile l’attività vaccinale fascia 5 – 11 anni si trasferisce presso i locali della Pediatria di Comunità, via Formia 14 (Palazzina Direzione Medica) e sarà garantita su prenotazione  il giovedì dalle ore 14.30 alle 16.30

Cesena: è in atto la chiamata attiva nelle seguenti sedi della Pediatria di Comunità: Cesena, Mercato Saraceno, San Piero, Savignano, Cesenatico.

Fnomceo, ‘su vaccinazione scudo penale rende tranquilli professionisti’

(da Adnkronos Salute) - Nella somministrazione dei vaccini anti Covid, i medici, "sono tranquilli", sul piano legale, tutelati "dal cosiddetto 'scudo penale', il Dl 44 del 2021 convertito in legge in cui, per le conseguenze legate al vaccino che non dipendono dall'imperizia del medico, si sancisce che il professionista non è punibile. Credo che questa norma, che noi abbiamo fortemente richiesto e ottenuto nel 2021, abbia molto rassicurato i medici e anche gli altri operatori sanitari che ne hanno avuto beneficio. E ha consentito ai camici bianchi vaccinatori di poter aderire alla campagna vaccinale in modo assolutamente tranquillo". Lo ha detto all'Adnkronos Salute il presidente della Federazione nazionale degli Ordini dei medici (Fnomceo), Filippo Anelli rilevando che "in una campagna in cui abbiamo somministrato oltre 132 milioni di dosi non sono emersi particolari problemi nella somministrazione".

"Lo scudo penale - aggiunge Anelli - consente di lavorare con maggiore serenità. Ed è giusto che sia così, perché anche gli eventuali effetti collaterali non dipendono dall'esercizio professionale ma sono reazioni intrinseche al vaccino". La punibilità dell'operatore sanitario, secondo la norma "è esclusa quando l’uso del vaccino è conforme alle indicazioni contenute nel provvedimento di autorizzazione all’immissione in commercio, emesso dalle competenti autorità, e alle circolari pubblicate sul sito istituzionale del ministero della Salute relative alle attività di vaccinazione".

"Ovviamente - conclude Anelli - nei casi gravi, come nei 22 decessi che l'Agenzia del farmaco riferisce come correlabili al vaccino anti Covid gli operatori sanitari che hanno eseguito il vaccino saranno coinvolti nell'eventuale azione legale ma non sono punibili".

Vaccini Covid, Ema: richiami multipli non sostenibili. Serve strategia a lungo termine

(da Doctor33)  "Esaminando i dati sull'impatto della variante Omicron, sta diventando sempre più chiaro che è necessaria una dose di richiamo per estendere la protezione del vaccino". Ma guardando ai "possibili approcci vaccinali contro Omicron e altre varianti", gli enti regolatori hanno convenuto che "la somministrazione di multiple dosi booster a brevi intervalli di tempo non è un approccio sostenibile a lungo termine".
Sono queste le conclusioni di un workshop sulla risposta globale alla variante Omicron, che ha coinvolto le agenzie del farmaco di tutto il mondo, compresa l'europea Ema, organizzato sotto l'egida dell'International Coalition of Medicines Regulatory Authorities (ICMRA). Per i 37 membri dell'incontro, assieme ad altri rappresentanti dell'Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), diviene quindi necessario avere una strategia a lungo termine sui tipi di vaccini necessari per gestire la COVID-19 in futuro. "Questa è una discussione globale in corso" sottolineano gli esperti in una nota, "che si trova al crocevia tra scienza, politica pubblica e salute pubblica e richiederà il coordinamento tra i responsabili delle decisioni in materia di salute pubblica a tutti i livelli."
Per i partecipanti all'incontro, nel progettare gli studi clinici, sarà importante dimostrare una più forte e duratura protezione data dai vaccini rispetto alla dimostrazione che questi proteggano contro le nuove varianti. La capacità di proteggere da più mutazioni del virus rimane comunque un incoraggiamento importante nella formulazione dei nuovi vaccini. Tuttavia, ribadiscono, gli studi dovrebbero essere progettati per dimostrare che la risposta immunitaria, misurata come anticorpi neutralizzanti, generata dal vaccino aggiornato sia superiore a quella ottenuta con i vaccini attuali. La capacità dei vaccini aggiornati di neutralizzare in modo incrociato altre varianti preoccupanti sarebbe una caratteristica aggiuntiva rispetto alla durata temporale della protezione fornita dal vaccino aggiornato.

Sangue coagulato e donatori vaccinati. Avis dice basta alle fake news sul Covid

Sui social network continuano a circolare informazioni destabilizzanti: dal sangue dei vaccinati che coagulerebbe, passando per la scarsa qualità degli emocomponenti di chi ha ricevuto la terza dose o, peggio ancora, le insinuazioni secondo cui l’Associazione Volontari Italiani del Sangue richiederebbe solo il sangue di chi non è in possesso del Green Pass. . Il presidente Briola: "Il nemico è il Covid, non gli strumenti per combatterlo".  Leggi L'articolo completo al LINK

http://www.quotidianosanita.it/cronache/articolo.php?articolo_id=101586&fr=n

COVID-19: aspetti certi e incerti della pandemia

(da Univadis) Dopo due anni dalla sua scoperta SARS-COV-2 è un virus molto studiato, ma con aspetti ancora da scoprire. Partendo dall’inizio, da tempo il virus ancestrale presente nei pipistrelli era ben noto agli esperti, ma il progenitore di SARS-CoV-2, ossia il virus che ha permesso lo spillover nell’uomo, è ancora sconosciuto (1).   La pandemia continua a sorprenderci e procede in modo imprevedibile, così come non sono ancora ben definiti alcuni aspetti correlati a SARS-CoV-2 quali le caratteristiche dell’immunità dopo l’infezione naturale o la vaccinazione, la disponibilità dei vaccini e l’emergenza di nuove varianti virali (1). 

Come evolverà SARS-CoV-2?

Il modo in cui SARS-CoV-2 si evolverà nei prossimi mesi e anni determinerà l’andamento di questa crisi globale. Non sappiamo con certezza se il virus si trasformerà in un altro raffreddore comune o in qualcosa di più minaccioso come l'influenza o qualcosa di peggiore. Nel mondo sono state erogate quasi 8 miliardi di dosi di vaccino che stanno cambiando il panorama evolutivo del virus, ma non è chiaro l’esito di questa sfida (2).   Nell’estate 2021, quando diversi paesi hanno revocato le restrizioni per controllare la diffusione virale, sono aumentate le opportunità per SARS-CoV-2 di evolversi. In queste ultime settimane sono stati monitorizzati gli effetti delle mutazioni nelle varianti emerse finora e gli esperti hanno posto l’attenzione su quelle nuove emergenti, per cercare di prevedere le prossime mosse del virus. L’orientamento di questi studi è coerente con un’evoluzione del virus in due direzioni: la prima che tende a renderlo più infettivo o trasmissibile, attraverso una replicazione più rapida in modo da rendere più facile la diffusione attraverso tosse e starnuti; l'altra che gli consente di eludere la risposta immunitaria dell'ospite (2). 

Dinamiche e impatto delle varianti

Alfa è entrata in scena nel Regno Unito a novembre del 2020 durante il lockdown e ha sostenuto il misterioso aumento dei casi nel sud-est dell'Inghilterra avvenuto in quel periodo.  Nello stesso periodo in Sud Africa hanno collegato un'altra variante carica di mutazioni chiamata B.1.351, ora nota come Beta, a una seconda ondata locale. Non molto tempo dopo, una variante ad elevata trasmissibilità, chiamata Gamma, è stata rilevata nello stato di Amazonas in Brasile. Tutte e tre le varianti erano più contagiose dei ceppi che avevano sostituito, ma Beta e Gamma contenevano anche mutazioni in grado di attenuare la potenza degli anticorpi "neutralizzanti", ossia quelli che bloccano l'infezione ed innescati da precedenti infezioni o vaccinazioni. Alfa sembrava essere la più infettiva, ma pur con tutte le premesse di efficacia nell’eludere le risposte immunitarie dell’ospite è stata spiazzata da Delta. Questa variante, individuata in India nella primavera del 2021, era circa il 60% più trasmissibile di Alfa e si è moltiplicata più velocemente, con concentrazioni più elevate nelle vie aeree degli individui infetti, superando le risposte immunitarie iniziali contro il virus (2). L’R0  di Delta è risultato superiore a quello dei coronavirus stagionali e dell'influenza, ma comunque è risultato inferiore a quello della poliomielite o del morbillo. Quando alla fine del 2021 Delta e i suoi discendenti rappresentava la stragrande maggioranza dei casi di COVID-19 in tutto il mondo, contro la maggior parte delle previsioni è arrivata Omicron. In questa variante con circa 30 mutazioni della  proteina spike l'infettività ha dimostrato valori molto più elevati di Delta, ma non era l'unica ragione della sua rapida crescita. I dati epidemiologici disponibili, a partire dal focolaio nella provincia sudafricana di Gauteng, hanno supportato l’ipotesi che l'aumento di Omicron fosse in gran parte dovuto alla sua capacità di infettare le persone immuni a Delta attraverso la vaccinazione o una precedente infezione (2). Un percorso che porterebbe Omicron verso l'evasione immunitaria oltre l'infettività, rendendo la sua traiettoria evolutiva simile ad altri virus respiratori come quello dell'influenza. Sicuramente il modo in cui SARS-CoV-2 si evolverà in risposta all'immunità avrà forti implicazioni per la sua transizione a virus endemico (2). 

Strategie vaccinali: obiettivo su malattia grave ed equità

Sebbene vi siano rapporti contrastanti sul fatto che i vaccini COVID-19 abbiano costantemente mantenuto un'elevata efficacia per ciascuna delle quattro varianti preoccupanti che hanno preceduto Omicron, gli studi clinici hanno riportato una minore efficacia per alcuni vaccini in contesti di trasmissione in cui la variante Beta era dominante (3). Comunque finora la maggior parte dei vaccini COVID-19 è rimasta efficace nel prevenire COVID-19 grave, ospedalizzazione e morte, per tutte le varianti precedenti, perché questa efficacia potrebbe dipendere più dalle risposte immunitarie delle cellule T che dagli anticorpi (3).  Quindi i vaccini contro COVID-119 si stanno dimostrando estremamente sicuri e, nel breve termine, tutti dovrebbero vaccinarsi. E’ certo che le aree con tassi di vaccinazione più bassi pagano per i maggiori oneri di malattia severa e tassi di mortalità più elevati (1). Le strategie vaccinali che daranno la priorità alla somministrazione delle prime dosi avranno un impatto massimo sulla malattia grave in contesti dove la fornitura dei vaccini è vincolata e a bassa copertura, e dove un'elevata siero-prevalenza spesso coesiste con vincoli di somministrazione. Comunque il contrasto efficace di una prima dose di vaccino è plausibile perchè: nelle persone naive all'infezione, l'efficacia di una singola dose contro una malattia grave è elevata a breve termine (4); nelle persone con una precedente infezione da SARS-CoV-2 documentata, le prove dimostrano una protezione contro la reinfezione, che è sostanzialmente aumentata dopo una singola dose di vaccino COVID-19 (4); la sieroprevalenza è elevata nei paesi con una sostanziale trasmissione nella comunità e una bassa copertura vaccinale a causa di vincoli di fornitura (4). Da quando è comparso SARS-CoV-2 continua a sorprendere il mondo scientifico lasciando alcuni interrogativi aperti per un’agenda di ricerca 2022. In quali popolazioni si verificheranno nuove varianti? Qual’è la suscettibilità all’infezione dei vaccinati rispetto a quella delle persone non vaccinate? Le infezioni breakthrough sono meno trasmissibili e che caratteristiche fenotipiche hanno? E’ possibile che si verifichino infezioni per diversi profili immunitari, a seconda della precedente infezione naturale, per vaccinazione specifica e ceppi virali specifici? Quanto dura l'immunità naturale e vaccinale, in termini di protezione clinica e di infezione?

1. May M. Eight unanswered questions about the COVID-19 pandemic. Nat Med 27, 2058–2061 (2021). https://doi.org/10.1038/s41591-021-01598-x

2. Callaway E. Beyond Omicron: what’s next for COVID’s viral evolution Nature 2021;600:204-207

3. Karim SSA et al. Omicron SARS-CoV-2 variant: a new chapter in the COVID-19 pandemic. Lancet. 2021;398:2126-2128. doi:10.1016/S0140-6736(21)02758-6

4. McIntyre PB et al. COVID-19 vaccine strategies must focus on severe disease and global equity Lancet December 16, 2021 https://doi.org/10.1016/ S0140-6736(21)02835-X

Certificati MMG di esonero/differimento vaccinale

Un attento controllo di quanto è per ora disponibile sul "portale Regionale SOLE" ci ha fatto scoprire con rammarico che lo stesso non è ancora stato aggiornato ai sensi del nuovo DL 172/2021, sia nel menu a tendina in cui si può imputare il motivo della certificazione di esenzione vaccinale, sia nella durata della esenzione medesima, che rimane fissata al 31/12/2021 e non è modificabile.

Pertanto, nelle more di un intervento regionale, che si spera sia urgente e faccia tempestivamente trovare ai medici di medicina generale il corretto strumento telematico per interagire con la Anagrafe Nazionale Green Pass, consigliamo a tutti i medici curanti dei colleghi iscritti che ricevono comunicazione di non essere in regola con il percorso vaccinale prescritto dal DL 172, di  STILARE CERTIFICAZIONI CARTACEE, di esonero o differimento vaccinale rilasciate ai sensi del comma 2 art. 1 del DL 172 del 26/11/2021.

Tali certificazioni saranno accettate dai nostri uffici temporaneamente, e a tutti sarà data comunicazione tempestiva non appena la certificazione sarà possibile anche in forma telematica sul "portale regionale SOLE" .

Fnomceo: il 16 dicembre primi elenchi per sospensione no vax

(da ADNKronos)   «Il 16 dicembre gli Ordini» dei medici «avranno i primi elenchi e potranno iniziare la loro attività» relativa alle misure da adottare, sospensione compresa, per i camici bianchi non vaccinati contro Covid. Un compito che finora era stato demandato alle Asl e che con la nuova normativa (Decreto legge 26 novembre 2021,n. 172)è tornato in capo agli Ordini dei medici chirurghi e odontoiatri. Lo ha detto il presidente della Federazione nazionale degli Ordini dei medici chirurghi e degli odontoiatri (Fnomceo), Filippo Anelli, intervenendo, a Milano, al convegno «Odontoiatria, eccellenza italiana», organizzato dalla Commissione Albo odontoiatri nazionale. Si tratterà di «un'attività di verifica ma anche di persuasione», ha sottolineato il leader dei medici italiani. «Stiamo lavorando per dare agli Ordini tutti gli strumenti necessari, abbiamo già collaudato il software per estrarre i dati, stiamo completando la modulistica. E indiremo un bando per costituire un pool di legali che, a costi calmierati, possa aiutare i medici nel resistere ai ricorsi». «Siamo chiamati a una diretta responsabilità - ha constatato -, a un maggior lavoro. Ma ritorniamo ad avere un ruolo nella società: quello di garanti della professione e della scienza. Di quelle evidenze scientifiche che oggi vedono la mortalità 10 volte minore di un anno fa, vedono numeri estremamente più bassi per i ricoveri in rianimazione».

Chi sono gli italiani più indecisi di fronte al vaccino

(da AGI)  'Vacillano' maggiormente coloro che si avvalgono spesso o molto spesso di informazioni provenienti dai media e tendono a spiegare gli eventi attraverso teorie di tipo cospirazionista. Inoltre, le donne e i giovani sono più riluttanti a vaccinarsi nel caso in cui dovessero risultare positivi al Covid-19, mentre chi ha un'elevata scolarizzazione tende ad essere meno propenso ad approfittare della vaccinazione altrui. Sono questi alcuni dei risultati che emergono da uno studio multinazionale in corso in 30 paesi europei promosso e coordinato dall'Ufficio Regionale per l'Europa dell'Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) per monitorare la conoscenza, la percezione del rischio, la fiducia e i comportamenti preventivi durante la pandemia di COVID-19.   In Italia il progetto è stato denominato COMIT (Covid Monitoring in Italy) ed è coordinato da Giovanni de Girolamo dell'IRCSS Fatebenefratelli di Brescia, da Gemma Calamandrei dell'Istituto Superiore di Sanità e da Fabrizio Starace dell'AUSL di Modena, che si sono avvalsi della collaborazione di Lorella Lotto del Dipartimento di Psicologia dello Sviluppo e della Socializzazione dell'Università di Padova.  La recente pubblicazione riguarda i dati raccolti in un campione di 5.006 partecipanti arruolati tra gennaio e febbraio 2021 e si è concentrata sui fattori in grado di predire l'indecisione nei confronti della vaccinazione contro il Covid-19.   Del gruppo di ricerca fanno parte anche le prime autrici del lavoro Marta Caserotti (assegnista di ricerca) e Teresa Gavaruzzi (ricercatrice) dell'Università di Padova che spiegano: "Pensando all'evoluzione dei contagi e della campagna vaccinale, due aspetti potevano contribuire a fare "vacillare" le persone relativamente all'intenzione di vaccinarsi: da una parte avevamo ipotizzato che coloro che si contagiano sviluppando sintomi lievi potessero sottovalutare la potenziale gravità della malattia. Dall'altra - prosegue Caserotti - abbiamo ipotizzato che l'aumento della copertura vaccinale nella popolazione, comportando una riduzione nella circolazione del virus, potesse ridurre la percezione del rischio in coloro che nutrivano dubbi riguardo alla vaccinazione e che, in modo più o meno intenzionale, ciò potesse portare ad 'approfittare' opportunisticamente del comportamento altrui, sfruttando la cosiddetta 'immunità di gregge'".

"I risultati principali dello studio, che ha coinvolto oltre 5.000 Italiani, hanno messo in luce i fattori che predicono l'incertezza nei riguardi della vaccinazione". Come illustra Gavaruzzi, "i risultati di una serie di modelli statistici (di cui si è occupato Paolo Girardi, ricercatore dell'Università di Padova) dimostrano che sia coloro che propendono per un atteggiamento opportunistico sia coloro che si dicono riluttanti a vaccinarsi nel caso dovessero risultare positivi al Covid-19 sono maggiormente propensi nei confronti della vaccinazione quando sono: più favorevoli in generale alle vaccinazioni, adottano le misure di salute pubblica raccomandate, hanno fiducia nelle fonti istituzionali che si occupano di problemi sanitari (ministero della Salute, ISS, OMS), e hanno maggiori capacità di resilienza (hanno cioè maggiori capacità di fronteggiare eventi stressanti).

Gli autori concludono che "questi risultati possono essere visti come pezzi di un puzzle complesso nel quale non si possono ignorare gli aspetti psicologici" e si augurano che "il monitoraggio dell'esitazione vaccinale e dei suoi determinanti psicologici possano entrare a fare parte della normale pianificazione sanitaria, al di la' della pandemia, in modo da consentire interventi mirati e tempestivi nel caso di nuovi eventi epidemici". 

Consiglio di Stato, i medici non possono rifiutare il vaccino

(da DottNet)   I medici curano, non possono rifiutare il vaccino. Il Consiglio di Stato respinge (https://www.dottnet.it/file/102741/sentenza-vaccino-medici/) con questa motivazione il ricorso di un medico abruzzese contro la sospensione per il rifiuto di vaccinarsi, motivato ‘sulla base di dubbi scientifici certo non dimostrati’, scrivono i giudici amministrativi.  In uno dei passaggi del decreto Palazzo Spada osserva "ancora una volta", "che la prevalenza del diritto fondamentale alla salute della collettività rispetto a dubbi individuali o di gruppi di cittadini sulla base di ragioni mai scientificamente provate, assume una connotazione ancor più peculiare e dirimente allorché il rifiuto di vaccinazione sia opposto da chi, come il personale sanitario, sia – per legge e ancor prima per il cd. “giuramento di Ippocrate”- tenuto in ogni modo ad adoperarsi per curare i malati, e giammai per creare o aggravare il pericolo di contagio del paziente con cui nell’esercizio della attività professionale entri in diretto contatto".

Dal prossimo 15 dicembre, secondo quanto stabilito dal decreto sul Super Green pass, l'obbligo vaccinale per medici e personale sanitario viene esteso anche alla terza dose. Inoltre nel provvedimento sono state inserite altre categorie, come dipendenti delle strutture sanitarie (il personale medico aveva già l'obbligo vaccinale per le prime due dosi), lavoratori del mondo della scuola e forze dell'ordine. Con questa sentenza del Consiglio di Stato viene ribadito un principio: la sicurezza della comunità viene prima di paure individuali, non avvalorate da tesi scientifiche. Tali dubbi, si legge ancora nel decreto firmato dal presidente della Terza Sezione Franco Frattini, riguardano anche i medici "malgrado l'imponente quantità di studi scientifici che indicano la netta prevalenza del beneficio vaccinale anti Covid 19 per il singolo e per la riduzione progressiva della pandemia ancora gravemente in atto". Chi non si metterà in regola quindi non potrà più lavorare a contatto con i pazienti, e sarà sospeso.

Gli aiuti Covid riservati ai medici

(da DottNet)   Mentre il Covid sta purtroppo rialzando la testa, si è portati a pensare che la stagione degli aiuti e dei sussidi sia finita, fatta eccezione per l’esonero contributivo in via di perfezionamento in questi giorni. Sono invece molti gli istituti Enpam ancora attivi, e può quindi essere utile ricordarli, ad uso dei ritardatari o delle più recenti vittime della pandemia. I moduli per le relative domande sono reperibili nella sezione Modulistica del sito della Fondazione, ovvero accedendo alla rubrica Covid-19 all’interno della sezione Come fare per. 

Bonus Enpam e Bonus Enpam Plus. E’ un sussidio, pari al massimo a 1.000 euro mensili, che viene erogato ai medici e agli odontoiatri che in un trimestre del 2020 hanno subìto un calo del fatturato pari almeno al 33% rispetto all’ultimo trimestre del 2019. 

Indennità per i contagiati. L’Enpam riconosce poi da 600 a 5.000 euro a tutti i liberi professionisti risultati positivi al Covid. L’indennità ha un importo crescente a seconda della gravità: isolamento domiciliare, ricovero ospedaliero, terapia intensiva. L’importo viene rapportato all’aliquota di versamento della Quota B (chi versa con aliquota ridotta della metà avrà la metà dell’indennità) e sono previsti aiuti anche per i pensionati ancora attivi, entro determinati limiti di reddito annuo. 

Indennità di quarantena. Ai liberi professionisti costretti a interrompere l’attività a causa di quarantena ordinata dall’autorità sanitaria viene corrisposto un contributo sostitutivo del reddito di 82,78 euro al giorno. Ai convenzionati invece, viene erogata un’indennità per coprire i costi del sostituto o per compensare i mancati guadagni. 

Indennità per immunodepressione. Fino a due mesi di indennità sono previsti per i convenzionati in una condizione di rischio per immunodepressione, esiti di patologie oncologiche o svolgimento di relative terapie salvavita. L’indennità è calcolata sulla base dell’ultimo compenso mensile percepito per intero. 

Sussidio per le spese funerarie. Senza alcun limite di reddito personale (come previsto per il normale sussidio), l’Enpam si fa carico delle spese funerarie sostenute dai familiari dei medici deceduti per Covid. 

Maggiorazione della pensione a superstiti. Ai familiari dei medici deceduti per la pandemia l’Enpam raddoppia la maggiorazione dell’anzianità contributiva portandola fino a 20 anni, rispetto ai 10 previsti dal regolamento. Per i familiari, nel concreto, significa poter contare su una pensione indiretta più alta. 

Fuori Enpam, va poi ricordato anche il Fondo di sostegno alle vittime da Covid-19 istituito dalla Protezione Civile. Il modulo per presentare la richiesta di contributo economico è disponibile sul sito www.protezionecivile.gov.it, e potrà essere inviato tramite raccomandata A/R o via pec, all’indirizzo protezionecivile@pec.governo.it. Le istanze saranno successivamente esaminate da una Commissione, appositamente istituita con Decreto del Capo Dipartimento della protezione civile, che provvederà a redigere l’elenco dei beneficiari. L’ordinanza del Capo Dipartimento dispone che il beneficio venga corrisposto a ciascuno dei componenti superstiti del nucleo familiare – siano essi coniugi, conviventi, figli, genitori o fratelli dei deceduti – fino ad un massimo di 55.000 euro e nel limite di 15.000 euro per ogni componente del nucleo familiare che ne faccia richiesta al Dipartimento. 

Infine, aderendo a un’iniziativa promossa dalla Banca d’Italia, l’Enpam ha istituito il "Fondo di solidarietà Covid-19 – Banca d’Italia / Fondazione Enpam" per finanziare borse di studio a beneficio dei figli di tutti i medici deceduti a causa del Covid-19. Oltre alle borse di studio, il fondo erogherà anche assegni di mantenimento per coniugi e figli in acclarato disagio economico o stato di bisogno. L’iniziativa si iscrive nell’ambito dei contributi concessi dalla Banca d’Italia agli enti e alle strutture ospedaliere direttamente impegnati nella gestione dell’emergenza da Covid-19. Nelle prossime settimane sarà emanato il bando ufficiale, e saranno rese note le modalità per presentare le domande.

Covid-19, quanto sono affidabili i tamponi rapidi per la rilevazione del virus?

(da Doctor33)    In 1 caso su 2 danno come risultato un falso negativo. Sono i tamponi antigenici rapidi, al centro dell'attenzione per la scarsa affidabilità del risultato. Indicati come «il tallone d'Achille» da Walter Ricciardi, consulente del ministro della Salute Roberto Speranza, i test antigenici rapidi sono da tempo additati come un anello debole nella catena delle contromisure per arginare la circolazione del virus SarsCoV2. Non riescono infatti a vedere il virus se non quando è presente in quantità massicce.
«Bloccate i tamponi rapidi per non chiudere l'Italia». È l'appello di Claudio Giorlandino direttore scientifico del Centro ricerche Altamedica di Roma, dove è stato condotto uno studio su 332 pazienti, pubblicato sulla rivista "Future virology", dal quale emerge che il test antigenico rapido per la rilevazione del Covid-19 sbaglia quasi una volta su due, fornendo un alto tasso di falsi negativi. Questo studio ha messo a confronto i risultati del test rapido immunocromatografico dell'antigene del virus con quelli del tampone molecolare Rt-qPcr, a oggi considerato il gold standard per la rilevazione dell'infezione. I test sono stati eseguiti nello stesso laboratorio e dagli stessi operatori. Dei 332 casi selezionati per il confronto, 249 campioni erano risultati positivi al tampone molecolare e 83 negativi. Tra i 249 campioni positivi, solo 151 erano stati rilevati dal test rapido antigene, con una sensibilità complessiva del 61%. In tutti gli altri 98 casi il test antigienico rapido immunocromatografico era risultato negativo. «La letteratura internazionale già da tempo mette in luce i limiti dei test qualitativi immunocromatografici rapidi. La novità di questo studio - spiega Giorlandino - sta nella assoluta correttezza metodologica che, per primo, ha svelato che i limiti già conosciuti sono in realtà estremamente maggiori. L'enorme numero di falsi negativi che questi test, eseguiti in farmacia o in piccoli studi o laboratori, produce è pericolosissimo perché - sottolinea l'esperto - determina nei soggetti negativi un falso senso di sicurezza che induce ad allentare il rispetto delle misure di prevenzione quali il mantenimento della distanza e il rigido utilizzo di mascherine». «Invece purtroppo quasi una persona su due che risulta negativa - ammonisce - è ancora infettiva, con l'effetto controproducente della diffusione del contagio. La scarsa sensibilità dei semplici test rapidi ne consente semmai l'utilizzo solo come test in prima linea per la diagnosi di Covid-19, limitatamente al primo controllo di massa in condizioni particolari, per intercettare immediatamente almeno una parte di altamente positivi dove non è possibile attendere le 12 o 24 ore di un test molecolare che necessita di essere trasportato ed eseguito in laboratorio specializzato. Il suo uso - insiste il medico - dovrebbe essere limitato nei porti ed aeroporti ma, tutti i soggetti negativi, debbono comunque essere avvertiti di osservare strettamente le precauzioni per evitare di trasmettere il contagio perché non è certo che non siano portatori», aggiunge.
Si aggiunge all'appello anche il virologo Francesco Broccolo, dell'Università di Milano Bicocca. «Sono test con una sensibilità estremamente bassa, tanto che i casi positivi sono attualmente rilevati dallo 0,2% dei test rapidi e dal 6% dei molecolari. Inoltre, abbiamo oltre il 50% di falsi negativi», sostiene. Uno dei motivi per cui ci sono tanti falsi negativi è che «quando un soggetto si infetta, l'infezione si palesa al test dopo 48 ore, mentre sappiamo che l'infezione deve prendere piede e che il virus ha bisogno di tempo per replicarsi. Per questo - dice l'esperto - non è il caso di fare il test subito dopo avere avuto un contatto». Quando, a distanza di 48 ore dal contagio, «il virus inizia a replicarsi, dopo 48 ore diventa visibile al test molecolare, che è in grado di scattare una fotografia molto dettagliata; a confronto il test rapido fornisce un'immagine sgranata. Riesce infatti a vedere il virus solo se la carica virale è di almeno 1 milione di copie per millilitro di fluido biologico prelevato con il tampone».
Questa, aggiunge, è «una grande criticità. L'altra, secondo Broccolo, è nel fatto che «con le attuali regole per il Green pass, chi è vaccinato non viene distinto da chi ha fatto il test rapido ed entrambe le categorie si espongono agli stessi eventi, dimenticando che chi non è vaccinato ha quindi rischio maggiore di ammalarsi». Un'altra criticità è nei tempi di validità del Green pass: «nel mondo ideale, il test rapido andrebbe fatto tutti i giorni perché, se mi infetto oggi, per 48 ore non si potrà vedere l'infezione con nessun test». «Anche le 72 ore di validità del test molecolare sono teoriche perché, seppur questo sia ultrasensibile, non si esime dall'eventualità che l'infezione venga contratta dopo poche ore dal test»

Il Long Covid può portare la fibromialgia, lo svela uno studio del Rizzoli di Bologna

Secondo gli studiosi, che hanno definito ‘FibroCovid’ questa sindrome, tra i principali fattori di rischio per svilupparla ci sono in particolare il sesso maschile e l’obesità. “Mentre l’obesità è un noto fattore predisponente per la fibromialgia e per le malattie muscoloscheletriche in generale- spiegano i ricercatori- il sesso maschile è generalmente meno interessato da questa condizione”.  Leggi L'articolo completo al LINK

http://www.quotidianosanita.it/scienza-e-farmaci/articolo.php?articolo_id=98918&fr=n

Banca d’Italia ed Enpam in aiuto delle vittime del Covid

(da enpam.it)   Aderendo a un’iniziativa promossa dalla Banca d’Italia, l’Enpam, l’Ente previdenziale di medici e odontoiatri, ha istituito il “Fondo di solidarietà Covid-19 – Banca d’Italia / Fondazione Enpam” per finanziare borse di studio a beneficio dei figli di tutti i medici deceduti a causa del Covid-19. Oltre alle borse di studio, il fondo erogherà anche assegni di mantenimento per coniugi e figli in acclarato disagio economico o stato di bisogno.

L’iniziativa si iscrive nell’ambito dei contributi concessi dalla Banca d’Italia agli enti e alle strutture ospedaliere direttamente impegnati nella gestione dell’emergenza da Covid-19. Il Fondo di solidarietà è stato costituito con il contributo da parte dell’Istituto di Palazzo Koch e sarà gestito dall’Enpam.  “Ringraziamo Banca d’Italia per la sensibilità dimostrata. Sostenere chi resta è il miglior modo per onorare chi ha sacrificato la propria vita per curare gli altri”, dice il presidente dell’Enpam Alberto Oliveti.

DALLA PRIMARIA ALL’UNIVERSITÀ    A oggi purtroppo sono 365 i camici bianchi deceduti dopo aver contratto il Covid-19. Banca d’Italia e Fondazione Enpam intendono onorare la memoria di tutti questi medici e dentisti, attraverso un gesto concreto di riconoscenza destinato alle loro famiglie per sostenerle nella formazione scolastica e universitaria dei figli. Il valore annuo lordo delle borse di studio sarà pari a: 500 euro per la scuola primaria, 700 per la secondaria inferiore, 1.000 per la secondaria superiore e 1.500 per università ed equiparate.  Le borse sono cumulabili con altre misure esistenti e accompagneranno lo studente fino a conclusione del ciclo di studi. La convenzione tra Enpam e Banca d’Italia infatti ha una durata di cinque anni ed è rinnovabile proprio nell’ottica di consentire il completamento del percorso formativo.   Nelle prossime settimane l’Enpam pubblicherà un bando di gara ufficiale nel quale sarà specificato che le borse di studio potranno essere richieste dai figli superstiti in età scolare e universitaria (fino a 26 anni) di medici e odontoiatri che hanno perso la vita dopo aver contratto il Covid-19 durante lo stato di emergenza.

DISAGIO ECONOMICO E SOCIALE     La Convenzione prevede interventi anche in caso di situazioni di difficoltà sociale ed economica con assegni di mantenimento destinati ai figli superstiti a carico del medico o dell’odontoiatra al momento del decesso e inabili al lavoro.  Lo stesso trattamento sarà inoltre previsto per coniugi o figli in situazione di disagio economico o stato di bisogno, con un Isee familiare inferiore a 25mila euro. In questi casi l’importo, lordo e annuale, sarà pari a 2.500 euro tanto per i figli superstiti inabili al lavoro che per i coniugi o figli in acclarato disagio economico o stato di bisogno.

ALTRI DONATORI     Il Fondo Covid-19 Banca d’Italia-Fondazione Enpam potrà anche accogliere le donazioni di altri soggetti che in futuro vorranno contribuire economicamente a quest’iniziativa di solidarietà.

Comunicato stampa AUSL: Covid, in Romagna al via la prenotazione della terza dose per over 60 e fragili

I  cittadini di età compresa tra i 60 e i 79 anni possono  prenotare direttamente  la terza dose di vaccino anticovid - 19 , mentre le persone di età inferiore con elevata fragilità, motivata da patologie concomitanti o preesistenti, stanno ricevendo un SMS dall’Azienda USL della Romagna  che li invita  a  prenotare l’appuntamento.

La somministrazione dovrà comunque sempre avvenire dopo almeno sei mesi dal completamento del ciclo primario di vaccinazione

Come prenotare

La prenotazione può essere effettuata attraverso i consueti canali

  • agli sportelli Cup dell’Ausl ( Centri Unici Prenotazione) presenti su tutto il territorio romagnolo
  •  nelle farmacie tramite il servizio Farmacup,
  • Telefonando al Cuptel al numero 800002255

Online attraverso:

  • Il Fascicolo Elettronico
  • L’App ER Salute
  • Il CupWeb ( www.cupweb.it)

Proseguono nel frattempo le somministrazioni della terza dose con le vaccinazioni agli ultra 80enni, ai trapiantati e immunocompromessi che possono continuare a prenotarsi con i consueti canali. Il personale delle strutture sanitarie per anziani e gli esercenti le professioni sanitarie possono accedere ai centri Vaccinali Hub provinciali senza prenotazione. Prosegue inoltre la vaccinazione nelle strutture residenziali per anziani ad opera degli operatori di Ausl Romagna.

Terza dosa vaccino anti covid-19 per il personale sanitario

A partire da lunedì 25 ottobre la somministrazione della dose booster di vaccino anti covid -19 è estesa anche al personale sanitario che svolge attività al di fuori dell’Azienda USL della Romagna.  Tutti gli esercenti le professioni sanitarie e tutti gli operatori di interesse sanitario che hanno completato il ciclo vaccinale primario possono effettuarla presentandosi a uno dei Centri vaccinali Hub provinciali dell’Azienda, senza appuntamento, dalle 13 alle 18,30.

La terza dose deve essere somministrata dopo almeno 6 mesi dal completamento del ciclo primario e sarà effettuata con il vaccino Comirnaty di BioNTech/Pfizer indipendentemente dal vaccino utilizzato per il ciclo primario. In occasione della somministrazione della terza dose di vaccino COVID è possibile, per chi lo desidera, effettuare anche la vaccinazione antinfluenzale (Vaccino Flucelvax tetra).

Si precisa che l’accesso senza prenotazione viene garantito per questa settimana, al termine della quale, sulla base dell'affluenza complessiva che si sarà presentata agli hub vaccinali, l'Azienda valuterà se introdurre la prenotazione anche per questa categoria di utenza.

Sul sito internet dell’Azienda USL al link https://www.auslromagna.it/ricerca/download/covid-19-vaccinazione/booster-sanitari  gli operatori sanitari interessati possono trovare tutte le indicazioni, compresa la modulistica da stampare e compilare prima di presentarsi per la vaccinazione.

  Centri vaccinali hub provinciali Ausl Romagna
FORLIFIERA DI FORLIVIA PUNTA DI FERRO N.2
CESENACESENA FIERAVIA DISMANO 3845 PIEVESESTINA DI CESENA
RIMINICENTRO VACCINALE  RIMINISTRADA CONSOLARE RIMINI S. MARINO N.76
RICCIONECENTRO COMMERCIALE PERLA VERDEVIA BERLINGUER N.3
RAVENNACENTRO VACCINALE PROVINCIALE ESPVIA BUSSATO N. 218
LUGOCENTRO HUB IL TONDOVIA LUMAGNI N.30
FAENZACENTRO HUB FAENZA FIERAVIA RISORGIMENTO N.3

Niente assegni maternità o malattia senza green pass

(da www.StudioCataldi.it) Non sarà più possibile usufruire maternità, assegni per il nucleo familiare e cassa integrazione o la stessa malattia per chi non ha la certificazione verde. Da oggi, e fino al 31 dicembre, i lavoratori che non hanno il green pass sono "assenti ingiustificati" sul posto di lavoro. Di conseguenza non potranno godere di alcun diritto né tutela garantiti dal rapporto di lavoro, salvo la conservazione del posto di lavoro. La normativa che disciplina la situazione è contenuta nel dl 127/2021, ma le regole sul green pass nei luoghi di lavoro sono contenute anche nel dpcm 12 ottobre 2021, pubblicato nella gazzetta n. 246/2021.

I lavoratori "assenti ingiustificati" non hanno diritto allo stipendio.   Con lo stipendio vengono meno anche le componenti della sua retribuzione, anche di natura previdenziale, di carattere fisso e continuativo, accessorio o indennitario, previsto per la giornata di lavoro non prestata. I giorni di assenza ingiustificata non concorrono alla maturazione di ferie e permessi retribuiti e comportano la perdita della relativa anzianità di lavoro. Lo stesso Esecutivo, nelle faq, ha spiegato che il lavoratore perde diritto anche alle tutele previdenziali e per i giorni di assenza ingiustificata non ha diritto neanche alle quote di assegni familiari o all'indennità Cig, qualora dovesse esserci una sospensione dell'attività aziendale.

Madre no vax bocciata da giudici, si a vaccino per figli

(da AGI)  La posizione espressa dalla madre “poggia su concezioni personali suffragate da teorie diffuse da pochi soggetti che si pongono al di fuori della comunità scientifica ed in contrasto con gli approdi della scienza medica nazionale ed internazionale”: è un passaggio della sentenza del tribunale ordinario - prima sezione civile - di Parma che ha dato il via libera alla vaccinazione anti-Covid per due adolescenti con il solo consenso del padre, senza quindi quello della madre No-Vax. Entrambi i fratelli volevano vaccinarsi ma visto il no della donna, il padre ha presentato ricorso urgente al tribunale civile di Parma. I giudici, con la sentenza emessa lunedì scorso, hanno quindi “attribuito al padre il potere di decidere da solo e senza il consenso della madre in ordine alla somministrazione del vaccino anti-Covid ai figli minori”.  Questa mattina, secondo quanto apprende l’AGI, i due fratelli si sono vaccinati: il padre ha esibito al centro vaccinale una copia della sentenza dei giudici e quindi non è servita la firma-assenso della madre. Soddisfazione è stata espressa dal legale del padre. “E’ una sentenza molto importante - ha detto all’AGI l’avvocato Maria Tangari - perché afferma un diritto per i due ragazzi minorenni. E’ stato fondamentale che il loro punto di vista sia stato riconosciuto dai giudici. Vaccinarsi è una necessità impellente per la nostra comunità”.

Green Pass. Dice “no” soprattutto chi ha tra i 35 e i 59 anni, è a basso reddito, vive nel Nord Ovest e vota a destra. Ma il 60% degli italiani lo ritiene comunque una misura di responsabilità sociale.

La fotografia l’ha scattata EngageMinds HUB, il Centro di ricerca dell’Università Cattolica intervistando 6.000 italiani in tutto il Paese. Ne risulta che il 60% degli italiani ritiene il certificato verde una misura di responsabilità sociale. Ma la percentuale dei favorevoli scende al 55% quando si parla di obbligo per accedere al lavoro. Più favorevoli gli anziani, chi vive nel nord est e nel sud e generalmente chi vota al centro o a sinistra e chi ha un reddito più elevato   Leggi L'articolo completo al LINK

http://www.quotidianosanita.it/studi-e-analisi/articolo.php?articolo_id=98981&fr=n

Nono Rapporto Aifa su sicurezza vaccini Covid. Trend segnalazioni stabile: 85,4% non grave e 17 eventi gravi ogni 100mila dosi. Per terza dose per ora solo una segnalazione su 46mila dosi

L’Aifa pubblica il nuovo report e annuncia che sarà l’ultimo a cadenza mensile “considerata la stabilità dell’andamento delle segnalazioni per i diversi vaccini COVID-19”. I decessi correlabili salgono a 16 (due in più rispetto al report del mese scorso, ambedue relativi a persone anziane con condizione di fragilità per pluripatologie). Leggi L'articolo completo al LINK

http://www.quotidianosanita.it/scienza-e-farmaci/articolo.php?articolo_id=98961&fr=n

Israele, effetti collaterali minori con la terza dose di vaccino Covid

(da DottNet)   Gli effetti collaterali noti della vaccinazione sono "in modo significativo più leggeri" nella terza dose a paragone delle prime due inoculazioni. Lo hanno rivelato nuovi dati diffusi dal ministero della sanità israeliano. Fatica, debolezza e dolore al braccio dell'iniezione - hanno mostrato - sono molto meno comuni per tutti i gruppi di età alle prese con il booster.   Secondo queste statistiche, una spossatezza generale è stata riscontrata a seguito della terza dose in 86.6 persone per milione contro 271.8 e 251.1 per milione in seconda e prima dose rispettivamente. Dolore nella zona della vaccinazione è stato riscontrato in 42.7 persone per milione nella terza dose contro le 222.9 e le 514.3 della seconda e prima dose. Su circa 3 milioni e 200 mila immunizzazioni con il booster (oggi si è a 3.400.000) i casi seri di effetti collaterali sono stati solo 19 anche se il ministero della sanità ha spiegato che gli esperti stanno esaminando se questi siano proprio collegati al vaccino.  Infine, il ministero ha anche diffuso i dati relativi ai casi segnalati di miocarditi (infiammazioni del muscolo cardiaco) nella fascia di età 12/15 anni che hanno avuto prima e seconda dose. Tali dati - ha detto il ministero - hanno "un tasso non significativo". 

