Ecm, arriva lo sviluppo continuo

(da Doctor33)  Modificare l’attuale sistema di formazione continua, per renderlo più idoneo alla rivalidazione delle competenze acquisite da medico e odontoiatra: è la proposta emersa al convegno organizzato a Bari da Fnomceo sul tema Ecm. In un articolo esplicativo sul portale della Federazione, Sergio Bovenga, membro del Comitato Centrale, ha chiarito che il nostro Paese va verso il Continuous Professional Development, una forma evoluta di educazione continua, sulla scia di quanto avviene negli altri Paesi Europei e della Francia che nel 2016 ha varato un programma su 1,7 milioni di sanitari mutuando le indicazioni delle direttive dell’Unione Europea sulla libera circolazione dei professionisti. Ma perché emanciparsi dall’ECM se ancora una parte dei medici non riesce a colmare i fabbisogni formativi del triennio?

Nel suo articolo, Bovenga ha ricordato come i francesi abbiano deciso il salto di qualità nel 2016 dopo che i dati del Ministero della Salute avevano evidenziato che solo il 31,8 dei medici ed il 13,5 degli odontoiatri completava il percorso formativo. «Ora per l’Italia la newsletter Agenas ha diramato dati più incoraggianti- aggiunge Bovenga – nel biennio 2014/15 è stato prodotto un +25% di crediti sul 2011/12, e si è passati da 126.771 eventi 2011/12 ai 134.061 nel 2014/15. I professionisti che hanno partecipato ad eventi nell’ultimo biennio sono 1,4 milioni, incrementati di circa il 9%. Si tratta ovviamente di dati non conclusivi che andranno verificati, speriamo positivamente, al termine del triennio in corso». Medici e dentisti italiani sono dunque pronti al salto di qualità? «Si tratta di un’evoluzione naturale. La Riforma Bindi (dlgs 229/99 all’articolo 16 e seguenti prevede l’obbligo a carico di tutti i professionisti sanitari della formazione continua certificata dagli Ordini con rinnovo periodico dell’abilitazione all’esercizio della professione. Ma subito, in Italia come nel resto d’Europa, ci si è posti un problema: per avere elevati standard di cura non è sufficiente avere un medico o un infermiere che sanno le cose. Bisogna che si sappiano relazionare, comunichino, conoscano il contesto in cui operano, le regole, abbiano competenze economiche e legali, e una “tendenza” a migliorarsi. Ci vuole una formazione permanente i cui esiti siano verificabili, su obiettivi che vanno al di là rispetto a quelli del presente. La direttiva 36 del 2005 dell’Unione Europea sulle qualifiche, ora modificata dalla 2013/55 ha introdotto il concetto di Cpd di cui l’Ecm è parte non esaustiva. Rispetto all’Ecm, il Cpd è attento al contesto multidisciplinare e tiene conto di competenze trasversali che devono essere comuni a tutte le professioni sanitarie. Infine, è obiettivo di ciascuna professione sanitaria legare le conoscenze acquisite dal singolo professionista all’attività realmente svolta. Nell’Ecm i test d’apprendimento in Italia si fermano alle conoscenze. Si valuta la qualità della formazione svolta ma non il nesso tra ciò che il sanitario fa e le competenze che va ad implementare. Invece bisognerebbe cambiare, criteri d’impostazione dell’evento e soprattutto di valutazione». In parallelo alle riflessioni sul Cpd, per meglio monitorare la coerenza dei programmi di formazione dei singoli, la commissione Ecm punta sempre più verso l’introduzione del dossier formativo, che potrebbe già esordire nel 2017 con il nuovo triennio (a Bari sono filtrate indiscrezioni). Del resto, i paesi che hanno intrapreso programmi di Cpd, come la Francia, hanno previsto un dossier elettronico personale. «La Francia ha fissato regole di cui si discuterà in Italia e fuori – dice Bovenga – ad esempio, gli eventi Cpd devono escludere ogni relazione con i produttori e distributori di farmaci e presidi; i programmi, i cui “binari” sono fissati dal Ministero della Salute (con l’Ordine per i medici) sono approvati dopo valutazione indipendente di un comitato scientifico esterno al gruppo e i cui membri non hanno alcun conflitto d’interesse; il medico a sua volta è valutato per come ha adempiuto al programma dall’ordine professionale, mentre per le altre professioni sanitarie “giudicano” gli enti di governo regionale su un arco triennale». Bovenga si augura che gli stati Ue e le professioni dei paesi membri si parlino e concordino criteri comuni sulle valutazioni. «Credo ci siano regole “universalizzabili”. Ad esempio, la verifica del raggiungimento degli obiettivi da parte del professionista andrebbe sempre impostata come peer review, e fatta a cadenze prestabilite, affidata a colleghi con più esperienza, senza conflitti d’interesse e possibilmente non nello stesso gruppo dove il medico si forma o lavora. Quanto agli standard, andrebbe facilitato l’approccio del medico a un programma che gli consenta, fatto cento il suo fabbisogno, di suddividerlo tra le tre macro-aree di competenza che caratterizzano il dossier formativo (tecnico-professionale, di sistema-organizzative e di processo-relazionali), e di verificare in seguito il rispetto del tabellino di marcia».