Non ci si ammala di cancro per sfortuna: le cause sono nell’ambiente
(da DottNet) Era il 2015 e le conclusioni di un team della Johns Hopkins School of Medicine in uno studio pubblicato su ‘Science’ fecero scalpore: chi è colpito da un tumore in molti casi è stato solamente “colpito da sfortuna”, era in poche parole l’ esito della ricerca che con modelli matematici mostrava come il collegamento con stili di vita o difetti genetici fosse di ben minore impatto rispetto alla casualità, contrariamente a quanto la scienza da più parti aveva sostenuto fino ad allora. Si aprì un’ accesa polemica. E oggi è uno studio italiano a segnare una nuova svolta nel dibattito. Pubblicato su ‘Nature Genetics’, il lavoro targato Istituto europeo di oncologia e università Statale di Milano suggerisce che “non ci si ammala di cancro per caso o per sfortuna”. I risultati confermano che le cause della malattia sono da rintracciare nell’ ambiente e che le cosiddette ‘traslocazioni cromosomiche’, particolari alterazioni geniche fra le più frequenti e importanti per lo sviluppo dei tumori non avvengono casualmente. Niente predestinazione. Lo studio è finanziato dall’ European Research Council (Erc). I ricercatori guidati da Piergiuseppe Pelicci, direttore della Ricerca Ieo e professore di Patologia generale all’ università degli Studi di Milano, e Gaetano Ivan Dellino, ricercatore Ieo e di Patologia generale della Statale, in collaborazione col gruppo diretto da Mario Nicodemi, docente dell’ ateneo di Napoli Federico II, spiegano che le traslocazioni cromosomiche sono prevedibili e provocate dall’ ambiente esterno alla cellula. “Nel corso della vita, un uomo su 2 e una donna su 3 si ammalano di cancro – spiega Pelicci – Perché? Un tumore si sviluppa quando una singola cellula accumula 6 o 7 alterazioni del Dna a carico di particolari geni: i geni del cancro. La domanda diventa quindi cosa causa quelle alterazioni. La ricerca di una risposta ha creato due scuole di pensiero: una che identifica la causa principale nell’ ambiente in cui viviamo e nel nostro stile di vita, e l’ altra che ne attribuisce l’ origine alla casualità e dunque, in ultima analisi, alla sfortuna”. I tumori contengono due tipi di alterazioni a carico dei cosiddetti geni del cancro (oncogeni): le mutazioni che causano piccoli cambiamenti della struttura di un gene, e le traslocazioni cromosomiche che causano fino alla fusione di due geni. La rivista Science ha pubblicato più lavori (nel 2016, 2017 e 2018) firmati dall’ autorevole scienziato Bert Vogelstein, che dimostrano in maniera inequivocabile che due terzi delle mutazioni trovate nei tumori si formano durante la normale vita dei nostri tessuti, quando le cellule duplicano il proprio Dna per moltiplicarsi. Siccome queste mutazioni sono considerate inevitabili, perché dovute ad errori casuali, Vogelstein ha dovuto concludere che le stesse avverrebbero in ogni caso, anche se il nostro fosse un pianeta perfetto, e i nostri stili di vita irreprensibili. Quindi non potremmo fare nulla per evitare di ammalarci ma solo sperare non tocchi a noi, contando sulla fortuna. I tre lavori pubblicati da Science sono solidi, osservano i ricercatori tricolore, e hanno stimolato un grande dibattito nella comunità scientifica e nella società. Se la maggioranza delle mutazioni che causano il cancro sono casuali, la possibilità di determinare la propria salute mediante scelte consapevoli ne esce compromessa. In particolare, quanto è ancora importante la prevenzione? “Nel numero di oggi della rivista Nature Genetics – dice Dellino – pubblichiamo un lavoro che mette in discussione la casualità delle traslocazioni cromosomiche, uno dei due tipi di alterazioni geniche trovate nei tumori“. Le traslocazioni, prosegue l’ esperto, “sono la conseguenza di un particolare tipo di danno a carico del Dna, ossia la rottura della doppia elica. Come per le mutazioni, pensavamo che questo tipo di danno avvenisse casualmente nel genoma, ad esempio durante la divisione cellulare come ipotizzato da Vogelstein. Al contrario, però, studiando le cellule normali e tumorali del seno, abbiamo scoperto che né il danno al Dna né le traslocazioni avvengono casualmente nel genoma. Il danno avviene all’ interno di geni con particolari caratteristiche e in momenti precisi della loro attività. Si tratta di geni più lunghi della media e che, pur essendo spenti (non stanno cioè producendo le molecole che trasferiscono la loro informazione, l’ Rna), sono perfettamente attrezzati per accendersi (hanno tutte le molecole necessarie ma sono in pausa)”.
