Donne medico, in Italia più discriminate. I risultati dello studio Fems

(da Doctor33)   Deluse. Discriminate più di tutte da colleghi e pazienti. In cerca di gratificazione professionale, non necessariamente di stipendi più alti. Le donne medico italiane stanno peggio delle loro colleghe europee, almeno limitandoci agli 11 paesi che hanno risposto al questionario sui 17 aderenti alla Fems, considerati nell’indagine sulle condizioni lavorative delle donne medico europee presentata a Napoli alla Conferenza Internazionale”Verso una Medicina governata da donne”. Al questionario promosso da Anaao-Assomed, e realizzata (con Aaroi-Emac e Snr) hanno risposto le donne medico di Bulgaria, Croazia, Italia, Olanda, Portogallo, Romania, Repubblica Ceca, Slovenia, Spagna, Turchia, Cipro Nord. Il 60% delle dottoresse italiane vorrebbe in particolare una migliore gestione dei tempi casa-lavoro, superate solo dalle slovene. In attesa di dati da Francia, Austria, Belgio, Polonia, Slovacchia e Ungheria, scopriamo però altre cose: la parità uomo donna è raggiunta solo in uno-due paesi; la soddisfazione per il lavoro cresce spostandosi nei paesi balcanici, noti fin qui più per esportare medici che per gli ospedali ricchi e organizzati; reddito e successo oltre un certo limite non fanno da volano alla realizzazione professionale, almeno in Occidente. La Croazia è il paese con il più alto numero di donne al comando: nelle strutture pubbliche superano i maschi con punte del 54,4%. «E’ un dato discrepante rispetto alla media dell’Unione Europea dove le apicali sono tra il 15 e il 20%, anche nei paesi più ricchi tra quelli indagati. Negli 11 paesi il tasso di femminilizzazione della classe medica è intorno al 58-60%», spiega Alessandra Spedicato, delegata Anaao Assomed in Fems e curatrice dell’indagine. Altri dati eclatanti dalla Romania, dove la percentuale delle donne medico sfiora il 70% (e sale al 77,7 tra i medici di famiglia, che però rispetto alla media della popolazione muoiono in media 10 anni prima!): «tra le colleghe romene -dice Spedicato- si registra la massima soddisfazione in tema di conciliazione dei tempi casa-lavoro: l’86% è del tutto o abbastanza soddisfatto e nessuna intervistata insoddisfatta. La percentuale di donne apicali non è alta (20%, noi siamo comunque al 15%). Il dato potrebbe spiegarsi con il raddoppio degli stipendi ottenuto di recente: da una media di 900 euro al mese a 1800, che per il livello economico del paese sono tanti. In teoria chi percepisce questa cifra può permettersi di pagare costantemente attività di conciliazione come baby sitting e collaboratore domestico». In Croazia è soddisfatto per la carriera il 58% dei “camici rosa”, in Repubblica Ceca lo è il 55%, molto o abbastanza, in Spagna il 28%. Insoddisfazione alle stelle invece in Bulgaria dove, se negli ultimi 30 anni è stato maggiore il numero di donne medico, ora si va in controtendenza e c’è disillusione sulla professione, si dà priorità (oltre 60%) alla necessità di aumenti stipendiali e gratificazioni. «Se nel resto d’Europa si chiede di migliorare specifiche situazioni (guardie, part-time, disponibilità, orari) in Bulgaria – come in Italia – si invoca un riconoscimento professionale. Forse più che in Italia però, a una forte rappresentanza femminile non hanno corrisposto “buone pratiche”, le stesse che la nostra indagine, nella sua seconda “edizione” punterà a identificare per evidenziare cosa più può aiutare la donna medico sul lavoro in Europa». Altra notizia di rilievo: nei paesi dove sono meglio pagate non necessariamente le donne medico si dicono più realizzate. In Olanda, paese primo classificato nell’Euro Health Consumer Index, dove la percentuale di donne apicali è sul 35-40%, circa 40 su 100 denunciano di essersi sentite discriminate sul lavoro, in prevalenza dai pazienti (nella penisola Iberica, il 60% dei casi di discriminazione si deve all’utenza), mentre in Italia e Turchia si sale ai livelli top, discriminata una su due tra pazienti e colleghi. «In ogni caso è nel nostro paese che si registrano i dati più sconfortanti. Il 68% delle 1200 rispondenti non è assolutamente soddisfatto della conciliazione casa-lavoro, ha dovuto fare rinunce, solo il 16% è soddisfatto per la carriera, solo il 15% pensa ci sia pari coinvolgimento nelle posizioni gestionali. Ricalchiamo il dato di Turchia e Cipro Nord (turcofona)». Infine, in tutti i paesi la quota di donne che vorrebbe più ruoli di leadership è molto bassa (sotto il 20%). Dovendo stilare le preferenze su ciò che vorrebbe, la maggioranza delle intervistate non sente l’esigenza di governare i processi lavorativi. «Si possono fare solo ipotesi: è difficile agganciare le posizioni di comando – uno studio svedese del 2016 conferma che negli atenei scandinavi i docenti prediligono responsabilizzare i maschi che poi tendono a mantenere i loro ruoli di preminenza – oppure le energie assorbite dal lavoro di prima linea, e da altri task quotidiani, sono maggiori e ne restano poche per dedicarsi alla carriera. Di certo c’è che se non si provano soluzioni non solo non si rimedia all’insoddisfazione ma non si ottengono neppure risposte per spiegarla».