Percezione del rischio per Covid, cosa la influenza?

(da M.D.Digital)   Con l’aumento dei contagi da variante Delta, gli spostamenti da un paese all’altro per le vacanze, gli assembramenti per eventi sportivi o spettacolari, la frequentazione dei locali e tutto ciò che in questa nuova fase della pandemia da Covid stiamo vivendo, è fin troppo evidente a tutti che il nostro atteggiamento collettivo rispetto al coronavirus è drasticamente cambiato rispetto a non molti mesi fa.  Se questo è vero e sotto gli occhi di tutti, la domanda immediatamente successiva è: cosa influenza la nostra percezione del rischio rispetto al Covid? Un gruppo di ricercatori italiani di varia formazione, sia medica che psicologica, è partito da questa domanda per svolgere una ricerca in merito.  Lo studio, pubblicato da 'Frontiers in Psychology', che nasce da una collaborazione multicentrica tra l’Istituto Auxologico Italiano, l'Istituto Europeo di Oncologia, l’Università degli Studi di Bergamo e Milano e l’Ospedale San Paolo e Policlinico di Milano, ha indagato la percezione del rischio per Covid nella popolazione italiana, in un campione di 911 cittadini adulti intervistati tramite un questionario online.

Obiettivo dello studio    L'obiettivo dello studio è duplice: da un lato mettere in evidenza quali fattori, soprattutto psicologici, influenzano tale percezione, dall'altro, verificare se la percezione del rischio fosse associata alla misura in cui i cittadini si sono attenuti alle misure preventive.

Risultati dello studio    Come sottolineato dalla dott.ssa Barbara Poletti, responsabile del Centro di Neuropsicologia di Auxologico San Luca di Milano: "i nostri risultati suggeriscono che la percezione del rischio per Covid è un fenomeno complesso, determinato dall’interazione di molteplici fattori". In particolare, situazioni di maggiore “prossimità” al pericolo contribuiscono ad aumentare la percezione del rischio. Come suggerito dalla dott.ssa Sofia Tagini, psicologa e ricercatrice del Servizio di Neuropsicologia e Psicologia Clinica di Auxologico: "ciò è probabilmente dovuto al fatto che determinate circostanze rendono tangibili le possibili conseguenze del contagio". Infatti, un maggiore rischio percepito è stato osservato in coloro che hanno vissuto il lutto di amici o familiari o coloro che hanno una maggiore esposizione al Covid a causa del proprio lavoro.

Inoltre, la prof.ssa Gabriella Pravettoni, professoressa ordinaria di Psicologia generale in Statale e direttore della Divisione di Psiconcologia all’Istituto Europeo di Oncologia di Milano, spiega che i risultati dello studio dimostrano come "persone più ansiose tendono a percepire un rischio maggiore, probabilmente poiché sono generalmente più sensibili nel cogliere potenziali pericoli. Infatti, abbiamo osservato che persone che adottano maggiormente una modalità ansiosa di relazione e comportamento in risposta a potenziali pericoli (ad esempio, caratterizzata da una risposta emotiva particolarmente accentuata, nel tentativo di attirare un possibile supporto sociale) tendono a percepire un rischio maggiore. Al contrario, persone che adottano una modalità più evitante tendono a percepire minor rischio, probabilmente poiché tendono a negare il problema e de-attivare le emozioni rilevanti".  In aggiunta, lo studio dimostra che sentirsi ben informati rispetto ai sintomi, alla prognosi e alle modalità di contagio incrementa il rischio percepito. Come sottolinea la dott.ssa Roberta Ferrucci, ricercatrice presso l'Università degli Studi di Milano, "questo risultato è particolarmente rilevante per le istituzioni, considerata la responsabilità nel promuovere una comunicazione il più possibile chiara e coerente".

Non di meno, è interessante notare che la ricerca ha dimostrato come persone che tendono a percepire la propria salute come qualcosa che dipende dagli altri, al di fuori dal loro controllo, si sentono più a rischio. Così come una personalità molto “aperta”, creativa, e intellettuale contribuisce a diminuire il rischio percepito. I ricercatori ipotizzano infatti che un’elevata creatività potrebbe facilitare la definizione di molteplici “vie d’uscita” e, possibilmente, scenari più ottimistici.    Infine, il prof. Vincenzo Silani, professore ordinario di Neurologia dell’Università degli Studi di Milano e primario di Neurologia all’Auxologico San Luca, evidenzia che "i risultati di questo studio mostrano come un’elevata percezione del rischio si associa a una maggiore adesione ai comportamenti preventivi, sottolineando l’utilità pratica e non solo teorica di studiare tale fenomeno. Tali risultati potrebbero facilitare e ottimizzare la gestione della situazione attuale, ma anche circostanze simili in futuro".

(Tagini S, et al.  Attachment, Personality and Locus of Control: Psychological Determinants of Risk Perception and Preventive Behaviors for COVID-19. Front Psychol 2021; 12: 634012.  doi: 10.3389/fpsyg.2021.634012)  

Esitazione vaccinale. Come sconfiggerla in 4 mosse. Lo studio dell’Università Cattolica

Gli ‘esitanti’ del vaccino, oltre a non proteggersi, stanno rallentando il raggiungimento dell’immunità di gregge e contribuiscono al persistere della pandemia di Covid-19. Uno studio internazionale pubblicato su EclinMedicine-The Lancet condotto dall’Università Cattolica, campus di Roma, in collaborazione con New York Medical College, Università di Belgrado e Università di Verona, analizza le ragioni del fenomeno e propone delle possibili soluzioni.    Leggi L'articolo completo al LINKhttp://www.quotidianosanita.it/scienza-e-farmaci/articolo.php?articolo_id=97929&fr=n

I No Vax? Bambini che hanno paura di una puntura

(da Quotidiano Sanità)   Gentile Direttore,
la letteratura scientifica a causa del diffondersi di casi di Covid-19 da variante virale Delta (o Indiana B.1.167.2) in tutto il mondo e in Italia dove si avvicina al 90% dei casi, ha dovuto aggiornare la protezione dei vaccini contro l’infezione dal SARS-CoV-2. Infatti, oggi se non sempre prevengono l'infezione, prevengono: il decorso grave della malattia, la terapia intensiva e la morte nel 95%-97% dei malati.
Proteggono anche i soggetti anziani, oltre gli 80 anni e con le patologie che indeboliscono l’organismo, dalla variante Delta che determina elevate cariche virali infettive, 1000 volte maggiori delle precedenti, per cui è più contagiosa, più letale, una “Variant of Concern” (VOC). Dall’India, dove ha avuto origine, si è diffusa e secondo l’OMS oggi è presente in oltre 135 paesi, compresi Stati Uniti, Brasile, Pacifico occidentale e l’Italia.
Il monitoraggio settimanale dell’Istituto Superiore di Sanità dal 4 aprile (quando la vaccinazione è stata estesa a tutti gli adulti) al 18 luglio e pubblicato poco dopo, ha evidenziato che la vaccinazione previene:

- l’infezione nel 70,2% dei vaccinati con una sola dose;
- l’infezione nel 88,2% dei vaccinati con ciclo completo;
- l’ospedalizzazione nell’81% con ciclo incompleto e nel 95% con ciclo completo;
- i ricoveri in terapia intensiva nell’89% con ciclo incompleto e nel 97% con ciclo completo;
- il decesso nell’80% dei casi con ciclo incompleto e nel 96% con ciclo completo.
Ulteriori dati significativi: nelle ultime settimane Giugno – inizio Luglio i NON VAX hanno determinato:
- 88% di tutti i casi di Covid-19; 95% di ospedalizzazioni; 97% ricoveri in terapia intensiva; 96% dei decessi;
- negli ultimi 30 giorni il tasso di ospedalizzazione nei non vaccinati è stato circa dieci volte più alto rispetto ai vaccinati con ciclo completo (28 contro 3 per 100.000 abitanti).
- riduzione anche dell’età media degli ospedalizzati per la Covid-19: 48 anni al ricovero; 59 anni all’ingresso in terapia intensiva; 78 anni al decesso. Tale risultato è dovuto al notevole numero di anziani, i più fragili, vaccinati (in Italia al 21 luglio il 93% degli ultraottantenni, ha ricevuto due dosi di vaccino) ma come già riportato per ridurre gli effetti della Covid -19 sono oggi indispensabili, per alcuni vaccini, due dosi.
Tutto ulteriormente conferma che:
- i vaccini sono efficaci;
- limitano la circolazione del virus, prevenendo malattie, morti e nuove varianti insensibili ai nostri vaccini.
Vi sono pertanto fondati motivi per ritenere che il rifiuto delle vaccinazioni è causa della quarta ondata, QUELLA DEI NO VAX! con gli effetti avversi che ne derivano e il rischio di varianti resistenti ai vaccini.
Purtroppo, secondo lo studio della Fondazione Medicina Sociale e Innovazione Tecnologica con l’Università Tor Vergata - Roma, la pandemia Covid-19 ha generato sulla “rete”, nell’ultimo anno, un’enorme infodemia. Sono infatti proliferate ogni giorno migliaia di notizie inaffidabili, le così dette “fake news” sui vaccini riguardanti: effetti avversi (49,3%), natura sperimentale (18,2%), composizione (11,3%), interessi economici dei produttori (10,9%), effetti dannosi sulla popolazione. In 7 mesi, da Novembre 2020 a Maggio 2021, i post dei NO-VAX con enorme disinformazione hanno raggiunto cifre enormi. Negli USA, per l’inserimento della politica, è stata anche segnalata una loro aggressione antiscientifica (Hotez PJ).
I NO VAX hanno persino cercato di paragonare l’invito a vaccinarsi alla “Shoah”. La Senatrice Liliana Segre, che ha vissuto anche “sulla sua pelle” i campi di concentramento tedeschi, ha detto: “follia paragonare la persecuzione ebraica alle disposizioni sui vaccini .. follie, in cui il cattivo gusto s’incrocia con l’ignoranza“.
Il modo migliore per evitare l'evoluzione delle varianti è vaccinare TUTTI, perché le mutazioni compaiono quando il virus, passando da un ospite all'altro, muta per migliorare la sua qualità di vita. Solo l’interruzione totale previene le sue mutazioni, come dimostrato anche recentemente da illustri ricercatori (Rella SA et al. 2021 https://doi.org/10.1038/s41598-021-95025-3 ). Questa è la maggiore preoccupazione per la salute pubblica, una vera spada di Damocle. Infatti il virus potrebbe diventare resistente ai vaccini che ci proteggono dalla malattia, dalla morte.
Chi rappresenta lo stato ha il dovere di fare la scelta migliore per tutelare la salute del maggior numero di cittadini e ha deciso di seguire criteri scientifici accreditati optando per i vaccini che hanno dato brillanti risultati anche se messi in discussione da persone prive di conoscenze scientifiche e di memoria storica: delle moltissime malattie e morti dell’epoca pre-vaccinale.
Si potrebbe ipotizzare, come già ripotato (Caramia G.), che chi rifiuta i vaccini, potrebbe essere libero di farlo ma deve tenere presente che l’Etica Medica Ippocratica è evoluta, si è aggiunta l’Etica Manageriale con il dovere morale di non sprecare risorse. È a tutti noto, che le vaccinazioni costano pochi Euro le abbiamo avute gratuitamente ma se i NO VAX, per loro personali opinioni fuori da ogni rigore scientifico, finiscono in ospedale e/o in terapia intensiva, la comunità dovrà pagare cifre enormi che mancheranno per prestazioni e ricoveri a altri malati, cosa ingiusta e non pattuita con chi si è vaccinato. Se poi non si riuscisse a raggiungere l’immunità di gregge e/o a controllare l’infezione, come potrebbe accadere, per i molti NO VAX non vaccinati, ci troveremo di fronte ad una situazione drammatica, inimmaginabile.
Agli insegnanti consiglierei la lettura di un recente articolo sul sito dei CDC americani dal quale emerge la contagiosità della variante delta, l’importanza della vaccinazione, l’aderenza al mascheramento degli insegnanti. In una scuola elementare della California un insegnante ha contagiato 22 suoi alunni non vaccinati per l'età, altri otto casi, genitori e fratelli degli alunni, e un insegnante. I NO VAX? sembrano dei bambini che hanno paura della puntura e la lotta contro i vaccini, che hanno fatto scomparire il Vaiolo e si spera fra non molto la Polio, è anacronistica, retriva, anti storica: è lottare contro i progressi della scienza, un ritorno all’oscurantismo.
Prof. Giuseppe Caramia
Primario Emerito di Pediatria e Neonatologia
Azienda Ospedaliera Materno Infantile “G. Salesi”, Ancona

I pazienti con depressione hanno più possibilità di contrarre il Covid

(da DottNet)   I pazienti con depressione e disturbi mentali sono 'i più fragili tra i fragili', ovvero a maggior rischio di contrarre Covid-19 nelle forme più gravi tali da richiedere ospedalizzazione e ricovero in terapia intensiva. E' la conclusione di due importanti metanalisi pubblicate su Jama Psychiatry e su Lancet Psychiatry, che portano la Società Italiana di Neuro Psico Farmacologia (SINPF) a chiedere agli esperti riuniti a Roma al G20 sulla salute, "priorità per la terza dose di vaccino" per questi pazienti.  Il primo studio, condotto su 21 studi e 91 milioni di persone, conferma l'associazione tra Covid-19 e disagio mentale che avrebbero in comune fattori di rischio come una possibile alterazione della funzione immunitaria, obesità, diabete, malattie cardiovascolari, spesso osservate in questa categoria di malati.

La seconda metanalisi, condotta su 23 studi per un totale di 1,5 milioni di pazienti Covid-19 provenienti da 22 paesi, conferma che le persone con disturbi mentali sono state più esposte ad aggravamento, sia per riduzione accesso alle cure che essere soggette a forme gravi di Covid-19. Tra queste persone, più del 3,3% (43.938) presentavano disturbi mentali e avevano un rischio aumentato di mortalità da Sars-CoV-2. "I pazienti che soffrono di depressione sono stati dimenticati in questi 20 mesi di emergenza pur essendo i più fragili - dichiara Claudio Mencacci, co-presidente Sinpf -. La riduzione dell'accesso alle cure, in contemporanea con il peggioramento del 40% dei casi di sintomatologia depressiva e ansiosa di questi mesi, ha creato un corto circuito dimostrando l'enorme fragilità di questi pazienti. La ragione, secondo recenti studi potrebbe dipendere da alterazioni immuno-infiammatorie, alla base di alcuni problemi psichiatrici, che accomunano dunque i disagi mentali al Covid, o alla maggiore frequenza di comorbilità e stili di vita poco salutari".

In quest'ottica, conclude Matteo Balestrieri, co-presidente Sinpf, "la possibilità di un intervento precoce, di tipo diagnostico e terapeutico, è fondamentale per arginare il diffondersi della patologia psichica".

Ad agosto spesi 20 milioni per i no vax in terapia intensiva

(da DottNet)   Ad agosto, sono stati spesi 20 milioni di euro per pazienti no vax in terapia intensiva. La provocazione lanciata dall'assessore alla Sanità della Regione Lazio, Alessio D'Amato, di fare pagare le cure Covid ai no-vax (omai oltre il 90% del totale dei pazienti Covid ricoverati in terapia intensiva) ha rilanciato il tema del peso economico del 'no' al vaccino per il Servizio sanitario nazionale e quindi per la comunità. Secondo una stima elaborata dall'Associazione anestesisti rianimatori ospedalieri italiani (Aaroi-Emac) per l'Adnkronos Salute, "ad agosto sono stati spesi oltre 20 milioni di euro per i pazienti non vaccinati ricoverati in terapia intensiva", come spiega Alessandro Vergallo, presidente nazionale dell'Aaroi-Emac.   Ma come si arriva a questa stima? "Partiamo dal dato dei non immunizzati in terapia intensiva che il 94% del totale - ricorda Vergallo - Un giorno di degenza in rianimazione può variare tra circa 1.500 a circa 4.500 ma diciamo che il costo medio è almeno 2.200. Ad agosto il numero medio di ricoveri giornalieri in terapia intensiva Covid è stato di circa 320 pazienti (ieri sono stati 544 ndr), quindi in totale ad agosto sono stati spesi circa 22 milioni di euro. Questa 'spesa' è ripartibile così: 94% per i non immunizzati e 6% per i vaccinati, quindi 20,6 mln nel primo caso e 1,2 mln per i secondi". "Se i non immunizzati si fossero invece vaccinati avremmo evitato di buttare tanti soldi - ammonisce Vergallo - Pensiamo solo a quanto ancora siamo in ritardo con il recupero delle liste d'attesa per le altre malattie che, purtroppo, non si sono mai fermate".    "Purtroppo c'è uno zoccolo duro di italiani che è contro il vaccino - avverte Vergallo - all'inizio ero per una 'moral suasion' rispetto a queste persone ma gli ultimi accadimenti mi fanno propendere per un sostegno all'obbligo vaccinale. Abbiamo provato di tutto, il Green pass doveva incentivare le immunizzazione degli scettici e sta funzionando, ma c'è una fetta di over 40-50 che fa resistenza. Ma - conclude - se vogliamo uscire dalla pandemia lo strumento è il vaccino altrimenti il bene della salute pubblica verrà messo in crisi da una fetta di popolazione che impedirà anche l'immunità di comunità".    Quanto all'idea lanciata dall'assessore alla Sanità della Regione Lazio, Alessio D'Amato, di far pagare le cure Covid ai no-Vax "l'abbiamo letta come una provocazione ma la vediamo non praticabile anche se oggi oltre il 90% dei ricoveri Covid in terapia intensiva è di persone non vaccinate".   Tornando al virus, "assisteremo ad un aumento dei casi in terapia intensiva ancora per qualche settimana, ma è davvero difficile fare delle previsioni per l'autunno perché ci sono troppi fattori in ballo", spiega ancora facendo il punto della situazione. La Sicilia, già in zona gialla, "è la Regione coi numeri peggiori per quanto riguarda ricoveri in intensiva di pazienti Covid" ma anche la Sardegna "rischia la zona gialla". "Su scala nazionale - prosegue Vergallo - la media di occupazione dei posti letto in rianimazione è al 6% e al 7% quella per le aree non critiche", laddove le soglie massime, fissate dai nuovi parametri per il passaggio in zona gialla, sono rispettivamente del 10% e del 15%.   Uno dei punti 'critici', secondo gli anestesisti, "è il numero reale dei posti letto Covid in terapia intensiva oggi disponibili, pensiamo che in questi mesi siano stati ridotti per riportarli nella gestione ordinaria". Ma cosa accadrà nei prossimi mesi nelle rianimazioni? "E' arduo immaginarlo - rimarca il presidente nazionale dell'Associazione anestesisti rianimatori ospedalieri italiani - ci sono tanti fattori: le varianti più contagiose, l'efficacia dei vaccini e la loro durata, l'andamento della diffusione del contagio, la riapertura delle scuole e di tutte le attività lavorative. Quindi - conclude - immaginare oggi quale sarà l'effetto di questi fattori sugli ospedali è molto difficile".

Covid, Tar Lecce conferma sospensione medico no vax

(da fimmg.org)     Il Tar di Lecce ha confermato con decreto la sospensione dall'esercizio professionale e dal servizio presso la Asl di Brindisi di un medico non vaccinato. I giudici amministrativi hanno respinto il ricorso della dottoressa specificando che «nel giudizio di bilanciamento dei contrapposti interessi, la posizione della ricorrente e il diritto dell'individuo, sotto i vari profili evidenziati, debbono ritenersi decisamente recessivi rispetto all'interesse pubblico sotteso alla normativa», nel contesto emergenziale «legato al rischio di diffusione della pandemia da Covid-19». La camera di consiglio per una trattazione più approfondita della vicenda è stata fissata per il 15 settembre prossimo. Secondo i giudici, inoltre: «è in facoltà della ricorrente - è specificato - conseguire la cessazione di tutti i lamentati effetti pregiudizievoli adempiendo all'obbligo vaccinale» ritenuto un «presupposto necessario ed imprescindibile per l'esercizio della professione». Nel giudizio si è costituito il consiglio dell'ordine dei medici di Brindisi. Non si è costituita in giudizio la Asl.

Certificati di esenzione dai vaccini antiCovid: chi ne ha davvero diritto ?

(da Univadis)    Le circolari del ministero della Salute n. 35309 del 4 agosto 2021 e 35444 del 5 agosto 2021 sulla composizione dei vaccini antiCovid contengono anche le informazioni per identificare coloro che possono legittimamente richiedere un certificato di esonero dalla vaccinazione. Per fare chiarezza su questo argomento delicato (sono numerosi i casi di assistiti che richiedono l’esonero senza averne i requisiti), la Società Italiana di Medicina Generale e delle Cure Primarie (SIMG) ha realizzato un documento in collaborazione con l’Istituto Superiore di Sanità e il ministero della Salute, utile per i medici di famiglia e i medici vaccinatori.  “L’obiettivo di questo documento è dare indicazioni precise e inequivocabili » ha spiegato il presidente della SIMG Claudio Cricelli. Le ambiguità che spesso lasciano adito a interpretazioni sbagliate, dubbi e perplessità”.  Di seguito abbiamo riassunto gli elementi essenziali del documento, al fine di fornire una guida rapida al medico che si deve confrontare con la richiesta di un certificato di esenzione.

Gli aspetti burocratici 

Il ministero della Salute ha disciplinato, con queste circolari, il rilascio dei “certificati di esenzione alla vaccinazione anti-Covid-19” a chi ha condizioni cliniche specifiche e documentate che impediscono di ricevere la vaccinazione o completare il ciclo vaccinale e a chi ha ricevuto il vaccino Reithera nell’ambito della sperimentazione, al fine di ottenere il green pass europeo. Fino al 30 settembre 2021, salvo ulteriori disposizioni, sono validi anche a livello nazionale i certificati di esclusione vaccinale già emessi dai Servizi Sanitari Regionali.

La certificazione di esenzione può essere rilasciata solo se la vaccinazione stessa deve essere posticipata o sconsigliata per la presenza di specifiche condizioni cliniche documentate.

Fino al 30 settembre 2021, le certificazioni potranno essere rilasciate direttamente da:

a. medici vaccinatori dei Servizi vaccinali ;

b. medico responsabile del centro di sperimentazione in cui è stata effettuata la vaccinazione, nel caso di cittadini che hanno ricevuto il vaccino ReiThera.

c. medici di medicina generale e pediatri di libera scelta che abbiano aderito alla campagna vaccinale, cioè che abbiano le credenziali per inserire i dati nei sistemi Regionali e Nazionali.

l medico che rilascia l’esenzione deve registrare nel proprio software le motivazioni alla base di tale decisione per future verifiche e monitoraggio. Tali motivazioni non possono essere contenute nel certificato di esenzione rilasciato all’interessato.

Se la richiesta proviene da un assistito che non ha una idonea documentazione, lo stesso dovrà essere inviato a valutazione e decisione da parte dello specialista; inoltre, la circolare del ministero, per aiutare i medici vaccinatori nella valutazione dell’idoneità alla vaccinazione, prevede che le Regioni individuino presso i Centri Vaccinali o altri centri ad hoc le modalità di presa in carico dei casi dubbi e un gruppo tecnico regionale di esperti in campo vaccinale. La certificazione deve essere rilasciata a titolo gratuito, avendo cura di archiviare la documentazione clinica relativa, anche digitalmente, per il monitoraggio delle stesse.

Motivi di rinvio più comuni

Si tratta di condizioni per le quali è preferibile posticipare la vaccinazione. Non rappresentano né controindicazione né precauzione ma una opportunità considerando la protezione già garantita dalla recente infezione o i rischi di possibile trasmissione dei soggetti in quarantena o con sintomatologia compatibile con COVID-19:

a. Paziente di recente affetto da infezione asintomatica o malattia accertata da SARS-CoV-2 laddove non siano trascorsi almeno tre mesi dal primo tampone positivo.

b. Paziente con malattia di COVID-19 recente che abbia ricevuto terapia con anticorpi monoclonali laddove non siano trascorsi almeno tre mesi dal trattamento.

c. Soggetto in quarantena per contatto stretto fino al termine del periodo di isolamento.

d. Soggetto con sintomi sospetti di COVID-19 fino al risultato del tampone

e. Paziente con malattia acuta severa non differibile (esempio evento cardiovascolare acuto, epatite acuta, nefrite acuta, stato settico o grave infezione di qualunque organo/tessuto, condizione chirurgica maggiore)

Queste condizioni non necessitano di alcuna certificazione di esenzione. I casi a e b hanno diritto al green pass di guarigione valido 6 mesi, mentre la valutazione della opportunità di vaccinazione per i casi c e d avverrà rispettivamente alla fine della quarantena o al termine del percorso diagnostico.

Controindicazioni

Controindicazione specifica nei confronti di uno o più dei vaccini attualmente utilizzati in Italia:

ipersensibilità al principio attivo o ad uno qualsiasi degli eccipienti (nota 1) ed in particolare

il polietilene-glicole-2000 PEG contenuto nel vaccino Comirnaty- (Pfizer-Biontech)

il metossipolietilene-glicole-2000 (PEG2000 DMG) (I PEG sono un gruppo di allergeni noti che comunemente si trovano in farmaci, prodotti per la casa e cosmetici),

la trometamina (componente di mezzi di contrasto radiografico e di alcuni farmaci somministrabili per via orale e parenterale) contenuta nel vaccino Spikevax (Moderna)

il polisorbato contenuto nei vaccini COVID-19 a vettore virale Vaxzevria (AstraZeneca) e Janssen (Johnson&Johnson). lI polisorbato 80 è una sostanza ampiamente utilizzata nel settore farmaceutico e alimentare ed è presente in molti farmaci inclusi vaccini e preparazioni di anticorpi monoclonali. PEG e polisorbato sono strutturalmente correlati e può verificarsi ipersensibilità cross-reattiva tra questi composti

soggetti che hanno manifestato sindrome trombotica associata a trombocitopenia in seguito alla vaccinazione con Vaxzevria;

soggetti che in precedenza hanno manifestato episodi di sindrome da perdita capillare con Vaxzevria o Janssen

In caso di reazione allergica grave alla prima dose di un vaccino COVID-19 si può considerare la possibilità di utilizzare un vaccino di tipo diverso per completare l’immunizzazione; tuttavia, vista la possibilità di reazioni crociate tra componenti di vaccini diversi, è opportuno effettuare una consulenza allergologica e una valutazione rischio/beneficio individuale.

La vaccinazione antiCOVID-19 non è controindicata in gravidanza. Qualora, dopo valutazione medica, si decida di rimandare la vaccinazione, alla donna in gravidanza potrà essere rilasciato un certificato di esenzione temporanea alla vaccinazione.

La sindrome di Guillain-Barré è stata segnalata molto raramente dopo somministrazione di Vaxzevria e Janssen. Qualora insorta entro 6 settimane dalla vaccinazione, senza altra causa riconducibile, è prudente non eseguire ulteriori somministrazioni dello stesso tipo di vaccino. Potrà essere comunque considerato l’utilizzo di un vaccino di tipo diverso per completare l’immunizzazione.

Precauzioni

Una precauzione è una condizione nel ricevente che può aumentare il rischio di gravi reazioni avverse o che può compromettere la capacità del vaccino di indurre un’adeguata risposta immunitaria. In generale, quando è presente una precauzione può essere necessario approfondire il singolo caso valutando il rapporto beneficio/rischio. La maggior parte delle persone che al momento della seduta vaccinale abbia una precauzione alla vaccinazione antiCOVID-19 può essere vaccinata ma in alcuni casi deve essere presa in considerazione la consultazione con il medico curante o con uno specialista per determinare se la persona può ricevere la vaccinazione in sicurezza.

Esempio: casi molto rari di miocardite e pericardite sono stati osservati dopo somministrazione di vaccini a mRNA. La decisione di somministrare la seconda dose in persone che hanno sviluppato una miocardite/pericardite dopo la prima deve tenere conto delle condizioni cliniche dell'individuo e deve essere presa dopo consulenza cardiologica e un’attenta valutazione del rischio/beneficio. Laddove si sia deciso di non procedere con la seconda dose di vaccino anti COVID-19 a mRNA, può essere considerato l’utilizzo di un vaccino di tipo diverso per completare l’immunizzazione.

La reazione allergica immediata ad altro vaccino o farmaco è considerata una precauzione ma non una controindicazione in questo caso la valutazione del rischio è condotta per tipo e gravità della reazione e l’attendibilità delle informazioni, tenendo in considerazione la consultazione con il medico curante o con uno specialista per determinare se la persona può ricevere la vaccinazione in sicurezza.

False controindicazioni

Sono alcune patologie, sintomi o condizioni erroneamente considerati vere controindicazioni quando in realtà non precludono la vaccinazione. Esse quindi non danno diritto a certificato di esenzione.

Si riportano qui le più comuni a titolo esemplificativo:

L’allattamento non rappresenta una controindicazione alla vaccinazione anti COVID-19.

Le persone con storia di paralisi di Bell possono ricevere qualsiasi vaccino COVID-19 autorizzato da EMA.

Le persone con malattie autoimmuni possono ricevere qualsiasi vaccino COVID-19 autorizzato da EMA.

In assenza di specifiche controindicazioni, i pazienti immunocompromessi e gli oncologici in corso di radio-chemioterapia non presentano controindicazione alla vaccinazione anti COVID-19. I vaccini COVID-19 attualmente autorizzati da EMA non sono vaccini vivi e quindi possono essere somministrati in sicurezza; le evidenze suggeriscono che la risposta immunitaria alla vaccinazione COVID-19 potrebbe essere ridotta in queste persone.

Persone con una storia di gravi reazioni allergiche non correlate a vaccini o farmaci iniettabili, come allergie al cibo, agli animali domestici, al veleno di insetti, all'ambiente o al lattice, possono essere vaccinate, così come coloro con storia di allergie ai farmaci orali o di storia familiare di gravi reazioni allergiche, o che potrebbero avere un'allergia più lieve ai vaccini (nessuna anafilassi).

Vaccini Covid, Oms: no a terza dose

(da Doctor33)   La priorità al momento deve essere quella di aumentare le coperture nei Paesi che ancora non hanno avuto accesso ai vaccini, motivo per cui Soumya Swaminathan, chief scientist dell'Oms afferma che «i dati, al momento, non indicano il bisogno di una terza dose». Secondo l'esperta iniziare con i 'booster' con buona parte del mondo ancora non immunizzata potrebbe essere addirittura controproducente: «Ci opponiamo fermamente alla terza dose per tutti gli adulti nei paesi ricchi, perché non aiuterà a rallentare la pandemia. Togliendo dosi alle persone non vaccinate i booster favoriranno l'emergere di nuove varianti». La posizione è stata ribadita da Bruce Aylward, un altro esperto dell'Oms. «Ci sono abbastanza vaccini per tutti, ma non stanno andando nel posto giusto al momento giusto. Due dosi devono essere date ai più vulnerabili in tutto il mondo prima che i richiami vengano dati a chi ha completato il ciclo, e siamo ben lontani da questa situazione». Intanto, la Cina ha azzerato domenica i contagi a diffusione interna a un mese circa dall'accertamento di metà luglio del focolaio di variante Delta del Covid emerso all'aeroporto di Nanchino. È quanto ha riportato la Commissione sanitaria nazionale, secondo cui i casi importati sono stati 21 di cui 5 nel Guangdong, 4 a Shanghai, 3 sia a Tianjin sia nello Yunnan, 2 a Pechino e uno ciascuno nelle province di Shanxi, Zhejiang, Henan e Sichuan. La più grave recrudescenza in Cina della pandemia da mesi, guidata dalla variante Delta altamente contagiosa, è stata portata sotto controllo con test di massa e blocchi mirati alle attività.

L’assurdo derby tra vaccino e cure

(da Univadis)   Il confronto ha ormai assunto i toni di un dialogo tra tifosi di due squadre avversarie e storicamente inconciliabili: tra i medici ci sono da un lato i sostenitori della vaccinazione di massa, alcuni dei quali scherniscono chi difende l’importanza di un trattamento precoce, e dall’altro quelli che, rivendicando il loro ruolo sul territorio rispetto agli ospedalieri, talvolta lasciano intendere al pubblico che le cure domiciliari per Covid-19 possano essere in qualche modo un’alternativa all’immunizzazione.  Non è così e non ci dovrebbe essere bisogno di sottolineare che la contrapposizione non ha alcun senso, ma forse può essere utile soffermarsi a riflettere, a freddo, sul tema.   SARS-CoV-2 ha due caratteristiche che, combinate, contribuiscono a trarre in inganno: per fortuna comporta un tasso di letalità relativamente basso, tanto che per la larga maggioranza dei contagiati si risolve in una forma influenzale più o meno grave, ma dalla sua, soprattutto nella nuova variante delta ormai prevalente, ha in compenso un’elevata contagiosità. Scrivo cose ovvie per chi legge, lo so, ma vorrei riflettere su come queste proprietà del virus possano determinare distorsioni cognitive capaci di portarci fuori strada, facendoci commettere gravi errori di valutazione.  Il più grave è quello di sottovalutare l’infezione. Oggi che, grazie alla vaccinazione di massa degli anziani, l’età media dei contagiati è scesa sotto i trent’anni, possiamo affermare che ben oltre il 99% dei contagiati guarisce da Covid-19. Davanti a questo dato, l’attenzione dedicata alla pandemia può sembrare eccessiva. Il continuo appello alla vaccinazione, spropositato.   Eppure, anche sorvolando sulle conseguenze a medio e lungo termine dell’infezione – quel “long covid” di cui si parla ancora troppo poco, anche per giovani e adolescenti reduci da forme lievi della malattia – le percentuali in questo caso possono essere fuorvianti .   Data infatti l’elevata contagiosità della variante delta di SARS-CoV-2, in una popolazione che comprende ancora milioni e milioni di individui suscettibili (tra i quali milioni di quarantenni, cinquantenni e oltre), quell’1% può tradursi in un numero tutt’altro che trascurabile di vittime. E, se il virus fosse lasciato circolare liberamente, oltre alla punta dell’iceberg che non ce la farà, ci sarebbero decine di migliaia di pazienti che resterebbero segnati per mesi dalla malattia e prima affollerebbero i pronto soccorso, gli ospedali e le terapie intensive, sottraendo risorse per il trattamento di altre condizioni e provocando, indirettamente, un ulteriore carico di malattia e di morte.   Il vaccino non può impedire completamente il rischio di trasmissione, ma lo riduce, così come limita moltissimo la possibilità di ammalarsi, soprattutto di forme gravi.Lo dicono i dati che in questi giorni mostrano l’enorme discrepanza di pazienti vaccinati e non vaccinati nelle terapie intensive in diversi Paesi del mondo. Gli stessi medici che oggi si prendono cura dei loro assistiti a domicilio riuscirebbero a prestare loro la stessa attenzione se il loro numero decuplicasse?

Curare va bene, ma non c’è dubbio che se si può prevenire una malattia, questo approccio sia da preferire. Non parliamo di infezioni da HIV o HCV, il cui contagio è subordinato a situazioni di rischio, per cui l’esistenza di una cura efficace ha scoraggiato a lungo la ricerca di un vaccino. Un virus respiratorio con un R0 elevato come la variante Delta di SARS-CoV-2, se non viene in qualche modo contenuto, con misure non farmacologiche o con i vaccini, dilaga così rapidamente da rendere impossibile qualunque trattamento. Per pensare a un’alternativa occorrerebbe avere farmaci antivirali a disposizione di tutti, facili da somministrare ai primi sintomi, e di provata efficacia nel sopprimere l’infezione.  Invece, se con dati su centinaia di milioni di persone vaccinate oggi disponiamo di prove inequivocabili sull’efficacia dei vaccini, non altrettanto si può dire delle cosiddette “cure domiciliari”. Anche qui subiamo un’illusione ottica, provocata dalla combinazione bassa letalità/alta contagiosità del virus. Se il 99% dei pazienti guarisce, almeno 9 su 10 senza bisogno di ricorrere alle cure ospedaliere, è molto difficile capire se l’aggiunta di ulteriori trattamenti nelle fasi precoci della malattia interviene davvero a ridurre il rischio, per quell’unico soggetto – imprevedibile a priori - che senza sarebbe andato male. Come accade per molti trattamenti alternativi o no, usati per condizioni poco gravi e autolimitanti, la casistica di un medico, che in più potrebbe inconsciamente cercare conferma all’utilità del proprio intervento e del proprio ruolo, non può fornire una prova di efficacia della cura. Ci vogliono dati significativi dal punto di vista statistico, che non si ottengono sommando l’aneddotica di un gruppo di clinici.   L’indicazione di un’utilità delle cure deve arrivare da trial randomizzati e controllati, condotti con metodi abbastanza rigorosi da guadagnarsi la pubblicazione sulle principali riviste internazionali. E quando questi lavori sono stati realizzati, hanno ripetutamente bocciato idrossiclorochina, ivermectina, vitamine o integratori a supporto del paziente Covid-19 nella prima fase della malattia.

Fondamentale invece, ed è confermato, soprattutto nei pazienti a rischio allettati, la somministrazione di eparina. E il desametasone, ma solo a polmonite conclamata, mentre nelle fasi più precoci è controindicato perché può aggravare la situazione riducendo le difese del paziente.  Ci sono poi gli anticorpi monoclonali, in cocktail e monoterapia, che ancora stanno cercando un loro posto nei protocolli di cura, posto che probabilmente troveranno molto più facilmente se e quando riusciranno a essere autorizzati prodotti da somministrare intramuscolo o sottocute, così da poter essere utilizzati senza rischio a domicilio. Ciò eviterebbe la necessità di ricorrere a una struttura protetta per l’infusione in vena, come richiesto da quelli attualmente in commercio.  Nuove prospettive potrebbero venire anche dalla budesonide, che secondo uno studio pubblicato su Lancet, sembrerebbe abbreviare, almeno in base alla valutazione soggettiva del paziente, la durata della malattia. Troppo presto, tuttavia, per prescriverlo ai pazienti con Covid-19: prima di un’autorizzazione da parte delle agenzie regolatorie occorrono conferme di effetti più significativi sul rischio di ricovero e morte.

Sul fronte delle cure ospedaliere, intanto, è possibile che si dimostrino utili altri trattamenti, oltre agli steroidi e agli anti IL6. L’Organizzazione mondiale della sanità ha appena dato il via a nuovi trial nell’ambito di un’iniziativa denominata Solidarity PLUS. Migliaia di ricercatori in oltre 600 ospedali di 52 Paesi proveranno a utilizzare contro Covid-19 tre farmaci già disponibili: l’antimalarico artesunato, l’antineoplastico imatinib e l’anticorpo monoclonale infliximab.   Tutti sperano che anche altri prodotti si rendano disponibili non solo per curare i pazienti in ospedale, ma anche per evitare di mandarceli. Trovare trattamenti efficaci è fondamentale, ma in nessun modo questi possono vanificare il ruolo essenziale dei vaccini. Allo stesso modo, i vaccini da soli non bastano, perché ci sarà sempre qualcuno che sfugge alla loro protezione. Sono entrambi strumenti indispensabili. Scegliamoceli che funzionino.

