Sera o mattino: il dilemma degli antipertensivi

(da Univadis)  Per anni, il momento migliore per assumere i farmaci antipertensivi è stato oggetto di dibattito, con alcuni studi che suggerivano che la somministrazione serale potesse ridurre il rischio cardiovascolare grazie a un migliore controllo della pressione notturna. Tuttavia, un nuovo studio clinico randomizzato pubblicato su ‘Jama Network Open’  mette in discussione questa ipotesi, specialmente negli anziani fragili. Lo studio clinico BedMed-Frail non ha riscontrato differenze significative negli eventi cardiovascolari maggiori o nella mortalità tra l’assunzione serale e quella mattutina in questa popolazione vulnerabile. Come spiegano gli autori, “la pressione arteriosa (PA) ha un ritmo circadiano con pressioni più basse durante la notte e la PA durante il sonno, rispetto a quella diurna, predice meglio il rischio cardiovascolare, suggerendo che una PA elevata potrebbe veicolare un rischio cardiovascolare maggiore quando si verifica di notte”. Quindi dato che i farmaci antipertensivi potrebbero abbassare la PA notturna se somministrati al momento di coricarsi, l’assunzione di questi farmaci prima di dormire potrebbe ipoteticamente ridurre il rischio cardiovascolare.

II risultato dello studio BedMed-Frail    Il trial BedMed-Frail ha coinvolto 776 anziani fragili, con un’età media di 88 anni, di cui 562 (72,4%) erano di sesso femminile, 367 (47,3%) avevano il diabete, 307 (39,6%) avevano una malattia coronarica e 664 (85,6%) soffrivano di demenza. Questa popolazione, proveniente da strutture residenziali canadesi, è stata randomizzati all’assunzione serale o mattutina dei loro antipertensivi a somministrazione giornaliera. Dopo un follow-up mediano di 415 giorni, non è emersa alcuna differenza nell’endpoint primario – un composito di morte, ictus, sindrome coronarica acuta o scompenso cardiaco – tra i due gruppi (29,4 vs. 31,5 eventi per 100 pazienti-anno; hazard ratio aggiustato [aHR], 0,88; 95% IC, 0,71-1,11; p = 0,28).   Un risultato interessante è stato osservato per quanto riguarda le ospedalizzazioni non pianificate e le visite al Pronto soccorso, che sono risultate leggermente inferiori nel gruppo serale (22,6 vs. 30,0 eventi per 100 pazienti-anno; aHR, 0,74; IC 95%, 0,57-0,96; p = 0,02). Una differenza che tuttavia ha perso significatività statistica in un’analisi post hoc. È importante sottolineare che il 91,6% degli eventi primari erano decessi, riflettendo l’elevata mortalità basale in questa popolazione. Anche gli esiti secondari, come cadute, fratture e declino cognitivo, non hanno mostrato differenze significative tra i due gruppi.

L’orario di somministrazione degli antipertensivi non sembra quindi influenzare gli esiti clinici, permettendo ai medici di concentrarsi su altri aspetti della cura, come l’aderenza terapeutica e la personalizzazione del trattamento, in base alla comodità e alla tollerabilità individuale. Risultati che rassicurano anche sull’assenza di rischi aggiuntivi legati all’assunzione notturna, come un aumento delle cadute o un peggioramento cognitivo, confermando che entrambi i regimi sono sicuri.

(https://jamanetwork.com/journals/jamanetworkopen/fullarticle/2833842)