Medici di famiglia, in due anni carichi di lavoro quadruplicati. Ecco il bilancio
(da Doctor33) Altro che “nascosti” durante i picchi di coronavirus. Dal 2020 ad oggi i carichi di lavoro per i medici di famiglia sono quadruplicati. E l’aumento è avvenuto in gran parte spontaneamente, in altra parte in relazione alla disponibilità telefonica chiesta dal decreto rilancio. Oltre a dare una grossa mano durante il Covid, spesso nel silenzio, durante i picchi di coronavirus, la categoria ha contribuito a mantenere la continuità delle cure per i pazienti cronici. Ciò non è avvenuto a costo zero. Nel Lazio, una delle regioni che peraltro ha risposto meglio ai bisogni dei malati, il carico di lavoro è cresciuto del 300%. La percentuale è stata calcolata da Fimmg Lazio, che ha elaborato una ricerca nelle province in grado di dire quali prestazioni sono state offerte e quali voci hanno pesato di più sul bilancio quotidiano del “generalista”. I numeri vengono resi noti oggi alla sede Fimmg di Via Marconi nel ‘Doctor Day’ nazionale dove la sezione regionale del sindacato, prima “antenna” a lanciare l’allarme Covid-19 da gennaio 2020, fa un bilancio di due anni di ricetta dematerializzata, di intricati obblighi certificatori, di vaccinazioni antinfluenzali e Covid effettuate negli studi con materiale che scarseggiava (anche protezioni), di assistenza a domicilio e telemedicina, di accessi delle “Uscar”, le unità speciali di continuità assistenziali regionali, nelle varie province. L’indagine è tesa a mettere in luce come i medici siano stati molto rapidi a sviluppare modelli organizzativi nuovi di assistenza sia contro il diffondersi del virus pandemico e dei contagi, sia nel dare «continuità di cura per tutte quelle patologie di routine la cui assistenza rischiava di diminuire a causa della pandemia stessa. Tutto ciò è stato pagato dai medici di medicina generale in termini di contagi e decessi», recita una nota del sindacato.
Fimmg Lazio nei mesi scorsi ha chiesto un ruolo centrale alla Regione per i medici di famiglia nelle case di comunità previste dal PNRR, ma a livello nazionale per queste strutture, e soprattutto per gli ospedali di comunità, si continua a parlare di prevalente componente gestionale infermieristica. Parlando all’incontro ‘Ripensare la Sanità territoriale’ organizzato dalla Fondazione Magna Carta il ministro ha annunciato che è al vaglio del Consiglio di Stato il DM 71, il decreto che istituisce gli standard dell’assistenza territoriale, per la prima volta, così da dare concretezza alle spese -7 miliardi – previste per la medicina “non ospedaliera” dal Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza finanziato da fondi dell’Unione Europea. Il DM 71 nella casa di comunità prevede medici ed infermieri, si tratta di standard che ogni regione dovrà trasformare materialmente in servizi. Dopo l’ok del Consiglio di Stato il testo andrà alla Corte dei Conti e Speranza auspica che tutto l’iter si concluda il 30 giugno. Quindi il ministro ha riepilogato i nuovi parametri che il nostro paese è teso a raggiungere nel 2026, anno di messa a regime del PNRR, in tema di servizi sanitari pubblici territoriali: 10% di copertura in assistenza domiciliare degli over 65 rispetto al 4% ante-pandemia, «quando la media dei paesi Ocse è del 6% e nei modelli migliori si arriva al 9»; e poi ha accennato a case di comunità per le cure intermedie “a prevalente gestione infermieristica” nonché a centrali operative territoriali capaci di essere il cervello che organizza la risposta sul territorio, ed alla sanità digitale.