Vaccini Covid. Oxfam-Emergency: “Loro prezzo più alto fino a 24 volte il costo di produzione. È speculazione più grave della storia”

Un nuovo report rivela come i vaccini Pfizer/BioNTech e Moderna sarebbero stati venduti a prezzi esorbitanti agli stati, che potrebbero pagare 41 miliardi di dollari in più nel 2021, rispetto al costo di produzione stimato da 1,18 a 2,85 dollari a dose e nonostante 8,2 miliardi di finanziamenti pubblici ricevuti dalle due aziende.  L’Italia avrebbe potuto risparmiare 4,1 miliardi di euro per l’acquisto dei vaccini, sufficienti a garantire oltre 40 mila nuovi posti di terapia intensiva o l’assunzione di 49 mila nuovi medici.    Leggi L'articolo completo al LINK

http://www.quotidianosanita.it/studi-e-analisi/articolo.php?articolo_id=97794&fr=n

Covid-19: I primi sintomi cambiano con l’età

(da Univadis)   Le manifestazioni precoci dell’infezione da Sars-Cov-2 differiscono per sottogruppi di popolazione.  Un modello bayesiano basato sui sintomi riportati nei primi 3 giorni prevede con buona accuratezza la probabilità che il paziente sia affetto da COVID-19.  Il riconoscimento precoce consente di reagire con tempestività e ottimizzare le risorse.   Se si va ad analizzare quali sono i primi sintomi riferiti da un paziente positivo per l’infezione da SarsCov2 si riscontrano alcune differenze a seconda delle sue caratteristiche, in particolare età e genere. A partire da questi dati e sfruttando l’intelligenza artificiale è possibile costruire un modello predittivo per aiutare i medici a identificare con buone probabilità il paziente che deve essere prontamente isolato e sottoposto al test. In questo modo si contrasta la diffusione del virus e si regola l’accesso ai centri di screening. È questo il significato di uno studio britannico su larga scala appena pubblicato sulla rivista Lancet Digital Health.   Lo studio si basa sui dati raccolti attraverso una applicazione (COVID-19 Symptom Study app) sviluppata da una start-up londinese in collaborazione con i ricercatori del King’s College di Londra e del Massachusetts General Hospital di Boston. Questa app permette di segnalare la comparsa e l’andamento dei sintomi e di comunicare il risultato della PCR. Gli autori dello studio hanno usato i dati relativi ai sintomi riferiti nei primi 3 giorni da oltre 182.000 soggetti per istruire un algoritmo e creare un modello Bayesiano allo scopo di identificare coloro che avevano maggiore probabilità di avere il COVID-19. Il modello è stato poi validato usando un set di dati relativo ad altri 15.000 utilizzatori dell’app.    Dei 18 presi in esame, i sintomi che si presentavano più spesso all’esordio erano perdita dell’olfatto, dolore al petto, tosse persistente, dolore addominale, vescicole sui piedi, fastidio agli occhi e dolore muscolare inusuale. Andando a raggruppare i partecipanti in diverse categorie per età, sesso, occupazione (personale sanitario e non) e indice di massa corporea sono emersi dati interessanti. La perdita dell’olfatto, per esempio, era più significativa sotto i 60 anni di età, mentre la diarrea era un indizio più rilevante tra le persone anziane. La febbre, inaspettatamente, non era una manifestazione precoce in nessuna delle fasce di età. Gli uomini segnalavano più spesso fiato corto, brividi e stanchezza, viceversa le donne lamentavano più frequentemente perdita dell’olfatto, dolore al petto e tosse persistente. Il modello bayesiano generato aveva un’attendibilità superiore a quello ricavabile con la regressione lineare ed era più performante di quello dell’NHS.    “I nostri risultati mostrano l’utilità dell’intelligenza artificiale per creare un modello dei sintomi del COVID-19 e per l’individuazione tempestiva delle infezioni da Sars-Cov-2 – spiegano gli autori – Questo modello consentirebbe l’immediato isolamento dei soggetti sospetti e la segnalazione per test urgente, permettendo una migliore allocazione delle risorse mediche durante una pandemia in evoluzione, specialmente nei periodi di caos”.

(Canas LS, Sudre CH, et al. Early detection of COVID-19 in the UK using self-reported symptoms: a large-scale, prospective, epidemiological surveillance study. Lancet Digit Health 2021 Jul 29. doi:10.1016/S2589-7500(21)00131-X)

Dal vaccino antinfluenzale protezione contro gli effetti del Covid

(da DottNet)   Il vaccino antinfluenzale potrebbe proteggere dagli effetti più gravi di Covid-19, riducendo il rischio di ictus, sepsi e trombosi venosa profonda, oltre a quello di ricovero in pronto soccorso e in terapia intensiva. Lo afferma uno studio presentato allo European Congress of Clinical Microbiology and Infectious Diseases. Nello studio i ricercatori dell'università di Miami hanno analizzato il database chiamato TriNetX, che contiene le cartelle cliniche di più di 70 milioni di pazienti in tutto il mondo, identificandone due gruppi di circa 40mila soggetti di diversi paesi, i cui membri erano simili per tutte le caratteristiche legate al rischio di Covid grave, dall'età ai problemi pregressi.    Solo quelli del primo gruppo però avevano fatto il vaccino per l'influenza tra due settimane e sei mesi prima della diagnosi di Covid. L'analisi ha mostrato che chi non aveva fatto il vaccino aveva un rischio superiore del 20% di essere ricoverato in terapia intensiva, del 58% di andare al pronto soccorso, del 45% di avere la sepsi, del 58% di avere un ictus e del 40% di avere una trombosi, mentre il rischio di morte è rimasto invariato nei due gruppi. "Non è ancora noto il meccanismo di questa possibile protezione - concludono gli autori - ma la maggior parte delle teorie sono incentrate sul rafforzamento del sistema immunitario 'generale', delle difese che non sono dirette contro una malattia particolare".

Vaccini contro COVID-19, gravidanza e allattamento: stop alla disinformazione

(da Univadis)   Malgrado il sempre maggior numero di dati e di linee guida a favore della vaccinazione anti Covid-19 in gravidanza e allattamento, sono moltissime le donne che ricevono dai propri medici curanti o dai medici vaccinatori informazioni contrastanti: in alcuni casi il consiglio è quello di non vaccinarsi, in altri di attendere almeno il secondo trimestre ma non mancano segnalazioni di donne che si sono sentite dire che il vaccino è controindicato persino se si cerca una gravidanza o durante l’allattamento (su questo caso specifico sono giunte in redazione anche testimonianze di donne a cui è stata consigliata l’interruzione dell’allattamento al seno, una misura che non ha alcun riscontro scientifico a supporto). Per questa ragione è utile fare chiarezza sulle ragioni che hanno indotto le maggiori società scientifiche del mondo (e molti enti regolatori) a consigliare la vaccinazione a chi è in gravidanza, a chi desidera un figlio e a chi allatta.

La posizione dell’AIFA    “I dati sull'uso dei vaccini anti COVID-19 durante la gravidanza e in allattamento sono tuttora molto limitati, tuttavia studi di laboratorio su modelli animali non hanno mostrato effetti dannosi. In particolare, i vaccini non sono controindicati e non escludono a priori le donne in gravidanza dalla vaccinazione, perché la gravidanza, soprattutto se combinata con altri fattori di rischio come il diabete, le malattie cardiovascolari e l'obesità, potrebbe renderle maggiormente esposte a rischi in caso di malattia COVID-19 grave” afferma il documento dell’AIFA. sulle indicazioni alla vaccinazione.  Per quanto riguarda l'allattamento al seno, sebbene non ci siano ancora studi specifici, sulla base della plausibilità biologica non è previsto alcun rischio che impedisca di portarlo avanti.  L'Istituto Superiore di Sanità (ISS), attraverso il progetto ItOSS, sta partecipando al dibattito nazionale e internazionale su questi aspetti e ha recentemente pubblicato un documento con l’obiettivo di sostenere i professionisti sanitari e le donne in gravidanza e allattamento nel percorso decisionale riguardo alla vaccinazione. In generale, infatti, l'uso del vaccino durante queste fasi della vita della donna dovrebbe essere deciso in stretta consultazione con un operatore sanitario, dopo aver considerato i benefici e i rischi.

Aggiornare le limitazioni    Queste al momento le indicazioni a cui è giunto l’ISS sulla base delle evidenze scientifiche sul tema, producendo documenti condivisi e sottoscritti dalle principali società scientifiche italiane del settore (la Società Italiana di Ginecologia e Ostetricia, SIGO, l’Associazione degli Ostetrici e Ginecologi Ospedalieri Italiani, AOGOI, l’Associazione Ginecologi Universitari Italiani, AGUI, l’Associazione Ginecologi Territoriali, AGITE, la Federazione Nazionale Collegi Ostetriche, FNOPO, la Società Italiana di Neonatologia, SIN, la Società Italiana di Medicina Perinatale, SIMP ,la Società Italiana di Pediatria, SIP, l’Associazione Culturale Pediatri, ACP, la Società Italiana di Anestesia, Analgesia, Rianimazione e Terapia Intensiva, SIAARTI).  Per stilare le indicazioni ad interim relative ai vaccini Pfizer, Moderna e AstraZeneca sono stati analizzati la sicurezza del vaccino per madri e neonati, i rischi potenziali della malattia da COVID-19 nella madre (inclusi i possibili effetti sul feto e il neonato), il rischio individuale di contrarre l’infezione in considerazione delle possibili comorbilità e il livello di attività della pandemia nella comunità di riferimento e sul posto di lavoro della donna.

Queste le ultime raccomandazioni disponibili:

- le donne in gravidanza e allattamento non sono state incluse nei trial di valutazione dei vaccini Pfizer, Moderna e AstraZeneca per cui non disponiamo di dati di sicurezza ed efficacia relativi a queste persone;

- gli studi condotti finora non hanno evidenziato né suggerito meccanismi biologici che possano associare i vaccini a mRNA a effetti avversi in gravidanza e le prove di laboratorio su animali suggeriscono l'assenza di rischio da vaccinazione;

- dai dati dello studio ItOSS - relativi alla prima ondata pandemica in Italia - emerge che le donne in gravidanza presentano un rischio basso di gravi esiti materni e perinatali e che le comorbilità pregresse (ipertensione, obesità) e la cittadinanza non italiana sono significativamente associate a un maggior rischio di complicanze gravi da COVID-19;

- se una donna vaccinata scopre di essere in gravidanza subito dopo la vaccinazione, non c'è evidenza in favore dell'interruzione della gravidanza;

- le donne che allattano possono essere incluse nell'offerta vaccinale senza necessità di interrompere l’allattamento;

- le donne in età fertile possono vaccinarsi con i vaccini anti COVID-19 poiché gli studi effettuati sui modelli animali non indicano effetti dannosi sulla capacità riproduttiva associati alla vaccinazione.

Il margine di incertezza che ha spinto molti medici a sconsigliare alle donne la vaccinazione è però contenuto nelle seguenti affermazioni, riportate dal medesimo documento, in accordo, peraltro, con le posizioni dell’OMS in materia (aggiornate al mese di aprile 2021):

- al momento le donne in gravidanza e allattamento non sono un target prioritario dell'offerta di vaccinazione contro il COVID-19 che, ad oggi, non è raccomandata di routine per queste persone;

- se una donna scopre di essere in gravidanza tra la prima e la seconda dose del vaccino può rimandare la seconda dose dopo la conclusione della gravidanza, eccezion fatta per i soggetti ad altro rischio;

- la vaccinazione dovrebbe essere presa in considerazione per le donne in gravidanza che sono ad alto rischio di complicazioni gravi da COVID19. Le donne in queste condizioni devono valutare, con i sanitari che le assistono, i potenziali benefici e rischi e la scelta deve essere fatta caso per caso.

Dal momento dell’ultimo aggiornamento che ha dato origine a queste affermazioni (gennaio 2021) sono usciti diversi studi che hanno aiutato a fare chiarezza e a far pendere la bilancia a favore del vaccino.  Per esempio, su JAMA è uscito uno studio di coorte retrospettivo che includeva 15.060 donne in gravidanza in Israele. La vaccinazione con vaccini a mRNA rispetto alla non vaccinazione risulta associata a un minor rischio di infezione (rapporto di rischio aggiustato di 0,22).   Sempre da Israele giunge un altro studio multicentrico, pubblicato sul Journal of Clinical Investigation sulle donne partorienti reclutate in 8 centri medici del Paese e assegnate a tre gruppi: vaccinate; con infezione da SARS-CoV-2 confermata da PCR durante la gravidanza e controlli non infetti e non vaccinati. Le conclusioni sono che la vaccinazione prenatale con vaccino a mRNA induce una robusta risposta anticorpale umorale materna che si trasferisce efficacemente al feto, sostenendo il ruolo della vaccinazione durante la gravidanza.  A metà del mese di aprile, sulle pagine del BMJ, il Comitato consultivo sui vaccini del Regno Unito ha affermato che alle donne in gravidanza dovrebbe essere offerto il vaccino Pfizer o Moderna, con priorità in base all'età e al gruppo di rischio clinico e che non sono stati identificati problemi di sicurezza specifici relativi alla gravidanza, ma che dati real world dagli Stati Uniti su circa 90.000 donne in gravidanza, vaccinate principalmente con i vaccini Pfizer e Moderna, escludono problemi di sicurezza.  Questa è anche la posizione della Haute Autorité de Santé, l’ente francese di governo della salute pubblica che, alla fine del mese di luglio, ha cambiato le proprie indicazioni sulla vaccinazione in gravidanza. Se finora la raccomandazione era di attendere il secondo trimestre prima di procedere, ora la raccomandazione è di vaccinarsi il prima possibile, poiché i dati fanno pendere la bilancia a favore dei benefici, anche alla luce delle statistiche che mostrano come le donne in gravidanza tendino a sviluppare forme sintomatiche anche gravi della malattia, in particolare nel terzo trimestre.

L’allattamento al seno   Infine c’è la questione dell’allattamento. Su questa vi sono ancor meno dubbi che sulla somministrazione del vaccino in gravidanza. Il passaggio di anticorpi materni attraverso il latte, infatti, lungi dall’essere un problema, è invece un fattore di protezione del neonato nei confronti della malattia. Uno studio prospettico longitudinale su donne in allattamento che hanno ricevuto il vaccino a mRNA, apparso sul Journal of  Human Lactation, ha raccolto campioni di latte prima della vaccinazione e 3, 5, 7, 9, 11, 13 e 15 giorni dopo entrambe le dosi di vaccino. In totale, sono stati analizzati 366 campioni di latte di 26 donne. Dopo la vaccinazione, è stata osservata una risposta anticorpale specifica per SARS-CoV-2 nel latte materno.  A metà maggio, sul BMJ, sono stati pubblicati invece i dati israeliani, secondo i quali è stata verificata le presenza della risposta anticorpale nelle donne in allattamento (84 donne e complessivamente 504 campioni di latte), dimostrando una robusta presenza IgA e IgG nel latte materno per 6 settimane dopo la vaccinazione (IgA nelle prime due settimane e IgG nelle successive quattro).   Tali dati dovrebbero essere sufficienti a dissuadere dal consigliare l’interruzione dell’allattamento, anche se questa è una posizione già condivisa dalle società scientifiche italiane nel mese di febbraio scorso. In quella data, infatti,  la Società Italiana di Neonatologia (SIN), la Società Italiana di Pediatria (SIP), la Società Italiana di Medicina Perinatale (SIMP), la Società Italiana di Ostetricia e Ginecologia (SIGO), l'Associazione Italiana Ostetrici-Ginecologi Ospedalieri (AOGOI) e la Società Italiana Malattie Infettive e Tropicali (SIMIT) hanno rilasciato una dichiarazione di consenso ad hoc secondo la quale la conoscenza relativa alla somministrazione del vaccino COVID-19 alla madre che allatta è limitata. Tuttavia, poiché i benefici per la salute dell'allattamento al seno sono ben dimostrati, e poiché la plausibilità biologica suggerisce che il rischio per la salute del bambino allattato è improbabile, le società scientifiche italiane concludono che la vaccinazione COVID-19 è compatibile con l'allattamento al seno.

Gli aspetti medico-legali    Alla luce dei pronunciamenti di AIFA e delle società scientifiche, è corretto offrire la vaccinazione con vaccini a mRNA alle donne in gravidanza e allattamento senza chiedere loro alcun supplemento di indagine e senza pretendere una certificazione di nulla osta da parte del ginecologo curante. I dati real world raccolti in questi ultimi mesi non giustificano nemmeno un approccio precauzionale, dal momento che la gravidanza risulta essere un fattore di rischio per complicanze da Covid-19.

Covid, il report dell’Iss. Da febbraio quasi 99 deceduti su 100 non avevano completato il ciclo vaccinale. E fra chi lo aveva concluso si riscontra età media e numero di patologie più alte.

Rispetto alla totalità dei decessi per cui sono state analizzate le cartelle cliniche, nel campione dei deceduti con “ciclo vaccinale completo” l’età media risulta decisamente elevata (88.6 vs. 80 anni). Inoltre, il numero medio di patologie osservate in questo gruppo di decessi è di 5,0 (mediana 5, Deviazione Standard 2,2), molto più elevato rispetto ai decessi della popolazione generale (3,7). Dopo l’insufficienza respiratoria acuta, le sovrainfezioni sono le complicanze maggiormente diffuse   Leggi L'articolo completo al LINK

http://www.quotidianosanita.it/scienza-e-farmaci/articolo.php?articolo_id=97689&fr=n

Covid. Per chi è guarito dose unica di vaccino preferibilmente entro 6 mesi e comunque non oltre i 12

Per i soggetti con condizioni di immunodeficienza, primitiva o secondaria a trattamenti farmacologici, in caso di pregressa infezione da Sars-CoV-2, resta valida la raccomandazione di proseguire con la schedula vaccinale completa prevista. Si torna a ribadire che, come da indicazioni dell’Oms, l’esecuzione di test sierologici, volti a individuare la risposta anticorpale nei confronti del virus, non è raccomandata ai fini del processo decisionale vaccinale   Leggi L'articolo completo al LINK

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Covid “Vaccinazione completa copre dall’infezione nell’88% dei casi, dal ricovero in ospedale nel 94,6%, in terapia intensiva nel 97,3% e dal decesso nel 95,8%”

I dati sono contenuti nell’ultimo rapporto sulla situazione della pandemia pubblicato dall’Iss che rileva una brusca salita di nuovi contagi nell’ultima settimana ascrivibili nella maggior parte dei casi a persone non vaccinate o vaccinate solo con la prima dose. Un altro effetto della campagna vaccinale è la diminuzione nell’età mediana dei casi di Covid, che nelle ultime due settimane è stata di 29 anni, dato che le categorie prioritarie per il vaccino sono state le fasce di età più avanzate.  Leggi L'articolo completo al LINK

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Iss, contro le varianti efficaci i 4 vaccini. I farmaci da preferire

(da DottNet)    "I primi studi affermano che il ciclo completo dei 4 vaccini già approvati rimane protettivo nei confronti di tutte le Voc - cioe' le varianti che sono considerate piu' rischiose- mentre diminuisce l'efficacia che si era evidenziata dopo la prima dose". Lo sottolinea l'Istituto superiore di sanità (ISS), in un aggiornamento delle Faq sul proprio sito. Nelle ultime 24 ore il numero dei positivi è passato da 907 a 1.010, le vittime del Covid sono 14 mentre ieri erano state 24. Numeri che gli esperti leggono come un andamento dissociato, quello a cui si è affidato il premier britannico Boris Johnson per le riaperture: la variante fa aumentare i casi ma non le ospedalizzazioni e i decessi. Lo stesso ministro della Salute Roberto Speranza oggi ha sottolineato che fino a due mesi e mezzo fa "avevamo 30.000 persone in ospedale e oggi sono 1.500, il 95% in meno. Avevamo 3.800 persone nelle terapie intensive e oggi siamo sotto i 190, ben oltre il -90%".  "Per quanto riguarda i farmaci in uso e in sperimentazione - si legge sul sito dell'Iss - non ci sono ancora evidenze definitive in un senso o nell'altro". Alcuni articoli, spiega Iss, indicano che i monoclonali in sviluppo potrebbero perdere efficacia da soli, ma continuano a funzionare i mix di 2 anticorpi.

Se per una malattia di lieve entità vanno bene paracetamolo per la febbre e FANS per i dolori muscolo-scheletrici, i monoclonali possono essere considerati nelle prime fasi di infezione sintomatica per pazienti fragili o ad alto rischio (diabetici, cardiopatici, persone molto anziane) nella gestione domiciliare: è il medico di famiglia che deve identificare infatti il soggetto da trattare e inviarlo tempestivamente alle strutture di riferimento. Questi farmaci sono somministrati per infusione in ambulatori dedicati. Sono in effetti  gli unici farmaci che abbiano dimostrato un’azione antivirale, utile soprattutto nelle primissime fasi, entro i primi 3-4 giorni dall’eventuale insorgenza della sintomatologia clinica lieve/moderata. In termini di riduzione della viremia sono tutti efficaci, soprattutto rispetto a molti altri farmaci già in commercio testati come antivirali contro il SARS-COV2 che nel tempo si sono rivelati inutili, se non addirittura dannosi. Sono anticorpi che vanno a legarsi alla proteina Spike e impediscono l’ingresso nelle cellule e, quindi, la replicazione del virus. Ad oggi risultano sicuri, molto efficaci e richiedono una sola infusione». Secondo i primi studi, i monoclonali in uso sarebbero efficaci anche contro la variante Delta.

In Italia hanno un’autorizzazione di emergenza e, in maniera simile ai vaccini che hanno ricevuto approvazione condizionale, è contemplata una rivalutazione del loro profilo rischi-benefici sulla base di nuovi dati generati dopo la loro commercializzazione. In Italia sono oltre 6.100, dal 10 marzo a fine giugno, i pazienti Covid che li hanno ricevuti. La maggior parte di questi è stata trattata con la combinazione di bamlanivimab e etesevimab di Eli Lilly, poi c’è la combinazione casirivimab e imdevimab di Regeneron-Roche. Il 17 giugno è stato aggiunto nell’elenco dei farmaci rimborsabili dal Servizio Sanitario anche se non autorizzati il tocilizumab (per il trattamento di soggetti adulti ospedalizzati con Covid grave e/o con livelli elevati degli indici di infiammazione sistemica, in condizioni cliniche in rapido peggioramento). Tale anticorpo monoclonale, si legge sul Corriere della Sera, già autorizzato per il trattamento dell’artrite reumatoide, è stato appena inserito anche dall’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) nelle linee guida dei trattamenti anti Covid.

In ospedale per i casi seri e gravi si usa - soprattutto in quei pazienti che vanno a desaturare - il cortisone, in particolare il desametasone, che ha mostrato dei risultati eccezionali in termini di riduzione della mortalità. Si associa spesso l’eparina, ma come terapia profilattica, in pazienti che hanno polmoniti e sono immobilizzati. Altri farmaci con un’azione antinfiammatoria e immunosoppressiva si sono rivelati utili, come il tocilizumab, ma è da riservare solo a una certa categoria di pazienti ed in aggiunta al cortisone.  Entro la fine dell’anno, anticipa il Corriere della Sera, arriveranno quattro (se non di più) anticorpi monoclonali anti-proteina Spike, quali la combinazione di bamlanivimab ed etesevimab di Eli Lilly e la combinazione di casirivimab e imdevimab di Regeneron-Roche, già autorizzati in Europa per uso emergenziale, e regdanivimab di Celltrion e sotrovimab di GlaxoSmithKline-Vir Biotechnology, in fase di revisione da parte di EMA; inoltre ci sono molte aspettative su immunosoppressori già in commercio per il trattamento dell’artrite reumatoide, quali baricitinib e tofacitinib.

Vaccini Moderna e Pfizer: protezione per anni dal covid

(da DottNet)    I vaccini anti Covid con prodotti scudo a mRna, come Pfizer e Moderna, sembrano in grado di indurre "una risposta persistente delle cellule B del centro germinativo, che consente la generazione di una robusta immunità umorale". E' quanto scrive un team di scienziati della Washington University School of Medicine di St Louis, negli Usa, in uno studio pubblicato su 'Nature' e accolto con entusiasmo dalla comunità scientifica. Tradotto in parole povere, il messaggio degli autori del lavoro è che la reazione suscitata da questi vaccini nell'organismo potrebbe proteggere per anni contro il coronavirus Sars-CoV-2, se questo patogeno con le sue varianti non si evolverà molto oltre la sua forma di oggi.   E quindi, come evidenziato anche da scienziati italiani, come l'immunologo Mario Clerici, "non è detto che serviranno richiami del vaccino Covid ogni anno". Gli autori dello studio, che è rimbalzato sulla stampa internazionale, hanno esaminato le risposte delle cellule B specifiche per l'antigene sia nel sangue periferico che nei linfonodi drenanti di 14 persone vaccinate con due dosi di Pfizer. Quello che hanno scoperto è che la risposta che si genera appare essere persistente. E' come se la vaccinazione ci dotasse di 'fabbriche' di plasmacellule e cellule B durature. La pubblicazione su 'Nature' di questo lavoro è una conferma alle aspettative che hanno coltivato diversi scienziati sulla base anche di altri dati emersi da precedenti studi.   Secondo quanto riporta il New York Times, una delle autrici, l'immunologa Ali Ellebedy, definisce quanto osservato nell'analisi appena pubblicata "un buon segno di quanto duratura sia l'immunità indotta da questi vaccini". "I dati" di questo studio, commenta all'Adnkronos Salute Clerici, che è docente dell'università degli Studi di Milano e direttore scientifico della Fondazione Don Gnocchi, "confermano che dal punto di vista immunologico non vi è nulla di peculiare riguardo a questo virus".    "L'aspettativa è che la risposta indotta dai vaccini possa durare molto a lungo", prosegue Clerici. L'esperto, proprio parlando delle evidenze che si stavano accumulando sulla memoria immunologica, aveva usato un esempio per rendere l'idea del meccanismo che potrebbe attivarsi nel nostro organismo: "E' come se noi avessimo un cannone che spara i suoi proiettili solo se c'è il virus. In sua assenza questo cannone se ne sta lì pronto e quando il virus si dovesse ripresentare avrebbe il macchinario per produrli". Clerici cita anche un altro lavoro pubblicato, che ci dice come "la risposta immune indotta da vaccini per Sars-CoV-2 (nelle scimmie) protegga anche contro altri coronavirus".

Le conseguenze della pandemia sui dentisti europei

(da Odontoiatria33)    Fin dai primi giorni di pandemia il Consiglio europeo dei dentisti (CED) presieduto dell’italiano Marco Landi ha seguito l’evolversi della situazione attraverso sondaggi, anche settimanali, per monitorare la situazione dell'odontoiatria europea, capire le criticità che man mano emergevano, le diverse situazioni ed iniziative approntate nei singoli Paesi per poter proporre interventi a sostengo degli operatori. Ora il CED riassume i dati di questi 20 sondaggi un documento che diventa l’unico lavoro fino ad oggi pubblicato che permette di capire il reale impatto che la pandemia ha avuto sugli studi dentistici europei, le sfide affrontate dalla professione.  Il corposo dossier è stato presentato venerdì scorso durante il General Meeting CED riscontrando entusiasti apprezzamenti da parte dei delegati presenti in rappresentanza delle Associazioni di 30 paesi. Delegati che hanno riconosciuto al CED ed al presidente Landi, la qualità dell’enorme lavoro svolto e la valenza del materiale prodotto, unico nel panorama europeo di tutte le professioni sanitarie.  “Il documento non è solo una fotografia di questo anno e mezzo di pandemia – dice ad Odontoiatria33 Marco Landi - ma anche un documento in cui analizziamo e valutiamo la situazione indicando possibili soluzioni utili per il futuro”.     Da marzo 2020 ad aprile 2021, il CED ha dedicato notevole attenzione alla crisi che ha investito la salute pubblica, al fine di comprendere l’impatto sulla salute orale e sull’odontoiatria e di garantire che il settore sia in grado di riprendersi e continuare a rispondere alle esigenze dei pazienti.  In questo periodo, la fornitura di cure dentistiche è stata limitata alle emergenze e le cure di routine sono state ridotte o sospese nel 67% sino al 100% dei casi. Oltre il 58% degli intervistati ha segnalato carenze e mancanza di accesso ad attrezzature adeguate, come maschere, occhiali, camici chirurgici e visiere, da aprile a giugno 2020. Inoltre, diversi paesi hanno segnalato un aumento dei costi associati al controllo delle infezioni e hanno esortato a inserire i dentisti nei gruppi prioritari di vaccinazione.   “Dopo un anno intero di convivenza con la pandemia, è possibile affermare che l’odontoiatria è una parte essenziale dell’assistenza sanitaria e questo lo abbiamo ribadito con forza in tutte le sedi istituzionali europee”, sottolinea il presidente Landi.  Durante la seconda e la terza ondata molti studi in tutta Europa sono riusciti a rimanere aperti nonostante gli ulteriori blocchi perché i dati hanno mostrato che negli studi dentistici non si correvano ulteriori rischi di infezione.  In oltre il 77% dei casi le Associazioni dentistiche nazionali non hanno riportato un aumento del tasso di infezione dei dentisti; inoltre, la maggior parte delle infezioni da COVID-19 non ha avuto origine da ambienti professionali, come riportato dagli intervistati.  Le statistiche sulle infezioni dentali raccolte dalle indagini CED mostrano l’incidenza notevolmente bassa di COVID-19 negli studi dentistici, il che consente di concludere che non sembra esserci un grave pericolo di essere esposti a COVID-19 negli ambienti odontoiatrici, in particolare perché la pandemia sta rallentando.

I punti cardine che emergono dalla serie di indagini, e da altri lavori correlati del CED, sono:

- le prove dimostrano che l’erogazione delle prestazioni odontoiatriche in tempi di pandemia è sicura per i pazienti, il team odontoiatrico e gli stessi dentisti. Gli efficaci protocolli di sicurezza e di controllo delle infezioni nelle strutture odontoiatriche prevengono eventuali rischi di infezione;

- è della massima importanza che gli studi dentistici abbiano sempre accesso a dispositivi di protezione individuale (DPI) adeguati. In queste circostanze, è fondamentale che il prezzo dei DPI non costituisca un onere finanziario aggiuntivo e che siano disponibili attrezzature sufficienti per consentire ai dentisti di svolgere la loro attività in totale sicurezza;

- è essenziale che le minacce sanitarie transfrontaliere non interrompano la continuità della fornitura delle cure dentistiche. L’igiene orale, compresi i controlli di routine, la pulizia e la prevenzione delle patologie della bocca rientrano in un’assistenza sanitaria essenziale. Il rinvio dei trattamenti odontoiatrici ha un impatto negativo sulla salute orale e generale dei pazienti;

- è fondamentale che i dentisti ricevano il sostegno del governo in casi straordinari di interruzione del lavoro, come pandemie e altre gravi minacce per la salute, a causa del significativo potenziale onere economico;

- i dentisti sono operatori sanitari essenziali ed è fondamentale che abbiano la priorità, insieme ad altri, nel ricevere il vaccino COVID-19;

- il CED incoraggia i dentisti a farsi vaccinare; altresì, i dentisti hanno un ruolo chiave nel promuovere la vaccinazione contro il COVID-19 tra il grande pubblico.  

Covid-19, in aumento le segnalazioni di focolai Delta. La circolare del ministero: tracciare e vaccinare

(da Doctor33)  Aumentano le segnalazioni sul territorio nazionale di casi associati a varianti Kappa e Delta, in particolare di focolai dovuti alla variante Delta. E' quanto si legge nella Circolare del ministero della Salute con l'aggiornamento della classificazione delle nuove varianti Sars-CoV-2 che raccomanda di rafforzare il tracciamento. La variante Delta è del 40-60% più trasmissibile rispetto alla Alpha e può essere associata a un rischio più alto di ricoveri. Meno protetti solo la prima dose di un vaccino, con la seconda dose c'è una protezione contro la Delta quasi equivalente a quella osservata contro la Alpha. (ANSA).
La Circolare raccomanda di "continuare a monitorare con grande attenzione la circolazione delle varianti del virus SARS-CoV-2, applicare tempestivamente e scrupolosamente sia le misure di contenimento della trasmissione previste, che le misure di isolamento e quarantena in caso di VOC Delta sospetta o confermata". Il documento spiega inoltre: "Vi sono evidenze che quanti hanno ricevuto solo la prima dose di una vaccinazione che prevede la somministrazione di due dosi per il completamento del ciclo vaccinale, sono meno protetti contro l'infezione con la variante Delta rispetto all'infezione da altre varianti, indipendentemente dal tipo di vaccino somministrato. Il completamento del ciclo vaccinale fornisce invece una protezione contro la variante Delta quasi equivalente a quella osservata contro la variante Alpha".

Ecco come le varianti del virus si fanno gioco della risposta immunitaria

(da M.D.Digital)   Il virus utilizza la proteina spike per riconoscere ed entrare nella cellula ospite e le varianti di SARS-CoV-2 individuate presentano mutazioni, in un sito chiave sulla proteina spike chiamata sito di legame del recettore (RBS). Alcune di queste mutazioni rendono meno efficace l’attività degli anticorpi prodotti in risposta al contatto con i ceppi virali precedenti e ciò consente alle varianti di sfuggire, almeno parzialmente, alla risposta immunitaria che si è sviluppata in risposta a vaccinazione o a precedente infezione. Desta preoccupazione il fatto che nuove varianti potrebbero rendere i vaccini esistenti meno efficaci ad eliminare la pandemia.

Un team di ricercatori dello Scripps Research Institute (La Jolla, California) ha esaminato come e perché determinate mutazioni proteggono il virus. Il National Institute of Allergy and Infectious Diseases (NIAID) del NIH ha sostenuto la ricerca, che è stata pubblicata su Science.  Le proteine quelle dello spike virale sono costituite da lunghe catene di amminoacidi che si piegano in una forma specifica. Una mutazione nel genoma virale con sostituzione di un amminoacido con un altro può, a sua volta, alterare la struttura e la funzione della proteina. Le varianti identificate per la prima volta in Sud Africa e Brasile condividono mutazioni in tre sedi della RBS: 417, 484 e 501.  Il team di ricerca ha testato quanto efficacemente gli anticorpi dei pazienti Covid-19 siano in grado di legarsi ai virus con queste mutazioni. Scoprendo che le mutazioni nelle posizioni 417 e 484 hanno impedito il legame degli anticorpi. La mutazione della posizione 417 ha anche indebolito il legame del virus con le cellule ospiti. Ma la mutazione in posizione 501 ha compensato questo effetto migliorando il legame delle cellule ospiti.

I ricercatori hanno studiato il motivo per cui queste mutazioni impediscono il legame e la neutralizzazione da parte degli anticorpi. Hanno analizzato le strutture molecolari di oltre 50 anticorpi umani legati alla proteina spike SARS-CoV-2. Gli anticorpi delle due classi principali interagiscono quasi sempre con l'amminoacido in posizione 417 o 484 quando si legano all'RBS. La modifica di entrambi gli amminoacidi interromperebbe queste interazioni e interferirebbe con il legame dell'anticorpo.  Questi dati forniscono una spiegazione strutturale del motivo per cui gli anticorpi prodotti in seguito all’inoculazione di vaccini Covid-19 o all'infezione naturale dal ceppo pandemico originale sono spesso inefficaci contro queste varianti.

I ricercatori hanno anche testato gli anticorpi che si legano a parti della proteina spike al di fuori dell'RBS. Questi anticorpi potrebbero ancora legare e neutralizzare efficacemente il virus anche in presenza delle mutazioni di interesse. In particolare, questi anticorpi sono efficaci contro molti coronavirus correlati. Pertanto, i vaccini e gli anticorpi mirati a siti al di fuori dell'RBS potrebbero proteggere da una serie di varianti del virus. Una protezione così ampia sarà particolarmente importante se SARS-CoV-2 non verrà completamente eliminato.  Nella progettazione di vaccini e terapie anticorpali di nuova generazione, sottolineano gli autori, dovremmo considerare di aumentare l'attenzione su altri siti vulnerabili del virus che tendono a non essere influenzati dalle mutazioni riscontrate nelle varianti di preoccupazione.

(Yuan M, et al. Structural and functional ramifications of antigenic drift in recent SARS-CoV-2 variants. Science 2021. DOI: 10.1126/science.abh1139 )

Covid. Draghi ha firmato il Decreto sul green pass. Ecco come funziona e come si potrà ottenere il Certificato Verde Digitale

Sarà la Piattaforma nazionale digital green certificate a validare il rilascio dei certificati che consentiranno gli spostamenti dei cittadini a livello nazionale e all’interno dell’Unione Europea, oltre a facilitare la partecipazione ad eventi pubblici e l'accesso alle strutture sanitarie assistenziali (Rsa). In alternativa alla versione digitale, i documenti potranno essere richiesti al proprio medico di base, al pediatra o in farmacia, utilizzando la propria tessera sanitaria. Si potranno ottenere tramite avvenuta vaccinazione, guarigione dal Covid o esecuzione di un test rapido o molecolare

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http://www.quotidianosanita.it/governo-e-parlamento/articolo.php?articolo_id=96438&fr=n

Covid: virus del comune raffreddore contrasta Sars-Cov2

(da AGI)   L'esposizione al rinovirus, la causa più frequente del comune raffreddore, può proteggere dall'infezione del virus che provoca il Covid-19. Lo hanno scoperto i ricercatori di Yale in uno studio pubblicato sul Journal of Experimental Medicine. Secondo gli esperti, il virus respiratorio del raffreddore attiva i geni, stimolati dalla molecola dell’interferone che può fermare la replicazione del virus SARS-CoV-2 nelle vie aeree. “L'attivazione di queste difese, nella fase iniziale dell'infezione da Covid-19, permette di prevenire o curare l'infezione”, ha affermato Ellen Foxman, assistente professore di medicina di laboratorio e immunobiologia presso la Yale School of Medicine e autrice dello studio. Sarebbe utile quindi, somministrare ai pazienti farmaci a base di interferoni. "Ma tutto dipende dai tempi", ha detto Foxman. Infatti, studi precedenti avevano evidenziato che, nelle fasi avanzate di infezione da Covid-19, alti livelli di interferone sono correlati a una malattia più grave e possono alimentare risposte immunitarie iperattive. In seguito, si è capito che i geni stimolati dall'interferone possono avere un’azione protettiva contro il Covid-19. Il progetto di ricerca di Yale è partito dall’osservazione che i comuni virus del raffreddore possono proteggere dall'influenza. I ricercatori hanno studiato se i rinovirus potevano avere lo stesso impatto positivo contro il virus Covid-19.

Il Parlamento europeo approva il Certificato Covid UE

Dopo la ratifica del Consiglio entrerà in vigore il 1 luglio. Libertà di spostamento per chi è vaccinato o è guarito o con test negativo  "Il Parlamento ha dato il via al ripristino della libera circolazione e a uno Schengen pienamente funzionale. Il certificato COVID digitale dell'UE garantirà viaggi sicuri e coordinati quest'estate. Gli Stati dell'UE sono incoraggiati ad astenersi dall'imporre ulteriori restrizioni, a meno che non siano strettamente necessarie e proporzionate", ha detto il presidente della commissione per le libertà civili e relatore Juan Fernando López Aguilar.      Leggi L'articolo completo al LINK

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Vaccino COVID-19: la scelta in gravidanza e allattamento

da Univadis)    Le donne in gravidanza con COVID-19 hanno un rischio più elevato rispetto alle donne non gravide con caratteristiche simili di andare incontro ad esiti negativi di salute, con rischi che possono anche essere maggiori per i loro figli. Pertanto, è fondamentale che le donne in gravidanza abbiano l'opportunità di essere vaccinate, in particolare se soddisfano i criteri per la vaccinazione. Tuttavia, poiché le donne in gravidanza sono state escluse dagli studi sulla vaccinazione COVID-19, abbiamo informazioni limitate su efficacia e sicurezza in questo gruppo di persone (1).

Vaccini e gravidanza

L'uso di vaccini per proteggere la donna gravida da malattie infettive è parte integrante della pratica ostetrica di routine. E’ noto che il vaccino contro l'influenza stagionale protegge le madri da malattie gravi e protegge i neonati nei primi mesi di vita. I vaccini contro il tetano, la difterite e la pertosse vengono somministrati in gravidanza tra la 26a e la 34a settimana di gestazione per proteggere la madre e il bambino. Questi vaccini forniscono la migliore protezione contro gli effetti di queste malattie e hanno eccellenti profili di sicurezza supportati da dati di studi su animali e da studi epidemiologici in donne in gravidanza (2). Nel caso di COVID-19, il tempo rappresenta un fattore essenziale da considerare per un buon esito degli interventi di cura.  Per le donne in età riproduttiva, comprese quelle in gravidanza o dopo il parto, la prevenzione di gravi malattie in corso di COVID-19 richiede una risposta tempestiva, che deve considerare le attuali conoscenze sull'efficacia e la sicurezza di questi vaccini (2).

Nonostante i criteri di eleggibilità restrittivi degli studi sui vaccini contro COVID-19, si sono verificate diverse gravidanze dopo la fase di arruolamento, anche perché alcune non sono state rilevate durante lo screening di prevaccinazione. In uno studio Pfizer-BioNTech, si sono verificate 23 gravidanze e 12 nel gruppo vaccino. Nello studio sul vaccino Moderna, sono state segnalate 13 gravidanze, di cui 6 nel gruppo vaccinato. La revisione dell’ente regolatorio degli Stati Uniti (FDA) sulla tossicità riproduttiva per lo sviluppo e perinatale/postnatale del vaccino Moderna ha concluso che il vaccino non ha avuto alcun effetto negativo sulla riproduzione femminile, sullo sviluppo fetale/embrionale o sullo sviluppo postnatale ad eccezione delle variazioni scheletriche che sono comuni e tipicamente si risolvono dopo la nascita senza intervento. Non è ancora disponibile alcun follow-up a lungo termine su queste donne incinte o sui loro figli. Nello studio sul vaccino Janssen, ci sono state 8 e 4 gravidanze rispettivamente nei gruppi vaccino e placebo. C'è stato un aborto spontaneo (gruppo vaccino), un aborto incompleto (gruppo placebo), 2 aborti elettivi (gruppo placebo) e 1 gravidanza ectopica (gruppo vaccino).  Janssen ha presentato uno studio di tossicità riproduttiva sullo sviluppo e perinatale/postnatale in conigli che hanno ricevuto due volte la dose di vaccino umano prima dell'accoppiamento e durante i periodi di gestazione; la revisione della FDA su questo studio ha concluso che il vaccino “non ha avuto effetti negativi sulla riproduzione femminile, sullo sviluppo fetale/embrionale o sullo sviluppo postnatale” (3).

Sicurezza per la donna gravida e il feto 

Per i vaccini mRNA, l'mRNA non entra nel nucleo cellulare e ha un'emivita stimata di 8-10 ore. Il vaccino a vettore virale Janssen è modificato affinchè non possa replicarsi. Questo permette che non ci sia viremia durante la gravidanza e non prevede che il vaccino infetti il ​​feto. Data la breve emivita dell'mRNA del vaccino, è improbabile che venga trasmesso dalla madre al feto durante la gravidanza o al neonato durante l'allattamento. Se l'mRNA del vaccino entra nel latte materno, si prevede che venga scomposto durante il processo digestivo e non è probabile che venga assorbito in uno stato intatto e funzionale. È improbabile che il vaccino a vettore virale Janssen entri nel latte materno poiché la viremia non si verifica dopo la somministrazione. La proteina espressa dall'mRNA probabilmente rimane nel corpo per diversi giorni, in modo simile a quanto previsto con i tradizionali vaccini a base di proteine. È probabile che la proteina espressa rimanga associata alle cellule e quindi ha anche una bassa probabilità di trasmissione al feto durante la gravidanza o al lattante attraverso il latte materno. È improbabile che questi vaccini rappresentino un rischio per la donna incinta, che influiscano sul feto e ciò sembra ammissibile anche durante l'allattamento (3). 

