Depressione maschile, questa sconosciuta
(da Univadis – riproduzione parziale) Uno studio italiano appena pubblicato sul ‘Journal of Clinical Medicine’ suggerisce che la depressione maggiore abbia di fatto un impatto sulla qualità della vita più forte negli uomini che nelle donne. È tempo, propongono gli autori, di “rivedere attraverso la lente di genere” il modo in cui si concettualizza e si gestisce la depressione. Comprendere le peculiarità del MDD nel genere maschile e fare in modo che i servizi di salute mentale rispondano a esigenze specifiche, scrivono, “non è solo una questione di rilevanza clinica, ma anche di salute pubblica e giustizia sociale”.
Sebbene più comune nel genere femminile, il disturbo depressivo maggiore (MDD, dall’inglese major depressive disorder) non risparmia il genere maschile. Questo disturbo dell’umore ha caratteristiche ed effetti diversi nei due generi, basti pensare al rischio di suicidio: è vero che i tentativi di suicidio sono più frequenti tra le donne, ma i suicidi portati a termine sono più numerosi tra gli uomini, una realtà che può dipendere almeno in parte dal fatto che le donne sono più propense a cercare aiuto mentre gli uomini depressi faticano a mostrare la propria sofferenza, intrappolati negli stereotipi sociali per cui un maschio vulnerabile è un maschio debole.
L’impatto differenziale della depressione Lo studio italiano è stato condotto su un campione rappresentativo della popolazione adulta arruolato in sei Regioni. Dei 2.337 soggetti coinvolti, 1.005 (43%) erano maschi e 1.332 femmine (57%). Ai partecipanti sono stati somministrati due strumenti di screening: il questionario SF-12 (Short Form Health Survey-12) e il questionario MDQ (Mood Disorder Questionnaire). La prevalenza del MDD era 6,38% nelle femmine e 1,99% nei maschi (OR 3,36, 95% IC 2,05-5,50). Tra i soggetti con MDD, il punteggio medio nel questionario SF-12 – che valuta dimensioni quali attività fisica, stato emotivo, dolore fisico, percezione dello stato di salute generale, della vitalità, della socialità e della salute mentale e in cui un punteggio più alto indica una migliore percezione della propria qualità di vita – non era significativamente diverso nei due generi. Tuttavia, poiché il punteggio nella popolazione di riferimento era più alto per gli uomini che per le donne, il peggioramento della qualità della vita percepita attribuibile alla depressione è risultato significativamente maggiore nei maschi.
Un fenotipo diverso Nei maschi, il punteggio medio nel questionario MDQ (uno strumento sviluppato per lo screening del disturbo bipolare che identifica episodi di mania e ipomania) era più alto che nelle femmine e la frequenza della positività allo screening MDQ era maggiore, anche se le differenze non raggiungevano la significatività statistica.
Cesar Iván Aviles Gonzalez, professore presso l’Università degli Studi di Enna “Kore” e corresponding author dello studio, spiega a Univadis Italia che alcune ricerche del gruppo coordinato da Mauro Giovanni Carta – a cui Aviles afferiva prima di arrivare all’Università Kore e condotte durante la pandemia di COVID-19 – hanno mostrato che la positività allo screening MDQ si associa ad alterazioni del ritmo sonno-veglia e suggerito che esista un legame tra iperattività, alterazione dei ritmi comportamentali e sociali e irritabilità. Carta e colleghi hanno proposto una nuova sindrome, chiamata DYMERS (Dysregulation of Mood, Energy, and Social Rhythms Syndrome), una condizione di vulnerabilità che espone al rischio di disturbi psichiatrici, inclusa la depressione. È possibile, si suggerisce nello studio appena pubblicato, che nei maschi dimensioni come iperattività, squilibrio dei ritmi, irritabilità e strategie di coping maladattive non vengano riconosciute correttamente come segni di depressione. “Questo studio rafforza l’idea che la depressione maschile non solo sia sottodiagnosticata, ma anche fraintesa, in parte a causa di schemi culturali di genere”, conclude Aviles.