200 riviste mediche contro il cambiamento climatico
(da Univadis) di Cristina Ferrario (Agenzia Zoe) Non c’è tempo da perdere: bisogna agire subito per contrastare il cambiamento climatico che sta già mostrando i suoi effetti deleteri anche sulla salute umana. “Così come è successo per la pandemia di Covid-19, nella quale sono stati messi in campo sforzi e risorse senza precedenti a livello globale, per contrastare la crisi climatica serve un impegno simile” scrivono gli autori di un editoriale pubblicato in contemporanea su oltre 200 tra le principali riviste scientifiche che si occupano di salute e medicina tra le quali il Lancet, British Medical Journal e New England Journal of medicine, solo per citarne tre tra i più noti. Si tratta di una vera e propria call to action rivolta in particolare ai decisori politici perché vengano prese misure efficaci per contrastare l’emergenza climatica e rispettare gli obiettivi stabiliti già negli accordi di Parigi sul clima del 2015, ovvero mantenere l’innalzamento delle temperature globali al di sotto dei 2°C rispetto all’era pre-industriale, puntando in realtà a contenere tale incremento sotto gli 1,5 °C. Ogni incremento di temperatura, seppur apparentemente insignificante, può causare danni enormi alla salute dell’ambiente e di conseguenza a quella dell’uomo, visto il legame indissolubile tra le due. “I danni legati a un aumento di 1,5 °C sono stati ben definiti, ma non esiste una soglia di incremento che possiamo considerare sicura” spiegano gli autori dell’editoriale. “Siamo convinti che solo cambiamenti fondamentali ed equi nelle attuali società potranno invertire la rotta attuale” aggiungono, ricordando alcuni delle conseguenze negative del cambiamento climatico sulla salute dell’uomo.
Negli ultimi 20 anni, per esempio, la mortalità legata al calore negli over 65 è aumentata del 50% e più, senza contare che le alte temperature hanno favorito lo sviluppo di problemi di disidratazione, la diffusione di infezioni tropicali e zoonosi, le allergie, le complicanze cardiache e polmonari, i problemi di salute mentale, la malnutrizione e la mortalità in genere. “Non dobbiamo dimenticare che questi effetti negativi si fanno sentire in modo più intenso sulle persone più vulnerabili: bambini, anziani, soggetti più poveri o minoranze etniche” precisano gli autori che poi affermano: “I paesi che hanno contribuito meno a questa emergenza ne stanno pagando le maggiori conseguenze”. Da qui l’importanza di un impegno chiaro da parte dei paesi più ricchi, anche alla luce del fatto che “nessuna nazione, seppur ricca, può considerarsi immune da questi effetti negativi” e che, come è emerso chiaramente con la pandemia, “a livello globale siamo forti come il più debole dei membri del gruppo”. Dal punto di vista operativo, secondo gli autori non bastano le buone intenzioni, quali per esempio gli accordi per limitare le emissioni di gas serra già firmati da numerose nazioni a livello mondiale. “Le promesse non bastano, servono investimenti economico-finanziari equi e mirati e un cambiamento dello stile di vita delle nazioni più ricche” spiegano.
Questa presa di posizione comune delle riviste scientifiche non ha precedenti. Arriva a meno di un mese dalla pubblicazione di un allarmante rapporto dell’Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC) secondo il quale l’aumento della temperatura globale si è intensificato a un ritmo tale che il limite di aumento di temperatura di 1,5°C dall’epoca preindustriale potrebbe essere superata tra il 2021 e il 2040 (attualmente è già +1,1°C rispetto al periodo 1850-1900). L’iniziativa arriva alla fine del mese di luglio 2021 più caldo mai osservato dalle stazioni meteorologiche, segnato da fenomeni climatici estremi (cappa di calore in Nord America, incendi boschivi in Siberia, Algeria, Turchia, alluvioni ein Germania e in Belgio).
“Per combattere il cambiamento climatico deve esserci una sinergia tra le azioni a livello globale e quelle a livello individuale” spiega Paolo Vineis, epidemiologo dell’Imperial College di Londra. “A livello globale serve una proficua collaborazione politica tra i Paesi più industrializzati, che porti alla drastica riduzione delle emissioni di combustibili fossili, e che potrebbe senz’altro rallentare l’evolversi di cambiamenti climatici radicali. A livello individuale si dovrebbero modificare le abitudini alimentari, con una sensibile riduzione dei consumi di carne e un forte riorientamento verso uno stile di vita che migliori lo stato di salute generale delle persone”