L’insieme di dati acquisiti durante la campagna vaccinale ha portato il Center for Distasse Control and Prevention (CDC) ad orientare all'uso di questi vaccini durante la gravidanza e l'allattamento, in particolare alle donne gravide nel caso in cui fanno parte di un gruppo a cui è stato raccomandato il vaccino.  Il parere è stato supportato dall’analisi dei dati del programma di monitoraggio del CDC sulla sicurezza del vaccino v-safe, che a partire dal 16 febbraio 2021 ha ricevuto la segnalazione di più di 30.000 donne in gravidanza e comprende il monitoraggio di 275 gravidanze completate e 232 nati vivi. Le partecipanti sono stati controllate per aborto spontaneo e nati morti, complicazioni della gravidanza, ricovero in unità di terapia intensiva ostetrica, esiti avversi alla nascita, morte neonatale, ricoveri in nenatologia e difetti alla nascita. Ad oggi, gli esiti della gruppo gravidanza sono paragonabili ai tassi di fondo e sia nelle gravidanze che nei neonati non sono stati osservati esiti inaspettati correlati alla vaccinazione COVID-19 (4) .

Risposta immunologica al vaccino in gravidanza

I vaccini mRNA COVID-19 hanno dimostrato di essere immunogenici, in base alla valutazione delle risposte immunitarie sia umorali che cellulari, nelle donne in gravidanza, in allattamento e non gravide, che non allattavano. Dopo la seconda dose dei vaccini mRNA, il 13% delle donne in gravidanza e il 47% delle donne non gravide ha manifestato febbre. Ci sono dati coerenti a convalida che la vaccinazione provoca risposte anticorpali più elevate rispetto all'infezione (5,6). La rilevazione di anticorpi leganti e neutralizzanti nel sangue cordonale del neonato suggerisce un efficiente trasferimento transplacentare degli anticorpi materni. Come con la raccomandazione per difterite, tetano e la vaccinazione contro la pertosse in gravidanza per proteggere i neonati vulnerabili, la vaccinazione materna COVID-19 in gravidanza può conferire benefici simili ai neonati che potrebbero non essere idonei alla vaccinazione (6). 

Anticorpi post vaccino nel latte materno

Un recente studio ha analizzato, in 84 donne sottoposte volontariamente a vaccino anti-COVID-19, se l'immunizzazione materna provocasse la secrezione di anticorpi SARS-CoV-2 nel latte materno e valutato eventuali potenziali eventi avversi per le donne e i loro bambini (7). I dati documentano una forte secrezione di anticorpi IgA e IgG specifici per SARS-CoV-2 nel latte materno per 6 settimane dopo la vaccinazione. La secrezione di IgA era evidente già 2 settimane dopo la vaccinazione, seguita da un picco di IgG dopo 4 settimane (una settimana dopo la  seconda dose di vaccino).  Gli anticorpi trovati nel latte materno di queste donne hanno mostrato forti effetti neutralizzanti, suggerendo un potenziale effetto protettivo contro l'infezione nel neonato (7).

(1 - McSpedon C Pregnancy and COVID-19 AJN 2021;121:18-20 

2- Riley LE et al Inclusion of Pregnant and Lactating Persons in COVID-19 Vaccination Efforts Ann Int Med 2021;174:701-2

3- Blumberg D et al. COVID-19 Vaccine Considerations during Pregnancy and Lactation Am J Perinatal 2021; 38: 523-28

4- Shimabukuro T. COVID-19 vaccine safety update. Advisory Committee on Immunization Practices(ACIP) presentation March 1, 2021. 

5- Wang  Z, et al. mRNA vaccine-elicited antibodies to SARS-CoV-2 and circulating variants.   Nat 2021;592:616-22.

6- Collier AY et al. Immunogenicity of COVID-19 mRNA Vaccines in Pregnant and Lactating Women. JAMA. Published online May 13, 2021. doi:10.1001/jama.2021.7563

7- Perl SH, et al. SARS-CoV-2–Specific Antibodies in Breast Milk After COVID-19 Vaccination of Breastfeeding Women. JAMA. 2021;325:2013–4)

Covid: infezione può causare disfunzione erettile per mesi

(da AGI) Covid-19 può essere responsabile dell'insorgenza della disfunzione erettile per diversi mesi dopo la ripresa del paziente dalla malattia. Un gruppo di scienziati dell'Università di Miami ha analizzato il tessuto del pene di due pazienti Covid guariti, uno di 65 anni e l'altro di 71 anni d'età, affetti da disfunzione erettile. Stando a quanto riportato dalla rivista 'World Journal of Men's Health', i ricercatori hanno scoperto che virus erano ancora presente nel tessuto del pene analizzato più di sei mesi dopo che i pazienti si erano ammalati. Uno degli uomini ha avuto una forma di Covid-19 grave, tanto che è stato ricoverato in ospedale. L'altro, invece, ha avuto una forma lieve della malattia. Questo, secondo i ricercatori, suggerisce che chiunque si infetti può essere a rischio di sviluppare la disfunzione erettile. Sappiamo che il virus può danneggiare i vasi sanguigni e gli organi interni, ma questa ricerca conclude che può anche bloccare il flusso di sangue ai genitali, rendendo difficile mantenere una vita sessuale attiva. Il virus potrebbe innescare gonfiore e disfunzione nei rivestimenti dei vasi sanguigni che attraversano il corpo e arrivano nel pene. "Abbiamo scoperto che gli uomini che in precedenza non avevano problemi di disfunzione erettile hanno sviluppato una disfunzione erettile piuttosto grave dopo l'inizio dell'infezione da Covid", dice Ranjith Ramasamy, che ha condotto il piccolo studio. "Questo suggerisce che gli uomini che sviluppano un'infezione da Covid dovrebbero essere consapevoli che la disfunzione erettile potrebbe essere un effetto avverso del virus", aggiunge, invitando i pazienti con questo problema a rivolgersi al medico.

Dl Covid. Via libera definitivo alla Camera. Lo ‘scudo penale’ per gli operatori sanitari è legge

L'approvazione è arrivata con 311 voti favorevoli e 47 contrari. L'articolo 3-bis del provvedimento prevede che fatti di cui agli articoli 589 e 590 del codice penale, commessi nell’esercizio di una professione sanitaria e che trovano causa nella situazione di emergenza, saranno punibili solo nei casi di colpa grave. Ai fini della valutazione del grado della colpa, il giudice dovrà tenere conto anche della limitatezza delle conoscenze scientifiche sulle patologie da Sars-Cov-2 e sulle terapie appropriate, nonché della scarsità delle risorse umane e materiali disponibili.  Leggi L'articolo completo al LINK

http://www.quotidianosanita.it/governo-e-parlamento/articolo.php?articolo_id=95851&fr=n

Il 97% dei sanitari vaccinati non può trasmettere il virus. Indagine dell’Ordine dei medici di Torino

Su un campione di 5.823 operatori (medici, infermieri, psicologi, farmacisti…) sottoposti a tampone dopo la vaccinazione per un periodo di osservazione di circa tre mesi, il 96,93% non ospitava il virus nelle prime vie aeree, quindi non era potenziale veicolo di contagio. Su 11.910 operatori solo l’1,41% ha dichiarato di avere contratto il virus dopo la vaccinazione.  Leggi L'articolo completo al LINK

http://www.quotidianosanita.it/studi-e-analisi/articolo.php?articolo_id=95784&fr=n

AstraZeneca-Pfizer, mix vaccini funziona: studio su Nature

da AdnKronos)    Combinare, nella campagna vaccinale, Pfizer-BioNTech e AstraZeneca produce "una potente risposta immunitaria contro il virus Sars-CoV-2". E' quanto hanno evidenziato i risultati preliminari di uno studio spagnolo, condotto dal Carlos III Health Institute di Madrid, su 663 volontari e pubblicato su 'Nature'. Una sperimentazione condotta nel Regno Unito, per verificare la strategia di mixare i due vaccini, aveva già dato rassicurazioni sulla sicurezza e presto fornirà ulteriori dati sulle risposte immunitarie. La speranza dei ricercatori è che la strategia di 'mix & match' dei vaccini, "possa semplificare gli sforzi di immunizzazione per i paesi che affrontano forniture fluttuanti dei vari vaccini", sottolinea lo studio. Ad aprile lo studio 'Combivacs' ha arruolato 663 persone che avevano già ricevuto una prima dose del vaccino AstraZeneca. Due terzi dei partecipanti allo studio, in modo casuale, hanno ricevuto dopo 8 settimane il richiamo con il vaccino mRNA prodotto da Pfizer. Un gruppo di controllo di 232 persone non ha ancora ricevuto la seconda dose. Dopo la seconda dose, i partecipanti hanno iniziato "a produrre livelli di anticorpi molto più elevati rispetto a prima e questi anticorpi nei test di laboratorio sono stati in grado di riconoscere e inattivare Sars-CoV-2 - rileva lo studio - I partecipanti che non hanno ricevuto il richiamo non hanno registrato alcun cambiamento nei livelli di anticorpi".

Vaccino: ‘green pass’ già da prima dose, validità 9 mesi

(da AGI) Il 'green pass', il certificato verde che fungerà da passepartout una volta in vigore (per spostarsi tra regioni di colore diverso, ma anche per partecipare a eventi, convegni, eventi civili e religiosi) avrà una validità di 9 mesi (non sei quindi, come inizialmente ipotizzato), e, altra novità rispetto a quanto previsto, sarà rilasciato già dopo la prima dose. E' quanto prevede il dl Covid pubblicato in Gazzetta Ufficiale e in vigore dal 19 Maggio. Il pass (su cui è ancora in corso la discussione a livello europeo per varare un documento comune che consenta di spostarsi anche tra Paesi) verrà rilasciato "anche contestualmente alla somministrazione della prima dose di vaccino e ha validità dal quindicesimo giorno successivo alla somministrazione fino alla data prevista per il completamento del ciclo vaccinale".  Una volta fatto il richiamo, la stessa certificazione automaticamente diventa valida per i successivi nove mesi. La durata effettiva, insomma, è variabile perché legata alla tempistica prevista per i richiami. Il documento è rilasciato, "su richiesta dell'interessato - come prevede il dl di aprile - in formato cartaceo o digitale, dalla struttura sanitaria ovvero dall'esercente la professione sanitaria che effettua la vaccinazione e contestualmente alla stessa, al termine del prescritto ciclo (passaggio questo modificato, come detto, nel nuovo decreto, ndr), e reca indicazione del numero di dosi somministrate rispetto al numero di dosi previste per l'interessato. Contestualmente al rilascio, la predetta struttura sanitaria, ovvero il predetto esercente la professione sanitaria, anche per il tramite dei sistemi informativi regionali, provvede a rendere disponibile detta certificazione nel fascicolo sanitario elettronico dell'interessato".  Oltre che per avvenuta vaccinazione, si potrà ottenere anche dopo la guarigione dal Covid o dopo un tampone: nel primo caso lo rilascerà il medico di medicina generale oppure la struttura ospedaliera dove si è stati curati. Nel caso di certificazione per tampone negativo (molecolare o antigenico), viene rilasciato dal laboratorio dove è stato effettuato.

I vaccini Covid sono sicuri in gravidanza e non danneggiano la placenta

(da DottNet)    I vaccini Covid sono sicuri in gravidanza e non danneggiano la placenta, che è un po' come la 'scatola nera' di un aeroplano, un indicatore dell'andamento della gestazione. A rassicurare e' uno studio della Northwestern University, pubblicato su 'Obstetrics & Gynecology'.   In particolare, si vuole smentire una credenza che perlomeno negli Usa si è diffusa attraverso i social, secondo cui il vaccino può potenzialmente innescare una risposta immunologica che induce la madre a rifiutare il feto. "I risultati ci portano a credere che non succeda " spiega Jeffery Goldstein, uno degli autori dello studio. Per arrivare a una conclusione positiva sulla sicurezza dei vaccini i ricercatori hanno raccolto placente da 84 pazienti vaccinate e 116 non vaccinate che hanno partorito al Prentice Women's Hospital di Chicago, esaminandole patologicamente da intere e dopo la nascita microscopicamente.  La maggior parte delle pazienti immunizzate aveva ricevuto vaccini Moderna o Pfizer durante il terzo trimestre.  "Se qualcosa va storto con una gravidanza - evidenzia Goldstein - di solito vediamo cambiamenti nella placenta che possono aiutarci a capire cosa è successo. Da ciò che possiamo dire, il vaccino Covid non la danneggia". Lo scorso maggio, gli stessi studiosi hanno invece evidenziato in una ricerca che le placente di donne risultate positive al virus durante la gravidanza hanno mostrato prove di lesioni, in termini di flusso sanguigno anormale tra madre e bambino in utero. Il messaggio dei ricercatori e' quindi che le pazienti incinte che vogliono essere vaccinate per evitare di contrarre la malattia dovrebbero sentirsi sicure nel farlo. Lo scorso aprile, sempre lo stesso team di ricerca ha pubblicato uno studio che mostra che le donne incinte producono anticorpi COVID dopo la vaccinazione e li trasferiscono con successo ai loro feti.

Covid: da Garante privacy linee guida per vaccinazione in luoghi di lavoro. Dovrà essere assicurato rispetto competenze tra il medico competente e il datore di lavoro

(da AdnKronos)   Il Garante per la privacy ha adottato un documento di indirizzo sulla vaccinazione nei luoghi di lavoro, per fornire indicazioni generali sul trattamento dei dati personali, in attesa di un definitivo assetto regolatorio. "La realizzazione dei piani vaccinali - si legge nella nota - per l'attivazione di punti straordinari di vaccinazione anti Covid-19 nei luoghi di lavoro, prevista dal protocollo nazionale del 6 aprile 2021, costituisce un'iniziativa di sanità pubblica, ragione per la quale la responsabilità generale e la supervisione dell'intero processo rimangono in capo al Servizio sanitario regionale e dovrà essere attuata nel rispetto della disciplina sulla protezione dei dati". "Anche per la vaccinazione sul luogo di lavoro - prosegue il Garante -dovrà essere assicurato il rispetto del tradizionale riparto di competenze tra il medico competente e il datore di lavoro, messo in evidenza nel documento sul ruolo del medico competente in materia di sicurezza sul luogo di lavoro, da oggi disponibile sul sito dell'Autorità". Nel documento di indirizzo il Garante precisa che2 le principali attività di trattamento dati - dalla raccolta delle adesioni, alla somministrazione, alla registrazione nei sistemi regionali dell'avvenuta vaccinazione- devono essere effettuate dal medico competente o da altro personale sanitario appositamente individuato".    Nel quadro delle norme a tutela della dignità e della libertà degli interessati sui luoghi di lavoro, infatti, non è consentito al datore di lavoro raccogliere direttamente dai dipendenti, dal medico competente, o da altri professionisti sanitari o strutture sanitarie, informazioni relative all'intenzione del lavoratore di aderire alla campagna o alla avvenuta somministrazione (o meno) del vaccino e ad altri dati relativi alle sue condizioni di salute. Tenuto conto dello squilibrio del rapporto tra datore di lavoratore e dipendente, il consenso del lavoratore non può costituire in questi casi un valido presupposto per trattare i dati sulla vaccinazione così come non è consentito far derivare alcuna conseguenza, né positiva né negativa, dall'adesione o meno alla campagna vaccinale.

Efficacia del 95% dei vaccini contro il Covid-19 con punte del 100% già con la prima dose di AstraZeneca.

Il primo studio Italiano sui dati real-world condotto dall’Università di Ferrara  Lo studio conferma l'elevata efficacia (del 95% circa) dei vaccini contro il Covid-19. Tutti i vaccini si sono rivelati molto efficaci, anche contro la variante inglese. Gli autori riportano il 95% di contagi in meno, 99% di malati con sintomi in meno tra i vaccinati rispetto ai non vaccinati. Il vaccino AstraZeneca sembra avere un'efficacia che sfiora il 100%, anche dopo una singola dose.  Leggi L'articolo completo al LINK

http://www.quotidianosanita.it/scienza-e-farmaci/articolo.php?articolo_id=95553&fr=n

Una singola dose di vaccino dimezza il rischio di trasmissione

(da DottNet)   Una singola dose del vaccino COVID-19 prodotta da Pfizer o AstraZeneca riduce il rischio di una persona di trasmettere SARS-CoV-2 ai loro contatti più stretti di ben la metà, secondo un'analisi di oltre 365.000 famiglie nel Regno Unito.    Sebbene i vaccini abbiano dimostrato di ridurre i sintomi del COVID-19 e le malattie gravi, la loro capacità di prevenire la trasmissione del coronavirus non è stata chiara. Kevin Dunbar, Gavin Dabrera ei loro colleghi della Public Health England a Londra hanno cercato casi in cui qualcuno è stato infettato da SARS-CoV-2 dopo aver ricevuto una dose di uno dei due vaccini. Hanno quindi valutato la frequenza con cui quegli individui hanno trasmesso il virus ai contatti familiari.   Il team ha scoperto che le persone che erano state vaccinate per almeno 21 giorni potevano ancora risultare positive al virus. Ma la trasmissione virale da questi individui ad altri nelle loro famiglie era del 40-50% inferiore rispetto alla trasmissione nelle famiglie in cui la prima persona che risultava positiva al test non era stata vaccinata. I risultati per i due vaccini erano simili. I risultati non sono ancora stati sottoposti a peer review.

Ministero, nessuna controindicazione per il richiamo con AstraZeneca

(da DottNet)   I soggetti che hanno ricevuto la prima dose del vaccino AstraZeneca senza sviluppare eventi di trombosi rare "non presentano controindicazione per una seconda somministrazione del medesimo tipo di vaccino". Così il parere del Cts trasmesso con una nuova circolare del ministero della Salute. Le trombosi rare risultano infatti essersi verificate solo dopo la prima dose. Tale posizione, afferma il Cts, "potrà essere eventualmente rivista se dovessero emergere evidenze diverse nelle settimane prossime derivanti in particolare dall'analisi del profilo di sicurezza del vaccino nei soggetti che in UK hanno ricevuto la 2/a dose".  La circolare, firmata dal direttore della Prevenzione del ministero della Salute Gianni Rezza, trasmette il parere del Cts relativo al 30 aprile. Nel parere, il Cts spiega che "sulla scorta delle informazioni a oggi disponibili sull'insorgenza di trombosi in sedi inusuali (trombosi dei seni venosi cerebrali, trombosi splancniche, trombosi arteriose) associate a piastrinopenia, riportate essersi verificate solamente dopo la prima dose del vaccino di AstraZeneca, i soggetti che hanno ricevuto la prima dose di questo vaccino senza sviluppare questa tipologia di eventi, non presentano controindicazione per una seconda somministrazione del medesimo tipo di vaccino". 

Casi di diabete dopo aver contratto il Covid

(DottNet)    Scienziati di tutto il mondo hanno notato un aumento nei nuovi casi di diabete lo scorso anno e, in particolare, hanno visto che alcuni pazienti COVID-19 senza storia di diabete stavano improvvisamente sviluppando la condizione, ha riferito Scientific American . La tendenza ha spinto molti gruppi di ricerca ad avviare studi sul fenomeno; ad esempio, i ricercatori del King's College di Londra in Inghilterra e della Monash University in Australia hanno istituito il registro CoviDiab , una risorsa in cui i medici possono presentare rapporti su pazienti con una storia confermata di COVID-19 e diabete di nuova diagnosi.  Più di 350 medici hanno presentato segnalazioni al registro, ha riferito The Guardian . Hanno segnalato sia il diabete di tipo 1, in cui il corpo attacca le cellule del pancreas che producono insulina, sia il diabete di tipo 2, in cui il corpo produce ancora un po 'di insulina, anche se spesso non abbastanza, e le sue cellule non rispondono correttamente all'ormone.  Negli ultimi mesi, abbiamo visto più casi di pazienti che avevano sviluppato il diabete durante l'esperienza COVID-19 o subito dopo", il dottor Francesco Rubino (nella foto), professore e presidente di chirurgia metabolica e bariatrica al King's College di Londra , ha detto a The Guardian. "Ora stiamo iniziando a pensare che il collegamento sia probabilmente vero: esiste la capacità del virus di causare un malfunzionamento del metabolismo degli zuccheri ". Altri studi hanno trovato un collegamento tra COVID-19 e diabete.

Ad esempio, una revisione di otto studi , che includevano più di 3.700 pazienti COVID-19 ospedalizzati, ha mostrato che circa il 14% di questi pazienti ha sviluppato il diabete, secondo quanto riportato da Scientific American. Uno studio preliminare su 47.000 pazienti del Regno Unito ha rilevato che il 4,9% ha sviluppato il diabete, ha riferito The Guardian. "Vediamo chiaramente persone senza diabete che sviluppano il diabete", ha detto a CTV News il dottor Remi Rabasa-Lhoret, medico e ricercatore di malattie metaboliche presso il Montreal Clinical Research Institute . "È altamente probabile che COVID-19 stia scatenando la malattia". La grande domanda è perché e gli scienziati hanno diverse teorie.   Potrebbe essere che SARS-CoV-2, il virus che causa COVID-19, attacchi direttamente le cellule produttrici di insulina nel pancreas, ha riferito Scientific American. In alternativa, il virus può danneggiare indirettamente queste cellule infettando altre parti del pancreas o dei vasi sanguigni che forniscono ossigeno e sostanze nutritive all'organo. Un'altra teoria ancora suggerisce che il virus infetta altri organi coinvolti nella regolazione della glicemia, come l'intestino, e in qualche modo mina la capacità del corpo di abbattere il glucosio, più in generale.

Altri tipi di virus, come alcuni enterovirus , che causano varie condizioni, tra cui la malattia della mano, del piede e della bocca, sono stati collegati al diabete in passato, ha riferito The Guardian. Inoltre, un sottogruppo di pazienti che hanno contratto il coronavirus SARS-CoV, che ha causato focolai di sindrome respiratoria acuta grave all'inizio degli anni 2000, ha anche sviluppato il diabete in seguito, il dottor Mihail Zilbermint, un endocrinologo e professore associato presso la Johns Hopkins School of Medicine , ha detto a CTV News. In generale, le infezioni virali acute possono innescare una grave infiammazione nel corpo e, in risposta, il corpo produce ormoni legati allo stress, come il cortisolo, per ridurre l'infiammazione. Gli ormoni dello stress possono causare picchi nei livelli di zucchero nel sangue e tale aumento non sempre diminuisce dopo che l'infezione scompare, ha riferito Scientific American.  Inoltre, i pazienti COVID-19 sono spesso trattati con farmaci steroidei, come il desametasone, che può anche aumentare i livelli di zucchero nel sangue. Pertanto, è possibile che questi steroidi contribuiscano anche all'insorgenza del diabete nei pazienti COVID-19, ha detto Zilbermint a CTV News. Il diabete indotto da steroidi può regredire dopo che il paziente smette di prendere i farmaci, ma a volte la condizione diventa cronica, secondo Diabetes.co.uk .

Un altro fattore che contribuisce all'incertezza sul collegamento, tuttavia, è quanti dei pazienti avevano già prediabete, il che significa che avevano livelli di zucchero nel sangue superiori alla media, quando hanno preso COVID-19. "È possibile che [un] paziente viva con il prediabete da molti anni e non lo sapesse", ha detto Zilbermint a CTV News. "Ora hanno un'infezione da COVID-19 e l'infezione li sta spingendo verso lo sviluppo del diabete".   Gli scienziati non sono sicuri se le persone che hanno sviluppato il diabete dopo aver ricevuto COVID-19 avranno la condizione in modo permanente, ha detto Rabasa-Lhoret a CTV News. In almeno alcuni pazienti che hanno sviluppato il diabete dopo un'infezione da SARS, i loro sintomi diabetici alla fine sono diminuiti e il loro zucchero nel sangue è tornato a livelli normali dopo l'infezione, secondo un rapporto del 2010 sulla rivista Acta Diabetologica . I pazienti infetti da SARS-CoV-2 possono manifestare sintomi diabetici simili e di breve durata, ma ciò dovrà essere confermato con ulteriori studi.

Passaporti vaccinali. Ce ne sono di tre tipi. Ecco quali sono e chi li rilascia

(da Doctor33)   Indispensabile per spostarsi tra regioni di colore diverso per motivi turistici ma non per lavoro: da lunedì è partito in via sperimentale il "certificato verde" che - in base al decreto legge Covid del 21 aprile - sarà rilasciato cartaceo o digitale a tutti gli italiani che ne facciano richiesta dopo vaccinazione (pass 1), guarigione dal virus o negativizzazione (pass 2), o dopo referto negativo di tampone molecolare od antigenico (pass 3): i primi due "pass" saranno validi sei mesi mentre il terzo sarà valido solo 48 ore, se si lascia la regione di provenienza in tempi successivi andrà rifatto.
Ad oggi si ha un'idea di come sarà il "pass 1" post-vaccinazione: ad ogni destinatario sarà assegnato un codice QR; subito sotto la schermata su smartphone o il foglio riporteranno estremi del titolare (nome, cognome e data di nascita) e nota dell'avvenuta somministrazione della seconda dose. Seguono tipo di vaccino (mRna o vettore virale), nome e produttore, data di somministrazione, stato, nome della struttura vaccinante che dev'essere autorità sanitaria certificata. C'è un modello europeo. Meno chiaro cosa sarà scritto negli altri due pass: per il "pass 2" si dovrebbe partire dal certificato di fine isolamento rilasciato dal Dipartimento d'Igiene dell'Asl a seguito dell'avvenuta negativizzazione mentre per il "pass 3" rilasciato da farmacie, strutture, medici di famiglia, pediatri, Sisp si tratta di un'attestazione della negatività al tampone, oggi rilasciata su carta. Ma chi rilascia i documenti? Intanto, l'interessato deve richiederli espressamente. Per l'avvenuta vaccinazione, il rilascio spetta alla struttura sanitaria che somministra la seconda dose: Asl, ospedale, hub vaccinale. La certificazione di avvenuta guarigione-pass 2 è invece rilasciata dall'ospedale da cui il paziente affetto da Covid-19 è stato dimesso, o (comma 2 lettera b) per i pazienti non ricoverati, dai medici di famiglia o dai pediatri di riferimento. Tutti, devono saper formare un file da caricarsi sul Fascicolo sanitario elettronico dell'interessato. Infine, la certificazione del test antigenico rapido o molecolare con esito negativo al virus (comma 2, lettera c) andrà prodotta da chi esegua il tampone: strutture sanitarie pubbliche, private autorizzate, farmacie, medici di medicina generale o pediatri di libera scelta.
«Il vero problema è l'esigenza di digitalizzare i documenti esistenti», spiega Guido Marinoni, presidente Omceo Bergamo ed esperto di temi burocratici della medicina di famiglia. «Oggi grazie alla piattaforma di Poste Italiane è possibile caricare sul Fascicolo sanitario i dati delle avvenute vaccinazioni o scaricarli utilizzando il codice Spid, che però non tutti gli utenti al momento hanno. Per gli altri "pass" previsti dal decreto legge abbiamo modelli precedenti per lo più cartacei. Il rilascio e l'archiviazione sono compiti più facilmente espletabili da un Dipartimento d'Igiene Asl; per i medici di famiglia andranno risolti i problemi quotidiani incontrati un po' in tutta Italia con l'uso delle piattaforme regionali o nazionali che oggi caratterizzano la gestione del fascicolo».
Analizziamo ora due casi particolari. Primo, il certificato per il tampone va rifatto ogni 48 ore? «Premetto, il tampone per uscire dalla regione va fatto anche da chi è stato malato o positivo se si è negativizzato più di sei mesi prima di iniziare il viaggio. Eseguito il tampone con esito negativo, si deve "sconfinare" entro 48 ore. Non si evince che, successivamente, la regione di destinazione vorrà una seconda prova di negatività. Appare tuttavia ragionevole, prima di tornare nella regione di provenienza, eseguire un nuovo tampone per attestare che ci si sposta in sicurezza». Secondo caso, che fare se l'hub vaccinale non rilascia il certificato perché il destinatario può avere una sola dose di vaccino? «La circolare del ministero della Salute dello scorso aprile è chiara: le persone che hanno contratto il Covid-19 fino a 3 mesi prima non possono vaccinarsi, quelle che sono uscite dal virus da oltre 6 mesi devono vaccinarsi con due dosi o fare il tampone se vogliono spostarsi, fra i 3 e i 6 mesi hanno diritto a una sola dose. Dato che l'hub non rilascia il certificato, la situazione andrà disciplinata». Marinoni sottolinea come ci voglia una norma in merito. Tra l'altro, arrivano ai medici richieste di cittadini che non potendo completare il ciclo vaccinale, non ricevono il "pass" e vorrebbero una certificazione per spostarsi. Qualcuno sui social afferma che tale certificazione non solo è libero professionale, ma va pure caricata di Iva al 22% perché non è di diagnosi e cura. «Ma se poi per strada carabinieri o polizia fermassero l'utente quanto peserebbe il nostro certificato? in assenza di norme di legge che realmente tutelino il nostro assistito eviterei di rilasciare certificati, per di più a pagamento».

Covid. Sì a paracetamolo, Fans e anticorpi monoclonali. No agli antibiotici e sconsigliata la telemedicina per cronici e fragili. Ecco le nuove linee guida del Ministero per le cure domiciliari

Arriva dal Ministero una nuova circolare che aggiorna le linee guida per le cure dei pazienti Covid a casa. No a supplementi vitaminici e integratori alimentari (ad esempio vitamine, inclusa vitamina D, lattoferrina, quercitina e no all’eparina. Se saturazione scende sotto il 92% valutare o ricovero e ossigenoterapia a casa. Indicazioni anche su come curare i bambini e su quando usare la telemedicina.  Leggi L'articolo completo al LINK
http://www.quotidianosanita.it/governo-e-parlamento/articolo.php?articolo_id=94965&fr=n

Covid-19, indennità ai professionisti contagiati

(da enpam.it)   Un assegno fino a 5mila euro per i medici e i dentisti che fanno libera professione contagiati da Covid-19.  È la nuova misura che la Fondazione Enpam ha introdotto per estendere ulteriormente gli aiuti messi in campo a seguito dell’emergenza sanitaria.  Il provvedimento deliberato dal Consiglio di amministrazione dell’Enpam lo scorso dicembre, ha ricevuto il via libera dai Ministeri vigilanti e si può ora fare domanda.

GLI IMPORTI     Gli importi del sussidio sono proporzionali sia allo stato di malattia, sia all’aliquota contributiva con cui gli iscritti versano i contributi di Quota B.   Sono tre i livelli di gravità della malattia con il conseguente aumento proporzionale della somma.   Si parte dalla forma più lieve con isolamento obbligatorio per positività al Covid (600 euro), per passare a una forma intermedia con ricovero ospedaliero, inclusa la degenza in terapia subintensiva (3.000 euro), sino al livello massimo di severità della patologia con il ricovero in terapia intensiva (5.000 euro).   Nell’ipotesi in cui, dopo la presentazione della domanda, si dovesse verificare un aggravamento delle condizioni di salute del malato, con l’integrazione della richiesta si potrà poi avere un conguaglio della somma. Per fare un esempio, se un iscritto è risultato prima positivo al test con pochi sintomi e ha preso 600 euro, ma in seguito è stato ricoverato in ospedale, gli spettano dopo aver rifatto domanda altri 2.400 euro.   Le somme indicate sono riferite ai contribuenti che pagano la Quota B intera. Per chi ha scelto la Quota B ridotta (la metà o il 2 per cento) l’indennità è riproporzionata.   Gli importi del sussidio per i pensionati corrispondono alla metà di quelli stabiliti per gli iscritti attivi.   Non è previsto, tranne che per i pensionati, un limite di reddito familiare per poter ricevere l’indennità.

I REQUISITI     Primo requisito, presente anche tra quelli per l’erogazione dei Bonus Enpam, è essere in regola con i contributi.    In seconda battuta, occorre aver avuto un reddito libero professionale nel 2019 soggetto alla Quota B (e averlo dichiarato nel modello D 2020).  Eccezioni sono previste per i neo-contribuenti, cioè quelli che verseranno la Quota B per la prima volta nel 2021, e per chi non ha avuto redditi da libera professione nel 2019 ma ha contribuito per il 2017 e per il 2018.

LA DOMANDA    La domanda si fa direttamente dall’area riservata del sito.    Insieme alla richiesta, gli iscritti devono allegare un documento che certifichi lo stato di malattia o il ricovero in ospedale.   Per chi è impossibilitato a fare domanda (per esempio è ricoverato per Covid) oppure nel caso in cui l’iscritto sia deceduto e i familiari vogliano chiedere il sussidio, verrà predisposto un modulo cartaceo. Tutte le informazioni si trovano a https://www.enpam.it/comefareper/covid-19/sussidio-contagiati/

Covid: in Europa Facebook è veicolo di dannosa disinformazione

(da AGI) In piena terza ondata di Covid-19, c’è un altro virus che minaccia l’Europa, Italia in testa: la disinformazione sulla pandemia e sulle vaccinazioni veicolata su Facebook, che non filtra le fake news, rilanciandole invece di bloccarle con controlli adeguati ed interventi tempestivi. A denunciarlo è l’ong Avaaz nella sua ultima indagine che mostra la pericolosa negligenza del social rispetto all’infodemia che da un anno dilaga sul Vecchio continente, una grave minaccia all’Ue alle prese con contagi ancora alti e diffidenza dei cittadini sui vaccini.  La ricerca, basata sull’analisi di 23 tesi fasulle sviluppate in 135 post visualizzati milioni di volte, ha fatto emergere una netta disparità tra gli interventi del colosso per arginare la diffusione delle bufale sul Covid negli Stati Uniti rispetto ai controlli attuati nei Paesi europei. 

Comunicato Omceo ER – Vaccini – NO a deregulation professionale

Gli Omceo dell’Emilia-Romagna: “La questione vaccinale non legittimi una pericolosa deregulation professionale”

La continua revisione del piano vaccinale per garantire una sempre più alta copertura, a parte le difficoltà di reperimento delle dosi e la sicurezza di alcuni tipi di vaccino, non può in alcun modo legittimare il trasferimento di funzioni mediche esclusive ad altre figure, sanitarie e no. Ne va soprattutto della salute dei cittadini, ma anche del significato di agire nel rispetto delle leggi.

 E’ quanto affermano i presidenti degli Ordini dei medici dell’Emilia-Romagna, che rivendicano la loro posizione di garanti della sicurezza delle cure e in ogni frangente considerano prioritaria la salvaguardia della salute della collettività.

Lo sostengono, in sintonia e a conforto delle posizioni della Federazione, in seguito alla disposizione legislativa che attribuisce funzioni proprie del medico a figure non mediche al fine di incrementare il numero di vaccinazioni. Amaggior ragione, dopo la presa di posizione della Federazione degli Ordini delle professioni infermieristiche inviata alle autorità governative, con cui s’invocano maggiori autonomie e un riconoscimento per l’aumento delle competenze, non solo in ambito vaccinale, ad oggi non consentite per specifica formazione e titolo abilitante.

 Pur considerando lodevole lo sforzo per l’ampliamento del numero delle sedi ove vaccinare, non è condivisibile la modalità con cui la politica ha fatto tali concessioni, sottolineano gli Ordini della Regione. Si intravvede, infatti, una deriva non necessaria e rischiosa, soprattutto a fronte di un sufficiente numero di medici tale da garantire ampiamente le vaccinazioni.

Va detto, al di fuori di ogni aspetto corporativo, che l’assenza del medico incide sulla qualità delle cure e sulla tutela della salute anche laddove, seppur in ruoli diversi e complementari, le professioni sanitarie sono chiamate a collaborare.

Le competenze mediche, quali la valutazione dello stato di salute del cittadino come pure la raccolta del consenso informato e il tempestivo intervento in presenza di effetti collaterali, non solo in ambito vaccinale, connotano di fatto l’atto medico. Analogamente, l’intervento in urgenza ed emergenza, sul piano dell’agire e delle responsabilità, si diversifica dalla sola “applicazione di rigidi protocolli”, aggiungono i presidenti Omceo.

È comunque necessario che tutte le figure interessate collaborino al buon funzionamento del sistema sanitario mettendo a frutto la loro specifica formazione, ciascuna nel proprio ruolo e responsabilità. Infatti, in forza di un semplice decreto non si giustifica il porre in essere atti medici senza uno specifico iter formativo in medicina e chirurgia.

 Riguardo la possibilità di inoculare un vaccino in assenza del medico, dopo l’apertura governativa ai farmacisti e al personale sanitario anche altre categorie professionali sanitarie stanno rivendicando, giustamente a loro modo di vedere, la stessa indipendenza e, visto il precedente, si legittima una “pericolosa e inaccettabile deregulation sanitaria” su cui è doveroso intervenire, concludono gli Ordini dei Medici ER

Gli Ordini dei Medici Chirurghi e Odontoiatri della Regione Emilia-Romagna firmatari

(Bologna, Forlì, Modena, Parma, Piacenza, Ravenna, Reggio Emilia e Rimini)

Covid-19, da chi potrà spostarsi ai tempi previsti ecco il passaporto vaccinale UE

(da Doctor33)   Certificato digitale di viaggio o "certificato digitale verde": è il nome "politicamente corretto" del passaporto vaccinale che l'Unione europea vorrebbe varare a giugno a beneficio dei cittadini che si spostano per lavoro o turismo e devono dimostrare di non essere portatori di coronavirus. Per la dimostrazione bisognerà attestare una delle seguenti tre condizioni: aver fatto il vaccino contro il Covid-19; essere guariti nei sei mesi precedenti con certificazione in tal senso; o essersi sottoposti a un tampone che attesti di non essere affetti dal virus. Sono tre iter diversi che stanno un po' complicando l'iter di approvazione della proposta inoltrata a marzo dalla Commissione Ue all'Europarlamento. Infatti, un minimo di uniformità nella modulistica degli stati membri sarebbe richiesto e allo stesso modo si richiederebbe l'informatizzazione dei sistemi ospedalieri di rilascio.
Nelle scorse ore il Commissario Ue al mercato interno, Thierry Breton alla tv francese ha sottolineato che l'entrata in vigore del certificato potrebbe spostarsi alla seconda quindicina di giugno, ma una cosa è certa: il certificato dovrà essere accettato nello stesso momento dappertutto in Europa. Prima, non è escluso un periodo di prova di "pass" negli stati membri, e l'Italia è in prima fila. In conferenza stampa il premier Draghi venerdì scorso, ha confermato che, se gli spostamenti tra regioni gialle saranno consentiti senza bisogno di autocertificazione, con un "pass" si potrà andare nelle regioni arancioni e rosse. In settimana dovrebbe tenersi una cabina di regia con il premier e le forze di maggioranza volta ad introdurre dal 26 aprile, data delle riaperture, una soluzione sostitutiva provvisoria interna quanto meno per gli spostamenti e per la partecipazione a eventi. Come ribadito nell'evento "Riapri Italia" organizzato da Fratelli d'Italia, unica forza di opposizione, il passaporto deve essere al primo posto nelle priorità del governo. E tre sono anche i criteri da seguire per introdurre il certificato in armonia con gli altri paesi europei come ha spiegato Carlo Fidanza, capodelegazione FdI all'Europarlamento: reciprocità di trattamento, volontarietà e riservatezza nella conservazione dei dati. Chi è in possesso di certificato andrà esentato da ogni restrizione alla libera circolazione in tutti i paesi in cui esiste una reciprocità in materia, e godrà degli stessi diritti del cittadino dello stato membro che va a visitare, a meno che quest'ultimo non giustifichi all'Unione europea eventuale decisione in senso contrario.
Il "certificato verde" europeo conterrà nome del portatore, data di nascita e di rilascio con modalità (ad esempio, informazioni sull'eventuale vaccinazione o tampone o sulla guarigione attestata dall'Asl). Sarà gratuito, nella lingua nazionale ed in inglese, disponibile su smartphone, avrà un codice Qr fotografabile, conterrà una firma digitale anti-falsificazione dell'autorità che lo rilascia, e sarà valido in tutti e 27 gli stati dell'Unione europea. Il criterio di rilascio è ancora da definire: secondo Bruxelles potrebbe assegnarlo l'autorità sanitaria locale, ad esempio attraverso l'hub che ha provveduto alla vaccinazione del cittadino, magari già all'uscita dalla seduta vaccinale. Più probabile che si riceva in un secondo tempo, in formato digitale scaricabile sul cellulare, o direttamente su carta. Il governo italiano con i Ministeri di Salute ed Innovazione valuta la possibilità di caricare i dati sulla tessera sanitaria, o di creare una card ad hoc ma serve un'infrastruttura digitale dedicata.
Per chi non avrà il vaccino o non ha contratto il virus lo spostamento non sarebbe comunque vietato, nemmeno a livello continentale. Nel sito dell'Unione europea si sottolinea che il certificato non costituirà un prerequisito per la libera circolazione, "che costituisce un diritto fondamentale nell'Ue": affermazione importante, considerando che difficilmente tutti i cittadini saranno vaccinati (o ex malati) per inizio estate, e che eventuali discriminazioni negli spostamenti potrebbero essere in odore di incostituzionalità. In altre parole, circoleranno per l'Europa anche cittadini senza vaccino né tampone né documentazione di aver contratto il virus, ma è evidentemente presumibile che in tal caso dovranno adattarsi ad eventuali condizioni poste dallo stato membro.

Corso FAD ECM ISS “Campagna vaccinale Covid-19: la somministrazione in sicurezza del vaccino anti SARS-CoV-2/Covid-19”

Il corso FAD "Campagna vaccinale Covid-19: la somministrazione in sicurezza del vaccino anti SARS-CoV-2/Covid-19" è RISERVATO al personale incaricato di somministrare il vaccino anti-Covid19 e di svolgere attività correlate alla somministrazione stessa (Medici, Farmacisti, Infermieri e infermieri pediatrici, Assistenti sanitari, Biologi, Fisioterapisti, Ostetriche/ci, Psicologi, Tecnici sanitari di laboratorio biomedico, Tecnici della prevenzione nell’ambiente e nei luoghi di lavoro, Odontoiatri. Personale amministrativo, Operatori di supporto (OSS) e Medici in specializzazione (del 1° e del 2° anno).

