Ricchi, istruiti e impegnati: ecco chi rischia meno la demenza senile

(da DottNet)    Alcuni fattori socioeconomici come istruzione, occupazione e fascia reddituale possono influenzare le probabilità di sviluppare deterioramento cognitivo e demenza in età avanzata, nonché le possibilità di guarigione. È quanto emerge da uno studio, pubblicato sulla rivista ‘Scientific Reports’, condotto dagli scienziati dell’University College London.   Il team, guidato da Dorina Cadar, ha seguito 8.442 adulti di età pari o superiore a 50 anni in Inghilterra per 10 anni, dal 2008-2009 al 2018-2019. Le informazioni sui fattori socioeconomici sono state raccolte tramite un questionario, mentre il deficit cognitivo è stato determinato utilizzando un mix di fonti, tra cui i resoconti dei partecipanti sulla diagnosi di un medico, i risultati dei test cognitivi e i loro report di sintomi e lamentele.

Oltre a questi aspetti, lo studio ha anche tenuto conto di fattori demografici, come età, genere sessuale e stato civile. Stimando il tempo trascorso in ogni stato cognitivo e la probabilità di transizioni a disturbi neurocognitivi, i ricercatori sono stati in grado di stabilire un nesso tra la progressione dei disturbi di un paziente e la durata di ogni stato cognitivo. Stando a quanto emerge dall’indagine, le persone provenienti da contesti socioeconomici più vantaggiosi, in particolare quelle con istruzione post-secondaria, erano associate a un rischio del 43% più basso di sviluppare deterioramento cognitivo rispetto a chi non aveva completato il percorso di studi.    Il benessere economico riduceva invece del 26% le probabilità di sperimentare tali problemi, e tra gli individui benestanti è stato riscontrata una probabilità di migliorare le proprie condizioni cognitive del 56% più elevata rispetto a chi era in difficoltà economiche.

“Il nostro lavoro – osserva Cadar – evidenzia il ruolo fondamentale dei fattori socioeconomici nella possibilità di sviluppare il deterioramento cognitivo. Abbiamo scoperto, inoltre, che le persone con un reddito più elevato sembravano anche associate a una probabilità più elevata di guarire da un eventuale problema cognitivo”. “La possibilità di recupero – aggiunge Cadar – è fondamentale per migliorare la qualità della vita negli anni successivi e ridurre l’onere a lungo termine del deterioramento cognitivo sui sistemi sanitari, sulle famiglie e sulla società nel suo complesso.

Non possiamo fornire spiegazioni esatte sulle motivazioni alla base della correlazione emersa nel nostro lavoro, ma ipotizziamo che potrebbero esistere varie spiegazioni”. “È possibile – conclude Aswathikutty Gireesh, altra firma dell’articolo – che l’istruzione e i lavori intellettualmente impegnativi forniscano una maggiore stimolazione mentale e aiutino a costruire una riserva cerebrale più forte per aiutare a proteggere gli individui dal deterioramento cognitivo. Allo stesso tempo, le persone con un’istruzione superiore e maggiore disponibilità economica sono associate a un migliore accesso all’assistenza sanitaria e a risorse che promuovono la salute. Speriamo che il nostro studio possa rappresentare la base per approfondimenti futuri”.

Specialità mediche, dalla virologia alla radioterapia ecco quelle a rischio estinzione

(da Doctor33)  Nonostante l’epoca di emergenze infettive, i medici che vogliono diventare microbiologi o virologi sono sempre di meno. Quest’anno solo 13 borse di specializzazione sono state coperte, lasciandone ben 104 non sono state assegnate. Ma la virologia non è l’unica branca a rischio carenza. Secondo i dati forniti all’Adnkronos Salute dal sindacato dei medici ospedalieri Anaao, anche l’emergenza urgenza è a rischio. Sono 716 le borse non attribuite contro 304 andate a buon fine. “Non posso immaginare un futuro senza anatomo-patologi o radioterapisti. Per questo in Finanziaria ci sono aumenti per il trattamento economico delle borse di specializzazione oggi meno attrattive, fra cui Anatomia patologica, Anestesia e Rianimazione, Terapia intensiva e del dolore, Medicina e Cure Palliative, Radioterapia”, ha detto il ministro della Salute, Orazio Schillaci, intervenendo al XXVI Congresso nazionale dell’Associazione italiana oncologia medica.

