Depressione del medico: i fattori di rischio pesano di più

(da M.D.Digital)   Cosa accade quando è il medico ad essere depresso? Come si comportano quando i giorni bui si trasformano in settimane, e a volte anche in mesi? Esistono dei fattori specifici che portano alla depressione nel medico? Quali trattamenti i medici cercano o evitano? La realtà è che quello che molti medici depressi fanno è … niente. Oppure provano rimedi che in realtà non aiutano. In una recente indagine è stato chiesto a un gruppo di medici se avessero sperimentato episodi di depressione durante la loro carriera e, in caso affermativo, che tipo di intervento hanno scelto per uscire. Questi in sintesi i risultati: il 33% ha deciso per un aiuto professionale, il 27% si è affidato all’autocura, il 14% ha avuto comportamenti autodistruttivi, il 10% non ha fatto alcunché, il 6% ha cambiato lavoro, il 5% si p autoprescritto dei farmaci, il 4% ha dichiato un generico altro, l’1% si è rivolto alla preghiera. Per quanto riguarda la terapia, al maggior parte dei medici ha tentato opzioni multiple. Tuttavia, la maggior parte non ha preso nessuna misura per mesi se non addirittura per anni prima di decidersi finalmente a fare qualcosa (e talvolta questo si è tradotto in autolesionismo).
Sono molte le occasioni e le circostanze che nel corso della carriera possono generare depressione, a partire da possibili situazioni di bullismo, di nonnismo, di deprivazione del sonno, di inchieste da parte delle autorità sanitarie, che si aggiungono alle motivazioni che possono colpire la popolazione generale, quale il fallimento di un matrimonio o il lutto per la perdita di una persona cara. Nel medico tuttavia i fattori di rischio sembrano avere un peso maggiore di quanto non sia nella popolazione generale. È possibile che la carriera medica renda più facile il fallimento di un vincolo matrimoniale perché è maggiore la probabilità che il partner si senta – o sia – trascurato a motivo dei pesanti orari di lavoro, della difficoltà a programmare e presenziare ad attività, eventi, ricorrenze nelle ore non lavorative. Alcuni medici avvertono la forte necessità di “decompressione” una volta terminato il lavoro e la relazione con il partner si basa sulla richiesta di supporto emozionale. In altri casi è presente uno spiccato isolamento sociale e la solitudine rappresenta un fattore in grado di deprimere chiunque. A un medico che lavori 80 ore a settimana rimane ben poco tempo per dedicarsi alla famiglia, agli amici, ai contatti sociali; e anche quando non stanno lavorando, sovente i loro discorsi ruotano attorno a pazienti, malattie, aggiornamento, esami. Essere un medico sembra dunque un fattore di rischio indipendente per la solitudine.
Un altro stressor, ma forse questo è più evidente oltreoceano, è il fattore economico dove le componenti vanno dal debito che i medici accumulano per completare il percorso di studi, all’elevato tenore di vita in cui gli elevati introiti trovano come contropartita uscite importanti per mantenere uno status adeguato al titolo accademico e alla posizione, al rischio di operare scelte finanziarie non sempre favorevoli che, in ultima analisi, esacerbano l’incapacità a costruire una solidità economica in grado di garantire una rendita adeguata al momento del pensionamento.
La cosa che stupisce tuttavia è che se ad essere depresso è un medico, le scelte indirizzate a trovare una soluzione sono talvolta sconcertanti. Molti addirittura non fanno nulla: poiché la maggior parte dei medici sono oberati, esausti, scontenti essi non considerano queste condizioni come “valori anormali”, tendono a minimizzarne l’entità e a considerarle non così brutte come sembrerebbero. In altri casi la soluzione è quella di ignorare i sintomi e i campanelli di allarme e cerca riparo tuffandosi ancora di più nel lavoro e, al termine delle ore di visita, dedicarsi a distrazioni quali video-game, social network o cercare momenti di evasione con letture. Non di rado sviluppano atteggiamenti compensatori rivolti al cibo, che conducono a eccessi alimentari in grado di fornire un momentaneo sollievo dalla depressione, o decidono che “quando si è depressi la cura migliore è un buon riposo”. Il che sembra logico, considerando che non di rado molti medici soffrono di cronica deprivazione del sonno e che quindi vedano una buona notte di sonno o un soddisfacente periodo di relax completo la migliore strategia di autocura. In quest’ottica si fa ricorso a stratagemmi di vario genere: manuali di auto aiuto, preghiera, meditazione, yoga, ballo, musica, gioco, hobby (che tuttavia quando diventano un’ossessione travalicano e da passatempo rischiano di diventare ossessioni). Talvolta la risposta viene individuata in comportamenti che in realtà sono autolesionisti, che vanno dall’eccessivo consumo di alcool, ai comportamenti a rischio nei rapporti sessuali, alle tendenze suicide, espresse, programmate o mascherate da comportamenti di distrazione estrema (come per esempio attraversare strade senza verificare se sopraggiungono veicoli).
La soluzione farmacologica sembra essere decisamente in coda nella classifica dei rimedi adottati e non di rado si tratta di terapie autoprescritte più che della conclusione di richiesta di aiuto e soluzioni a uno specialista.
(Pamela L. Wible. Doctors and Depression: Suffering in Silence – Medscape, 11 maggio 2017. http://www.medscape.com/viewarticle/879379
Mata DA, et al.
Prevalence of Depression and Depressive Symptoms Among Resident Physicians: A Systematic Review and Meta-analysis. JAMA 2015; DOI: 10.1001/jama.2015.15845)