La rottura del Dna, assicura Dellino, “avviene nel momento in cui arriva un segnale che li fa accendere, ed è indispensabile perché possano ‘srotolarsi’ e produrre l’ Rna. Studiando queste caratteristiche, possiamo prevedere quali geni si romperanno e quali no, con una precisione superiore all’ 85%. Tuttavia, non tutti i geni che normalmente si rompono daranno poi origine a traslocazioni (cioè alla fusione di due geni rotti), ma solo una piccola parte di essi, cioè quelli che sono più spesso a stretto contatto tra loro per coordinare la loro attività di accensione o spegnimento, all’ interno di strutture particolarmente ‘appiccicose’ del genoma (i cosiddetti Domini di associazione topologica)”. La questione che cambia la prospettiva della casualità del cancro, chiarisce lo scienziato, “è che l’ attività di quei geni è controllata da segnali specificiche provengono dall’ ambiente nel quale si trovano le cellule, che a sua volta è influenzato dall’ ambiente in cui viviamo e dai nostri comportamenti. Dall’ apporto di energia, dal tipo di microbi con cui conviviamo, dalle sostanze che ingeriamo”, conclude Dellino. “Questa scoperta – gli fa eco Pelicci – ci insegna che la sfortuna non svolge alcun ruolo nella genesi delle traslocazioni e non esiste base scientifica che ci autorizzi a sperare nella fortuna per evitare di ammalarci. Anzi, abbiamo un motivo scientifico in più per non allentare la presa sulla prevenzione dei tumori: negli stili di vita, nel tipo di mondo che pretendiamo, nei programmi di salute che vogliamo dal servizio sanitario. Anche nel tipo di ricerca che vogliamo: ad oggi, i fondi per quella in prevenzione sono solo il 5-10% del finanziamento totale alla ricerca sul cancro”. Inoltre, prosegue l’ esperto, “abbiamo aperto una finestra sul meccanismo molecolare alla base delle traslocazioni, che forse potremo usare in futuro come marcatore per identificare il rischio di sviluppare la malattia, o come bersaglio per disegnare farmaci che aiutino a prevenire il cancro. Per ora non abbiamo capito quale sia esattamente il segnale che induce la formazione delle traslocazioni, ma abbiamo capito che proviene dall’ ambiente, pur ignorando ancora luoghi e circostanze”. E’ possibile infine, aggiunge Pelicci, “che il medesimo meccanismo, o uno simile, possa essere anche alla base delle mutazioni studiate da Vogelstein. Ci stiamo lavorando”. Ad oggi si conoscono con certezza alcuni dei fattori ambientali che causano il cancro, riepilogano gli scienziati: fumo, alcol, obesità, inattività fisica, eccessiva esposizione al sole, una dieta ad alto contenuto in zuccheri e carni rosse o processate, e a basso contenuto di frutta, legumi e vegetali. La comunità scientifica concorda sul fatto che se tutti questi fattori fossero eliminati – e ciascuno è eliminabile – potremmo prevenire il 40% dei tumori. Si conoscono anche alcuni virus e batteri che causano cancro: il virus Hpv per cervice e faringe, il virus Hbv per il fegato, il batterio Helicobacter pylori per lo stomaco. La vaccinazione contro quei virus e l’ uso degli antibiotici contro quel batterio hanno dato risultati nella riduzione dell’ incidenza dei tumori, e hanno il potenziale di evitare, da soli, il 15% dei tumori nel mondo, dicono i ricercatori. Anche l’ esposizione ad agenti inquinanti ambientali, occupazionali o industriali è causa di una frazione di casi. Ma a parte alcune eccezioni come l’ amianto, non è chiaro ancora quali siano e quanto incidano. “Un pianeta più pulito, e ambienti di lavoro più sani, intuibilmente, non possono che farci bene – conclude Pelicci- e per quanto oggi sappiamo ciascuno di noi può scegliere se prevenire il 40% dei tumori, con pochi e precisi cambiamenti del modo in cui viviamo. La comunità scientifica lavorerà sul restante 60%. A patto che ci siano fondi sufficienti per la ricerca”.