Ordini medici, ‘non solo furbetti del vaccino, politica ammetta responsabilità

(da Adnkronos Salute) - "Sicuramente ci sono i furbetti del vaccino che hanno 'saltato' la fila, scavalcato chi aveva più diritto a essere immunizzato. Quelli che si sono dichiarati volontari o si sono fatti passare per chi non erano. Ma il problema più grosso è politico: c'è stato un ministero della Salute che ha deciso un piano vaccinale. E poi c'è stato qualcuno che lo ha sovvertito interpretandolo liberamente. La responsabilità non può limitarsi ai furbetti". A dirlo, all'Adnkronos Salute, Filippo Anelli, presidente della Federazione nazionale degli Ordini dei medici e degli odontoiatri (Fnomceo), commentando i dati della Nucleo ispettivo regionale sanitario (Nirs) della Regione Puglia, secondo i quali tra tutti i vaccini fatti agli operatori sanitari 1 su 5 è andato a persone che non appartenevano alla categoria, "un dato non solo pugliese", dice Anelli.

"La politica si assuma la sua responsabilità ammettendo di aver interpretato diversamente il piano, anche pensando, probabilmente, di far bene", rincara Anelli che spiega: "ancora oggi ho segnalazioni di medici che non sono stati vaccinati, pur chiedendolo. Questo perché, in molti casi, c'è stato una libera interpretazione di chi amministra le Regioni. E' stato interpretato il 'socio sanitario', come abbiamo denunciato sin dall'inizio, come ospedale 'free Covid'. E' stato vaccinato così anche il personale amministrativo, prima che si completassero i medici e le altre categorie previste. Credo che sia stata una gravissima scorrettezza che ha messo in crisi l'intero impianto del piano vaccinale, al punto che chi aveva la priorità non è stato vaccinato. E ne parliamo ancora oggi". Infatti, "sono passati 4 mesi e ancora dobbiamo occuparci di quelli che dovevano essere vaccinati a gennaio, operatori sanitari, Rsa e ultraottantenni", conclude Anelli.

Trasmissione elenchi per l’adempimento degli obblighi vaccinali ex art. 4 DL 44/2021. Scadenza 6 aprile

Ai fini dell’applicazione della norma in oggetto, si chiede di trasmettere, entro il 6 aprile p.v., gli elenchi previsti dalla norma richiamata esclusivamente con le modalità pubblicate nel portale Salute del sito web della Regione Emilia-Romagna all’indirizzo https://salute.regione.emilia-romagna.it/art4dl44 ed esclusivamente utilizzando i format ivi presenti.
Si precisa che i nominativi degli operatori di interesse sanitario (esclusivamente Operatori socio-sanitari, Assistenti di studio odontoiatrico, Massofisioterapisti) devono essere inviati esclusivamente da strutture sanitarie, sociosanitarie, socio-assistenziali, pubbliche o private, farmacie, parafarmacie e studi professionali.

Obbligo vaccino per personale sanità.

(da Ansa.it)  Obbligo di vaccinarsi non solo per i medici a stretto contatto con i malati ma per tutto il personale che lavora in strutture sanitarie. E ancora: viaggi blindati a Pasqua, con quarantena obbligatoria al rientro per tutti gli italiani che decideranno di passare le vacanze in un altro paese europeo, niente zone gialle e stop agli spostamenti tra le regioni, coprifuoco alle 22, ritorno in classe in zona rossa, via libera ai concorsi pubblici, verifica a metà aprile per valutare l'eventuale allentamento delle misure. Il decreto legge che entrerà in vigore dal 7 aprile sarà nelle prossime ore sul tavolo del Consiglio dei ministri, dopo la mediazione del premier Mario Draghi tra l'ala rigorista della maggioranza e chi spingeva per le riaperture. Un decreto sul quale si sta ancora lavorando, in particolare su due punti: le norme relative ai medici e le modalità della verifica che dovrà esser fatta a metà mese.

PERSONALE SANITA' TUTTO VACCINATO O STOP STIPENDIO: La norma più 'fortè è sicuramente quella che prevede l'obbligo di vaccinazione per tutto il personale della sanità. In un primo momento si era valutato di disporre l'obbligo solo per i medici che lavorano a contatto con i malati ma l'ipotesi che si sta facendo strada in queste ore è di estendere il provvedimento a chiunque lavori in una struttura sanitaria: medici, infermieri, operatori sociosanitari, dipendenti di Rsa e studi privati. Il decreto indicherà anche delle sanzioni per chi rifiuta il vaccino: non ci sarà il licenziamento ma la sospensione dello stipendio per un tempo congruo all'andamento della pandemia. Quando si raggiungerà l'immunizzazione di massa o si registrerà un calo importante della diffusione del virus, la sanzione verrebbe revocata. Nel decreto ci sarà anche lo 'scudo penale' per i somministratori, limitando la punibilità ai soli casi di colpa grave.

Allergici meno sensibili all’infezione da Sars-Cov-2

(da Doctor33)   Le allergie respiratorie primaverili sono un disturbo in crescita che colpisce 1 italiano su 2. Quest'anno il fenomeno sarà complicato dall'impatto della pandemia in corso. È quanto è emerso da uno studio promosso da Assosalute (Associazione nazionale farmaci di automedicazione), parte di Federchimica, che ha fatto il punto sul tema insieme a Giorgio Walter Canonica, docente di Malattie dell'apparato respiratorio e direttore del Centro medicina personalizzata Asma e Allergologia - Istituto clinico Humanitas Milano. «Tra i sintomi più fastidiosi dell'allergia respiratoria spiccano gli starnuti, di cui si lamenta il 51% degli intervistati, seguiti dal fastidio agli occhi (46%), dal naso chiuso (36%), dalla lacrimazione (35%) e dal gocciolamento nasale (31%). Seguono tosse (23%) e spossatezza (14%)» ricorda Canonica.
«Chi soffre di forme di allergia ne è vittima un po' ovunque, sia all'aria aperta che in casa, anche in considerazione del fatto che almeno il 75% dei pazienti con più di 18 anni è poli sensibile e cioè risente dell'azione di più allergeni» aggiunge. Alla luce della pandemia in atto, c'è una buona notizia per i soggetti allergici che si sono dimostrati essere meno sensibili all'infezione da parte del Coronavirus. «Questo perché «il meccanismo immunologico che determina l'allergia ha un effetto di diminuzione dei recettori per il Coronavirus sulle cellule delle mucose respiratorie» spiega Canonica. «Ciò però non implica una conseguente esenzione dall'uso della mascherina e dalle altre pratiche volte a proteggersi dal virus da parte dei soggetti che soffrono di rinite allergica. Anzi, l'uso delle mascherine si è dimostrato efficace come barriera meccanica per una minore inalazione di pollini, e quindi a un minor fastidio per i soggetti allergici all'aperto». Trascorrendo più tempo in casa a causa delle restrizioni, tuttavia, è aumentata l'esposizione a polveri e umidità. «Passiamo molto più tempo in ambiente confinato (indoor) di quanto non facessimo precedentemente. Questo è stato accentuato dalla pandemia, con un aumento dell'esposizione agli allergeni in ambiente domestico, quali acari o certe muffe». All'opposto, il minor tempo trascorso all'aria aperta significa una ridotta esposizione ai pollini, diminuita anche dall'uso delle mascherine. Inoltre, le restrizioni imposte con forme differenziali di lockdown hanno segnato un abbassamento dei livelli di inquinamento: «Questo» afferma lo specialista «ha portato a una conseguente diminuzione dell'insulto alle mucose delle vie respiratorie derivante dalla qualità dell'aria: un altro fattore positivo per chi soffre di allergie respiratorie».

San Marino promuove Sputnik: giudizio positivo, Italia può fidarsi

(da AdnKronos)   Corrono le vaccinazioni nella Repubblica di San Marino anche grazie al vaccino Sputnik. "Abbiamo già fatto 9.860 vaccinazioni, 7.400 con Sputnik. Sono 8.607 per la prima dose. Il giudizio sul vaccino russo è obiettivo ed è positivo, anche se è presto per una considerazione finale. Ma è un vaccino di cui ci si può fidare. Per ora gli effetti avversi sono stati limitati e lievi, in linea con quelli degli altri vaccini (3-4%). Per lo più sindromi simil-influenzali, astenie, cefalee, della durata di 24-48 ore massimo 72 ore. Abbiamo avuto solo una reazione allergica che si è risolta con la somministrazione di un antistaminico cortisonico e il paziente tenuto in osservazione". Lo spiega all'Adnkronos Salute Sergio Rabini, direttore sanitario dell'ospedale di San Marino e responsabile della Sanità dello Stato sul monte Titano, facendo il punto sulla campagna vaccinale. "Ad oggi abbiamo coperto con le immunizzazioni il 27% della popolazione - riferisce - e abbiamo da poco iniziato con le prenotazioni della fascia 16-17 anni che verrà vaccinata con Pfizer, l'altro vaccino che stiamo usando insieme a Sputnik".   Ma come nasce l'accordo tra San Marino e la Russia per l'esportazione del vaccino? "A gennaio avevamo stipulato con il Governo italiano un memorandum che prevedeva una dose per noi ogni 1.700 che arrivavano in Italia. Poi ci sono stati i ritardi, i rallentamenti e quindi l'Ue si è trovata ad avere un quantitativo di dosi molto basso e ne abbiamo risentito anche noi a San Marino. Ci siamo ritrovati a metà febbraio in grave ritardo rispetto agli altri Paesi. Così, visti i buonissimi rapporti che noi abbiamo con la Russia, abbiamo pensato a Sputnik", racconta Rabini.

Dalla SIMG un interessante documento sulla terapia domiciliare dei casi di Covid-19

Caro Collega Presidente OMCeO,

in seguito ad un percorso di revisione critica della letteratura la SIMG ha pubblicato alcune raccomandazioni per il trattamento domiciliare della sindrome da COVID-19. Trattandosi di materia in forte evoluzione il documento verrà periodicamente aggiornato.

Si tratta di un documento perseguito con determinazione anche per fornire ai colleghi dei riferimenti di rapida consultazione e la possibilità di   approfondimento attraverso la bibliografia citata.

I ringraziamenti ai collaboratori sono in calce al documento.

Cordiali saluti

Luigi Galvano

Giunta esecutiva nazionale

SIMG

Vaccini, Anelli: sono requisiti per operatori sanitari

(da Ansa.it)   La sentenza del Tribunale di Belluno, che ha dichiarato legittima la sospensione, da parte di una Rsa, di operatori sanitari che avevano rifiutato la vaccinazione anti-Covid, «si muove nel solco di altre precedenti sentenze, che hanno dichiarato inidonei alla funzione i professionisti che non si vaccinano. Quello vaccinale, infatti, per gli operatori sanitari che lavorano a contatto con i pazienti, non è, o perlomeno non è ancora, un obbligo vero e proprio ma un requisito per svolgere questa attività professionale». Lo afferma all'ANSA il presidente della Federazione nazionale dei medici chirurghi e odontoiatri (Fnomceo), Filippo Anelli. «Se infatti, in carenza di una Legge specifica, nessun cittadino può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario, la Legge 81, per la Sicurezza sul Lavoro, e la Legge 24/2017 per la sicurezza delle cure - spiega Anelli - impongono, in situazioni particolari, agli operatori sanitari di vaccinarsi. E questo, sia per la sicurezza dell'operatore sia per la tutela dell'utenza, in particolare dei soggetti più fragili». Per quanto riguarda la sentenza di Belluno, i ricorrenti non erano medici. Per i medici, sottolinea, «la vaccinazione è anche un dovere deontologico, in quanto hanno il dovere etico di tutelare se stessi e gli altri. I vaccini sono presidi fondamentali perché hanno salvato milioni di vite e debellato malattie pericolosissime. Sono uno strumento fondamentale che la scienza ci mette a disposizione e del quale i medici, come componenti della comunità scientifica, devono avvalersi». Un medico che, «in mancanza di controindicazioni, rifiuta il vaccino - conclude il presidente Fnomceo - è come un ingegnere che rifiuta di progettare un ponte perché non si fida dei calcoli matematici».

Il ruolo del Mmg è decisivo per ridurre l’impatto dell’infezione da Covid-19 nei pazienti fragili

(da M.D.Digital)    Il medico di medicina generale (Mmg) che svolge un ruolo attivo nella gestione dei contatti con pazienti Covid è in grado di ridurre l'impatto dell’infezione sugli anziani e sui soggetti clinicamente più vulnerabili? Lo studio, pubblicato su 'BMJ Open': Strategy to reduce adverse health outcomes in subjects highly vulnerable to Covid-19: results from a population-based study in Northern Italy , con solidi dati statistici, risponde “sì” alla domanda.  Si tratta di uno studio di coorte retrospettivo sulla popolazione residente in provincia di Milano e Lodi (127.735 arruolati), di età superiore ai 70 anni, con condizioni croniche specifiche. Attraverso un algoritmo predittivo per rischio di mortalità globale, basato sulle caratteristiche demografiche e cliniche, gli arruolati sono stati stratificati in classi di livello di rischio di morte per infezione da Covid-19.

I pazienti con aumentato rischio di morte erano 127.735; i 495.669 pazienti non ad alto rischio non sono stati inclusi nell'intervento. Il gruppo ad alto rischio è stato assegnato al Mmg per il triage telefonico e la consultazione. La coorte ad alto rischio è stata divisa in due gruppi in base all'intervento: non contattati vs contattati. Tra i soggetti ad alto rischio, 79.110 sono stati inclusi, ma non contattati dai loro Mmg, mentre 48.625 sono stati inclusi e contattati dai medici di medicina generale. Le differenze tra il gruppo di intervento del Mmg attivo e il gruppo non trattato sono sorprendenti e hanno confermato un sistema informativo funzionante, particolarmente necessario nelle ondate epidemiche future. I pazienti ad alto rischio contattati dai Mmg infatti  hanno mostrato una riduzione del rischio del 50% di mortalità per Covid-19 e una riduzione del rischio del 70% di morbilità e ospedalizzazione per Covid-19 rispetto ai pazienti non contattati.  (https://www.md-digital.it/site/files/pdf/8509.pdf)

Odontoiatri vaccinatori: come aderire, le questioni da chiarire

(da Odontoiatria33)    Firmato nei giorni scorsi tra il Governo, le Regioni e le Province autonome e i rappresentanti istituzionali (CAO) e di categoria degli odontoiatri (AIO-ANDI-SUSO), il protocollo che definisce il coinvolgimento nella campagna vaccinale degli iscritti all’Albo degli Odontoiatri diventerà realmente operativo dopo gli accordi regionali con le singole CAO ed i sindacati e quando le dosi di vaccini saranno in una quantità tale da rendere necessario il coinvolgimento di “tutte le forze in campo” per vaccinare il maggior numero di persone nel minor tempo, come ricordato dal Ministro della Salute e dallo stesso presidente Draghi.  Con il presidente CAO Raffaele Iandolo abbiamo cercato di capire gli aspetti organizzativi e le questioni ancora non chiare, come le responsabilità. 

- Presidente Iandolo, perché il protocollo firmato con il Ministero della Salute per inserire anche gli odontoiatri nella campagna di vaccinazione è importante? 

E’ straordinariamente importante per una serie di motivi. Prima di tutto è la dimostrazione del fatto che il Ministero della Salute ci considera interlocutori essenziali nell’ ambito dell’assistenza sanitaria in Italia, dopo un lungo periodo in cui l’attenzione ministeriale era quasi esclusivamente rivolta agli attori del Servizio Sanitario Nazionale. Il Paese si rivolge anche a noi per chiederci aiuto in un momento di estrema difficoltà. Ci viene riconosciuto un ruolo fondamentale in termini di qualità, di organizzazione e di capillarità, tutti elementi che qualificano ulteriormente la nostra partecipazione alla campagna vaccinale, in un’ottica completamente diversa da quella adottata fino a poche settimane fa dalla precedente struttura commissariale nazionale. 

- Gli odontoiatri vaccinatori dovranno attivare una polizza assicurativa dedicata, quali sono le responsabilità? 

Bisogna scindere la responsabilità penale da quella civile. E’ necessario che uno scudo penale appositamente approvato per legge tuteli in tal senso tutti i vaccinatori. In questa direzione mi risulta che il Governo si stia attivando. In caso contrario il rischio di incorrere in problemi penali disincentiverà notevolmente odontoiatri e medici dall’ aderire alla campagna vaccinale.Per quanto attiene alla responsabilità civile è necessario essere coperti da una polizza che copra gli eventuali danni da somministrazione del vaccino anti COVID 19. La FNOMCeO ha sottoscritto apposita convenzione con costi accettabili, ma anche le associazioni di categoria stanno adoperandosi, allo scopo di integrare le polizze RC in essere con tale copertura in maniera assolutamente gratuita. Laddove ci fosse uno specifico accordo con le Regioni tale garanzia assicurativa sarà ricompresa in tale accordo. 

- Gli odontoiatri che si offriranno volontariamente potranno mettere a disposizione i propri studi oppure saranno chiamati a prestare la propria opera dalle Asl nei centri vaccinali? Potranno concordare giorni ed orari? 

Il protocollo lascia aperte entrambe le opzioni, lasciando l’ultima parola agli accordi che Commissioni Albo Odontoiatri e sindacati, nel rispetto dei ruoli, sapranno sottoscrivere nelle varie realtà regionali, con modalità che prevedano con precisione le modalità di partecipazione degli odontoiatri, compresi tempi, orari, quantità, qualità e sicurezza riguardanti le somministrazioni. 

- Chi volesse aderire come deve fare? 

Deve attendere che gli accordi regionali vengano resi pubblici e, da quel momento, comunicare la propria disponibilità tramite l’accesso al canale che verrà definito nell’ ambito di tale accordo, precisando tempi (giorni e ore), luogo e organizzazione scelti. Dopo aver frequentato l’apposito corso, gli saranno assegnate le dosi di vaccino come da opzioni da lui definite. 

- L’adesione è volontaria, perché gli odontoiatri italiani dovrebbero aderire? 

Se il Paese chiama, gli odontoiatri italiani, con la propria sensibilità ed in piena autonomia, sono chiamati a rispondere secondo le singole disponibilità e nelle quantità che riterranno di garantire. Noi ci adopereremo per incentivare le adesioni al fine di cercare, insieme a tutti i cittadini italiani, di unirci nello sforzo di portare l’Italia fuori dalla crisi pandemica. Quando questa battaglia avrà successo, una significativa parte di tale successo sarà da attribuire alla nostra fattiva partecipazione quali attori fondamentali nell’ ambito dell’assistenza sanitaria in Italia.

Vaccini Covid. Ema: “Pfizer, Moderna e J&J efficaci contro le varianti”

Lo ha detto Marco Cavaleri, responsabile della strategia vaccini dell'Ema, in audizione alla commissione Sanità del Parlamento europeo. “Secondo un piccolo studio su duemila casi, il vaccino AstraZeneca è risultato invece non efficace contro la variante sudafricana” ma è necessario attendere “studi più ampi”   Leggi L'articolo completo al LINK

http://www.quotidianosanita.it/scienza-e-farmaci/articolo.php?articolo_id=93522&fr=n

Attività motoria come rimedio a ansia e depressione da Covid

(da DottNet)   Se durante il lockdown dello scorso anno le persone avessero potuto mantenere gli stessi livelli di attività motoria, si sarebbero potuti evitare fino al 21% dei casi gravi di ansia o depressione. È il risultato più rilevante dell'indagine 'Io conto 2020' condotta fra studenti e dipendenti delle università di Pisa, Firenze, Torino, Genova e Messina, pubblicato sulla rivista scientifica 'Plos One'.   Lo studio, spiega una nota, coordinato dall'Università di Pisa, ha consentito di raccogliere informazioni relative allo stile di vita della popolazione universitaria durante il lockdown tra aprile e maggio 2020 tramite un sondaggio online a cui hanno partecipato 18.120 tra studenti, docenti e personale tecnico-amministrativo delle università partecipanti.    Il risultato pubblicato su 'Plos One' riguarda l'analisi dei dati relativi al disagio psicologico dei partecipanti da cui è risultato che elevati livelli di ansia o depressione erano presenti con maggiore frequenza fra gli studenti, fra i partecipanti con un basso reddito e fra coloro che, durante il lockdown, hanno interrotto la pratica dell'attività fisica.    Rispetto a coloro che sono sempre stati inattivi, chi è riuscito a praticare con continuità attività fisica durante il lockdown ha avuto un rischio ridotto del 20% di soffrire di ansia e depressione, mentre chi ha interrotto la pratica dell'esercizio fisico ha avuto un rischio maggiore del 50%. Gli autori del lavoro hanno appunto stimato che, se durante il lockdown si fossero potuti mantenere gli stessi livelli di attività fisica, si sarebbero potuti evitare fino al 21% dei casi gravi di ansia o depressione.

Lotto sospeso vaccino Astrazeneca, la Società Italiana di Igiene: “Ci vuole prudenza, ma il vero nemico è il COVID-19 non le vaccinazioni”

(da DottNet)“Bisogna adottare la giusta prudenza. Il vero nemico di questa pandemia è il SARS-CoV-2 e non la vaccinazione”. È questo il messaggio che la Società Italiana di Igiene, Medicina Preventiva e Sanità Pubblica (SItI) ha voluto veicolare a seguito del ritiro del lotto ABV2856 del vaccino anti Covid_19 di Astra Zeneca.

La probabilità – dichiara il Dr. Antonio Ferro, Presidente della Società Italiana di Igiene, Medicina Preventiva e Sanità Pubblica – di avere eventi avversi gravi, dopo essersi vaccinati, sono esattamente le stesse di coloro che ricevono, come ‘vaccino’, una soluzione placebo. E’ quello che è emerso dagli studi scientifici che hanno autorizzato i vaccini contro Covid 19 attualmente in commercio. È estremamente improbabile, quindi, che si verifichino trombosi a seguito di una vaccinazione. Viene comunque tenuto tutto sotto controllo per indagare ciò che accade, procedendo anche con scrupolose verifiche del caso per analizzare ciò che è contenuto nel vaccino ed escludere il decesso a seguito della vaccinazione. I due casi che si sono verificati recentemente, molto vicini tra loro, dimostrano come il tutto non sia legato da un rapporto causa-effetto (a seguito della vaccinazione), ma molto probabilmente dalla propensione delle due persone di essere colpite da quella patologia”. Aifa ha comunicato che al momento non esiste alcun nesso di casualità.

Bisogna quindi procedere adottando la giusta prudenza, ma l’auspicio della Società Italiana di Igiene è che si continuino le vaccinazioni anche con questo vaccino che è già stato somministrato a più di 8 milioni di persone con risultati di sanità pubblica straordinari e con reazioni collaterali equivalenti se non inferiori a quelle del vaccino Pfizer. Teniamo sempre ben presente che, se si dovessero mettere sulla bilancia i “rischi” derivanti dal contrarre il Coronavirus o dall’assunzione del vaccino, sarebbe sempre da privilegiare il vaccino.

Medici internisti Fadoi, ‘troppa burocrazia intralcia vaccinazioni’

(da Adnkronos Salute) - "Sui vaccini una burocrazia imperante sta distogliendo i medici, ospedalieri e di famiglia, da quelli che dovrebbero essere i loro veri compiti: curare e, per l'appunto, vaccinare". A denunciare "il peso dei tanti adempimenti amministrativi che distraggono i medici dalle loro attività assistenziali" è Dario Manfellotto, presidente della Fadoi, la Federazione dei medici internisti ospedalieri che "hanno in carico il 70% dei pazienti Covid - ricordano - hanno aderito al 100% alla vaccinazione e sono in prima fila nella campagna vaccinale" anti-Covid.      Il presidente Draghi, evidenzia la Fadoi in una nota, proprio ieri ha sottolineato la necessità di privilegiare nella profilassi anti-Covid le persone più fragili e le categorie a rischio. "Però la selezione delle persone estremamente vulnerabili, che giustamente insieme agli ultraottantenni devono avere accesso privilegiato all'immunizzazione - spiega Manfellotto - viene richiesta da Regioni e Asl imponendo una procedura burocratica eccessiva con la richiesta di dati anagrafici, codice fiscale, codici di esenzione e altre informazioni che dovrebbero essere invece già a portata di click delle aziende sanitarie, se non fosse che solo un quarto dei fascicoli sanitari elettronici sono stati implementati con le informazioni sanitarie complete su ciascun assistito".   "Purtroppo questi dettagli prevalgono sulla valutazione clinica dei medici", osserva il numero uno della Fadoi che aggiunge: "Oggi è di nuovo il momento del 'whatever it takes'. Non lasciamo prevalere il 'whatever it blocks' della burocrazia", invita, parafrasando le parole più note di Mario Draghi.     "L'impressione" del presidente degli internisti ospedalieri italiani "è che tutta questa burocrazia serva a mascherare il problema irrisolto della carenza dei vaccini e i criteri poco uniformi con i quali vengono distribuiti e somministrati, e a guadagnare tempo nell'attesa delle forniture di vaccini. E' chiaro che bisogna dare delle priorità, ma bisogna indicare veri e propri criteri clinici condivisi e di facile applicazione".   "Mi chiedo infatti - riflette Manfellotto - che senso abbia ad esempio aprire le prenotazioni per immunizzare gli over 70 quando fino ad oggi è stato vaccinato appena il 23% degli ultraottantenni. Il ministero della Salute ha stilato una lista delle priorità in base al livello di esposizione al rischio: si segua quella senza creare ulteriore confusione e perdite di tempo. Abbiamo sempre affermato la necessità di un coordinamento unico per affrontare l'emergenza Covid. La nostra piena disponibilità al lavoro del generale Figliuolo - conclude il numero uno della Fadoi - nella speranza che semplifichi i percorsi e agevoli il lavoro di noi medici".

Vaccino, Aifa: ricavare più dosi possibile da ogni fiala

(da AdnKronos)  "Si sottolinea l'opportunità di cercare di ricavare il maggior numero possibile di dosi da ciascun flaconcino di vaccino" anti-Covid, "fatta salva la garanzia di iniettare a ciascun soggetto la dose corretta e la disponibilità di siringhe adeguate". E' quanto indica l'Agenzia italiana del farmaco, "secondo il parere espresso dalla Commissione tecnico scientifica (Cts) il 4 marzo 2021".  L'Aifa, che affronta il tema del numero di dosi da ricavare per flaconcino nello spazio dedicato alle domande e risposte sui vaccini anti-Covid, ribadisce anche un punto fermo: "Resta inteso - spiega l'ente regolatorio italiano - che eventuali residui provenienti da flaconcini diversi non potranno essere mescolati".

Tar Lazio contro Aifa: i medici hanno il diritto di prescrivere farmaci idonei

(da DottNet)   Lo scorso dicembre l'Aifa ha diffuso un documento destinato in particolare ai medici di famiglia, con le linee guida da osservare con un paziente nella fase inziale della malattia. Il testo"principi di gestione dei casicovid19 nel setting domiciliare"  precisava, tra l'altro, che nei primi giorni di malattia da Sars-covid, ci debba essere unicamente una "vigilante attesa" e somministrazione di fans e paracetamolo, e nella parte in cui pone indicazioni di non utilizzo ditutti i farmaci generalmente utilizzati dai medici di medicina generaleper ipazienti affetti da covid. Ma il Tar del Lazio, in seguito al ricorso di alcuni medici, ha emesso un'ordinanza(https://www.dottnet.it/file/99920/ordinanza-tar-mmg-aifa/) che di fatto smentisce le linee guida dell'Aifa, non nel contenuto, ma nella forma.    Per il Tribunale amministrativo, infatti, così si viola il diritto e dovere del medico di prescrivere i farmaci più idonei: “Considerato che, a una valutazione sommaria propria della fase cautelare, il ricorso appare fondato, in relazione alla circostanza che i ricorrenti fanno valere il proprio diritto/dovere, avente giuridica rilevanza sia in sede civile che penale, di prescrivere i farmaci che essi ritengono più opportuni secondo scienza e coscienza, e che non può essere compresso nell’ottica di una attesa, potenzialmente pregiudizievole sia per il paziente che, sebbene sotto profili diversi, per i medici stessi”.

Covid-19, Cricelli (Simg): no al criterio dell’età. Le nostre proposte per stabilire chi vaccinare prima

(da Doctor33)    Per individuare le categorie da vaccinare per prime contro il Covid-19 è erroneo usare il criterio dell'età e della fragilità ad essa presumibilmente legata. I decessi arrivano tra i pazienti vulnerabili a partire dai 60 anni, (qualcosa di meno tra i maschi), affetti da malattie croniche la cui gravità, pur in parte legata all'età, è intercettabile e misurabile dal medico di famiglia. A quest'ultimo, più che alle tabelle ministeriali, andrebbe quindi affidato il compito di individuare i soggetti vulnerabili da avviare per primi alla vaccinazione. Lo spiega Claudio Cricelli presidente della Società italiana di medicina generale-Simg in una lettera al ministro della Salute Roberto Speranza dove chiede tra l'altro di consentire ai medici di famiglia di "utilizzare e prescrivere tutte le risorse terapeutiche e tutti i farmaci - ad esempio per diabete e Bpco - sinora riservati alla prescrizione degli specialisti" in quanto a tutti i malati cronici andrebbe garantito il diritto di accesso "attraverso il loro Mmg a farmaci e terapie indispensabili per la buona cura delle cronicità e fortemente protettivi e decisivi contro Covid 19".
Utilizzando i dati relativi ad ospedalizzazioni e decessi per Covid relativi a un campione di 5 milioni di assistiti, la Simg in un Rapporto steso con ricercatori dell'Università Cattolica del Sacro Cuore ha operato il procedimento inverso a quello del ministero della Salute, che aveva diviso in sei categorie sulla base delle statistiche anagrafiche i pazienti sui quali intervenire con i vaccini dopo gli over 80 anni. L'idea "governativa" di dare la precedenza alle persone estremamente vulnerabili per danno d'organo o patologia grave, poi ai 70-79enni, di qui ai malati cronici e infine ai 65-69enni e al resto della popolazione, fa in realtà riferimento alle liste anagrafiche e alla presunzione di una generica fragilità legata ad età, sesso e al più a patologie intercorrenti visualizzate nelle banche dati assistito delle (poche) regioni che le hanno. "In Simg abbiamo fatto il percorso contrario, siamo andati a vedere quali patologie pregresse avevano i nostri pazienti che una volta contratto il coronavirus hanno sviluppato malattia grave e sono stati ospedalizzati, costruendo un nesso causa-effetto non presuntivo, ma legato a reali situazioni di vulnerabilità che hanno portato ad un maggior rischio reale e ad una maggiore letalità Covid correlata", spiega Cricelli a Doctor 33. A Speranza sono stati inoltrati dati di Health Search, il database dei medici Simg, sugli impatti delle malattie croniche su mortalità ed ospedalizzazione, dalla cui pesatura origina un indice di morbidità molto sofisticato ma agevole da calcolare che tiene conto dell'osservazione diretta della popolazione degli studi dei medici di famiglia.
"Non serve una classica classificazione del rischio ma un'analisi su eventi reali. I fattori di rischio che abbiamo riscontrato sui nostri pazienti Covid-19 - diabete, obesità, e poi altre patologie croniche - non sono esattamente le stesse malattie citate dalle raccomandazioni ad interim del Ministero né sono sovrapponibili alle sei categorie ministeriali. Non alla prima, che riguarda malati con danno d'organo molto grave e compromissione del sistema immunitario, situazioni circoscritte (e talora fuori del raggio della medicina generale ndr), né alle altre categorie, scalate per età". Seguendo il ragionamento di Cricelli, le categorie di vulnerabilità Simg non sono del tutto sovrapponibili nemmeno alla quarta categoria che inquadra 11 milioni di 16-69enni con generiche cronicità acclarate da esenzioni, con presunto rischio aumentato se infettati da Covid-19. "La nostra sorveglianza deve orientarsi a tutta la popolazione generale", sintetizza Cricelli. "Solo noi possiamo sapere se un sessantenne con quattro patologie recenti e un'esenzione in fieri sia più vulnerabile di un assistito ugualmente cronico con qualche anno in più e debba avere la precedenza nel vaccino". Cricelli nella lettera chiede dunque al Ministro di fornire indicazioni per inserire tra le priorità nel piano vaccinale i pazienti che al rischio costituito da età, sesso, mono o plurimorbilità correli quello di "vulnerabilità e letalità per Covid 19 riscontrato a partire dai dati su ospedalizzazioni e decessi, facilmente calcolabile dai Software di cartella clinica di oltre 29 mila medici italiani".
Quella di Simg non è la sola richiesta di modificare le priorità sancite dal Ministero giunta in questi giorni dal mondo medico. Un gruppo di studio dell'Università di Milano Bicocca guidato dal professor Gianni Corrao ordinario di Statistica medica ha calcolato l'indice di fragilità che correla a un maggior rischio di letalità da Covid incrociando le categorie a rischio per una o più patologie croniche censite dalle banche dati assistito di Lombardia, Sicilia, Valle d'Aosta, Puglia e Marche, un totale di 16 milioni di abitanti, censendo anche i tamponi, i ricoveri e i decessi per Covid, quindi con un percorso in parte simile a quello Simg. Ha così identificato 23 condizioni patologiche a maggior rischio, tra le quali se ne evidenziano alcune non esplicitate nelle tabelle ministeriali ma ugualmente letali quali epilessia e Parkinson, attuale terapia con oppioidi, fragili in trattamento per disturbi mentali, malattie che richiedono trattamenti prolungati con corticosteroidi, artrite reumatoide, lupus, anemia, gotta. Infine, il presidente della Società italiana di cardiologia, professor Ciro Indolfi, chiede di mettere in prima fila i malati cardiologici, oncologici ed ematologici, sia perché talora grandi dimenticati a causa dell'emergenza Covid, sia perché una ricerca della Società europea di cardiologia conferma come i pazienti con insufficienza cardiaca, avendo rischio doppio, risulterebbero prioritari rispetto agli altri pazienti cardiologici.

Covid. Soggetti obesi rispondono meno al vaccino.

Lo evidenziano i dati dello studio dell’Istituto Nazionale Tumori Regina Elena (Ire) e dell'Istituto Dermatologico San Gallicano (Isg) di Roma condotto su 250 operatori sanitari vaccinati. A fronte di una buona risposta anticorpale al vaccino nel 99% dei vaccinati (risultati migliori tra le donne e i più giovani) la risposta si è dimezzata nei soggetti sovrappeso o obesi. Leggi L'articolo completo al LINKhttp://www.quotidianosanita.it/scienza-e-farmaci/articolo.php?articolo_id=93047&fr=n

Uno spray nasale potrebbe impedire il contagio da Sars-CoV-2

(da Doctor33)    Un antivirale a base di lipopeptidi da spruzzare nel naso è stato in grado di bloccare la trasmissione di Sars-CoV-2 nei furetti, e potrebbe prevenire l'infezione nelle persone esposte al nuovo coronavirus, comprese le varianti più recenti, secondo uno studio pubblicato su Science. «Le persone che non possono essere vaccinate o che non sviluppano l'immunità potranno trarre particolare beneficio dallo spray. L'antivirale è facilmente somministrabile e, sulla base della nostra esperienza con altri virus respiratori, darebbe una protezione immediata che potrebbe durare per almeno 24 ore» spiegano Matteo Porotto, della Columbia University e della Università della Campania Luigi Vanvitelli, Caserta, e Anne Moscona, della Columbia University, autori senior dello studio.
Il lipopeptide antivirale è poco costoso da produrre, ha una lunga durata di conservazione e non necessita di refrigerazione, e proprio per queste caratteristiche si distingue dagli altri approcci antivirali in fase di sviluppo, inclusi molti anticorpi monoclonali, e potrebbe essere particolarmente utile nelle popolazioni rurali, a basso reddito e difficili da raggiungere. Porotto e Moscona hanno precedentemente creato lipopeptidi simili per prevenire l'infezione di cellule da altri virus, e quando è emerso Sars-CoV-2, hanno adattato i loro progetti alla nuova minaccia. I lipopeptidi agiscono impedendo a un virus di fondersi con la membrana cellulare del suo ospite. Per fondersi, il nuovo coronavirus dispiega la sua proteina spike prima di contrarsi in un fascio compatto. Il composto riconosce lo spike di Sars-CoV-2, si incunea nella regione dispiegata e impedisce alla proteina spike di adottare la forma compatta necessaria per la fusione. Negli esperimenti sui furetti, il lipopeptide è stato somministrato nel naso di sei furetti. Coppie di furetti trattati sono stati quindi sistemati in gabbie con due furetti di controllo che avevano ricevuto uno spray nasale salino, e un furetto infettato da Sars-CoV-2. Dopo 24 ore, nessuno dei furetti trattati è stato contagiato, mentre tutti gli animali di controllo sono risultati altamente infetti. Il lipopeptide è stato testato anche su cellule infettate con una gamma di varianti Sars-CoV-2, e ha funzionato in maniera efficace. Gli autori sperano di passare presto a test sull'uomo.
(Science 2021. Doi: 10.1126/science.abf4896   http://doi.org/10.1126/science.abf4896 )

Certificati Inail per Covid, quando li deve redigere il medico di famiglia. Una circolare fa il punto

(da Doctor33)   «Non mi è capitato di avere richieste di "aperture" di pratiche infortunisiche da pazienti operativi in ospedali o Rsa contagiati dal Covid sul posto, né colleghi mi hanno riferito di situazioni di questo tipo e del carico di lavoro da esse comportato. In ogni caso due sono le certezze: al paziente occorre una pratica Inail per malattia contratta sul luogo di lavoro, ma dall'altra parte con l'Inail l'interlocuzione è assai complessa». Enrico Terni, medico di medicina generale e del lavoro, nonché segretario organizzativo del sindacato Fismu in Lombardia, ha presenti le sporadiche denunce, anche sui media, di lavoratori delle mense ospedaliere, infermieri, operatori di Rsa, che aprono pratiche infortunistiche «in genere con il medico del lavoro della struttura, dell'Asst, dell'Ats, e di recente è aumentato anche il carico di questa categoria presso le residenze per anziani. Ma per il medico del territorio è cosa diversa, tutt'al più ci occupiamo di prosecuzioni e chiusure».
È chiaro che anche il medico di famiglia può essere chiamato a redigere un certificato di questo tipo. In merito, la circolare Inail 13 del 3 aprile 2020 equipara i contagi di Covid-19 avvenuti sul lavoro a infortuni se la malattia è di durata superiore a 3 giorni e si rivolge non solo a personale sanitario, ma anche a cassieri, banconisti, personale dei reparti infettivi, tecnici e portantini. In quel caso il medico di famiglia o riempie il format informatico dell'Inail aspettando un compenso che non c'è più o redige privatamente.
Un po' di storia - Dalla seconda metà degli anni Duemila in forza di una convenzione con l'Inail i medici di famiglia non dovevano più fare certificati Inail privati ma erano pagati per un massimo di 3 moduli inviati (apertura, prosecuzione, chiusura) euro 27,50 a prestazione più 5 per l'invio online. Successivi ritardi nei pagamenti e la conseguente disdetta della convenzione (mai firmata da alcune sigle) nel 2009 riportò la questione allo stato precedente, con certificati privati e tensione tra Inail, medico, lavoratore. Una norma nella Finanziaria 2019 (commi 526-533) ha cambiato ancora, tutto disponendo che 25 milioni dal bilancio Inail siano destinati nel Fondo sanitario nazionale alla quota capitaria del medico di famiglia convenzionato e del medico di pronto soccorso, altra grande categoria coinvolta nella redazione di questi certificati. «È stato disposto un trasferimento di somme senza contrattazione, sono 25 milioni da dividere tra circa 60 mila medici, a occhio e croce 3-4 centinaia di euro annui per tutti, che non tengono conto del numero dei certificati redatti dal medico né della complessità delle situazioni affrontate. I medici di pronto soccorso hanno accettato, mentre noi medici di famiglia siamo in mezzo al guado, anche perché nel frattempo non è intervenuta alcuna interlocuzione tra l'Inail e la Sisac, la struttura che firma le convenzioni e dovrebbe ripartire lo stanziamento per la categoria», dice Terni. «Tuttavia dal 2019 nessun compenso può essere richiesto dal medico agli assistiti per il rilascio dei certificati medici di infortunio o malattia professionale in libera professione».
Ultimi sviluppi - Lo scorso ottobre, la sezione lombarda di Fismu guidata da Francesco Falsetti, fondatore del sindacato Unione medici italiani poi confluito nella sigla, ha inviato una diffida alle sedi Inail che chiedevano la certificazione dei Mmg, indicando che serve prima un riparto dei fondi stanziati fra medici dipendenti e convenzionati, proposto dal Ministero della Salute ed approvato dalle Regioni. Peraltro, "se da un lato risulta cogente il divieto per i medici di effettuare le certificazioni in oggetto in regime di libera professione, non altrettanto può dirsi circa l'obbligo di tali certificazioni in carenza di un Accordo nazionale per i medici di medicina generale stipulato con Sisac che le preveda e le disciplini". «A quanto ne so, pochi medici di famiglia mantengono un collegamento informatico con l'Inail per l'invio di queste certificazioni», afferma Terni. «Chi volesse venire incontro al paziente senza rispedirlo dal medico Inail, poiché ravvisa gli estremi del contagio professionale, o continua a certificare online gratis o prende un foglio di carta bianca descrivendo gli estremi della situazione che gli viene denunciata, in una breve relazione da far girare all'Istituto a cura del lavoratore, che faciliterà la stesura del certificato al medico Inail e l'iter al lavoratore stesso. In genere l'Istituto accetta una relazione ben circostanziata. E questo varrà finché non saranno definiti i criteri per erogare le somme Inail in quota capitaria». Dopodiché, una volta che le convenzioni saranno ridisegnati con lo stesso "quantum" per tutti, «ognuno di noi redigerà i certificati telematici per i propri pazienti e non credo proprio per quelli degli altri colleghi».