In totale, sono 12 le specialità mediche per le quali i posti delle scuole di specializzazione programmati sono rimasti in maggioranza vuoti, con almeno il 50% delle borse non assegnate. Branche che andranno incontro a forti carenze al limite dell’estinzione. Nell’elenco a forte rischio carenza appaiono poi ‘Patologia clinica e biochimica clinica’ (46 assegnate contro 263 rimaste vuote); Farmacologia e tossicologia clinica (20 assegnate 99 no); Radioterapia (31 assegnate 139 no); Medicina di comunità e cure primarie (25 contro 94); Medicina e cure palliative (37 contro 133): Statistica sanitaria e biometria (13 conto 37); Medicina nucleare ( 25 contro 68); Anatomia patologica (89 contro 99); Chirurgia toracica (43 contro 46); Nefrologia (167 contro 189).

“Davanti a questi dati incontrovertibili – spiega all’Adnkronos Salute Giammaria Liuzzi, responsabile nazionale Anaao giovani – l’unica soluzione è riformare la formazione medica, archiviando l’impianto attuale con un contratto di formazione-lavoro, istituendo i learning hospital, con specializzandi che hanno i diritti e i doveri dei dirigenti medici in un contratto incardinato all’interno del contratto nazionale, con retribuzione e responsabilità crescenti e con l’abolizione delle incompatibilità. Una soluzione che ‘stranamente’ non comporta un aumento di spesa perché abolirebbe non il numero chiuso ma la figura dei gettonisti, costati all’erario pubblico ben 1,7 miliardi di euro dal 2019 al 2023”, conclude Liuzzi.

Obesità: una malattia sempre più “giovane”, più 1,6 milioni di adulti in 20 anni in Italia

Secondo i dati Istat, nel 2023 il numero di persone con obesità ha registrato un incremento del 38 per cento rispetto al 2003, dove a pesare è soprattutto il notevole aumento registrato tra i giovani adulti. I dati dell’Istituto nazionale di statistica fotografano la situazione attuale del fenomeno sovrappeso e obesità nel nostro Paese e sono alla base del confronto che si è tenuto durante il sesto Italian Obesity Barometer Summit tra Istituzioni, esperti, società scientifiche e associazioni pazienti   Leggi L’articolo completo al LINK    

Medici di famiglia e infermieri insufficienti da anni. Le principali criticità per Istat

(da Doctor33)   “La dotazione e l’invecchiamento del personale medico rappresentano criticità per il comparto della sanità, anche alla luce del futuro aumento della domanda di cure dovuto alla dinamica della popolazione”. In particolare, sono i medici di medicina generale e gli infermieri le categorie che destano “maggiori preoccupazioni per le prospettive future”. È quanto si legge in un passaggio della relazione del presidente dell’Istat, Francesco Maria Chelli, sentito in audizione in Commissioni riunite Bilancio di Camera e Senato sulla Manovra. Nel 2022, ultimo anno per cui i dati sono disponibili, la dotazione complessiva di medici (generici e specialisti) in Italia è stata pari a 4,2 camici bianchi per mille abitanti, 0,2 punti in più rispetto al 2019. I medici specialisti costituiscono l’81% circa dei medici totali: nel 2022 sono 3,3 ogni mille residenti, 0,3 punti in più rispetto al 2019. Mentre i medici di medicina generale (Mmg) sono solo 6,7 per 10 mila abitanti e rappresentano il 15,7% dei medici totali.

Le preoccupazioni relative a questa categoria, sono motivate dal fatto che i medici di medicina generale sono caratterizzati “da una struttura” che è spostata verso le “età prossime al pensionamento (sulla base dei dati Iqvia si stima che circa il 77% abbia 55 anni e più), da un trend decrescente (il numero è diminuito di oltre 6mila in 10 anni, da 45.437 nel 2012 a 39.366 nel 2022) e da un incremento significativo degli assistiti pro capite (da 1.156 nel 2012 a 1.301 nel 2022)”, il che si traduce in un “forte aumento della percentuale di Mmg con più di 1.500 assistiti (in crescita dal 27,3% al 47,7% nell’arco di un decennio)”. La dotazione è più bassa nelle regioni del Nord. Sulla quota di mmg con più di 1.500 assistiti, in particolare, si osserva una forbice amplissima, dal 71,0% in Lombardia al 22,4% in Sicilia.

Per quel che riguarda il personale infermieristico, “il numero è da molti anni ritenuto insufficiente rispetto ai bisogni di salute della popolazione”, rileva l’Istat. La dotazione nel 2022 è pari a 6,8 per mille abitanti, 0,4 punti in più rispetto al 2019. Tra le regioni si osserva un ampio divario, con una dotazione particolarmente bassa pari a 5,7 infermieri e ostetriche per mille residenti in Lombardia, Campania e Calabria e a 6 in Sicilia, mentre tassi significativamente più elevati si registrano in Molise (8,8), nelle province autonome di Bolzano e Trento (8,3), in Liguria (8,1) e in Umbria (8,0).

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