Carenza medici, Amsi: in oltre mille reparti mancano professionisti
(da Doctor33) “Solo in questi mesi di luglio e agosto, secondo le nostre indagini aggiornate, in Italia più di mille reparti ospedalieri hanno subito una riduzione della mole di lavoro o addirittura la chiusura, per mancanza di professionisti, a discapito della qualità delle prestazioni offerte ai cittadini” Questo il dato diffuso da Amsi, Associazione medici di origine straniera in Italia, e dal Movimento internazionale Uniti per Unire. “Da nord a sud, in primo luogo, oltre alle difficoltà enormi nei pronto soccorso, è stata ridotta l’attività di chirurgia, pediatria, ortopedia – evidenzia Foad Aodi, presidente di Amsi e Uniti per Unire – Si tratta di reparti che in alcuni casi sono stati chiusi, oppure nella migliore delle ipotesi accorpati tra loro, come le varie chirurgie, a causa della carenza di personale, in particolar modo di medici e infermieri. Arrivando anche a un taglio dei posti letto del 10-15%”.
“Siamo al fianco della Fnomceo”, la Federazione degli Ordini dei medici, “nel chiedere un cambiamento radicale del nostro Sistema sanitario, con un finanziamento che deve tornare al di sopra del 7% del Pil, per poi gradualmente arrivare all’8%. Chiediamo che questo Governo, nella prossima finanziaria, trovi finalmente le risorse che servono al nostro sistema sanitario, per uscire dal buio tunnel in cui è piombato. Basta con le promesse a vuoto”. E poi, conclude Aodi, “ci sono i grandi temi da affrontare, tutti insieme, oltre agli investimenti economici. Sanare la piaga dei turni massacranti con una organizzazione degna di tal nome, ‘rinforzare’ gli organici ridotti all’osso con assunzioni mirate, stabilizzare i contratti dei precari, abbattere i tetti di spesa come ha proposto il ministro Schillaci, arginare le fughe all’estero e le dimissioni volontarie, combattere la medicina difensiva e ancora tutelare i professionisti dalle aggressioni, in primis le donne, le vittime sacrificali delle violenze”.
Poli-pillole stampate 3D per chi assume più farmaci al giorno
(da DottNet) Ricercatori australiani hanno usato la tecnologia di stampa 3D, usata correntemente per produrre giocattoli, calchi dei denti e ricambi auto, per combinare farmaci multipli in una ‘poli-pillola’, e così alleviare l’impegno di chi deve assumere più farmaci ogni giorno. Un problema diffuso, che si aggrava con l’invecchiare della popolazione: con l’avanzare dell’età possono essere prescritti più farmaci ogni giorno, con il rischio di sottodosaggi o di overdose. Studiosi dell’Università del Queensland hanno sviluppato un modo di usare stampanti 3D per produrre pillole multiple su misura del paziente.
I farmaci sono combinati in un polimero bio-compatibile per poter essere rilasciati nell’organismo in tempi differenti. “Si possono includere farmaci differenti in una pillola, da prendere una sola volta al giorno, riducendo così la probabilità di overdose o di sottodose, scrive il professor Amirali Polat della Scuola di Farmacia sul sito dell’università stessa.
Le pillole sono prodotte uno strato alla volta e il medicinale viene disciolto e combinato con altri ingredienti per aiutare l’assorbimento nello stomaco. I farmaci stampati in 3D potranno aiutare i genitori offrendo pillole più piccole o più ‘attraenti’ per i bambini, usando forme o colori diversi. Potranno inoltre assistere persone non vedenti o ipovedenti. “Si potrà cambiare il colore per renderle più identificabili, aggiungere simboli come il sole e la luna per le dosi del mattino e della sera, o stampare in braille sulla pillola per facilitare il riconoscimento. Si potrà facilitare notevolmente il trattamento per il paziente, è un importante passo avanti”, scrive Polat. Il ricorso alle stampanti 3D potrà anche essere di particolare beneficio nelle comunità remote, dove vi può essere carenza di medicinali o ritardi di consegne. “Se vi è la possibilità di produrle dove il farmacista può farlo sul posto, si potrà offrire migliore assistenza sanitaria in quelle comunità”, aggiunge.
Vaccinazione COVID-19 durante la gravidanza, nessun aumento del rischio di anomalie congenite
da Doctor33) L’infezione da SARS-CoV-2 durante la gravidanza è associata a un aumento del rischio di complicazioni e aborto spontaneo, motivo per cui è raccomandata la vaccinazione contro il COVID-19 per le donne. I dati iniziali non hanno mostrato un aumento del rischio di complicazioni legate al vaccino.