Vaccino: AstraZeneca, raccomandato uso anche contro varianti

(da AGI)  "L'EU consente la somministrazione di due dosi del vaccino in un intervallo da quattro a 12 settimane. Questo regime si è dimostrato sicuro ed efficace negli studi clinici nella prevenzione del Covid-19 sintomatico, senza casi gravi e senza ricoveri oltre 14 giorni dopo la seconda dose. Il gruppo consultivo strategico di esperti sull'immunizzazione (Sage) dell'Oms ha raccomandato un intervallo di somministrazione da otto a 12 settimane. Inoltre, hanno anche raccomandato l'uso del vaccino nei paesi in cui sono prevalenti nuove varianti, inclusa la variante B1.351 sudafricana". Così in una nota la multinazionale AstraZeneca in relazione all'autorizzazione all'uso di emergenza rilasciata oggi dall'Oms per il vaccino anti-Covid. "AstraZeneca e SII - prosegue l'azienda - lavoreranno ora con lo strumento Covax per iniziare a fornire il vaccino in tutto il mondo, con la maggioranza che si recherà il più rapidamente possibile nei paesi a reddito medio e basso. Nella prima metà del 2021, si spera che più di 300 milioni di dosi del vaccino saranno rese disponibili a 145 paesi attraverso Covax, in attesa di sfide operative e di fornitura. Queste dosi saranno assegnate equamente secondo il quadro di allocazione Covax".

Covid-19, una dose di vaccino ai guariti. L’ipotesi si fa strada. Ecco perché

(da Doctor33)    Un soggetto guarito sviluppa un certo grado di immunità, che al momento si stima possa perdurare almeno 6 mesi. È a partire da questo presupposto che si sta facendo largo tra gli esperti l'ipotesi di somministrare una sola dose di vaccino anti-Covid, senza dunque effettuare il richiamo, alle persone che già hanno contratto la Covid-19 in forma sintomatica. L'idea è supportata anche dai primi studi scientifici e approda ora all'esame di tavoli tecnici mentre si apre un confronto anche con l'Agenzia italiana del farmaco.
Ad oggi, non sono disponibili linee guida consolidate a livello internazionale sulla questione e le strategie adottate variano nei diversi Paesi. La vaccinazione ai guariti non ha una controindicazione secondo le autorità sanitarie, ma la stessa Organizzazione mondiale della sanità ha recentemente raccomandato di posticipare la somministrazione del vaccino a chi si è contagiato in una situazione di scorte limitate di vaccini anti-Covid. Secondo l'Aifa, la vaccinazione non contrasta con una precedente infezione da Covid-19, anzi potenzia la sua memoria immunitaria, per cui non è utile alcun test prima della vaccinazione. Tuttavia, rileva l'Agenzia, coloro che hanno avuto una diagnosi di positività a Covid-19 non necessitano di una vaccinazione nella prima fase della campagna vaccinale, mentre questa potrebbe essere considerata quando si otterranno dati sulla durata della protezione immunitaria. Sicuramente, posticipare l'immunizzazione o non effettuare il richiamo ai guariti consentirebbe di avere a disposizione un gran numero di dosi da destinare ad altre categorie prioritarie. La Francia, ad esempio, si sta orientando in questa direzione.
Favorevole a tale strategia è l'immunologo Alberto Mantovani, professore emerito di Patologia e direttore scientifico dell'Istituto Irccs Humanitas di Milano. All'Humanitas, ha spiegato intervenendo a "Che tempo che fa" su Rai3, "abbiamo pubblicato un lavoro due settimane fa, coordinato da Maria Rescigno, in cui abbiamo osservato che nelle persone che hanno avuto Covid, nella prima dose di vaccino c'è una risposta straordinaria del livello di anticorpi. In parallelo, l'esperto Florian Krammer ha pubblicato un lavoro praticamente identico e sono usciti altri 3 lavori negli Usa con lo stesso massaggio". Questi lavori, ha affermato, "suggeriscono che vada seriamente considerata l'ipotesi di dare una sola dose a chi ha già avuto Covid sintomatico per due motivi: il primo motivo è per il bene di chi viene vaccinato e per risparmiare tossicità e il secondo perché questo ci dà centinaia di migliaia, forse 1 milione di dosi di vaccino in più".
Sulla stessa linea anche Massimo Galli, direttore del dipartimento Malattie infettive all'Ospedale Sacco di Milano, secondo il quale le persone guarite da Covid "non andrebbero vaccinate". È infatti "verosimile - chiarisce - che i guariti mantengano una risposta immunitaria anche a lungo, e attualmente vediamo che in questi soggetti tale risposta è molto buona". Inoltre, avverte, "in alcuni casi si sono viste delle reazioni più pesanti in soggetti guariti e vaccinati. Non si tratta di reazioni gravi o che richiedono ospedalizzazione ma non sappiamo come potrebbe ad esempio rispondere l'organismo di un soggetto anziano in questa situazione". Il punto, conclude Galli, è che "credo si vaccini a tappeto anche per una questione di semplicità organizzativa, ma questo equivale ad una dichiarazione di incapacità di saper distinguere tra situazioni diverse".

Origine Covid-19, Oms: I dati riconducono ad un’origine animale. Improbabile incidente da laboratorio

(da Doctor33)   Le informazioni raccolte dalla missione congiunta Oms e Cina a Wuhan «suggeriscono che l'origine del coronavirus è animale», ma «la ricerca per la possibile rotta di penetrazione del virus nelle specie animali è ancora un lavoro in corso d'opera». Lo ha dichiarato il capo della missione dell'Oms a Wuhan, Peter Ben Embarek, in una conferenza stampa nella città cinese, primo focolaio del coronavirus. «Un salto diretto dai pipistrelli agli umani non è probabile», ha spiegato, visto che a Wuhan e dintorni non vi è una grande popolazione di questi animali. Rimane in piedi l'ipotesi pangolini e felini come primi portatori del coronavirus, ma l'Oms ha consigliato di andare avanti con gli studi a riguardo.   Embarek ha ammesso che la missione sul campo «non ha stravolto le convinzioni che avevamo prima di cominciare» circa le origini del virus ma, ha proseguito, si sono aggiunti «dettagli cruciali». Il funzionario Oms ha poi sottolineato nel corso della spiegazione che non si è riusciti a scoprire come il virus sia entrato nel mercato Huanan di Wuhan, epicentro del primo focolaio noto della malattia, a fine 2019. «Non abbiamo trovato prove di grandi focolai che possano essere collegati prima di dicembre (2019) a Wuhan - ha detto -. Siamo anche d'accordo sul fatto che troviamo una più ampia circolazione del virus a Wuhan a dicembre, non solo limitata al mercato di Huanan» «La possibilità che la diffusione del nuovo coronavirus derivi da «un incidente collegato a un laboratorio» è «estremamente improbabile». Embarek ha identificato, invece, altre ipotesi ritenute più probabili per la diffusione del virus, tra cui la trasmissione da specie animali e attraverso la catena dei prodotti alimentari surgelati.
«Sappiamo che il virus può sopravvivere nei cibi surgelati, ma non sappiamo ancora se da questi si può trasmettere all'uomo. Su questo servono più ricerche», ha sottolineato. «L'ipotesi che il Covid attraverso il commercio di prodotti surgelati è possibile ma molto lavoro deve essere ancora fatto in questo ambito», ha aggiunto. L'ipotesi di un virus uscito dal laboratorio dell'Istituto di Virologia di Wuhan è stata lo scorso anno al centro dei sospetti internazionali, e soprattutto degli Stati Uniti, come possibile origine della pandemia di Covid-19, ed è sempre stata smentita da Pechino

La scuola in presenza non è un rischio se si rispettano le regole. Il punto dei Cdc

(da Doctor33)   Secondo gli esperti dei Centers for Disease Control and Prevention (Cdc) degli Stati Uniti, la riapertura delle scuole in presenza può avvenire in sicurezza, purché vengano prese alcune precauzioni. In un editoriale pubblicato su Jama, Margaret Honein, del Covid-19 Response Team dei Cdc, e il suo gruppo di ricerca spiegano che le prove disponibili basate sul semestre autunnale indicano che la scuola in presenza è sicura a patto che tutti indossino la mascherina e seguano le linee guida di distanziamento sociale, e che vengano limitate attività quali gli sport indoor e le interazioni di gruppo, ritenute rischiose.   Secondo gli esperti, i funzionari locali dovrebbero prendere in considerazione invece l'idea di chiudere ristoranti al coperto, bar e palestre scarsamente ventilate per assicurarsi che la trasmissione di Covid-19 rimanga bassa in tutta la comunità. Gli autori dell'editoriale sostengono di aver trovato poche prove che le scuole causino un tipo di epidemia come quella osservate nelle case di cura e negli ambienti affollati, come gli impianti di confezionamento della carne. Nelle scuole che hanno riaperto in presenza, infatti, la maggior parte dei casi di Covid-19 proveniva da riunioni sociali all'esterno, non dalla frequenza scolastica. A questo proposito, uno studio pubblicato su Morbidity and Mortality Weekly Report dei Cdc, diretto da Amy Falks, della Aspirus Doctors Clinic, Wisconsin Rapids, e del Medical College of Wisconsin-Central Wisconsin, ha mostrato che le scuole nel Wisconsin rurale con un elevato utilizzo di mascherine avevano tassi di Covid-19 inferiori rispetto alla comunità circostante. Una didattica mista tra presenza e a distanza sembra al momento l'opzione migliore, in modo da limitare il numero di persone presenti contemporaneamente in una stanza e prevenire l'affollamento, e considerando che alcuni membri del personale e degli studenti continueranno ad avere bisogno di opzioni online, soprattutto se affrontano rischi elevati di Covid-19 grave. «Le decisioni prese oggi possono aiutare a garantire il funzionamento sicuro delle scuole e a fornire servizi fondamentali a bambini e adolescenti negli Stati Uniti. Alcune di queste decisioni possono essere difficili, ma impegnarsi oggi in politiche che impediscono la trasmissione nelle comunità e nelle scuole contribuirà a garantire il futuro benessere sociale e accademico di tutti gli studenti» concludono gli esperti.
(JAMA 2021. Doi: 10.1001/jama.2021.0374    http://doi.org/10.1001/jama.2021.0374
MMWR 2021. Doi: 10.15585/mmwr.mm7004e3   
http://dx.doi.org/10.15585/mmwr.mm7004e3  )

Covid, dall’Enpam un’indennità straordinaria per gli iscritti immunodepressi

(da enpam.it)    L’Enpam sosterrà economicamente i medici titolari di convenzione con il Ssn e affetti da immunodepressione che, a causa dell’emergenza Covid-19, hanno dovuto sospendere la propria attività professionale.  La misura di supporto economico, che ha ottenuto il via libera definitivo dei ministeri vigilanti, era stata adottata dal Consiglio di amministrazione della Fondazione lo scorso 23 aprile.  Il provvedimento approvato prevede che agli iscritti all’Enpam titolari di rapporto di convenzione con il Ssn e affetti da immunodepressione sia riconosciuta per il periodo di sospensione dell’attività, un’indennità straordinaria fino a un massimo di due mesi.   Quest’ultima verrà parametrata al mancato guadagno o alle spese di sostituzione sopportate dal medico o dentista convenzionato, con un minimo di mille euro al mese nel caso di neoconvenzionati.   “Siamo soddisfatti che i ministeri vigilanti abbiano compreso il valore di una misura di sostegno specifica per una categoria di soggetti come gli immunodepressi, troppo spesso dimenticata e tuttavia anch’essa danneggiata dalla pandemia – ha commentato il presidente dell’Enpam Alberto Oliveti – . Anche a loro l’Enpam potrà dunque garantire un sostegno economico straordinario in una fase quanto mai delicata”.  La misura riguarda i medici e gli odontoiatri in condizione di immunodepressione, con patologie oncologiche o sottoposti a terapie salvavita, che contribuiscono al Fondo Enpam della medicina convenzionata e accreditata. Gli oneri sono infatti a carico di questo.

Covid, studio GB: chi guarisce è immune in media 5 mesi

(da Ansa.it e Fimmg.org)   La maggior parte delle persone contagiate dal Covid-19 e poi guarite resta protetta per almeno 5 mesi successivi dal rischio di ammalarsi nuovamente. È quanto indica uno studio condotto a campione dal Public Health England, organismo pubblico della sanità britannica, che evidenzia peraltro come una percentuale, ancorché minoritaria, non risulti immune dal rischio di essere nuovamente colpita dal virus. I ricercatori hanno rilevato che l'83% dei guariti dal Covid-19 ha meno possibilità di riammalarsi, un tasso d'immunità medio molto alto grazie alla duratura presenza di anticorpi rilevata nell'organismo, che riducono il rischio di un secondo contagio ma non quello di trasmissione del virus. Lo studio è stato condotto attraverso il monitoraggio di oltre 20mila operatori sanitari, tra giugno e novembre 2020, compreso personale clinico in prima linea: tramite test regolari è stato possibile misurare la quantità di anticorpi residui da un'infezione passata. La dottoressa Susan Hopkins, responsabile della ricerca, ha dichiarato alla Bbc che i risultati appaiono molto incoraggianti dal momento che l'immunità sembra durare più di quanto alcuni medici e scienziati avevano inizialmente ipotizzato.

Fnomceo, vaccino subito anche a dentisti e medici privati

(da DottNet)   Medici, infermieri, operatori socio-sanitari, ma anche medici delle residenze per anziani, quindi gli over 80enni e i fragili. Sono queste le categorie che per prime verranno vaccinate contro il Covid. Resta, pero', un esercito di esclusi dalla 'priority list' fatto di odontoiatri, farmacisti e medici specialisti privati che non saranno vaccinati insieme ai loro colleghi. Una lista di categorie prioritarie che potrebbe pero' essere modificata, almeno questo e' quello che chiedono l'Ordine dei Medici e quello dei farmacisti. E a queste voci si unisce anche il sottosegretario al ministero della Salute Pierpaolo Sileri.  Sono quasi 90.000, secondo gli ultimi dati dell'Istituto Superiore di Sanità, gli operatori sanitari contagiati da inizio pandemia.

Con la loro immunizzazione sta partendo in questi giorni la campagna vaccinale in tutta Italia ma, nella road map, afferma il viceministro, "credo che dovrà essere fatta qualche modifica, come già anticipato autonomamente da qualche regione: io ad esempio inserirei anche i farmacisti, che hanno avuto dei morti durante la prima ondata, e gli odontoiatri, che operano a contatto diretto con tutti i pazienti".  Quella di inserire tra i primi vaccinati gli odontoiatri, ma anche i medici che lavorano nelle strutture private "che non hanno potuto aderire finora alla vaccinazione" è una preoccupazione anche per Antonio Magi, presidente dell'Ordine dei medici di Roma, che, rispetto ai timori emersi nella categoria afferma: "quasi il 70% dei nostri medici ha aderito all'invito a vaccinarsi. A livello scientifico, i dubbi di alcuni non sono sulle reazioni avverse, finora in linea con quelle degli altri vaccini, quando sui tempi rapidi di sviluppo e la durata della sua immunità".

"La stragrande maggioranza dei medici si vuole vaccinare contro il Covid e abbiamo, anzi, una forte pressione da parte di medici della sanità privata e odontoiatri che vorrebbero vaccinarsi, oltre a voler contribuire alla somministrazione delle dosi". A spiegarlo è il presidente della Federazione Nazionale degli Ordini dei medici e Odontoiatri (Fnomceo), Filippo Anelli, che interviene così sull'ipotesi di rivedere le categorie che potranno accedere in via prioritaria alla vaccinazione. "Con una lettera al Ministro della Salute Roberto Speranza - aggiunge - pochi giorni fa, abbiamo sostenuto le ragioni di tutti gli iscritti ad accedere al vaccino, perché tutti fanno parte di un'unica filiera sanitaria e sono, per questo, maggiormente esposti al contagio e a loro volta a contagiare. Quindi andrebbero inseriti nelle categorie con accesso prioritario".

Una richiesta che va di pari passo con quella rivolta già a novembre dall'Ordine dei Farmacisti Italiani (Fofi). "I farmacisti sono sempre stati in primissima linea durante la pandemia. Hanno continuato a garantire il loro servizio sul territorio anche durante il lockdown - spiega Andrea Mandelli, presidente del Fofi - e, come i medici e gli infermieri, hanno pagato un pesante tributo anche in termini di vite. Un sacrificio ben compreso anche dal ministro della Salute Roberto Speranza che ci ha assicurato che anche noi farmacisti dovremmo essere ricompresi tra gli altri operatori sanitari. E già alcune regioni stanno provvedendo a chiedere gli elenchi dei nominativi dei farmacisti".

Medici no vax, indaga la Procura. E Fnomceo apre un procedimento

(da DottNet)   Arrivato il vaccino, ora il fulcro di polemiche e preoccupazioni ed eventuali decisioni politiche è rappresentato da chi lo rifiuta tra gli operatori sanitari, Un centinaio di persone, secondo la Fnomceo, su alcuni dei quali l'Ordine di Roma ha aperto un procedimento disciplinare. E se i giuristi dicono che per chi lavora a contatto col pubblico è pensabile un obbligo vaccinale, perchè il limite della libertà individuale sta nel non arrecare danno agli altri, il mondo politico si divide. Favorevoli a questa ipotesi esponenti di punta come Matteo Renzi e Silvio Berlusconi e la sottosegretaria alla Salute Sandra Zampa, che sottolinea pero' come cominciare a parlare di obbligo sarebbe un danno, auspicando che il rifiuto si superi spiegando. Contraria, invece, la ministra Fabiana Dadone che preferirebbe per i dipendenti della pubblica amministrazione una forte raccomandazione. Come ha spiegato il presidente della Fnomceo, Filippo Anelli, pero', "sono un centinaio circa i medici contrari alle vaccinazioni. E per noi, chi sta con i no vax è incompatibile con la professione, perché mette in discussione le evidenze scientifiche. Ci sono poi medici che non vogliono essere vaccinati, e possono avere diverse motivazioni, a volte coincidono con i no vax, ma non tutti sono incanalabili in questo filone". Un esempio sono i 13 medici, tra no vax e negazionisti, su cui l'Ordine dei medici di Roma ha aperto un procedimento disciplinare, per le loro convinzioni sui social media e in tv. "Si tratta di 10 colleghi che hanno espresso posizioni contro il vaccino antinfluenzale e 3 invece negazionisti sul Covid - precisa Antonio Magi, presidente dell'Ordine - La procedura disciplinare è partita dopo che abbiamo ricevuto da cittadini e colleghi degli esposti, corredati da documentazione".

Al momento l'adesione dei medici al vaccino è stata alta. Ma è pensabile un obbligo vaccinale per i medici? Come spiega Amedeo Santosuosso professore di diritto, scienza e nuove tecnologie presso l'Universita' degli studi di Pavia, il principio di base "è che ognuno è libero di fare ciò che vuole, a patto di non arrecare danno agli altri. I medici che non vogliono essere vaccinati contro il Covid, possono rimanere liberi di non vaccinarsi ma non possono esporre gli altri a rischio, lavorando a contatto con persone deboli". Da qui può scattare l'obbligatorietà. Diversamente "il loro datore di lavoro può non essere obbligato a farli lavorare". "Rendere obbligatorio il vaccino, o proporlo solo su base volontaria, o imporlo al solo personale sanitario, "è una scelta politica, che compie la maggioranza di governo, e che la Costituzione autorizza, in presenza però di alcune cautele" spiega dal canto suo un altro giurista e costituzionalista, Michele Ainis. "Vale per medici e infermieri quello che vale per tutti: l'articolo 32 della Costituzione autorizza i trattamenti sanitari obbligatori, e un vaccino lo è, con due cautele: la vaccinazione deve essere prevista dalla legge e non deve infrangere il rispetto della persona umana".    Che debba essere la politica, in base ai numeri, a decidere se prevedere per legge un obbligo al vaccino anti Covid per gli operatori sanitari e' anche la posizione del presidente della Fnomceo, Filippo Anelli.

"Ma, dice, prima ancora di un obbligo legislativo, c'è un obbligo deontologico in base a quale un medico deve vaccinarsi se ha a che fare con dei pazienti fragili, per tutelarli". Un'ipotesi, quella dell'obbligo, su cui sta ragionando anche la politica. "In questo momento cominciare a parlare di obbligo farebbe un danno" ma "credo che fare il vaccino debba essere una precondizione per chi lavora nel pubblico", ha detto Sandra Zampa. Se "ci rendessimo conto che c'è un rifiuto che non si riesce a superare credo andrebbe considerato l'obbligo. Non si può stare in una Rsa, dove dovresti lavorare per la salute delle persone ospitate, e mettere la loro salute a rischio". Dello stesso avviso i leader di Italia Viva, Matteo Renzi, "introduciamola subito almeno per gli operatori sanitari e socio sanitari", e di Forza Italia, Silvio Berlusconi, "il vaccino, ha detto il Cavaliere, "è l'unico strumento possibile per debellare una tragedia come quella del Covid. Di parere opposto la ministra Dadone, che dice di non essere "una grande appassionata dell'obbligo in campo vaccinale. Credo sia più giusta una forte raccomandazione, fronte su cui il governo si è impegnato". I governatori leghisti di Lombardia e Veneto, Attilio Fontana e Luca Zaia, pensano invece all'idea di un 'passaporto sanitario' per viaggiare in aereo o alloggiare in hotel. E in Spagna un registro e la non obbligatorietà dei vaccini sono stati gia' previsti. Il vaccino contro il coronavirus non sarà obbligatorio ma chi deciderà di non farlo sarà inserito in un "registro" che sarà poi condiviso con gli altri Paesi dell'Ue.

Vaccino: nessun medico si tiri indietro, chi lo rifiuta è indegno

(da DottNet)   Il messaggio, ripetuto come se fosse una sola voce, risuona forte e chiaro dal nord al sud della penisola, senza distinzioni: "massima fiducia e tranquillità nel vaccino anti-Covid". Quella di oggi è una giornata speciale, "di attesa e speranza" perchè "segna l'inizio di un nuovo momento, che lentamente porterà a uscire dal tunnel della pandemia". E'così che l'esercito di medici e infermieri, che per primi oggi hanno ricevuto il nuovo vaccino Pfizer-Biotench, raccontano le loro emozioni e sensazioni.  "Oggi comincia una nuova era - ha riassunto il presidente degli ordini dei medici, Filippo Anelli - l'era in cui noi possiamo dire che abbiamo uno strumento per porre fine a una pandemia. I vaccini hanno rappresentato questo nel corso della storia dell'umanità. Abbiamo addirittura eradicato una malattia, il vaiolo, tolto di mezzo un virus e ridotto quasi sino alla scomparsa altre malattie. Tra queste vorremmo che ci fosse un giorno anche il Covid".

Impressioni che hanno trasmesso i medici e gli infermieri che si sono vaccinati per primi. "Nessuno si tiri indietro, il vaccino e' sicuro, tutte le fasi sono state svolte con grande serietà rispettando i tempi necessari per le scelte migliori", ha detto Rosaria Capobianchi, direttore laboratorio di virologia dello Spallanzani prima vaccinata in Italia, che spiega la sua adesione alla campagna. "Nessuno si tiri indietro. Questa scelta e' sicura, di assoluto altruismo e amore per i nostri cari e per la comunità. I vantaggi sono enormi". "Io spero di essere il primo a vaccinarmi appena inizierà la fase 1. Io sono un medico e i medici devono dare l'esempio. Un medico che rifiuta la vaccinazione non è degno di questo mestiere", ha detto l'assessore alla Salute della Regione Puglia, Pierluigi Lopalco, nella giornata di avvio della campagna di vaccinazioni contro il Covid nel Policlinico di Bari. Auspicando "che tutti gli operatori sanitari chiamati a vaccinarsi rispondano a questo appello", Lopalco ha aggiunto che "dobbiamo porre questa muraglia contro il virus che si chiama vaccinazione".

"C'era un'atmosfera di grande attesa, aspettativa e fiducia - racconta Michele Lisco, medici di famiglia e membro della task force rischio Covid della Asl di Brindisi - Il messaggio che vogliamo dare ai cittadini è che abbiamo la massima fiducia e tranquillità nei vaccini e anche loro devono averla. Lentamente arriveremo a vaccinare tutti e potremo tornare ad avere una vita normale, anche se ciò non significa che dobbiamo ridurre le misure di precauzione nel frattempo, che vanno comunque mantenute". Anche per Carlo Vernelli, medico in servizio presso la clinica malattie infettive dell'azienda ospedaliera di Terni e uno dei primi a riceve il vaccino anti-Covid all'ospedale di Spoleto, quello di oggi "è un passo importante per il contrasto al Covid e non ho mai avuto alcun dubbio sul fatto di dovermi vaccinare. Nel vaccinarmi ho avvertito un po' di emozione - ha aggiunto -, ma ho la certezza che questo sia il comportamento da adottare a tutti i livelli, dai più giovani agli anziani". Per Fiorenzo Corti, vice segretario nazionale della Fimmg (Federazione italiana medici di medicina generale), che ha ricevuto oggi il vaccino a Milano, "l'iniezione è stata tranquilla e indolore. Quella di oggi è una testimonianza che serve a tranquillizzare i cittadini che nutrono dubbi sul vaccino, sviluppato in tempi molto rapidi. Ci deve essere l'impegno a fare in modo che la maggioranza degli operatori sanitari si vaccini e noi medici di famiglia siamo disponibili a dare il nostro contributo, vaccinando, così come fatto con il vaccino antinfluenzale".

Barbara Mangiacavalli, presidente della Federazione nazionale degli ordini degli infermieri (Fnopi), tra i primi a ricevere stamattina il vaccino anti-Covid a Milano, ha sottolineato come vaccinarsi "per un infermiere è un dovere verso i cittadini, verso i colleghi e anche verso la scienza in cui crediamo". In tutta Italia gli infermieri sono stati e sono pronti a vaccinare e farsi vaccinare, da Nord a Sud, rileva la Fnopi, e in molte Regioni le regole seguite hanno voluto proprio che fossero i presidenti degli Ordini di infermieri e medici i primi a cui somministrare il vaccino nel V-Day. Tra questi c'è stata Lucia Premoli, infermiera della Rianimazione dell'ospedale di Codogno tra gli operatori che hanno assistito il 'paziente 1' Mattia Maestri, la prima ad essere stata vaccinata contro il Covid nel presidio ospedaliero del Lodigiano simbolo della pandemia. L'infermiera ha ringraziato la sua azienda per "l'opportunità che mi ha offerto: essere di esempio per tutti i miei colleghi. Non abbiamo altra strada da percorrere - ha concluso - per tornare a una vita normale".

Il calendario

Terminato il vaccino day si guarda già a domani e alle tappe che, soprattutto dalla primavera all'autunno, scandiranno la vera e propria vaccinazione di massa. Si punta a una copertura dell'80%. In totale l'Italia ha opzionato 202 milioni di dosi, il 13,4% dell'Ue, "dotazione sufficiente per poter potenzialmente vaccinare tutta la popolazione e conservare delle scorte". Novità importanti arrivano dall'Inghilterra per il vaccino sviluppato da AstraZeneca e dall'Università di Oxford: è "efficace al 95%", come quelli già approvati di Pfizer e Moderna, "ed è in grado di eliminare al 100%" i sintomi gravi che portano ai ricoveri per Covid-19, dice al Sunday Times Pascal Soriot, ad di AstraZeneca. Secondo il domenicale, il via libera delle autorità britanniche al vaccino arriverà "entro giovedì" mentre la sua distribuzione dovrebbe avvenire a partire dal 4 gennaio.

    - VACCINO DAY: il 27 la data per il via ufficiale alla vaccinazione. Per questa giornata sono state previste 9.750 dosi di vaccino Pfizer-BioNTech in numero "simbolico". La distribuzione vera e propria parte da domani 28 dicembre e all'Italia arriveranno circa 470mila dosi del siero Pfizer-BionTech ogni settimana.

- TEMPI E QUANTITÀ DI DOSI PFIZER, MODERNA E ASTRAZENECA - Del vaccino protagonista di questa prima fase italiana ed europea, quello di Pfizer-BioNTech, con il nome commerciale di Cominarty sono previste 27 milioni di dosi: 8,8 nel primo trimestre 2021, 8,1 nel secondo trimestre, 10,1 nel terzo. L'accelerazione dell'Ema in Ue per il vaccino dell'americana Moderna, il cui ok è previsto per il 6 gennaio, cui seguirà un evento pubblico dedicato ai cittadini l'8 gennaio, porterà 10,8 milioni di dosi: 1,4 nel primo trimestre, 4,7 nel secondo e altrettante nel terzo. Ai 38 milioni di vaccini certi Pfizer e Moderna bisogna aggiungere quelli ulteriormente opzionati che l'Ue sta negoziando con le stesse due case farmaceutiche, e poi gli altri che arriveranno in approvazione. Per AstraZeneca opzionate 40 milioni di dosi.

    - ALTRI VACCINI: alla fine dei processi autorizzativi l'Italia potrà contare, in caso vadano tutti a buon fine, anche su 26,92 milioni di dosi per il contratto con Johnson&Johnson; il contratto con Sanofi 40,38 milioni; il contratto con CureVac 30,28 milioni di dosi. In arrivo forse per l'estate anche il vaccino tutto italiano di Reithera in collaborazione con lo Spallanzani. Uno dei 65 vaccini in fase clinica che ha completato la fase 1.

    - CATEGORIE PRIORITARIE. VACCINAZIONI NEI 4 TRIMESTRI: la prima tranche di circa 10 milioni di dosi nel primo trimestre 2021 (8,749 milioni di dosi Pfizer e 1.346.000 di dosi Moderna appena ci sarà in via libera Ema) servirà a vaccinare le categorie individuate come prioritarie nelle fase iniziale della campagna di immunizzazione. Tra queste, figurano gli operatori e lavoratori sanitari e socio-sanitari (1.404.037 persone), il personale e gli ospiti dei presidi residenziali per anziani (570.287) e gli anziani over 80 (4.442.048).  Nelle fasi immediatamente successive a queste prime vaccinazioni le persone dai 60 e 79 anni (pari a 13.432.005) e la popolazione con almeno una comorbilità cronica (7.403.578). Tra il secondo e il terzo trimestre insegnanti e personale scolastico, e le altre categorie di popolazione appartenenti ai servizi essenziali come Forze dell'ordine, personale delle carceri e dei luoghi di comunità. Nel quarto trimestre tutti gli altri.

    - GRATUITÀ: l'acquisto del vaccino e' centralizzato, non obbligatorio e verrà somministrato gratuitamente a tutti gli italiani in strutture pubbliche e successivamente con l'aiuto dei medici di base.

    - LOGISTICA: per i vaccini con catena del freddo standard si adotta un modello di distribuzione con un sito nazionale di stoccaggio e una serie di siti territoriali. I vaccini che invece necessitano di una catena del freddo estrema verranno consegnati direttamente dall'azienda produttrice presso 300 punti vaccinali sul territorio. Per la distribuzione saranno coinvolte le Forze armate.

    - PERSONALE: "Sono circa 19.400 medici e altri sanitari" che si sono candidati per il reclutamento della campagna vaccinale, "un risultato davvero confortante, speriamo di iniziare presto le selezioni" ,ha riferito il commissario Domenico Arcuri lo scorso 23 dicembre.

    - FARMACOSORVEGLIANZA: L'Aifa lavorera' per assicurare il massimo livello di sicurezza nel corso della campagna di vaccinazione. L'obiettivo è quello di predisporre una sorveglianza aggiuntiva sulla sicurezza dei vaccini stessi, monitorando gli eventuali eventi avversi ai nuovi vaccini Covid.
    Sempre l'Aifa, inoltre, avviera' studi indipendenti e si è dotata di un comitato scientifico specifico per tutto il periodo della campagna vaccinale.

La ricerca

Prosegue senza sosta la ricerca per trovare cure e vaccini contro il Sars-Cov-2. A livello internazionale, sono 2.345 i trial clinici registrati sul database ClinicalTrials.gov. Mentre 135 sono le sperimentazioni in corso sui 59 candidati vaccini disponibili, di cui 4 sono già stati approvati in alcuni paesi. A fare il punto sulla ricca produzione di evidenze scientifiche che sta accompagnando la pandemia Covid-19 è la nuova infografica realizzata dal Gruppo di lavoro "Trial Clinici" dell'Istituto Superiore di Sanità (Iss), con dati aggiornati al 18 dicembre.  Mentre in Italia e nel resto d'Europa, inizia la somministrazione delle prime dosi del vaccino Pfizer/Biontech, prosegue senza sosta la ricerca in quest'area: 135 sono i trial in corso nel mondo per un totale di 641.164 volontari arruolati.

Il 19% di questi studi è già in fase 3, ovvero in sperimentazioni su un numero molto largo di pazienti. E' la Cina a contarne il maggior numero, ben 43 studi in corso su vaccini, seguita dagli Stati Uniti con 21 e dalla Gran Bretagna con 12. A essere studiate sono tutte le tecnologie disponibili: Rna, Dna, vettore virale, virus inattivato, particelle pseudovirus (Virus-Like-Particle) e subunità proteica. Grande è anche la varietà della somministrazione: inframuscolare, sottopelle, intranasale, venosa, orale.   Sono 4, al 21 dicembre, i vaccini approvati nel mondo: quello di Pfizer, sviluppato da Stati Uniti e Germania, ha avuto il via libera in Unione Europea, Regno Unito, Stati Uniti, Canada, Arabia Saudita, Bahrain; Sinopharm sviluppato dalla Cina, costituito dal SARS-CoV-2 inattivato e approvato in Emirati Arabi, Cina e Bahrain; lo Sputnik V, sviluppato e approvato in Russia e che utilizza come vettore virale un adenovirus. Infine il vaccino a mRna dell'azienda Moderna sviluppato insieme al National Institute of Allergy and Infectious Diseases (NIH) statunitense, è stato approvato negli Usa e, dal 23 dicembre, anche in Canada, ma la richiesta per l'immissione in commercio in Europa è in corso e potrebbe essere conclusa in una riunione straordinaria dell'Agenzia Europea dei Medicinali in programma il 6 gennaio 2021. 

Tutto questo va di pari passo con gli studi sui farmaci anti Covid. Dei 72 in corso in Italia, 50 sono stati autorizzati dall'Agenzia Italiana del Farmaco (Aifa): 24 appartengono alla categoria degli immunomodulanti (cercano di mitigare la risposta infiammatoria generata nell'organismo dall'infezione), 10 studi si basano sull'uso di plasma iperimmune dei convalescenti, 10 su antitrombotici, 7 su antimalarici, 6 sugli antivirali. Inoltre, il 73% sono randomizzati, ovvero assegnano in modo casuale ai volontari il farmaco o il placebo, e il 77% di questi studi coinvolgono più centri di ricerca, aspetto qualificante perché permette di osservare i risultati in contesti clinici diversificati. Pochi giorni fa inoltre, Aifa ha annunciato anche l'intenzione di valutare l'avvio di una sperimentazione sugli anticorpi monoclonali, gli stessi usati anche da Donald Trump e già autorizzati in via di emergenza in alcuni paesi, tra cui Stati Uniti e Canada.

Aifa, efficacia e sicurezza della vaccinazione: vantaggi e reazioni

(da DottNet)  Il vaccino contro il Covid, che inizierà a essere somministrato il 27 dicembre in Italia, non provoca la malattia né alterazioni del Dna e solo in casi rarissimi può dare reazioni allergiche gravi. I rischi arrivano invece da altro dall'acquisto privato del vaccino su internet o attraverso canali alternativi alla somministrazione autorizzata, che sarà gratuita e su chiamata. A fare chiarezza è l'Agenzia Italiana del Farmaco (Aifa) che ha pubblicato online un documento  (https://www.aifa.gov.it/domande-e-risposte-su-vaccino-covid-19-comirnaty ) che risponde alle 35 domande più frequenti sul vaccino di Pfizer/Biontech.   Il vaccino, dal nome Comirnaty contiene una molecola denominata RNA messaggero (mRNA) e "non introduce nelle cellule il virus vero e proprio, ma solo l'informazione genetica che serve alla cellula per costruire copie della proteina Spike".   Quanto al dubbio se la vaccinazione possa "provocare il Covid o altre alterazioni genetiche", Aifa risponde: "nel vaccino non sono coinvolti virus interi o vivi, perciò non può causare malattie. L'mRNA del vaccino come tutti gli mRNA prodotti dalle cellule si degrada naturalmente dopo pochi giorni" e "non resta nell'organismo". Gli studi condotti fino a oggi mostrano che, con l'iniezione di due dosi, protegge con un'efficacia del 95% dalla malattia Covid ed è "plausibile" che impedisca anche di infettarsi e trasmettere ad altri la malattia, ma in attesa di conferme, i vaccinati "devono continuare ad adottare le misure di protezione anti Covid".  Rispetto alla durata della protezione, per ora il periodo di osservazione è stato di pochi mesi ma "è probabile, sulla base di studi su altri coronavirus, che duri 9-12 mesi".

Covid-19, rimborsi in vista per chi ha avuto il bonus Enpam

(da Enpam.it)   Tutti gli aiuti concessi ai professionisti per Covid-19 saranno detassati. La novità, che riguarderebbe anche i Bonus Enpam e i Bonus Enpam+, è contenuta nell’articolo 10-bis del Decreto legge Ristori in via di conversione.  Soddisfazione è stata espressa dall’AdEPP, l’associazione delle Casse di previdenza private, che negli scorsi mesi hanno dovuto trattenere ingenti ritenute d’acconto sulle indennità straordinarie concesse agli iscritti in ginocchio.

“Su questo aspetto il Parlamento ha fatto giustizia – ha commentato così il presidente dell’AdEPP e dell’Enpam Alberto Oliveti –. È evidente che i sussidi assistenziali di ultima istanza che abbiamo anticipato per conto dello Stato (che già in partenza erano esentasse) e i sussidi che abbiamo finanziato come Casse sono analoghi nella sostanza. Non aveva senso che i professionisti in difficoltà pagassero le tasse su quelli finanziati con risorse private”.    Il nuovo articolo 10-bis che verrà inserito nel Decreto legge Ristori stabilisce che i contributi e le indennità di qualsiasi natura erogati a seguito dell’emergenza epidemiologica da COVID-19 ai soggetti esercenti impresa, arte o professione, nonché ai lavoratori autonomi, non concorrono alla formazione del reddito imponibile e del valore della produzione, e non rilevano ai fini della deducibilità di interessi passivi e altre componenti negative di reddito.

“Ricordo che inizialmente i professionisti erano stati completamente esclusi dai 600 euro statali. Grazie alla battaglia dell’AdEPP, e alla disponibilità delle Casse associate ad anticipare i soldi, la discriminazione è stata rimossa ¬– aggiunge Oliveti –. Oggi viene rimossa una seconda discriminazione. In pratica sugli ulteriori aiuti che avevamo destinato ai professionisti con nostre risorse, lo Stato in sostanza rinuncia ad incamerare imposte. Appena la norma sarà definitiva potremo quindi inviare un ulteriore bonifico agli iscritti corrispondente alle ritenute d’acconto che eravamo stati costretti a fare”.   La nuova disposizione è stata approvata nella notte tra martedì e mercoledì dal Senato con un voto di fiducia. Entro il 27 dicembre dovrà approvarla anche la Camera dei Deputati, ma anche in quel caso si attende un voto blindato. Se dunque non ci saranno soprese, la norma potrà entrare in vigore nel giro di alcune settimane.

Su questo tema l’Enpam aveva lanciato una battaglia, a partire da una campagna pubblicata sui principali quotidiani italiani.

Covid-19: l’assistenza a casa dopo la dimissione può fare la differenza per alcuni pazienti

(da Doctor33)    Secondo uno studio pubblicato su Annals of Internal Medicine, diversi pazienti dimessi dall'ospedale dopo COVID-19 hanno presentato sintomi come dolore, stanchezza e dispnea, e una certa dipendenza funzionale, ma con l'aiuto dell'assistenza sanitaria domiciliare sono migliorati nella gran parte dei casi. «Finora non erano disponibili dati sugli esiti dei pazienti COVID-19 dimessi a casa dopo il ricovero e sulle loro esigenze di recupero. Noi abbiamo osservato che comorbilità quali insufficienza cardiaca e diabete, nonché alcune caratteristiche presenti al ricovero, hanno identificato i pazienti a maggior rischio di un evento avverso» spiega scrive Kathryn Bowles, della University of Pennsylvania School of Nursing, prima autrice dello studio. I ricercatori hanno analizzato i dati di oltre 1.400 pazienti con COVID-19 seguiti con assistenza sanitaria a domicilio dopo la dimissione dall'ospedale. Dopo una media di 32 giorni di assistenza a domicilio, il 94% dei pazienti non ha avuto più necessità del servizio, e la maggior parte ha ottenuto miglioramenti statisticamente significativi nei sintomi e nella funzionalità. Il rischio di nuovo ricovero o di decesso è stato più alto per i pazienti maschi, bianchi, e per gli individui con insufficienza cardiaca, diabete con complicanze, due o più visite al pronto soccorso negli ultimi sei mesi, dolore quotidiano o continuo, deterioramento cognitivo, o dipendenze funzionali. Tra i pazienti, 11 sono deceduti, 137 sono stati ricoverati di nuovo e 23 hanno avuto necessità di continuare l'assistenza domiciliare oltre la fine del periodo considerato dallo studio. Secondo gli esperti, i risultati dello studio indicano che i fornitori di cure per acute dovrebbero considerare attentamente quali sopravvissuti al COVID-19 potrebbero trarre beneficio dall'assistenza sanitaria a domicilio dopo il ricovero. «A questo proposito, sarebbe molto utile uno strumento di supporto decisionale per identificare i pazienti ricoverati che dovrebbero essere inviati all'assistenza sanitaria domiciliare» conclude Bowles.

