Quale ruolo per il MMG/PLS nel frenare la diffusione dell’epidemia da COVID-19?
(da Univadis) I medici di medicina generale e i pediatri di libera scelta possono svolgere un ruolo fondamentale nel contenimento dell’epidemia per evitare il raggiungimento di livelli incontrollabili di diffusione e conseguente saturazione nelle prossime settimane degli ospedali e dei letti di terapia intensiva. A ribadirlo è l’Associazione Italiana di Epidemiologia (AIE) in un documento dedicato ai modelli di intervento efficaci.
Un ruolo educativo
Il ruolo essenziale che solo i medici sul territorio possono svolgere, secondi AIE, è quello educativo. “I medici devono costantemente sottolineare con i loro assistiti quanto sia cruciale che vengano rispettate rigorosamente tutte le norme di distanziamento” spiegano. “È verosimile che un gruppo critico nel guidare l’epidemia sia costituito da giovani e giovani adulti (classi di età da 15 a 30 anni) che tengono comportamenti non sicuri. Questo implica che l’epidemia ha, nelle condizioni odierne, molto spazio per crescere perché a rischio ci sono anche i genitori (e i nonni) di questi giovani. Nelle famiglie l’uso di dispositivi di protezione è molto problematico”.
Una seconda priorità è quella di sostenere e rinforzare la capacità di individuazione degli infetti, inclusi gli asintomatici, sul territorio. In questa situazione la tempestività è cruciale e il ritardo nella identificazione dei casi è anche dovuto ai tempi di attesa e di esecuzione dei tamponi molecolari. Per la diagnostica di casi con sintomi che devono essere trattati è irrinunciabile effettuare il tampone molecolare che ha la qualità diagnostica più alta, ma per tutte le altre condizioni stanno diventando necessari i test antigenici con risposta in 15 minuti. Il test rapido antigenico va riservato come test di primo livello per i sospetti con sintomatologia non chiaramente COVID-specifica e come esame di primo livello, laddove sia possibile, nei contatti.
La diagnosi differenziale
Come distinguere le situazioni più sospette, soprattutto nelle sindromi lievi con obiettività indifferente, che necessitano di tampone? Questo è il punto critico. Se il medico tende a fidarsi di indizi deboli (solo febbre a 37.5 o un po’ di tosse), segnalerà molte persone, intaserà i laboratori, avrà indotto moltissimi test che risulteranno poi negativi; al contrario il medico che abbia l’atteggiamento opposto tenderà a segnalare poche persone con sintomi significativi, che risulteranno quasi sicuramente positive al tampone, lasciandosi però sfuggire molti tra i casi pauci-sintomatici.
In apparenza le diverse patologie virali delle vie aeree hanno in comune quasi tutti i sintomi, rendendo difficile di primo acchito la diagnosi differenziale. In realtà non è esattamente così e alcuni studi hanno cercato di definire se il riscontro di un certo sintomo o segno, o la loro associazione, segnali una maggiore probabilità della presenza della infezione da SARS-Cov-2. Secondo il documento di AIE, possiamo stabilire tre categorie:
i pazienti che hanno probabilmente COVID-19 e richiedono un tampone molecolare immediato. Come ormai sappiamo, nel COVID-19 vi è un sintomo quasi patognomonico, ed è l’anosmia-disgeusia. Questa risulta presente in circa il 50% dei pazienti positivi e assente nel 97% dei pazienti negativi. Altri sintomi che correlano maggiormente con COVID-19 nei primi giorni di malattia, oltre alla tosse, sono quelli più generici come il dolore muscolare, il malessere generale, la cefalea, la febbre, l’astenia. Dispnea e fiato corto diventano significative man mano che aumenta la severità della malattia.
Il medico, nel decidere se segnalare un paziente per l’effettuazione del tampone, tiene anche conto, oltre che dei sintomi, di altre informazioni anamnestiche, inerenti alla probabilità della persona di essere stata contagiata (viene da una situazione ad alta prevalenza della malattia? svolge una professione a rischio? ricorda contatti con soggetti positivi o malati ) e al rischio individuale legato all’età alle co-morbidità. Per prescrivere il test, il medico non dovrebbe basarsi su indizi blandi, con una probabilità di malattia bassa, ma far conto su sintomi e segni più specifici di COVID-19 e maggiormente predittivi, come la triade anosmia/ageusia, febbre e tosse persistente.
La seconda categoria è quella intermedia (incerta o “area grigia”), in cui non vi è la triade anosmia/ageusia, febbre e tosse persistente, ma un’associazione meno predittiva di sintomi insieme a un’anamnesi positiva per i fattori di rischio (co-morbidità). Queste sono le situazioni in cui effettuare il test antigenico.
Infine, c’è l’area degli assistiti in cui ci si sente di escludere COVID-19, come la presenza di un solo sintomo o sintomi aspecifici senza fattori di rischio presenti (co-morbidità). In questi si può non prescrivere alcun test.
Il coordinamento e la gestione
Da un’indagine eseguita dall’Istituto superiore di sanità sui professionisti che lavorano nei Dipartimenti di Prevenzione di Regioni diverse (Veneto, Piemonte, Emilia-Romagna, Lazio, Calabria) emerge anche il ruolo essenziale dell’organizzazione del lavoro sul territorio.
Secondo la loro esperienza, è essenziale lavorare in équipe multidisciplinari e promuovere la conoscenza e lo scambio tra gruppi di lavoro diversi. È altrettanto fondamentale favorire la costituzione di un gruppo di coordinamento e di un sistema di comunicazione continuo che possa facilitare la collaborazione e l’integrazione e quindi sostenere l’operatività, attraverso la messa in atto delle azioni programmate. La mancanza di coordinamento e di un sistema di comunicazione organico può contribuire ad accrescere le problematiche di tipo organizzativo che possono generare incomprensioni, insoddisfazione e sfiducia tra gli operatori stessi ed essere percepiti dal cittadino come inefficienza del sistema.
“Nella fase di piena emergenza si sono chiariti anche alcuni aspetti procedurali riguardanti il flusso delle informazioni: è emerso che per facilitare la gestione e il ritorno delle informazioni è meglio non attivare più flussi informativi per uno stesso target, utilizzando mezzi di comunicazione diversi (e-mail, telefono, siti web)” affermava l’ISS in un documento di fine settembre, appena prima che il ritorno dell’emergenza rendesse questo consiglio ancora più importante. Nella comunicazione con i cittadini, passare attraverso i medici di medicina generale può essere un modo efficace, sia per selezionare le richieste sia per diffondere informazioni validate.
Essenziale è anche il potenziamento delle dotazioni tecnologiche per poter disporre di un sistema informatizzato e integrato, per mettere in rete dati clinici e di laboratorio e per attivare una rapida comunicazione tra figure professionali e contesti diversi (laboratori, MMG e ASL/AST).
Infine, le condizioni e il carico di lavoro durante l’emergenza, la difficoltà a fronteggiare problemi complessi, la paura del contagio e la stanchezza dovuta alla carenza di risorse umane, la scarsità di mezzi, strumenti e strategie, la necessità di rimodulare più volte l’organizzazione in base al numero di casi crescente e alle esigenze gestionali, hanno contribuito a generare stress tra gli operatori
Tale situazione, che riguarda operatori ma anche i cittadini suggerisce la necessità di rafforzare sul territorio i servizi di psicologia e di salute mentale, affinché abbiano un ruolo attivo in un’ottica di promozione della salute.