Lo studio su ‘Lancet’: un italiano di 75 anni ne dimostra biologicamente non più di 65
(da Quotidiano Sanità) A 65 anni ci si può sentire come un cinquantenne o come un ottuagenario. Il ‘fenomeno’ è sotto gli occhi di tutti e dipende sicuramente dai geni, ma anche dal contesto ambientale. La differenza tra età anagrafica ed età biologica è stata oggetto di uno studio scientifico condotto in varie nazioni del mondo e pubblicato su ‘Lancet Public Health‘.L’analisi ha rivelato un gap di trent’anni tra le nazioni che si portano meglio gli anni e quelle che se li portano peggio: un 76enne giapponese presenta lo stesso livello di problemi di salute ‘tipici’ di un 65enne; ‘traguardo’ raggiunto ad appena 46 anni da un abitante di Papua Nuova Guinea. “L’aumento dell’aspettativa di vita – afferma il primo autore dello studio, la dottoressa Angela Y. Chang, Center for Health Trends and Forecasts della University of Washington – può rappresentare sia un’opportunità, che una minaccia per il welfare complessivo delle popolazioni, a seconda dei problemi di salute correlati all’età che le persone sviluppano, indipendentemente dall’età anagrafica. Le patologie correlate all’età possono portare infatti al pensionamento anticipato, ad una contrazione della forza lavoro e ad un aumento della spesa sanitaria. Le autorità governativa e gli altri stakeholderimplicati nei sistemi sanitari devono sapere a quale età le persone cominciano a risentire degli effetti negativi dell’invecchiamento”.
Per effetti ‘negativi’ correlati all’età in questa analisi si intendevano l’alterazione di una serie di funzioni biologiche e la perdita delle abilità fisiche, mentali e cognitive, risultanti da una serie di 92 condizioni analizzate (81 delle quali non comunicabili) e 6 diversi tipo di danno.
E’ questo il primo studio in assoluto a fare un distinguo tra età biologica ed età anagrafica; tutti gli studi condotti in precedenza hanno preso in considerazione solo l’aumento della longevità. In questa analisi i ricercatori hanno misurato il ‘burden of disease’ correlato all’età, aggregando tutti i DALYs (Disability-Adjusted Life Years), cioè la perdita degli anni di vita in salute, derivanti da 92 patologie. Lo studio ha preso in esame i dati relativi a 195 nazioni nel periodo 1990-2017.
Bandierina nera della ‘classifica’ stilata dai ricercatori americani, Papua Nuova Guinea, con il maggior tasso di problemi di salute correlati all’età e oltre 500 DALY/per mille adulti, quattro volte tanto quelli totalizzati dalla Svizzera con 100 DALY/per mille adulti. Nella parte centrale della classifica gli USA (53° posto) con 161,5 DALY/per mille adulti, che si collocano così tra Algeria (52° posto, 161 DALY/per mille adulti) e Iran (54° posto) con 164,8 DALY/per mille adulti. L’Italia conquista un rilevante ottavo posto in questa classifica: un nostro connazionale a quasi 75 anni, ne dimostra biologicamente 65 per quanto riguarda i DALY accumulati. Le patologie correlate all’età che maggiormente contribuiscono alla mortalità e all’accumulo dei DALY sono: cardiopatia ischemica, emorragia cerebrale e broncopneumopatia cronico-ostruttiva (BPCO).
– La top ten delle nazioni più ‘giovanili’ del mondo (quelle che ‘dimostrano’ 65 anni, ad un’età più avanzata):
1. Giappone: 76,1 anni
2. Svizzera: 76,1 anni
3. Francia: 76 anni
4. Singapore: 76 anni
5. Kuwait: 75,1 anni
6. Corea del Sud: 75,1 anni
7. Spagna: 75,1 anni
8. Italia: 74,8 anni
9. Porto Rico: 74,6 anni
10. Perù: 74,3 anni
– La top ten delle nazioni che si portano peggio gli anni (quelle che ‘dimostrano’ 65 anni, ad un’età più precoce):
1. Papua New Guinea: 45,6 anni
2. Isole Marshall: 51,0 anni
3. Afghanistan: 51,6 anni
4. Vanuatu: 52,2 anni
5. Isole Solomon: 53,4 anni
6. Repubblica Centrafricana: 53,6 anni
7. Lesotho: 53,6 anni
8. Kiribati: 54,2 anni
9. Guinea-Bissau: 54,5 anni
10. Stati Federati della Micronesia: 55,0 anni