Un nuovo studio, pubblicato sulle pagine del BMJ, sul rischio di anomalie congenite dopo la vaccinazione durante la gravidanza ne evidenzia ulteriormente la sicurezza.
Condotto utilizzando dati provenienti da Svezia, Danimarca e Norvegia, lo studio ha coinvolto quasi 350.000 bambini concepiti tra marzo 2020 e febbraio 2022. L’obiettivo dello studio era valutare il rischio di anomalie congenite correlato all’infezione o alla vaccinazione durante il primo trimestre di gravidanza. L’analisi è stata limitata ai vaccini a mRNA, BNT162b2 di Pfizer-BioNTech e mRNA1273 di Moderna.
Del totale dei partecipanti, il 5,2% dei bambini ha presentato una grave anomalia congenita nei 9 mesi successivi alla nascita (516 su 10.000 nati vivi). Durante il primo trimestre di gravidanza, il 3% delle donne ha contratto un’infezione da SARS-CoV-2, ma non è stato identificato un aumento del rischio di anomalie congenite gravi dopo questa infezione.
Allo stesso modo, tra i più di 150.000 bambini esposti al vaccino durante la gravidanza, di cui il 20% esposto durante il primo trimestre, non è stato osservato un aumento del rischio di anomalie congenite gravi associato a questa vaccinazione. I risultati sono rimasti invariati anche includendo i decessi neonatali o gli aborti spontanei.
Questi dati, coerenti con quelli di studi precedenti, confermano quindi la sicurezza dell’uso del vaccino COVID-19 durante la gravidanza per prevenire l’infezione da SARS-CoV-2, e prevenire le complicazioni in gravidanza.
La fiducia nei medici è in crisi
(da Univadis) È finita l’epoca nella quale la parola del medico non veniva in alcun modo messa in discussione. Oggi il rapporto medico-paziente è completamente cambiato e non di rado il medico si trova a dover “convincere” il paziente che ha di fronte la bontà e l’appropriatezza delle sue prescrizioni e indicazioni.
È quanto accaduto anche nell’episodio riportato in un articolo del ‘New England Journal of Medicine’ a cura di Barron H. Lerner della New York University Grossman School of Medicine di New York. L’articolo si apre così: un uomo di 75 anni si è recato dal suo medico di base, che gli ha comunicato che presto sarebbe stato disponibile un nuovo booster di vaccino anti-COVID. “Il paziente ha raccontato al medico che, mentre ascoltava la radio per sentire ‘opinioni opposte’, aveva appreso che era più probabile morire per gli effetti collaterali del vaccino Covid che per la malattia” si legge. Di fronte a queste parole il medico ha riassunto al suo paziente tutti i dati scientifici disponibili sulla sicurezza e l’efficacia della vaccinazione, ma il paziente è comunque rimasto riluttante ad accettare.
La competenza e le spiegazioni scientifiche del medico non sono quindi bastate a convincere l’anziano signore a sottoporsi alla vaccinazione. Come mai? Siamo dunque di fronte a una perdita di fiducia nelle capacità del medico e nella sua autorevolezza in ambito di salute?
“L’episodio descritto riguarda gli Stati Uniti. In Italia, tutte le indagini demoscopiche rilevano una grande fiducia nel rapporto medico-paziente (anche superiori all’80%), ma al di là di questi numeri in realtà il problema esiste anche nel nostro Paese” spiega Filippo Anelli, presidente della Federazione Nazionale degli Ordini dei Medici Chirurghi e degli Odontoiatri (FNOMCEO). “Come Federazione, abbiamo provato ad affrontare questo problema negli ultimi anni, tanto che nel 2018 abbiamo indetto gli Stati Generali partendo proprio dal presupposto di una crisi del medico in questo sistema” aggiunge.
Diritti e libertà per un cambiamento rivoluzionario
Secondo quanto riportato da Lerner, la crescente sfiducia nella classe medica non arriva dal nulla, ma è il risultato di un processo storico complesso che, negli Stati Uniti, chiama in causa i movimenti sociali degli anni ’60 e ’70 del secolo scorso, legati alla guerra in Vietnam o all’avvento del femminismo. In quegli anni ha preso il via la tendenza a sfidare le istituzioni consolidate, inclusa la medicina tradizionale la quale, accanto a scoperte scientifiche fondamentali (per esempio il vaccino contro la poliomielite o i primi trapianti di cuore), si è “macchiata” di alcuni comportamenti poco etici. Tra gli esempi più noti, lo studio sulla sifilide di Tuskegee, in cui i ricercatori del Servizio Sanitario Pubblico statunitense hanno deliberatamente negato cure mediche a uomini afroamericani per studiare gli effetti della malattia, o l’atteggiamento paternalistico dei medici che spesso ricorrevano alla mastectomia radicale pur senza prove a sostegno della sua necessità. Con l’epidemia di AIDS, inoltre, molti attivisti hanno acquisito una grande competenza “laica” che ha portato a battaglie per sperimentazioni e terapie innovative e più accessibili.
