Medici no vax e sospensioni, dubbi interpretativi sulla legge. Ecco come funziona il decreto e cosa si rischia
(da Doctor33) Da quando decorre lasospensione del medico che non si vaccina? È atto dell’Asl od ordinistico? Il medico allontanato dalla corsia può o no continuare ad esercitare in privato? La sospensione finisce al momento in cui il professionista si vaccina o al primo inoculo? Perché è valida anche nel privato se l’atto d’accertamento è emesso dall’Asl? A valle delle risposte del ministero della Salute alla Federazione degli Ordini, mentre le Asl sospendono i primi sanitari non vaccinati, è bene rispondere a qualche domanda su come funziona il nuovo decreto legge 44 “Covid”.
Ai sensi di questa norma, gli ordini provinciali devono trasmettere alla Regione gli elenchi dei medici (ed odontoiatri) iscritti, e le regioni o le Asl devono incrociare i dati di questi professionisti e i relativi codici fiscali con i dati relativi alle vaccinazioni avvenute. Ove al codice del medico iscritto non corrisponda il codice di un vaccinato, l’Asl deve chiedere al medico a che punto è e finché il medico non ha adempiuto all’obbligo di immunizzarsi deve emettere un atto di accertamento dalla cui data decorre la sospensione del professionista. Una misura “diretta” se si tratta di dipendente o convenzionato, che avviene con avviso all’azienda datrice di lavoro (ospedale, clinica privata convenzionata) se il medico “renitente” dipende da quest’ultima. Insieme all’interessato e all’azienda, l’Asl avvisa l’Ordine affinché notifichi la sospensione dall’attività a contatto con i pazienti. Nel caso del privato puro, il libero professionista riceve notifica diretta e provvedimento di sospensione dall’ordine.
La legge impatta su un panorama normativo già complesso: il decreto legislativo 221 del 1950 all’articolo 43 prevede che gli ordini possano sospendere il medico – cioè non farlo lavorare del tutto – non solo a seguito di procedimenti disciplinari ma anche quando ci siano problemi con la giustizia, in genere per reati di una certa gravità che comportino ordinanza di custodia cautelare, detenzione, interdizione fino a 3 anni dai pubblici uffici, ricovero in manicomio giudiziario, o anche libertà vigilata. In quei casi, l’Ordine provinciale apre un procedimento disciplinare sull’iscritto, il Consiglio emette il provvedimento e il medico è sospeso e non può esercitare finché ha effetto la sentenza o il provvedimento penale. E in questo caso l’Ordine deve aprire un procedimento? Il Ministero risponde di no, l’atto è dell’Asl. «Basandosi in particolare sulla relazione parlamentare, il Ministero risponde che l’atto di accertamento non è tra le fattispecie contemplate nell’articolo 43, che sono tassativamente indicate», spiega Enrico De Pascale direttore generale Fnomceo. «In altre parole, la sospensione è comminata direttamente dall’Asl e l’Ordine, ricevuto l’atto di accertamento, deve giusto adottare una delibera di Commissione, una mera presa d’atto della sospensione del professionista, riportare l’annotazione nell’Albo ed emettere notifica all’iscritto interessato. Si tratta comunque di una sospensione obbligatoria e con risvolti sull’esercizio di tutta la professione. È disposta da un ente della Pubblica amministrazione, riguarda potenzialmente tutti i medici ed i sanitari, non si limita alle sole mansioni ricoperte dal medico in azienda ma si estende a tutta l’attività professionale che del resto espone il professionista a contatti con pazienti o utenti o persone a rischio di essere contagiati dal coronavirus a causa della mancata vaccinazione».
Dubbi sulla necessità di sospendere – secondo possibili interpretazioni della legge – potrebbero sussistere solo se il medico fosse demansionato e confinato “fantozzianamente” da solo in un ufficio “inaccessibile”. Il provvedimento peraltro smette di avere effetti al momento dell’assolvimento dell’obbligo vaccinale e comunque, per il dl 44, non oltre il 31 dicembre 2021 (siamo di fronte ad un nuovo istituto giuridico transitorio). «La legge non dice se la sospensione cessi e si possa riprendere a lavorare dopo aver completato il ciclo di due richiami o sia lecito ripartire già dopo la prima inoculazione», continua De Pascale. «Ragionando per analogia, ricordo che un’altra norma, consente al cittadino di avvalersi del certificato vaccinale “green pass” in quanto immunizzato decorsi i 15 giorni dall’inoculo della prima dose. Dev’essere in ogni caso l’Asl a revocare l’atto di accertamento, non può farlo l’Ordine. Tutto il procedimento appare di natura “extra-disciplinare”. Tant’è vero che nella nota con cui Fnomceo dirama il parere ministeriale agli Ordini, si indica che contro il provvedimento di sospensione è ammesso il ricorso, entro 60 giorni dalla notifica, al Tribunale amministrativo regionale e non alla Commissione esercenti atti e professioni sanitarie».