Medici di famiglia in pensione a 72 anni: quando conviene e a chi interessa
(da DottNet) E’ arrivato il definitivo via libera della Camera al cosiddetto Decreto Milleproroghe, che contiene una norma molto attesa da medici e pazienti: il mantenimento in servizio dei medici di base fino al settantaduesimo anno di età. E’ il caso di fare subito qualche riflessione in materia, in attesa di completarle dopo la pubblicazione del testo di legge in Gazzetta Ufficiale e dopo che il Ministero della Salute avrà diramato le proprie istruzioni applicative. Questo il testo della norma in questione:
Articolo 4, comma 9-octiesdecies. Al fine di far fronte alle esigenze del Servizio sanitario nazionale e di garantire i livelli essenziali di assistenza, in assenza di offerta di personale medico convenzionato collocabile, le aziende del Servizio sanitario nazionale, sino al 31 dicembre 2026, possono trattenere in servizio, a richiesta degli interessati, il personale medico in regime di convenzionamento col Servizio sanitario nazionale di cui al decreto legislativo 30 dicembre 1992, n.502, in deroga ai limiti previsti dalle disposizioni vigenti per il collocamento in quiescenza, fino al compimento del settantaduesimo anno di età comunque entro la predetta data.
Innanzitutto: chi è interessato dalla proroga? Non è una domanda banale, perché in molti articoli pubblicati su diversi organi di stampa si parla delle categorie dei medici di famiglia e dei pediatri di libera scelta. Ma in realtà il testo di legge parla di personale medico in regime di convenzionamento con il Servizio sanitario nazionale, quindi in realtà dovrebbero essere coinvolti anche gli addetti ai servizi di continuità assistenziale, emergenza territoriale e medicina dei servizi, oltre agli specialisti ambulatoriali convenzionati. Dovrebbero invece essere esclusi gli specialisti già convenzionati e transitati a rapporto d’impiego, anche se alcuni di essi fanno notare che molte regioni hanno deliberato una totale parificazione giuridico-amministrativa fra le due categorie.
Altra domanda: la permanenza in servizio è un diritto oppure può essere negata? Anche qui soccorre il testo della norma, che parla, come presupposto, dell’assenza di offerta di personale medico convenzionato collocabile, e dice che, su questa base, le Asl possono trattenere in servizio i richiedenti. L’esperienza dice, in concreto, che nel Lazio, dove una deroga simile è già in vigore, alcune Asl hanno negato la prosecuzione ai richiedenti, giovandosi della presenza di altri medici in graduatoria.
Infine, la domanda delle domande: conviene chiedere il mantenimento in servizio? Generalmente, dopo le riforme Enpam ingenerate dalla riforma Fornero è difficile vedere pensioni elevatissime, più alte dello stipendio percepito, salvo forse per qualche specialista ambulatoriale. Quindi, se si gode di buona salute e di una discreta voglia di rendersi ancora utili, il vantaggio economico dovrebbe essere concreto. Sul versante pensionistico, dopo la bocciatura attuariale della proposta Enpam di incentivi calcolati sull’intero trattamento, restano comunque delle maggiorazioni percentuali sugli anni di servizio successivi al pensionamento, e soprattutto si aggiungono anni di contributi al calcolo dell’assegno: per un generico massimalista ad occhio e croce ogni anno di lavoro in più dovrebbe mediamente tradursi in circa un centinaio di euro netti mensili di incremento pensionistico.
Per quanti vogliono allontanarsi dolcemente dall’attività, c’è poi sempre il recente istituto dell’APP (Anticipo Prestazione Pensionistica), con cui, sempre su base volontaria, il generico o il pediatra possono farsi affiancare da un giovane, percependo metà stipendio e metà pensione. Ma un dubbio rimane: se c’è un giovane pronto a rilevare metà dei pazienti (e quindi teoricamente anche l’intero pacchetto di mutuati), le Asl sono in condizione di autorizzare la prosecuzione della convenzione del medico anziano? Dubbi, questi, che saranno presto sciolti dagli effetti pratici del provvedimento