(Annals Internal Medicine 2020. Doi: 10.7326/M20-5206)

Covid-19, ecco l’aggiornamento sui farmaci che si possono utilizzare

da Doctor33)    Sul sito dell'Aifa vengono riportate informazioni aggiornate sui farmaci che è possibile utilizzare al di fuori delle sperimentazioni cliniche per i pazienti con Covid-19, anche senza che abbiano un'indicazione specifica per questa patologia. Le schede, aggiornate continuamente in base alle più recenti prove cliniche, riferiscono le necessarie informazioni su efficacia e sicurezza, interazioni e modalità d'uso. Secondo i documenti, per quanto riguarda i pazienti ricoverati in ospedale, lo standard di cura, in questo momento è rappresentato da corticosteroidi ed eparina.
Il desametasone è considerato l'unico trattamento farmacologico con una dimostrata efficacia nella riduzione della mortalità, ed è stato approvato dall'Ema per l'uso in adulti e adolescenti che necessitano di terapia con ossigeno standard oppure ventilazione meccanica. Il beneficio clinico è stato comunque evidente anche con altri corticosteroidi.
Le eparine invece possono essere utilizzate a scopo profilattico, con le dosi in uso abitualmente, nei pazienti con infezione respiratoria acuta e mobilità ridotta se non sono presenti controindicazioni, e questo vale anche per i pazienti ricoverati in case di riposo o Rsa. L'uso a dosi medie o alte invece può essere considerato in casi gravi di Covid-19 valutando il rapporto tra benefici e rischi per ogni individuo, tenendo conto in particolare la presenza di livelli di D-dimero 4-6 volte superiori alla norma o un punteggio dello score Sic maggiore o uguale a 4, ferritina maggiore di 1000 mcg/L o indice di massa corporea maggiore di 30.
Remdesivir, approvato da Ema per il trattamento degli adulti e degli adolescenti con polmonite che richiede ossigenoterapia supplementare, non può essere ancora considerato uno standard di cura in quanto il beneficio clinico non è ben chiaro, e Aifa ne considera l'utilizzo solo in casi selezionati.
Altri trattamenti, quali terapie immunomodulanti, lopinavir/ritonavir, o antibiotici di routine, non sono raccomandati. Anche l'uso di idrossiclorochina/clorochina non è raccomandato dall'Aifa; il Consiglio di Stato ne ha però autorizzato l'utilizzo in base alla scelta del medico.
Per quanto riguarda invece i pazienti da assistere a domicilio, cioè i casi lievi, che non presentano dispnea, disidratazione, alterazioni dello stato di coscienza o sepsi, dal punto di vista farmacologico non è disponibile alcun farmaco che sia risultato efficace nel prevenire la comparsa di sintomi o modificare l'evoluzione della malattia negli asintomatici, né che abbia mostrato migliorato il decorso clinico o l'evoluzione della malattia nei sintomatici in fase iniziale dell'infezione. Si raccomanda quindi di utilizzare trattamenti mirati ai sintomi, come il paracetamolo, di curare idratazione e nutrizione e di non modificare le terapie croniche in corso, di non utilizzare integratori alimentari o vitaminici e di non somministrare farmaci tramite aerosol se la persona è in isolamento in famiglia per non diffondere il virus.
Sempre secondo l'Aifa, i corticosteroidi vanno presi in considerazione solo nei pazienti che necessitano di ossigenoterapia, anche perché che nella fase iniziale della malattia tali medicinali potrebbero avere un risvolto negativo sull'immunità, e i pazienti con malattie croniche potrebbero soffrire di gravi eventi indesiderati. Per quanto riguarda le eparine, esse possono essere usate come profilassi nelle persone con scarsa mobilità come da linee guida. L'uso di routine non è comunque raccomandato nei pazienti non allettati.
(https://www.aifa.gov.it/aggiornamento-sui-farmaci-utilizzabili-per-il-trattamento-della-malattia-covid19)

Nuovi aiuti Enpam per Covid-19

(da enpam.it)  Un assegno per i contagiati da Covid-19 e la presa in carico delle spese funerarie di tutti i medici e odontoiatri caduti a causa della pandemia. Sono le due nuove misure che la Fondazione Enpam si appresta ad introdurre per estendere ulteriormente gli aiuti messi in campo a seguito dell’emergenza sanitaria.  I provvedimenti, che dovranno essere prima deliberati dal Cda, saranno poi trasmessi ai Ministeri vigilanti per ricevere l’approvazione.

SUSSIDIO PER I CONTAGIATI       Già dallo scorso marzo la Fondazione riconosce un sussidio di quarantena agli iscritti che, pur non contagiati, sono costretti a non lavorare per provvedimento dell’autorità sanitaria.  Ma che succede loro invece in caso di contagio da Covid-19? Per i liberi professionisti c’è la possibilità di usufruire dell’indennità di inabilità temporanea prevista però a partire dal 31° giorno di malattia.  Di fatto per i primi trenta giorni nessuna tutela è prevista per i camici bianchi che non hanno sottoscritto una propria polizza assicurativa.  Per questo la Consulta Enpam dei liberi professionisti e il Consiglio di amministrazione hanno studiato una tutela specifica per i liberi professionisti, inclusi i pensionati ancora attivi, che si sono ammalati di Covid-19.

GLI IMPORTI     La proposta è di mettere in campo una tutela eccezionale forfetaria (senza il conteggio dei giorni di malattia) per i contribuenti alla Quota B che dall’inizio dell’emergenza sono risultati affetti da Covid-19. Non è previsto, tranne che per i pensionati, un limite di reddito familiare per poterne usufruire.   Gli importi del sussidio, in fase di valutazione da parte degli attuari, che dovranno certificare la sostenibilità della misura, saranno proporzionali sia allo stato di malattia, sia all’aliquota contributiva con cui gli iscritti versano i contributi di Quota B.   L’orientamento per quanto riguarda l’ammontare degli aiuti, è quello di distinguere tre livelli di gravità della malattia con il conseguente aumento proporzionale della somma. Si partirebbe dalla forma più lieve con isolamento obbligatorio per positività, per passare a una forma intermedia con ricovero ospedaliero, sino al livello massimo di severità della patologia con il ricovero in terapia intensiva.   Nell’ipotesi in cui, dopo la presentazione della domanda, si dovesse verificare un aggravamento delle condizioni del malato, con l’integrazione della richiesta si potrà poi avere un conguaglio della somma.  Un dettaglio importante riguarda la tassazione di questo sussidio, che al contrario di quanto avvenuto per i Bonus Enpam e Enpam +, potrebbe essere esente da imposte. Ciò perché si tratterebbe di una somma forfetaria una tantum, che non ha lo scopo di sostituire o compensare un reddito perduto, ma di dare una forma di sostegno di fronte a una condizione di malattia.

I REQUISITI     Primo requisito, presente anche tra quelli per l’erogazione dei Bonus Enpam, è essere in regola con i contributi.  In seconda battuta, gli iscritti dovranno aver prodotto un reddito imponibile presso la gestione di Quota B nel 2019. Per i neo-contribuenti, cioè quelli che verseranno la Quota B per la prima volta nel 2021, se volessero fare domanda ci sarà l’obbligo di dichiarare che presenteranno il modello D 2021 (redditi 2020).  Chi invece a causa di una malattia o un infortunio, oppure per non aver raggiunto il limite coperto dalla Quota A, non ha dichiarato il reddito da libera professione nel 2020 (redditi 2019), potrà fare domanda solo se ha contribuito per il 2017 (Modello D 2018) e per il 2018 (Modello D 2019) e dichiara che presenterà il modello D nel 2021 (redditi 2020) perché ha prodotto un reddito che supera l’imponibile coperto dalla Quota A.    Per i pensionati ancora attivi, i requisiti principali sono l’essere in regola con i contributi, e non avere percepito per l’anno che precede il contagio un reddito complessivo del nucleo familiare superiore a sei volte il minimo Inps. Gli altri requisiti specifici che riguardano i pensionati verranno comunicati per tempo.

LA DOMANDA     In caso di approvazione dei Ministeri vigilanti, si potrà fare domanda direttamente dall’area riservata del sito. Insieme alla richiesta, gli iscritti dovranno allegare un documento che certifichi lo stato di malattia o il ricovero in ospedale. Se l’iscritto a causa della sua condizione di salute non potesse fare domanda, la richiesta potrà essere fatta anche da un familiare o da una persona delegata.

SUSSIDIO PER LE SPESE FUNERARIE   Per quanto riguarda invece le spese funerarie, bisogna ricordare che tra le prestazioni assistenziali fornite dalla Fondazione esiste già un sussidio per casi simili. La misura in questione prevede un sussidio per le spese sostenute dal nucleo familiare per far fronte alla malattia o al decesso del medico o del dentista. Un limite della misura è che sono presenti dei requisiti reddituali da rispettare e per questo motivo non tutti gli iscritti ne hanno diritto.   Nel caso del Covid-19, tuttavia, la Fondazione intende farsi carico di tutti i medici e gli odontoiatri che ne sono rimasti vittime, indipendentemente dai limiti di reddito. Il sussidio infatti, oltre a sollevare i familiari dalle spese, vuole manifestare la solidarietà della categoria nei confronti dei colleghi che hanno pagato con la vita l’impegno contro la pandemia.   Anche in questo caso il contributo coprirà gli eventi successi a partire dalla proclamazione dello stato di emergenza nazionale, che sino a questo momento è stato prorogato sono al 31 gennaio 2021.  L’importo sarà stabilito in seguito alla valutazione degli attuari, come accade per le altre tutele Enpam. Per fare domanda si dovranno presentare i documenti che dimostrino le spese sostenute.

Covid: scala a punti per le cure a casa. Linee guida per Mmg

(da DottNet)     Sarà una scala a punti a definire lo stato del paziente Covid gestito al domicilio dal medico di famiglia: basata su precisi parametri, consentirà di dividere i pazienti in tre categorie di rischio. La novità è prevista nella circolare del ministero della Salute (https://www.trovanorme.salute.gov.it/norme/renderNormsanPdf?anno=2020&codLeg=77456&parte=1%20&serie=null)     pubblicata oggi, per la 'gestione domiciliare dei pazienti con infezione da SarsCov2', che fornisce a medici e pediatri delle linee guida per la cura a casa di questi pazienti, dai farmaci da utilizzare all'indicazione delle situazioni in cui si raccomanda una visita diretta da parte del medico.

Le raccomandazioni si riferiscono alla gestione farmacologica in ambito domiciliare dei casi lievi di Covid-19 e si applicano sia ai casi confermati sia a quelli probabili. Ad oggi i pazienti Covid al domicilio hanno superato quota 750mila. Un ruolo importante avrà dunque la nuova scala: definita Mews (Modified early warning score), servirà a quantificare la gravità del quadro clinico del paziente Covid al domicilio e la sua evoluzione. L'instabilità clinica è correlata nella scala all'alterazione dei parametri fisiologici (pressione arteriosa, frequenza cardiaca, frequenza respiratoria, temperatura, livello di coscienza, saturazione di ossigeno) e permette di identificare il rischio di un rapido peggioramento clinico o di morte. Attraverso la scala Mews, i pazienti vengono quindi stratificati in 3 gruppi di rischio: basso/stabile (score 0-2); medio/instabile (score 3-4); alto/critico (score 5).

La valutazione dei parametri "al momento della diagnosi di infezione e il monitoraggio quotidiano, anche attraverso approccio telefonico, soprattutto nei pazienti sintomatici lievi è fondamentale poiché - si legge nella circolare - circa il 10-15% dei casi lievi progredisce verso forme severe". Precise le indicazioni su come gestire la cura a casa: misurazione periodica della saturazione dell'ossigeno (che non deve essere sotto il 92%) tramite saturimetri, trattamenti sintomatici (paracetamolo), appropriate idratazione e nutrizione e l'avvertenza di non modificare terapie croniche in atto per altre patologie, in quanto si rischierebbe di provocare aggravamenti di condizioni preesistenti.

Rispetto ai farmaci cui fare riferimento, si raccomanda di non utilizzare routinariamente corticosteroidi (raccomandati solo nei soggetti gravi che necessitano di supplementazione di ossigeno); non utilizzare eparina (l'uso è indicato solo nei soggetti immobilizzati per l'infezione in atto); non utilizzare antibiotici (il loro eventuale uso è da riservare solo in presenza di sintomatologia febbrile persistente per oltre 72 ore o ogni qualvolta in cui il quadro clinico ponga il fondato sospetto di una sovrapposizione batterica). Si indica inoltre di non utilizzare idrossiclorochina, "la cui efficacia non è stata confermata in alcuno degli studi clinici fino ad ora condotti".  Si raccomanda anche di non somministrare farmaci mediante aerosol se in isolamento con altri conviventi per il rischio di diffusione del virus nell'ambiente.

La circolare sottolinea poi che "non esistono, ad oggi, evidenze solide di efficacia di supplementi vitaminici e integratori alimentari (ad esempio vitamine, inclusa vitamina D, lattoferrina, quercitina), il cui utilizzo per questa indicazione non è, quindi, raccomandato".   Per gestire il paziente, si sottolinea, fondamentale è la collaborazione con le Unità speciali di continuità assistenziale Usca che effettuano l'assistenza al domicilio.   Tuttavia, afferma la circolare, nelle situazioni di aggravamento del paziente è "largamente raccomandabile che, in presenza di adeguata fornitura di dispositivi di protezione individuale, i medici e i pediatri, anche integrati nelle Usca, possano garantire una diretta valutazione dell'assistito attraverso l'esecuzione di visite domiciliari".

I dettagli del documento

Definizione di paziente a basso rischio. “I pazienti a basso rischio sono definiti dall’assenza di fattori di rischio aumentato (ad esempio patologie neoplastiche o immunodepressione) e sulla base delle seguenti caratteristiche:
• sintomatologia simil-influenzale (ad esempio rinite, tosse senza difficoltà respiratoria, mialgie, cefalea);
• assenza di dispnea e tachipnea (documentando ogni qualvolta possibile la presenza di una SpO2 > 92%);
• febbre £38 °C o >38°C da meno di 72 ore;
• sintomi gastro-enterici (in assenza di disidratazione e/o plurime scariche diarroiche);
• astenia, ageusia / disgeusia / anosmia.”
 
Il saturimetro.“Il monitoraggio delle condizioni cliniche e della saturazione dell’ossigeno andrà proseguito nel soggetto infettato da SARS-CoV-2 per tutta la durata dell’isolamento domiciliare – dispone la circolare - , in rapporto alle condizioni cliniche e all’organizzazione territoriale. Il paziente dovrà essere istruito sulla necessità di comunicare una variazione dei parametri rispetto al baseline e, in particolare, dovrà comunicare valori di saturazione di ossigeno inferiori al 92%. Qualora venga esclusa la necessità di ospedalizzazione, potrà essere attivata, con tutte le valutazioni prudenziali di fattibilità del caso, la fornitura di ossigenoterapia domiciliare”.
 
Le indicazioni. In particolare, nei soggetti a domicilio asintomatici o paucisintomatici, sulla base delle informazioni e dei dati attualmente disponibili, si forniscono le seguenti indicazioni di gestione clinica:
• vigile attesa;
• misurazione periodica della saturazione dell’ossigeno tramite pulsossimetria;
• trattamenti sintomatici (ad esempio paracetamolo);
• appropriate idratazione e nutrizione;
• non modificare terapie croniche in atto per altre patologie (es. terapie antiipertensive, ipolipemizzanti, anticoagulanti o antiaggreganti), in quanto si rischierebbe di provocare aggravamenti di condizioni preesistenti;
• i soggetti in trattamento immunosoppressivo cronico in ragione di un precedente trapianto di organo solido piuttosto che per malattie a patogenesi immunomediata, potranno proseguire il trattamento farmacologico in corso a meno di diversa indicazione da parte dello specialista curante; • non utilizzare routinariamente corticosteroidi;
• l’uso dei corticosteroidi è raccomandato nei soggetti con malattia COVID-19 grave che necessitano di supplementazione di ossigeno. L’impiego di tali farmaci a domicilio può essere considerato solo in quei pazienti il cui quadro clinico non migliora entro le 72 ore, in presenza di un peggioramento dei parametri pulsossimetrici che richieda l’ossigenoterapia;
• non utilizzare eparina. L’uso di tale farmaco è indicato solo nei soggetti immobilizzati per l’infezione in atto;
• non utilizzare antibiotici. Il loro eventuale uso è da riservare solo in presenza di sintomatologia febbrile persistente per oltre 72 ore o ogni qualvolta in cui il quadro clinico ponga il fondato sospetto di una sovrapposizione batterica, o, infine, quando l’infezione batterica è dimostrata da un esame microbiologico;
• non utilizzare idrossiclorochina la cui efficacia non è stata confermata in nessuno degli studi clinici controllati fino ad ora condotti;
• non somministrare farmaci mediante aerosol se in isolamento con altri conviventi per il rischio di diffusione del virus nell’ambiente.

COVID-19 e Uso della Mascherina: come rispondere alle domande dei pazienti

(da Univadis)  Dato che non ci sono prove sul fatto che le mascherine di stoffa causino danni nei soggetti adulti sani, è plausibile affermare che rappresentano un livello di protezione essenziale nel contrasto alla pandemia da SARS-CoV-2, da utilizzare insieme alle distanze sociali e al lavaggio frequente delle mani (1). Le aree dove si è tenuto conto di tali consigli e implementato l'uso di mascherine hanno registrato un calo di nuovi casi quotidiani, mentre le aree con misure di allontanamento sociale da sole no (2). Il messaggio sulle indicazioni attuali è che le mascherine facciali aderenti a 2-3 strati dovrebbero essere indossate sempre in pubblico come ulteriore livello di protezione, anche quando è possibile il distanziamento sociale, ma è condizione comune della pratica clinica trovarsi di fronte  a pazienti scettici sull’uso delle mascherine, con dubbi sulle modalità di impiego o sulla loro efficacia. Un articolo di revisione della letteratura (1) descrive vari scenari con risposte adeguate alle domande dei pazienti, basate su prove di evidenza, centrate sulla prudenza e non allarmanti. 

Domanda  (D) Non sono malato, perché devo indossare la mascherina?

Risposta (R):Più di un terzo delle persone infette non è consapevole di essere portatore del virus e non sviluppa mai sintomi che giustificano il test. Indossando una mascherina, la persona protegge gli altri.

Prove (P): Il CDC (Center for Disease Control and Prevention) stima che circa il 40% degli individui infetti non manifesti sintomi evidenti e potrebbe contribuire alla significativa diffusione della malattia a loro insaputa. L'OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità) ha dichiarato che i pazienti hanno livelli rilevabili di SARS-CoV-2 RNA da 1 a 3 giorni prima della comparsa dei sintomi. Utilizzando tamponi faringei per quantificare la carica virale e le informazioni sull'insorgenza dei sintomi si stima che il picco di infettività sia 1-2 giorni prima della comparsa dei sintomi. Gli individui diffondono il virus da 5 a 6 giorni prima dell'insorgenza dei sintomi e che la trasmissione pre-sintomatica totale è del 44% (CI, 30-57%). 

DHo letto che le mascherine non funzionano e che alcuni studi hanno evidenziato problemi legati alle mascherine di stoffa in operatori sanitari. Perché allora dovrebbero usarle le persone comuni?

R: Le mascherine di stoffa proteggono le altre persone da te, riducendo il numero di goccioline che potresti rilasciare in uno spazio aereo condiviso quando respiri, parli, tossisci o starnutisci. Forniscono un ulteriore livello di protezione complementare al distacco sociale e al lavaggio delle mani. Ci sono prove a sostegno di un vantaggio per le mascherine di stoffa nel ridurre il carico della pandemia COVID-19, mentre le mascherine non sono state altrettanto efficaci per altri virus respiratori. Le mascherine medico/chirurgiche hanno un ruolo diverso. La struttura e l'uso corretto di una mascherina medica può aiutare a proteggere il medico dai propri pazienti in modo più efficace rispetto a una mascherina in tessuto. 

P: L'efficacia delle mascherine sia nella comunità che nelle strutture sanitarie è stata ampiamente rivista  (3) e confermata indicando un vantaggio per la ridotta trasmissione di SARS-CoV-1 o MERS-CoV-1, ma nessun effetto per l'influenza, malattia simil-influenzale, o altre malattie respiratorie virali. Per SARS-CoV-2 studi osservazionali hanno mostrato una diminuzionedei casi in seguito all'implementazione dell’uso. Per il personale sanitario uno studio ha mostrato che c'erano tassi significativamente più alti di infezioni respiratorie (malattia respiratoria clinica, malattia simile all'influenza e infezione da virus respiratorio confermata in laboratorio) tra i professionisti randomizzati a un braccio con mascherina di stoffa rispetto alle mascherine chirurgiche. Va segnalato che il braccio di controllo (pratica abituale) includeva l'uso di mascherine mediche. Pertanto, non è possibile trarre conclusioni sul fatto che una mascherina in tessuto fornisca o meno un livello di protezione rispetto a nessuna mascherina.

DSe sono in un ambiente chiuso, a 2 metri di distanza da qualcuno, devo indossare una mascherina?

R: Sì, idealmente dovresti indossare una mascherina anche se sei in grado di mantenere una distanza di 1,8 m. La distanza di 1,8 m è la "stima migliore" per quanto si diffondono le goccioline respiratorie. Ci sono prove di diffusione attraverso aerosol che possono viaggiare molto più lontano delle goccioline e rimanere in sospensione in aria per un periodo di tempo più lungo e possono accumularsi in uno spazio chiuso. Le distanze sociali e il lavaggio delle mani non proteggono dalla trasmissione per via aerea, le mascherine sì.

P: E’ stato dimostrato che le particelle respiratorie portatrici di patogeni derivanti da esalazioni, tosse e starnuti possono viaggiare fino a 8 metri in "nuvole di gas turbolente ": Particelle respiratorie di una tosse simulata viaggiavano fino a 3 metri e mezzo in 50 secondi. Un fazzoletto piegato ha ridotto il getto a circa 90 cm. Una mascherina in tessuto a due strati cucita in casa ha ridotto la distanza a meno di 8 cm. L'OMS e il CDC definiscono le particelle respiratorie maggiori di 5 μm come goccioline e inferiori a 5 μm come aerosol, mentre altri definiscono gli aerosol di 10 o 20 μm in base alla capacità di queste particelle respiratorie di rimanere nell'aria (trasportate all'interno di "nuvole di gas turbolente ”) Mentre le goccioline più grandi tipicamente cadono a terra entro il raggio di 1,8 metri.  E’ stato riscontrato che SARS-CoV-2 rimane vitale e infettivo negli aerosol per 3 ore. Bastano poche centinaia di particelle di SARS-CoV-2 per causare la malattia. Si stima che: un minuto di conversazione ad alta voce generi almeno 1000 aerosol contenenti virus che rimangono nell'aria per più di 8 minuti; la probabilità che una data gocciolina contenga una particella SARS-CoV-2 sia del 37%;  un minuto di conversazione ad alta voce possa essere sufficiente per causare un'infezione virale oltre i 2 metri di distanza. Una recente revisione sistematica di 9 studi osservazionali ha determinato una probabilità dell'8-12% di infezione virale a 1 m e il rischio viene dimezzato a ogni metro aggiuntivo di distanza. Tuttavia, in un ambiente chiuso, è probabile che gli aerosol si accumulino e viaggino più lontano di 1,8 m. 

DCosa posso usare come filtro per la mia mascherina e potrei provare con più filtri?

R: Indossare una mascherina con 2-3 strati e senza spazi vuoti, insieme al distanziamento e al lavaggio delle mani, ottimizza la traspirabilità pur offrendo prestazioni di filtraggio sufficienti per ridurre il rischio di trasmissione senza la necessità di un filtro aggiuntivo.

P: La stratificazione dei tessuti migliora la filtrazione. Studi condotti in ambiente sperimentale hanno dimostrato un'eccellente filtrazione delle goccioline quando i tessuti sono stratificati. Un doppio strato riduce del 97,2%. il numero di goccioline che lo passano. Dato che il diametro di SARS-CoV-2 è di circa 0,1 μm, una possibile obiezione alle mascherine di stoffa è che il virus sia troppo piccolo per essere bloccato dal tessuto. Le particelle respiratorie (goccioline e aerosol) generate da un colpo di tosse o da uno starnuto hanno una dimensione di 0,1–900 μm e gli aerosol prodotti dalla normale conversazione o respirazione sono <1 μm.  Un singolo strato di cotone al 100% è in grado di bloccare fino al 70% delle nano-particelle contenute in goccioline ad alta velocità, mentre un doppio strato bloccato oltre il 94% e 3 strati bloccati> 98%, che ha prestazioni simili a una mascherina medica . Allo stesso modo, il 94% delle goccioline a bassa velocità è bloccato con uno o due strati di cotone al 100%. Tutto quanto  suggerisce che una mascherina a strati funziona abbastanza bene da ridurre la diffusione della malattia in ambiente della comunità senza la necessità di un filtro aggiuntivo.

DDevo indossare una mascherina quando passeggio all’aperto?

R: Il virus in aerosol viene rapidamente diluito all'aperto anche se può rimanere nell'aria. A seconda di dove si stà camminando, si potrebbe comunque indossare una mascherina per ridurre ulteriormente il rischio per gli altri.

P: In uno spazio esterno, gli aerosol sono rapidamente diluiti, riducendo così l'esposizione durante l'attività all'aperto e che rende improbabile a venire a contatto con un alto carico virale sufficiente a causa di malattia. Tuttavia, è importante notare che, nelle aree ad alto inquinamento, può ancora verificarsi l'accumulo di virus all'aperto.  

DIndossare una mascherina è malsano? Non sto respirando aria con un contenuto di anidride carbonica alto e povera di ossigeno?

R: È improbabile che indossare una mascherina modifichi i livelli di ossigeno o anidride carbonica, ma il nostro corpo umano è in grado di affrontare l'anidride carbonica se necessario. Ad esempio, chirurghi, infermieri e altro personale medico indossano mascherine per procedure che durano più di 8 ore e sono in grado di esercitare per molti anni senza subire effetti dannosi dall'anidride carbonica.

P: Attualmente non ci sono studi clinici pubblicati per valutare se le mascherine in tessuto aumentano o meno il rischio di ipercapnia, in adulti normali e sani. Il diametro cinetico della CO 2 è di 330 picometri (3,3 × 10 −6  μm), molto più piccolo della trama delle maschere di stoffa; quindi, l'ipercapnia con l'uso di mascherine in tessuto è estremamente improbabile. Lo stesso vale per l’ossigeo,che ha un diametro cinetico di 346 picometri; è quindi verosimile che lo scambio di CO 2 e O non venga influenzato dall'uso di mascherine di stoffa

DPerché dovrei indossare una mascherina in auto, quando sono solo?

R: Dipende da quanto il viaggio sia tra commissioni o appuntamenti. Ossia una condizione che porta a togliere e mettere più volte la mascherina. Non toccare o regolare frequentemente la mascherina significa meno possibilità di trasferire il virus tramite contatto, se fosse presente. Prima di indossare o rimuovere la maschera, è opportuno lavarsi le mani correttamente con acqua e sapone per 20 secondi.

P: SARS-CoV-2 ha dimostrato di essere vitale sulle superfici per giorni (sebbene l'emivita sia di poche ore) a seconda della superficie.

DQuanto spesso và cambiata e pulita la mascherina? Togliere e mettere la mascherina ne compromette l’efficacia?

R: Si dovrebbe usare una mascherina pulita ogni giorno o se si sporca o si inumidisce. Le mascherine possono essere lavate nel bucato normale o con una soluzione di candeggina. Se è necessario rimuovere la mascherina durante il giorno, è necessario seguire la tecnica corretta per rimuoverla e rimetterla, insieme a una corretta igiene delle mani. Più si tocca e si aggiusta una mascherina, maggiori sono le possibilità di contaminazione.

P: Il sapone normale è un mezzo efficace per disattivare SARS-CoV-2. In caso di lavaggio a mano, il CDC consiglia di utilizzare candeggina destinata alla disinfezione e contiene ipoclorito di sodio dal 5,25 all'8,25%. Mescolare 5 cucchiai di candeggina per litro d'acqua e lascia la mascherina in ammollo per 5 minuti. Assicurarsi che la mascherina sia completamente asciutta prima dell'uso.

D:  I raggi ultravioletti della luce solare uccidono il virus?

R: No, i raggi UVA e UVB che raggiungono la terra non hanno mostrato alcun effetto su SARS-CoV-2. Alcuni studi hanno dimostrato che i raggi UVC disattivano SARS-CoV-2, ma sono assorbiti dallo strato di ozono e non raggiungono la superficie terrestre.

P: La capacità di ridurre la trasmissione di SARS-CoV-2 delle alte temperature e delle radiazioni UV si basa su dati disponibili inconcludenti fino a quando non saranno disponibili dati annuali. In condizioni di laboratorio, solo i raggi UVC, che sono completamente assorbiti dallo strato di ozono, hanno dimostrato di disinfettare SARS-CoV-2 e SARS-CoV-1

D:  In ufficio con ventilazione ad aria condizionata, devo indossare una mascherina?

R: No. La quantità di goccioline contenenti particelle virali probabilmente non sarebbe sufficientemente concentrata da causare malattie. Tuttavia, è consigliabile attenersi alle indicazioni dei protocolli della propria azienda.

P: Alcuni studi hanno rilevato la presenza di SARS-CoV-2 RNA in campioni d'aria, compreso lo sfiato di scarico dell’aria condizionata, ma questi studi non erano quantitativi e non sono stati in grado di determinare la vitalità del virus. E’ dimostrato che il rischio di trasmissione aerea è più elevato in spazi interni con scarsa ventilazione.

(1. Martinez JA, et al. Patient Questions Surrounding Mask Use for Prevention of COVID-19 and Physician Answers from an Evidence-Based Perspective: a Narrative Review J Gen Intern Med. 2020;1-6. doi:10.1007/s11606-020-06324-w

2. Van Dyke Me et al Trend in County-Level COVID-19 Incidence in COunties With and Without a Mask Mandate - Kansas, June 1-August 23, 2020. MMRW Morb Mortal Wkly Rep. ePub: 20 November 2020

3. Chou R, et al. Masks for prevention of respiratory virus infections, including SARS-CoV-2, in health care and community settings: a living rapid review. Ann Intern Med. 2020. 10.7326/M20-3213)

Studio argentino: la terapia al plasma non riduce la mortalità da Covid

(da DottNet)   L'utilizzo del cosiddetto plasma iperimmune, quello cioè ottenuto dai pazienti guariti da Covid-19, non sembra avere effetti sul decorso della malattia quando viene usato come trattamento per la malattia. Lo affermano i risultati di un test condotto in Argentina pubblicati dal 'New England Journal of Medicine'.  I ricercatori del consorzio PlasmaAr hanno selezionato 228 pazienti, assegnandoli random al trattamento con il plasma o a un placebo. Dopo un mese non sono state notate differenze significative negli esiti della malattia, con la mortalità che è risultata del 10.96% nel gruppo trattato e dell'11,43% nell'altro, mentre gli eventi avversi, sia lievi che gravi, sono risultati simili nei due gruppi. "Nel nostro test - scrivono gli autori nelle conclusioni - l'uso del plasma da convalescente insieme ai trattamenti standard i pazienti con polmonite grave dovuta a Covid-19 non riduce la mortalità o migliora gli esiti clinici dopo 30 giorni rispetto al placebo. Crediamo che l'uso di questa terapia come standard nelle cure di questo tipo di pazienti debba essere rivalutato. Studi ulteriori sul tema dovrebbero essere diretti ad altre popolazioni o ad interventi diversi, come l'uso di immunoglobuline endovena o di anticorpi monoclonali".  Il plasma iperimmune viene raccolto e utilizzato anche in Italia, dove sono in corso diversi studi di cui uno nazionale sull'efficacia. Al momento, afferma l'ultimo monitoraggio del Centro Nazionale sangue datato 19 novembre, nel paese ci sono 4.325 sub-unità di plasma iperimmune donato da pazienti guariti dal Covid-19, raccolto da 134 servizi trasfusionali distribuiti su tutto il territorio nazionale.

Certificati INPS Covid-relati – aggiornamento

La scorsa settimana erano comparse sulla stampa medica on line notizie su nuovi codici da apporre sulle certificazioni INPS emesse per casi in relazione alla pandemia da Covid-19 (per intenderci i vari V07, V29.0 etc etc)   Abbiamo chiesto chiarimenti al riguardo alla Dott.ssa Maria Cristina Masarà, Responsabile U.O.S. INPS di Bologna, che ci ha risposto in questo modo:

nei certificati afferenti al Covid 19, il medico certificatore deve limitarsi a descrivere con accuratezza la diagnosi, ovvero:

se il lavoratore è in quarantena come da provvedimento del SIP

se il lavoratore ha fatto un tampone, è stato segnalato al SIP ed è in attesa di provvedimento

se il lavoratore è ammalato, Covid + sintomatico, (in questo caso sarebbe per noi utile sapere se si tratta di una forma lieve, quale febbre, o grave, quale polmonite).

La codificazione spetta unicamente ai medici Inps nella lavorazione dei certificati.

Mi permetto di aggiungere che non possono essere accettati come malattia certificati recanti la dicitura "assenza del genitore per quarantena del figlio" perché nella fattispecie sono previsti altri strumenti di tutela quali il lavoro agile o il congedo parentale.

Grazie per la collaborazione

Maria Cristina Masarà

Long Covid: quei sintomi sfuggenti che nessuno capisce

(da Univadis)   I pazienti che continuano a lamentare sintomi di COVID-19 a distanza di mesi dalla fase acuta sono stati trattati spesso alla stregua di ansiosi ipocodriaci, o di lunatici, ma nelle ultime settimane anche le riviste accademiche hanno cominciato a prendere sempre più seriamente il fenomeno della cosiddetta "long haulers covid", una forma della malattia a lunga persistenza, anche per merito di uno studio italiano pubblicato in agosto sulla rivista JAMA.  In quello studio, un gruppo di ricercatori dell'Università Cattolica di Roma aveva osservato che tra i pazienti che si presentavano alla clinica Day Hospital Post-Covid del Policlinico Gemelli dopo essere stati dimessi con doppio tampone negativo, solo una esigua minoranza, pari al 12,6%, era del tutto libero da sintomi, mentre il 32% aveva uno o due sintomi e addirittura il 55% ne aveva tre o più, pur non presentando né febbre né altri segni o sintomi di malattia acuta. In 44 casi su cento, la sintomatologia era tale da compromettere la qualità della vita. I pazienti lamentavano spossatezza (53,1%), dispnea (43,4%) dolori articolari (27,3%) e dolori toracici (21,7%), in media a 60 giorni dall'esordio dei sintomi.

Non solo i più gravi      "A oggi il numero di pazienti seguiti è salito a circa 400, con una sostanziale conferma dei dati, nonostante il tempo mediano del follow-up sia salito da 60 a 90 giorni" spiega a Univadis Medscape Italia Angelo Carfì, tra gli autori dello studio. "Sono pazienti che hanno avuto la malattia in forma moderata o grave, e che in maggioranza avevano avuto bisogno di ossigeno o ventilazione". Con il crescere dei numeri, sono emersi anche casi di sintomatologia persistente persino in assenza di conferma diagnostica dell'avvenuta infezione, quindi con tampone negativo, come quello di una giovane dottoressa del Massachusetts General Hospital in Boston: "Ancora oggi esito a identificarmi con i 'long-haulers', incapace di conciliare l'adesione della mia mente all'evidence oggettiva con i sintomi del mio corpo. Ma condivido i loro tormenti" ha raccontato Pooja Yerramilli alla rivista americana STAT "Ai medici si insegna a dare più peso al dato obiettivo che all'esperienza soggettiva, ma forse dovremmo ammettere umilmente l'incertezza e mantenere l'apertura mentale e la curiosità necessarie per porre le domande giuste".

Sindrome post-virale     “A livello aneddotico non c'è dubbio che un numero considerevole di individui abbia una sindrome post-virale che davvero, per molti aspetti, li rende inabili per settimane o mesi dopo la cosiddetta guarigione con scomparsa del virus" ha spiegato Anthony Fauci, direttore del National Institute of Allergy and Infectious Diseases. Qualcosa di simile era accaduto anche con la prima SARS, nel 2002: "Alcune persone che erano state ricoverate con SARS presentavano ancora una funzione polmonare ridotta a distanza di due anni" ricordava un articolo, ancora su Jama. Ma in tutto il mondo le diagnosi di SARS erano state solo 8.096.  Uno studio in corso di pubblicazione che sta aiutando a fare chiarezza è stato condotto da Marco Rizzi, direttore dell’Unità di Malattie Infettive dell'Ospedale di Bergamo Papa Giovanni XXIII: il progetto di follow-up Surviving Covid-19 ha reclutato circa 1.500 pazienti dimessi tra marzo e settembre dall'ospedale bergamasco, in una delle zone più seriamente colpite dalla prima ondata della pandemia. A differenza dell'indagine della Cattolica, basata su questionari, il gruppo di Rizzi ha richiamato tutti i pazienti dimessi per sottoporli a una approfondita batteria di esami.  Il follow-up è stato realizzato in media dopo tre mesi e mezzo circa dalla comparsa dei sintomi, e ha comportato due accessi per la prima valutazione a cura di un infermiere (che ha effettuato ecg, prelievi ematici, radiografia e valutazione della funzionalità respiratoria eventualmente seguita da TC torace), da uno psicologo per la valutazione psicosociale e da un fisioterapista per la valutazione dei bisogni riabilitativi. Tre giorni dopo, la seconda valutazione a cura dell'infettivologo con i risultati degli esami comportava il rinvio al MMG o l'avvio di percorsi specialistici.  "Mediamente il 30% dei pazienti presentava dispnea, il 28% prove respiratorie di diffusione patologiche e il 36% astenia e fatigue" ha spiegato Rizzi a Univadis Medscape Italia. "L'anosmia, che era presente nel 18% dei ricoverati in fase acuta, persisteva nel 3% a distanza di 105 giorni. Molto diffuse erano anche sindrome post-traumatica da stress (circa il 30% dei pazienti), ansietà (11%) e depressione (4,5%)".  Rizzi e colleghi hanno osservato una correlazione chiara rispetto all'episodio acuto per quanto riguarda il quadro respiratorio, ma non per l’astenia. Oltre la metà dei pazienti visitati è stato affidato al medico di medicina generale.

Ma se è normale aspettarsi sintomi duraturi in chi ha trascorso settimane in un reparto di terapia intensiva, spesso intubato, alcune indagini americane hanno sorprendentemente suggerito che la forma persistente di Covid potrebbe addirittura prediligere pazienti con sintomi lievi o moderati che non sono stati ricoverati, o lo sono stati per brevi periodi, e non hanno avuto bisogno di terapia intensiva.  Molti di loro lamentano perdita di memoria e difficoltà di concentrazione, spesso accompagnate da estrema spossatezza: sintomi che hanno spinto Anthony Fauci ad associare questi casi alla cosiddetta "nebbia post-virale" comune nella sindrome da stanchezza cronica/encefalomielite mialgica (ME/CFS), di cui si sa che spesso il fattore scatenante è un'infezione da mononucleosi, malattia di Lyme o appunto SARS, un'altra malattia da coronavirus.

“Non mi credono”     Di certo, come per le prime vittime di CFS, anche per i pazienti con Covid persistente è molto comune l'esperienza frustrante di non essere presi sul serio: soprattutto alle donne è capitato di essere viste come ansiose con la tendenza a drammatizzare.   Anche per questo, in alcuni casi sono stati gruppi di autoaiuto dei pazienti a mobilitarsi per provare a fare chiarezza. Dopo una prima indagine che ha raccolto i dati di 640 long haulers (https://patientresearchcovid19.com/research/report-1/), un gruppo di ricerca oggi coordinato da Athena Akramy dell'University College di Londra ha da poco lanciato una nuova raccolta dati via web, con anche interfaccia in italiano, chiamando a raccolta chi "ha avuto o sta avendo sintomi compatibili con la COVID-19, come risultato di un'infezione da SARS-CoV-2 presunta o confermata".    Rizzi ha già preso parte a numerosi incontri di formazione e condivisione con i medici del territorio lombardo, ma si dice convinto che molto rimanga da fare: "Abbiamo avviato un confronto nazionale sulle necessità del follow-up, perché gli ambulatori sono pochi", conclude.

(https://jamanetwork.com/journals/jama/fullarticle/2768351     https://jamanetwork.com/journals/jama/fullarticle/2771111)

Enpam: allo studio tutele anti-Covid anche per i libero professionisti

(da Enpam.it)   Secondo le indicazioni emerse dal Comitato Consultivo del Fondodella libera professione, tenutosi il 20 novembre scorso, l’Enpam si avvierebbe a coprire l’unico vuoto rimasto nell’architettura dei propri interventi a tutela dei soggetti colpiti dall’emergenza sanitaria in atto. Come abbiamo avuto occasione di sottolineare, infatti, i liberi professionisti sono finora tutelati con una specifica indennità se sono posti in quarantena o in isolamento domiciliare dall’autorità sanitaria competente per territorio, ma in caso di malattia vera e propria da Covid-19 la loro copertura è invece assimilata a quella della normale malattia, e quindi scatta dal 31° giorno di inabilità.

Vaccino Pfizer: funzionerà davvero? Cosa sappiamo e cosa no, quali sono i competitor

(da Univadis)   Il Ministero della Salute conferma l’accordo con la casa farmaceutica Pfizer per l’acquisto di 3,4 milioni di dosi del vaccino messo a punto in collaborazione con la start-up BioNTech. L’accordo italiano è parte di un contratto di fornitura europeo; all’Italia spetta (secondo fonti ministeriali) il 13,5% delle dosi. Giacché il vaccino richiede due somministrazioni, con le dosi acquistate si potranno vaccinare 1,7 milioni di italiani, probabilmente tra le categorie a rischio che svolgono attività sanitaria: i primi a essere immunizzati, sperabilmente nel primo trimestre del nuovo anno, dovrebbero essere proprio medici e infermieri, insieme ai pazienti più a rischio.  La Pfizer - che ha annunciato con un comunicato stampa i dati preliminari di efficacia (risposta immunitaria elicitata nel 90% dei vaccinati) ma che non li ha ancora pubblicati su una rivista peer-review - ritiene di poter richiedere una approvazione di emergenza alla FDA nell’ultima settimana di novembre e l’approvazione dell’Agenzia europea per i medicinali già a fine dicembre, . L’accordo stipulato consente però al colosso farmaceutico di avviare la produzione fin da subito, distribuendo il prodotto non appena riceverà le dovute autorizzazioni.

