Allergopatie e test “alternativi”
(da Nutrizione33) L’allergia alimentare e l’anafilassi costituiscono un onere crescente per i cittadini nei Paesi sviluppati. La prevalenza è elevata nei bambini piccoli, ma recenti evidenze indicano che sta diventando sempre più comune negli adolescenti e nelle giovani donne e anche nelle nazioni in via di sviluppo (1).
Tuttavia, il numero delle persone che si definisce “allergico agli alimenti” è molto sovrastimato (2) per l’uso improprio del termine “allergico”, che porta a definire allergici gli effetti indesiderati di farmaci, le reazioni tossiche agli alimenti, i deficit enzimatici (per es. deficit di lattasi o di saccarasi-isomaltasi) e le reazioni vasomotorie agli agenti irritanti (per es. agrumi o pomodoro) (3).
Un’ulteriore sovrastima deriva dall’attribuire a una causa allergica alimentare patologie fra loro estremamente diverse (per es. emicrania, sindrome dell’intestino irritabile, orticaria cronica, sindrome della fatica cronica, sindrome ipercinetica del bambino, artriti siero-negative, otite sierosa, malattia di Crohn) senza il supporto provato da rigorose ricerche (1). Questo ha contribuito a creare una diffusa opinione generale che l’allergia alimentare possa essere il “camaleonte della medicina” (3), potenzialmente in grado di spiegare disturbi e sintomi estremamente diversi che ancora non hanno trovata una eziologia confermata dalla presenza di specifici biomarcatori.
In genere esiste una notevole differenza tra prevalenza di sospetto clinico di reazione avversa ai cibi (circa il 20%) e conferma diagnostica (1,8%) eseguito con il test di provocazione orale in doppio cieco vs placebo (attualmente considerato il test diagnostico più sicuro) (4).
Un’aggiuntiva e preoccupante fonte di confusione diagnostica è rappresentata dal fenomeno di un sempre più frequente ricorso da parte dei pazienti a test “alternativi”, senza alcuna validità scientifica, spesso raccomandanti da personale sanitario(es. farmacista, medico e biologo omeopata), che dovrebbero identificare con metodiche diverse da quelle tradizionali i cibi responsabili di allergie o “intolleranze” alimentari. Quest’ultimo termine, che nella sua accezione più rigorosa vuole indicare “ogni reazione avversa riproducibile che segue all’ingestione di un alimento o ad alcune delle sue componenti (proteine, carboidrati, grassi, conservanti) e comprende reazioni tossiche, metaboliche e allergiche” (3), è sempre più frequentemente interpretato in senso generico anche per indicare un’avversione psicologica nei confronti dei diversi cibi, come accade in un sottogruppo di pazienti affetti da disturbi dell’alimentazione.
Vi sono test “alternativi” utilizzati per valutare presunte intolleranze alimentari che non hanno una validità scientifica come il test citotossico (test di Bryan), il test di provocazione neutralizzazione (sottocute), test di provocazione neutralizzazione (sublinguale) e altri.
1) Tang ML, Mullins RJ. Food allergy: is prevalence increasing? Intern Med J. 2017;47(3):256-61.
2) Woods RK, Stoney RM, Raven J, Walters EH, Abramson M, Thien FC. Reported adverse food reactions overestimate true food allergy in the community. Eur J Clin Nutr. 2002;56(1):31-6.
3) Senna G, Passalacqua G, Lombardi C, Antonicelli L, Dalle Grave R. Diagnostica delle allergopatie e test “alternativi”. MD Medicina Doctor,. 2008;31:28-35.
4) Hourihane JO. Prevalence and severity of food allergy–need for control. Allergy. 1998;53(46 Suppl):84-8.