Il parere di Garattini    “Prenderei questi dati di efficacia con beneficio di inventario” dice Silvio Garattini, presidente dell’Istituto Mario Negri di Milano. “La percentuale di protezione sembra molto alta, ma non sappiamo se sono dati definitivi o parziali, né che caratteristiche aveva la popolazione testata, se era giovane e sana o anziana. Sappiamo che molti vaccini offrono una copertura minore nelle persone anziane ed è improbabile che lo studio ancora in corso ci dica qualcosa in merito, per via della numerosità del campione. La fase 4 di osservazione sarà quindi essenziale per capire la portata della copertura”.   Tra i problemi da risolvere, anche la modalità di distribuzione e somministrazione. Il vaccino Pfizer è infatti basato su una tecnica nuova: un RNA messaggero viene introdotto nella cellula ospite e tradotto nella proteina spike, l’elemento antigenico del virus che elicita la risposta immunitaria. È la prima volta che l’inserzione di mRNA viene usata per la produzione di un vaccino e la Pfizer non è riuscita a semplificare i requisiti di conservazione, che prevedono una catena del freddo a -80 °C.   “Far arrivare il prodotto nel centri vaccinali sarà complicato” spiega Garattini. “Sarà probabilmente necessario creare dei centri vaccinali regionali dotati di grandi frigoriferi per la conservazione dei lotti”. Secondo le anticipazioni dell’azienda, una volta scongelati i vaccini si conservano per tre giorni e quindi devono essere portati rapidamente nei luoghi di somministrazione. “Altri vaccini antiCovid in pipeline sono più semplici da trasportare e conservare, ma non abbiamo ancora dati definitivi sulla loro antigenicità” continua Garattini.    Il vaccino Pfizer è stato inzialmente prodotto in due varianti, ma al termine della fase 1 una delle due versioni, la BNT162b2, ha dimostrato di indurre minori effetti collaterali dell’altra ed è stata avviata alle fasi 2/3 (portate avanti in contemporanea, secondo un modello sperimentale accelerato usato ormai per quasi tutti i vaccini antiCovid) su 30.000 volontari negli Stati Uniti, Brasile, Argentina e Germania. Nel corso di una presentazione agli investitori avvenuta a fine agosto, l’azienda ha riferito solo effetti collaterali lievi o moderati. Il vaccino è in sperimentazione anche sui bambini.

L’analisi presentata tre giorni fa costituisce una valutazione preliminare di efficacia: su 43.538 partecipanti al trial, l’azienda ha identificato 94 casi di Covid-19. Non è chiaro se si sono verificati nel gruppo trattato o nel gruppo placebo ma, secondo quando riferisce Nature in un recente articolo, i dati sono sufficienti per dichiarare un’efficacia del 90%, misurata a una settimana dalla somministrazione della seconda dose (a tre settimane dalla prima). Ora lo studio proseguirà fino all’identificazione di 164 casi di malattia.  “Anche se il vaccino dovesse mostrare un’efficacia inferiore alla fine dell’osservazione, è improbabile che scenda sotto il 50%, la soglia richiesta dalla FDA per l’approvazione” spiega Garattini.  L’elemento di maggiore incertezza riguarda la capacità del vaccino di bloccare la trasmissione dell’agente infettivo: è possibile, infatti, che sia capace di bloccare la malattia ma che non impedisca ai portatori asintomatici o paucisintomatici di trasmettere il virus. L’obiettivo che tutti gli sviluppatori di vaccini sperano invece di raggiungere è un prodotto in grado di fermare la trasmissione di Sars-CoV2, portando a una lenta ma inesorabile scomparsa dell’agente.

I competitors

L’annuncio del successo di Pfizer non ha compromesso le quotazioni degli altri vaccini in pipeline, anzi. Il vaccino in fase 3 sviluppato da Moderna e dai National Institues of Health statunitensi funziona sulla base dello stesso meccanismo (ovvero con RNA messaggero) ed è già in fase 3 di sviluppo.   Arriveranno sul mercato probabilmente anche i vaccini cinesi (se faranno domanda di approvazione e mostreranno i dati sperimentali): tra questi, il vaccino CanSino Biologics, messo a punto in collaborazione con l’Accademia militare di scienze mediche cinese, già approvato in Cina per un uso limitato sugli operatori sanitari. Si tratta di un vaccino a base di virus vivo attenuato. Proprio ieri (11 Novembre) il Russian Direct Investment Fund ha annunciato che, secondo i risultati preliminari di una sperimentazione di fase 3 (non pubblicata) anche il vaccino russo del Gamaleya Research Institute offrirebbe una copertura del 92% circa. Si tratta però di annunci fatti alla stampa per sostenere l’efficacia dell’approccio russo: il vaccino è infatti basato su due adenovirus, Ad5 e Ad26, ingegnerizzati con geni di Sars-CoV2, stessa tecnica usata da Johnson and Johnson per il suo vaccino sviluppato insieme al Beth Israel Deaconess Medical Center di Boston.

L’Europa attende i risultati del trial combinato di fase 2/3 del vaccino sviluppato da Astra Zeneca insieme all’Università di Oxford che utilizza un adenovirus di scimpanzé. Secondo recenti comunicati dell’azienda, i risultati sono attesi per la fine di dicembre e non si sono più manifestati effetti collaterali come quello che, il 6 settembre scorso, ha portato all’interruzione dello studio perché una volontaria aveva sviluppato una mielite trasversa. Il vaccino è stato ritenuto estraneo alla comparsa della malattia.   Sempre in Cina, è stato autorizzato per la somministrazione a categorie a rischio un vaccino a virus attenuato prodotto da Sinopharma (farmaceutica statale) e dal Wuhan Institute of Biological Products. A metà settembre lo stesso vaccino è stato commercializzato negli Emirati Arabi Uniti.

La  perimentazione di un vaccino tecnicamente simile, il Sinovac, è stata però bloccata in Brasile agli inizi di novembre per via della comparsa di un grave effetto collaterale. Il caso è ancora sotto esame.

Infine si attende anche la messa in commercio di Novavax, un vaccino a base di proteine antigeniche del capside virale, in sperimentazione di fase 3 in Gran Bretagna e a breve anche negli Stati Uniti. I risultati sono attesi per fine anno e la distribuzione per il primo quadrimestre del 2021.

TAR del Lazio: I medici di base non possono assistere pazienti Covid a domicilio

(da AGI) "L’affidamento ai medici di medicina generale del compito di assistenza domiciliare ai malati Covid risulta in contrasto" con i decreti legge varati nello scorso marzo, nella 'fase 1' di emergenza sanitaria. Lo scrive la terza sezione quater del Tar del Lazio, in una sentenza depositata oggi accogliendo il ricorso presentato dal Sindacato Medici Italiani contro alcuni provvedimenti della Regione Lazio. Secondo i giudici amministrativi, "è determinante la previsione contenuta" nel decreto legge 14/2020, inerente 'Disposizioni urgenti per il potenziamento del Servizio sanitario nazionale in relazione all'emergenza Covid-19', secondo cui "al fine di consentire al medico di medicina generale o al pediatra di libera scelta o al medico di continuità assistenziale di garantire l'attività assistenziale ordinaria, le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano istituiscono, entro dieci giorni dall'entrata in vigore del presente decreto, presso una sede di continuità assistenziale già esistente una unità speciale ogni 50mila abitanti per la gestione domiciliare dei pazienti affetti da Covid-19 che non necessitano di ricovero ospedaliero".

Dunque, si legge nella sentenza, "nel prevedere che le Regioni 'istituiscono' una unità speciale 'per la gestione domiciliare dei pazienti affetti da Covid-19 che non necessitano di ricovero ospedaliero', la citata disposizione rende illegittima l’attribuzione di tale compito ai MMG (medici di medicina generale, ndr), che invece dovrebbero occuparsi soltanto dell’assistenza domiciliare ordinaria (non Covid)". Per questo, "hanno ragione i ricorrenti quando affermano che il legislatore d’urgenza ha inteso prevedere che i MMG potessero proseguire nell’attività assistenziale ordinaria, senza doversi occupare dell’assistenza domiciliare dei pazienti Covid". Tale previsione, aggiunge ancora il Tar, "è stata replicata in modo identico" in un articolo del decreto 'Cura Italia', nel quale "è specificato pure che 'il medico di medicina generale o il pediatra di libera scelta o il medico di continuità assistenziale comunicano all'unità speciale, a seguito del triage telefonico, il nominativo e l'indirizzo dei pazienti'”.

Cdc promuove le mascherine in tessuto, ‘riducono i rischi’

(da DottNet)   Le mascherine 'di comunità', quelle cioè ottenute con diversi strati di tessuto, non solo riducono il rischio che una persona con l'infezione da Sars-Cov-2 diffonda il virus, ma proteggono anche chi è sano filtrando, almeno parzialmente, eventuali goccioline cariche di virus provenienti dall'esterno. Lo scrive il Cdc americano in un documento in cui afferma che "adottare politiche universali sulle mascherine può aiutare ad evitare futuri lockdown".   Nel documento il Cdc cita diversi studi recenti, che suggeriscono che nei luoghi dove si indossano più mascherine di comunità il rischio di infezione si riduce, non solo perché il dispositivo evita che una persona infetta diffonda il virus ma anche per un effetto di 'sinergia' secondo cui anche chi non è infetto si protegge. "Le mascherine di tessuto non solo blocca efficacemente le goccioline di saliva più grandi - scrivono gli esperti statunitensi -, ma possono anche bloccare l'esalazione delle particelle più piccole, comunemente definite aerosol.  Quelle multistrato possono bloccarne fino al 70%". "Servono maggiori ricerche - concludono - per avere più prove dell'effetto protettivo e in particolare per identificare la combinazione di materiali che massimizzano l'efficacia".

Diabetologi all’Aifa: eliminare i piani terapeutici per il diabete

(da DottNet)   Abolire prima possibile i piani terapeutici relativi ai farmaci anti-diabete, che è una malattia cronica 'senza scadenze' e comunque prorogarli con urgenza in considerazione dell'attuale emergenza Covid e semplificare la prescrizione dei farmaci innovativi: sono le richieste unanimi delle principali associazioni scientifiche e professionali della Diabetologiaitaliana in una lettera ufficialmente indirizzata all'Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA) in occasione della Giornata Mondiale del Diabete che si tiene sabato 14 novembre.  Vista la preoccupante emergenza sanitaria in corso, i diabetologi chiedono che siano definitivamente aboliti i Piani Terapeutici perla prescrizione in regime di rimborsabilità dei farmaci contro il diabete, e che sia estesa ai medici di Medicina Generale la possibilità di prescrivere anche i farmaci anti-diabetici di ultima generazione,. "Abbiamo più volte riferito l'importanza di far valere i piani terapeutici sine die - sottolinea il Presidente della Società Italiana di Diabetologia Francesco Purrello dell'Università di Catania - anche in considerazione del fattoche i farmaci prescritti sono ormaiin uso da tempo e sono sicuri, inoltre sono fondamentali non solo per gestire la malattia ma anche per prevenire le complicanze renali e cardiovascolari di essa". La compilazione dei piani terapeutici sottrae risorse e tempo preziose agli specialisti - rileva Francesco Giorgino, Presidente della Società Italiana di Endocrinologia, che potrebbero essere meglio impiegate per i pazienti". Sicurezza ed efficacia delle terapie innovative sono ormai avvalorate da anni di uso clinico, ribadisce Paolo Di Bartolo, Presidente dell'Associazione Medici Diabetologi (AMD)."Oggi ci troviamo con sale d'attesa piene di persone che si recano in ospedale per atti amministrativi, per farsi mettere un timbro; ciò appare una follia specie in questo momento storico. Dobbiamo da subito avere un provvedimento che proroghi i piani terapeutici - conclude - e poi subito dopo la loro abolizione e la possibilità che i MMG possano prescrivere i farmaci innovativi, tutto questo deve avvenire ora, non ha senso che avvenga tra sei mesi, l'urgenza pandemica è ora". 

Covid: può salire 11% rischio morte contagiati zone a più smog

(da AGI)  Le persone che vivono in aree con livelli più elevati di inquinamento atmosferico potrebbero veder aumentato dell’11% il rischio di decesso in caso di infezione da Covid-19. Questo è quanto emerge da uno studio, pubblicato sulla rivista 'Science Advances', condotto dagli esperti dell’Università di Harvard, che hanno analizzato il legame tra le concentrazioni di particolato atmosferico e il numero di decessi nelle zone considerate più inquinate. “Un aumento di un microgrammo per metro cubo di particolato – sostiene Francesca Dominici, docente presso l’Università di Harvard – sembra collegato ad un aumento del rischio di morte per COVID-19 dell’11 percento”.
   Il team ha effettuato tali valutazioni sulla base dei dati sui casi di infezione da Sars-CoV-2 e sui decessi avvenuti presso l’ospedale della Johns Hopkins University. I dati sull'inquinamento atmosferico sono stati raccolti negli Stati Uniti da una combinazione di letture atmosferiche e modelli computerizzati e riguardano 3.089 contee, dove abita circa il 98 percento della popolazione statunitense. “I nostri risultati – afferma l’esperta – mostrano che i livelli di PM2,5 negli Stati Uniti variano notevolmente, con punti ad alta prevalenza intorno alle metropoli e alle città principali, dove possono essere raggiunti i 12 microgrammi per metro cubo”.
   Stando alle dichiarazioni degli autori, la ricerca, che si concentra sulle informazioni statunitensi, ha implicazioni di vasta portata, specialmente per quanto riguarda i luoghi in cui l’inquinamento atmosferico supera le soglie limite. “Definito il livello di 13 microgrammi per metro cubo come inquinamento elevato – prosegue la scienziata – nonostante il limite fissato dall’Organizzazione mondiale della sanità (OMS) sia di 10 microgrammi per metro cubo, abbiamo scoperto che un aumento di un microgrammo per metrocubo potrebbe provocare una serie di conseguenze a livello di salute. Considerando due aree geograficamente simili tra loro notiamo che nella zona più inquinata si registra un aumento del tasso di mortalità di Covid-19”.

Tamponi, Mmg obbligati e senza standard di sicurezza. Le ragioni di chi dice no

(da Doctor33)    Non ci saranno firme tecniche sull'accordo dei tamponi. Anche se ai sindacati il no dovesse costare l'esclusione da tutte le trattative regionali. Angelo Testa, presidente Snami spiega che «sulla volontarietà abbiamo mantenuto ferma la nostra pregiudiziale. Non eÌ possibile che ci sia una costrizione mentre il comparto vive un aumento esponenziale dei carichi di lavoro e la maggior parte degli studi è inidonea all'effettuazione di una prestazione laboratoristica a rischio». Salvatore Santacroce tesoriere Snami parte dall'esclusione dei sindacati del "no" dai tavoli per gli accordi regionali che indicheranno chi deve vaccinare e chi può. «È incostituzionale, sancisce la dittatura assoluta della Fimmg e la impugneremo».    

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Tamponi da Mmg, Fimmg e Intesa sindacale dicono sì. Accordi validi per tutti. Ecco quali sono

(da Doctor33)   I medici di famiglia eseguiranno i tamponi sui pazienti sospetti Covid, obbligati se hanno camici, guanti, visiere e mascherine. Saranno pagati 12 euro negli uffici del distretto o comunque se agiscono fuori dai propri studi, 18 se nel proprio studio. Si sbloccheranno intanto i fondi per fare diagnosi in studio. L'accordo è stato firmato prima da Fimmg e poi da Intesa sindacale (che raggruppa Cisl Medici, Fismu e Sumai) e a questo punto rappresenta quasi il 70% delle 37 mila deleghe di medici di famiglia iscritti a sindacati. Non hanno firmato Snami e Smi che, per come è congegnato il testo dell'intesa, rischiano di non essere ammessi alle trattative regionali preposte a valutare le modalità dell'esecuzione dei tamponi e della consegna degli apparecchi diagnostici.

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COVID-19 e test diagnostici: caratteristiche, utilità e scenari d’impiego

(da Univadis)    I ricercatori da marzo 2020 hanno sviluppato un numero elevato di test di laboratorio per COVID-19 e quasi ogni settimana ne sono disponibili di nuovi. L’impiego dei test nella pratica clinica, insieme all'ampia risonanza che hanno ricevuto, ha fatto sorgere domande relative alle varie tipologie disponibili, alla loro utilità e alle loro prestazioni. Oggi possono essere utilizzati sia i test molecolari che i test antigenici per diagnosticare infezioni virali attive per COVID ‐19, con una ricerca concentrata prevalentemente sulla sensibilità dei test, ma ora anche sulle strategie d’impiego.

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In un farmaco per l’ulcera possibile anti Covid

(da DottNet)    Scoperto in un farmaco già in uso per l'ulcera - la Ranitidina bismuto citrato - un nuovo potenziale antivirale utile contro il SARS-CoV-2.  È il risultato ottenuto per ora in uno studio su animali condotto presso l'Università di Hong Kong e pubblicato sulla rivista 'Nature Microbiology'. Gli esperti hanno testato diverse 'metallo-proteine', una famiglia di molecole soprattutto note per la loro azione antimicrobica ma poco studiate contro i virus. Poi i ricercatori hanno selezionato tra tutte la Ranitidina bismuto citrato vedendo che in provetta riduce di mille volte la carica virale di cellule infettate dal coronavirus. Testata su animali, la Ranitidina bismuto citrato riduce di 100 volte la carica virale delle vie respiratorie superiori e inferiori, diminuisce la polmonite da SARS-CoV-2 nonché i livelli di citochine infiammatorie. Gli esperti hanno visto che la Ranitidina bismuto citrato agisce impedendo la replicazione del genoma virale; il farmaco infatti attacca specificamente un enzima virale - l'elicasi Nsp13 - indispensabile alla replicazione del genoma.   Secondo gli esperti il farmaco è promettente perché risulta avere un bersaglio molto specifico nonché inedito, ed è sicuro.

CONVENZIONE ARCURI-FNOMCEO RICHIESTA MASCHERINE

FNOMCeO ha sottoscritto una convenzione con il Commissario straordinario per l’attuazione e il coordinamento delle misure di contenimento e contrasto dell’emergenza epidemiologica Covid-19, dr. Domenico Arcuri, in merito alla fornitura, a titolo oneroso, da parte della Protezione Civile, di mascherine chirurgiche in favore della FNOMCeO al fine di una distribuzione attraverso Ordini provinciali, associazioni o sindacati di categoria dei medici e degli odontoiatri. Leggi il documento

Covid: vaccino contro morbillo può evitare complicazioni gravi

(da AGI) Il vaccino contro il morbillo potrebbe diminuire il tasso di mortalità legato al nuovo coronavirus e ridurre notevolmente la probabilità che si manifestino sintomatologie acute o gravi. L’incoraggiante ipotesi è il risultato di uno studio, pubblicato sull’'European Journal of Allergy and Immunology', condotto dagli esperti del Centre for Excellence in Asthma and Allergy - presso l’Hospital Médica Sur, a Città del Messico - che hanno esplorato la possibilità di contrastare la pandemia con la procedura di immunizzazione del vaccino trivalente contro parotite-morbillo-rosolia (MMR). “La diffusione del nuovo coronavirus in Messico ha coinciso con un aumento dei casi di morbillo - afferma Desiree Larenas-Linnemann, direttrice del Centre for Excellence in Asthma and Allergy, presso l’Hospital Médica Sur – tanto che il ministero della Salute aveva raccomandato le vaccinazioni contro la malattia esantematica. Abbiamo voluto testare l’efficacia della vaccinazione anche contro SARS-CoV-2”.

Immunità gregge bocciata da 80 esperti, non ferma il virus

(da DottNet)   Era apparsa come la soluzione ideale per combattere il nuovo coronavirus e vari leader mondiali - dal premier britannico Boris Johnson al presidente brasiliano Jair Bolsonaro fino a quello degli Stati Uniti Donald Trump - l'hanno appoggiata convintamente, nonostante il giudizio degli esperti non fosse unanime. Oggi arriva però la bocciatura ufficiale della scienza: l'immunità di gregge non arresta il virus, avvertono 80 esperti da tutto il mondo in una lettera aperta sulla rivista 'Lancet'. Ciò che serve in questo momento, al contrario, sono misure efficaci per il contenimento del contagio mentre nuovi passi avanti si stanno facendo sul fronte dei vaccini anti-Covid, anche se per un vaccino disponibile per tutti bisognerà presumibilmente attendere il 2022.

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Covid-19, quarantena a dieci giorni e stop a doppio tampone. Le indicazioni del Cts

(da Doctor33)   Via libera alla riduzione della quarantena da 14 a 10 giorni, e stop alla regola del doppio tampone negativo per poter dichiarare un positivo guarito. Ne basterà uno. Queste le indicazioni emerse dalla lunga riunione del Comitato tecnico scientifico convocata d'urgenza dal ministro Speranza. Il Cts, fa sapere una nota, in coerenza con le linee guida internazionali e adottando il principio di massima cautela, sottolinea "l'esigenza di aggiornare il percorso diagnostico per l'identificazione dei casi positivi così come la tempestiva restituzione al contesto sociale dei soggetti diagnosticamente guariti".

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Stanchi, depressi e spaventati: identikit dei guariti dal Covid

(da AGI)   “Quelli che avevano altre patologie prima di contagiarsi in alcuni casi hanno visto peggiorare la loro situazione”, raccontano i medici internisti toscani. Altri “li vediamo arrivare da noi con una grande stanchezza, qualche difficoltà respiratoria e tanta paura che l’incubo ritorni. Soprattutto quando ad essere stati colpiti sono i più giovani. E l’altro comun denominatore è uno stato depressivo che sicuramente non aiuta a imboccare la strada di una completa guarigione. A tracciare il profilo dei “sopravvissuti al Covid” è la dottoressa Paola Gnerre, dirigente di primo livello alla medicina interna 2 dell’ospedale San Paolo di Savona dove, grazie anche all’apporto del direttore del dipartimento di medicina della asl 2 savonese, il dottor Rodolfo Tassara, è nato uno dei primi day hospital per ex pazienti Covid, totalmente gratuito. Un progetto elaborato da Fadoi, la Federazione dei medici internisti ospedalieri, che celebra in questi giorni a Roma il suo congresso in modalità mista, remoto/in presenza, all’interno del quale è stato presentato il modello di day hospital per i reduci del Covid già partito con delibere regionali in Liguria e Toscana e a macchia di leopardo in Lombardia, Lazio, Campania, Calabria, Sicilia e Sardegna. Con le altre regioni pronte a seguire l’esempio. Il nuovo modello di presa in carico dei pazienti, che passata l’infezione rischiano di subire danni cronici non solo ai polmoni, ma anche a cuore, reni e cervello. Una formula che potrà essere utilizzata non solo per i “reduci del Covid, ma per aiutare a smaltire quegli 11 milioni di visite e accertamenti saltati durante il lockdown a discapito soprattutto dei malati cronici. L’idea è apparentemente semplice: istituire dei day hospital non solo terapeutici ma anche diagnostici, che grazie all’apporto multidisciplinare dei diversi specialisti medici consenta il follow up dei pazienti che sono passati per il Covid. Il tutto con esenzione dal ticket e seguendo la molto più snella lista di attesa intraospedaliera. Un modello non a caso messo a punto dai medici internisti della Fadoi, che lo hanno visto adottare per prima dalla asl 2 del savonese. Una indagine della stessa federazione mostra infatti come proprio la medicina interna sia stata in prima fila nella gestione dell’emergenza, con il 70% dei ricoveri Covid nei propri reparti. Ed è l’esperienza maturata sul campo, insieme agli studi internazionali ad aver mostrato come i pazienti sopravvissuti al coronavirus continuassero ad avere problemi polmonari che diventano cronici nel 30% dei casi e danni permanenti estesi ad altri organi. Da qui il sistema di controllo multidisciplinare messo a punto dagli internisti: in regime di day hospital ogni 3-6-12 e 24 mesi vengono rilevati i parametri vitali, come frequenza cardiaca e respiratoria, pressione arteriosa e livello di saturazione del sangue.

Coronavirus, Ecdc raccomanda quarantena 14 giorni, si può ridurre a 10 con test

(da Adnkronos Salute) - "La quarantena di 14 giorni è raccomandata per le persone che hanno avuto contatti con casi confermati di Sars-CoV-2. Questo periodo può essere ridotto a 10 giorni dopo l'esposizione" al virus, "se viene eseguito un test Pcr il decimo giorno ed è negativo". E' quanto si legge nell'aggiornamento sul livello di rischio Covid in Europa diffuso il 24/09/20 dall'European Centre for Disease Prevention and Control (Ecdc).

Scuole, certificati e tamponi: la guida per i medici

(da DottNet)   La circolare 'Riapertura delle scuole. Attestati di guarigione da COVID-19 o da patologia diversa da COVID-19"  (vedi a questo LINK) per alunni o personale scolastico con sospetta infezione da SARS-CoV-2', che porta la data di ieri ed è a firma del Direttore generale del ministero della Salute Gianni Rezza, riassume i criteri previsti per il rientro a scuola di alunni e personale docente e non docente in caso di Covid o di altra patologia.   Con febbre superiore al 37,5° o sintomi compatibili con il Covid scatta il tampone per alunni o operatori scolastici che avranno in ogni caso una corsia preferenziale per l’effettuazione del test.  La circolare, inviata ad una cinquantina di soggetti interessati fra ministeri enti e Federazioni, prevede 4 tipologie di intervento:

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Covid: il vaccino antinfluenzale non protegge ma rafforza

(da DottNet)   Il vaccino anti-influenzale non protegge direttamente dal Covid, ma rafforza l'organismo e il sistema immunitario, con effetti positivi anche di fronte a un eventuale contagio da Coronavirus. È quello che ha sostenuto il presidente dei medici tedeschi, Klaus Reinhardt, parlando ai giornali del 'Funken Mediengruppe', affermando fra l'altro di aspettarsi un impatto dell'influenza meno forte del solito, proprio grazie alle misure igieniche in vigore a causa della pandemia. "Ogni vaccino - afferma Reinhardt - è un programma di training per il sistema immunitario.   Il vaccino anti-influenzale non protegge direttamente dal Covid, ma può rafforzare il sistema immunitario e far sì che un eventuale contagio da Coronavirus abbia un decorso più mite". Il presidente dei medici ritiene anche che l'infleunza quest'anno potrebbe avere un impatto meno pesante del solito: "Attraverso il mantenimento della l'uso delle mascherine e il lavaggio frequente delle mani le infezioni saranno comunque ridotte".

Covid, studio su Science: ecco chi vaccinare prima

(da  Adnkronos Salute)  Quando saranno disponibili vaccini efficaci contro Covid-19, chi dovrà riceverli prima? L'Organizzazione mondiale della sanità, i leader globali e i produttori di vaccini stanno già affrontando la questione. Ma sebbene vi sia un impegno esplicito per una distribuzione "giusta ed equa", come fare nella pratica? Diciannove esperti sanitari di tutto il mondo hanno proposto un nuovo piano in tre fasi per la distribuzione del vaccino - chiamato Fair Priority Model - che mira a ridurre le morti premature e altre conseguenze irreversibili per la salute (e non solo) legate a Covid-19.

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Circolare lavoratori “fragili”. Nessun automatismo tra età e condizione di fragilità

(da "Il Sole 24Ore) Nella circolare n. 13 del 4 Settembre 2020, emessa congiuntamente dai ministeri del Lavoro e della Salute, si legge che «la maggiore fragilità nelle fasce di età più elevate della popolazione va intesa congiuntamente alla presenza di comorbilità (ovvero alla coesistenza di più patologie) che possono integrare una condizione di maggiore rischio». In pratica non basta aver superato i 55 anni per sentirsi a rischio e chiedere di essere esentati da alcune attività. Nella circolare si legge che i dati più consolidati sulla infezione da Covid-19 hanno messo in luce una serie di aspetti: il rischio di contagio da Sars-Cov non è significativamente differente nelle varie fasce di età lavorativa; il 96,1% dei soggetti deceduti presenta una o più comorbilità e precisamente il 13,9% presentava una patologia, il 20,4% due patologie, il 61,8% ne presentava tre o più.
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Appello scienziati, ‘stop a doppio tampone, ecco le 3 ragioni’

(da  Adnkronos Salute)   Stop al doppio tampone negativo. Dagli scienziati autori di 'Pillole di Ottimismo' un appello alle principali cariche istituzionali italiane, al ministro della Salute e al Comitato Tecnico Scientifico affinché venga abbandonata la procedura secondo la quale un paziente affetto da Covid-19 viene considerato ufficialmente malato e contagioso, finché per due volte consecutive l’analisi del tampone nasofaringeo non dia esito negativo. Nella missiva la squadra, diretta dal virologo Guido Silvestri e da Paolo Spada, chiede che l’Italia si adegui alle nuove direttive dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (Oms) e riduca a 10 giorni il periodo di malattia per Covid-19 (più 3 giorni senza sintomi, nel caso ve ne fossero), abbandonando l’uso del tampone di controllo. E questo per 3 ragioni 'chiave', che riguardano la vita delle persone, l'economia e la salute pubblica.

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Sintomi post-Covid: ecco come si manifestano

(da DottNet)   La maggior parte delle persone guarisce dal Covid completamente ma alcune possono continuare a manifestare sintomi per diversi mesi: è la cosiddetta sindrome del Post Covid o Long Covid, e tra chi ne soffre regna senso di solitudine e di abbandono. Mentre su Facebook fioriscono gruppi che ne raccolgono le testimonianze, 'come pazienti fantasma', dai medici di famiglia arriva l'appello: proprio coloro che portano ancora addosso i segni del coronavirus dovrebbero essere i primi a vaccinarsi contro l'influenza, perché il loro organismo è ancora sotto stress.  Già segnalato a luglio dallo studio del Policlinico Gemelli Irccs su Jama, il problema dei postumi del Covid sono stati oggetto anche di un sondaggio condotto tra gli aderenti alla British Medical Association, la principale associazione sindacale britannica.

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Coronavirus: il plasma sembra abbassare il rischio di morte

(da DottNet)   Il plasma da convalescenti, quello cioè di persone guarite dal Covid-19 ricco quindi di anticorpi, potrebbe ridurre la mortalità per Covid di circa il 50%. Ad accendere le speranze su questa terapia, che è comunque considerata tra le più promettenti, è una revisione di 12 studi sul tema, per un totale di oltre 800 pazienti, dei ricercatori della Mayo Clinic statunitense, per ora pubblicata solo su un sito di preprint. L'età media dei pazienti coinvolti negli studi, scrivono gli autori, varia tra 48 e 70 anni, con una maggiore proporzione di maschi nella maggior parte dei test. Tutti i pazienti avevano una forma grave della malattia.
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Covid-19 e scuole, le indicazioni ISS per la gestione di casi sospetti

(da Sanitainformazione.it)   Identificare un referente scolastico per il Covid-19 adeguatamente formato, tenere un registro degli eventuali contatti tra alunni e/o personale di classi diverse, richiedere la collaborazione dei genitori per misurare ogni giorno la temperatura del bambino e segnalare eventuali assenze per motivi di salute riconducibili al Covid-19. Sono alcune delle raccomandazioni contenute nel rapporto “Indicazioni operative per la gestione di casi e focolai di SARS-CoV-2 nelle scuole e nei servizi educativi dell’infanzia.

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Mappati gli italiani: 1,4 milioni ha incontrato Covid

(da DottNet)    Sono 1.482.000 gli italiani che risultano IgG positivi, ovvero che hanno incontrato il nuovo coronavirus SarsCov2 sviluppando gli anticorpi ad esso: 6 volte di più rispetto al totale dei casi intercettati ufficialmente durante la pandemia. Forti sono però le differenze regionali, con la Lombardia che raggiunge il valore massimo di sieroprevalenza - cioè di cittadini con anticorpi - pari al 7,5% , che è 7 volte il valore rilevato nelle regioni a più bassa diffusione come quelle del Mezzogiorno dove, in generale, la sieroprevalenza è sotto l'1%.

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Studio sul Covid dell’Ausl Romagna finisce sulla prestigiosa rivista scientifica “Radiology”

(da www.auslromagna.it)  Uno studio della Radiologia dell'Ausl Romagna sul Covid pubblicato sulla prestigiosa rivista statunitense "Radiology". Firmatari, il dottor Enrico Cavagna (direttore del Dipartimento di Diagnostica per immagini dell'Ausl), primo firmatario, Francesco Muratore e Fabio Ferrari.    I professionisti hanno dimostrato che la tromboembolia polmonare  si osserva frequentemente nei pazienti con polmonite da Covid 19 e coinvolge principalmente le piccole arterie dei segmenti polmonari interessati dalle consolidazioni polmonari. I pazienti con grave polmonite da Covid (rilevabile a seguito di tac e specifiche analisi di laboratorio) sono  quelli più comunemente colpiti dalla tromboembolia polmonare. Questo perchè l'infezione innesca uno stato di ipercoagulabilità del sangue  e un'infiammazione generalizzata. "Pertanto si tratta di trombosi primitiva delle arterie polmonari e non embolia ad origine da trombosi venosa - spiega il dottor Cavagna -. E questo ha importanti ripercussioni sulla terapia e sulla prognosi".   Uno studio dunque che potrà avere anche importanti ripercussioni pratiche, tanto che "Radiology", dopo averlo fatto vagliare dai propri revisori, ha optato per la pubblicazione del relativo articolo (consultabile e scaricabile in allegato a questo LINK).  L'Impact Factor di questa rivista (che misura il numero medio di citazioni ricevute in un particolare anno da articoli pubblicati sulla rivista stessa) è  di 7.931, fra i più alti di tutte le riviste di Radiologia mondiali. ryct.2020200289

I sei tipi distinti di Covid-19 in base ai sintomi

(da DottNet)   Sulla base dei sintomi e della gravità si possono distinguere 'sei tipi' di Covid-19, in base ai quali si può prevedere l'andamento della malattia. Lo afferma uno studio, ancora non sottoposto ad una rivista accademica, messo a punto con i dati di un'app in cui i pazienti dovevano inserire i sintomi accusati. I ricercatori hanno analizzato con un algoritmo i dati forniti dalla applicazione, ricavando sei differenti tipologie di pazienti. Il primo è stato denominato 'simil influenza senza febbre', caratterizzato oltre che dai sintomi classici influenzali anche dalla perdita del senso del gusto. Il secondo tipo è 'similinfluenzale con febbre' e si distingue dal precedente per la presenza di raucedine e perdita di appetito. Poi c'è il Covid 'gastrointestinale', che non ha tosse ma ha sintomi come la diarrea. Oltre a queste tipologie ce ne sono poi tre gravi: quella di livello uno, oltre a molti dei sintomi delle altre, è contraddistinta dalla fatica cronica, la seconda dallo stato confusionale e la terza da sintomi gravi respiratori e addominali. Solo l'1,5% dei pazienti del primo tipo ha bisogno del supporto respiratorio, che serve invece al 20% di quelli del gruppo 6. "Questa scoperta ha implicazioni importanti per la terapia e per il monitoraggio delle persone più vulnerabili al Covid-19 - spiega Claire Steves del King's College di Londra, l'autrice principale - Se si può predire al quinto giorno di malattia di che tipo di paziente si tratta c'è tempo per un supporto precoce, come il monitoraggio dell'ossigeno nel sangue e dei livelli di zuccheri".

Covid. l’effetto del lockdown sul picco è stato immediato

(da DottNet)   I Big Data lo confermano, il lockdown ha interrotto la catena di contagi da Covid-19, e l'effetto si è visto in tempi immediati. La prova arriva da uno studio italiano che ha utilizzato i dati di telefonia mobile per analizzare gli spostamenti delle persone nelle regioni Lombardia, Veneto ed Emilia-Romagna. Ne è emerso che, tra lo stop a movimenti e l'inizio del calo dei contagi, sono passati dai 9 ai 25 giorni.  Lo studio, pubblicato su 'EClinicalMedicine', rivista open access del gruppo Lancet, rappresenta il primo mai effettuato sull'adesione al lockdown in un paese occidentale e il primo in assoluto a stimarne l'effettiva efficacia nell'accorciare il picco epidemico.  I ricercatori del Dipartimento di Scienze Biomediche, Metaboliche e Neuroscienze di Unimore hanno analizzato, su base spaziale e temporale, l'intero patrimonio informativo dei movimenti dei telefoni cellulari, superiori ai 2 km, nelle tre regioni più colpite dal Covid-19. Il tempo trascorso dall'adozione del lockdown dell'8 marzo al picco dell'infezione è stato tanto più breve quanto più radicale è stato l'abbattimento della mobilità: ha oscillato tra 9 giorni nelle province più fortemente colpite, come Cremona o Bergamo, a 25 giorni nelle aree con minor diffusione dell'infezione. Tenuto conto del periodo di incubazione del Sars-Cov-2 (circa 5 giorni) e del ritardo 'diagnostico' medio nella comunicazione ufficiale dell'esito del tampone, si può affermare come l'effetto del lockdown sull'interruzione della catena dei contagi sia stato praticamente immediato. "Abbiamo verificato - spiega Marco Vinceti docente di Igiene e Sanità Pubblica presso la Facoltà di Medicina di Unimore - come l'efficacia del lockdown sia stata di fatto istantanea nelle aree più colpite e dove la popolazione ha rispettato in misura maggiore il messaggio 'state a casa'".

Moduli per accessi a strutture ospedaliere e nuovi controlli per prevenzione covid

L’Ausl Romagna è al lavoro per recepire e dare applicazione alle indicazioni dell’ultima ordinanza della Regione Emilia Romagna mirata a prevenire e limitare al massimo la diffusione del contagio da Covid 19. L’ordinanza regionale prevede che le visite ai degenti in ospedale e agli ospiti di strutture residenziali per anziani e disabili, da parte di familiari o altri soggetti, richiedano la presentazione di un’autodichiarazione che attesti di non essere sottoposti al regime della quarantena o dell’isolamento fiduciario, né di essere rientrati da meno di 14 giorni da Paesi esteri di cui sopra. Ciò a tutela della sicurezza sai di chi è accolto in una struttura e dei relativi operatori, sia di chi vi entra.
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Covid-19: Continuano le segnalazioni di danni neurologici

(da M.D.Digital)   Deliri, psicosi, infiammazioni al cervello e anche ictus. Sono i problemi neurologici riscontrati in pazienti lievemente colpiti da Covid-19 o in fase di recupero. L'allarme arriva da uno studio pubblicato su Brain nel quale i ricercatori dell'Institute of Neurology dell'University College London Hospital hanno rivelato un aumento di una condizione pericolosa, l’encefalomielite acuta disseminata (Adem), nei pazienti positivi al coronovirus durante la prima ondata di infezioni che ha colpito la Gran Bretagna. I casi sono aumentati da uno al mese prima della pandemia, a due o tre alla settimana in aprile e maggio, hanno sottolineato i neurologi.   I ricercatori hanno evidenziato come in alcuni di questi pazienti con Adem è possibile scoprire una grave neurologia ma in realtà il soggetto sembra soffrire si un interessamento del polmone. I ricercatori suggerisco  di prestare attenzione  a queste complicanze del coronavirus, con un invito rivolto soprattutto ai medici di base: se osservano nei pazienti problemi cognitivi, vuoti di memoria, affaticamento, intorpidimento o debolezza, dovrebbero discutere il caso con i neurologi.

(Paterson RW, et al. The Emerging Spectrum of COVID-19 Neurology: Clinical, Radiological and Laboratory Findings. Brain 2020; doi: 10.1093/brain/awaa240)

1000 euro, niente detassazione. Medici ancora discriminati

(da enpam.it)  Parlamento e Governo hanno assestato l’ennesimo duro colpo a tutti i medici del nostro Paese che sono stati in prima fila nei drammatici mesi dell’emergenza Covid-19.    La Commissione Bilancio della Camera, per esigenze di tempo, motivazione che appare se possibile ancora più inaccettabile, ha deciso infatti di non esaminare l’emendamento al Dl Rilancio che intendeva detassare i contributi che, con proprie risorse, le Casse previdenziali private hanno erogato a favore dei propri iscritti per far fronte alla crisi seguita all’emergenza Coronavirus.
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Osservasalute 2019.“Covid ha messo a nudo debolezza Ssn. E regionalismo sanitario non si è dimostrato efficace nel fronteggiare pandemia”

Presentato il nuovo rapporto dell’Osservatorio Nazionale sulla Salute nelle Regioni Italiane. “Alla vigilia della pandemia da SARS-CoV-2, il sottofinaziamento della sanità, insieme alla devolution che ha di fatto creato 21 diversi sistemi sanitari regionali diversamente performanti, ha determinato conseguenze per i cittadini, che non hanno potuto avere le stesse garanzie di cura”. Tagli ai servizi e spesa out of pocket che aumenta. Leggi l'articolo completo al LINK http://www.quotidianosanita.it/studi-e-analisi/articolo.php?articolo_id=86465&fr=n

Covid-19, niente risarcimenti per Mmg deceduti. Compagnie assicurative escludono infortunio

(da Doctor33)   Le assicurazioni negano il risarcimento ai medici di famiglia vittime di coronavirus e ai loro superstiti. Anche se l'Inail invita a trattare l'infezione da Covid 19 come infortunio sul lavoro, per le compagnie tale non è. L'Inail però con la sua circolare numero 13 del 3 aprile scorso ha circoscritto il diritto a indennizzo Covid ai soli dipendenti tra i lavoratori a rischio, medici ed infermieri esclusi. Nulla c'è per indennizzare il medico convenzionato che è libero professionista. Ceto, si sta discutendo di farlo rientrare perché è parasubordinato e lo stipendio della convenzione è l'85-95% del suo reddito (né può rifiutare le cure a un assistito che lo ha scelto).