“Abbiamo vissuto un’epoca nella quale ai medici si insegnava che il loro giudizio sostanzialmente non si poteva mettere in dubbio” afferma Anelli. “Oggi stiamo vivendo un cambio epocale che vede il passaggio dal paternalismo all’alleanza terapeutica tra medico e paziente. Il medico deve trovare una collocazione in questa ‘società diritti’ per giungere a quella che è la ‘democrazia del bene’, nella quale il medico garantisce il bene dei cittadini” aggiunge. Come ricorda il presidente FNOMCEO, questo passaggio rivoluzionario è in qualche modo sancito dalla Costituzione italiana che mette al centro il diritto alla salute dei cittadini e li accosta alla libertà di scegliere ciò che è meglio per loro.
Il medico di domani
“Noi medici vogliamo collocarci all’interno di questa società come professionisti che mettono le loro competenze a disposizione del cittadino perché acceda ai suoi diritti legittimi contraddicendo quello che era il paternalismo, verso una decisione condivisa” precisa Anelli. “Pensiamo solo all’appropriatezza prescrittiva: a volte il trattamento ‘migliore’ dal punto di vista scientifico non è il migliore per quello specifico paziente” spiega. E in questi casi spetta al medico proporre un’alternativa (se disponibile) cercando di comprendere le esigenze del suo paziente e puntando quindi a curare la persona e non solo la sua malattia.
Per arrivare a questo tipo di rapporto serve, in primo luogo, un atteggiamento non giudicante da parte del medico, ma serve anche tempo. “Una visita di 10 minuti non è quasi mai sufficiente a comprendere davvero cosa si nasconde dietro un sintomo all’apparenza banale” aggiunge Anelli, che ricorda anche l’importanza della comunicazione. “Il tempo di comunicazione è tempo di cura, lo dice anche la legge 219 del 2017” afferma. Non è un caso che la Federazione sia impegnata in numerosi progetti per migliorare la comunicazione medico-paziente e mettere al riparo i cittadini dalle fake news, partendo dai corsi di insegnamento nelle facoltà di medicina e passando inevitabilmente per internet e social media. Un esempio su tutti il portale “Dottore, ma è vero che?” a cura di FNOMCEO e dedicato proprio a fare chiarezza su alcune delle fake news mediche più diffuse.
Ultimo ma non certo meno importante è il discorso del conflitto di interesse e dell’etica professionale. FNOMCEO sta lavorando al codice di deontologia medica, per descrivere al meglio la figura del medico di domani e il suo ruolo nella società.
Ma che fine ha fatto il paziente riluttante alla vaccinazione anti-COVID? Attraverso una conversazione non giudicante e l’ascolto attivo, il medico è riuscito a far emergere una riflessione più profonda nel paziente, che alla fine ha deciso di accettare il vaccino, pur mantenendo un certo grado di scetticismo. In un certo senso, un lieto fine in favore della scienza e del buon rapporto tra medico e paziente.
Lancet quantifica l’impatto della pandemia su mortalità globale e speranza di vita
(da Doctor33) Secondo il Global Burden of Disease Study 2021, appena pubblicato da un gruppo di esperti sotto la direzione di Eve Wool e Christopher Murray dell’Institute for Health Metrics and Evaluation dell’Università di Washington a Seattle (USA), nel periodo tra il 1990 e il 2021 la pandemia di COVID-19 ha modificato profondamente l’andamento della mortalità globale e della speranza di vita. Lo studio, pubblicato sulla rivista The Lancet, evidenzia l’incremento significativo della mortalità legato al COVID-19, che ha alterato la classifica delle principali cause di morte a livello globale, posizionandosi come la seconda causa di morte più frequente nel 2021 con 94,0 decessi per 100.000 abitanti.
Nonostante una tendenza generale all’aumento della speranza di vita tra il 1990 e il 2019, si è registrato un calo netto di 1,6 anni tra il 2019 e il 2021, dovuto principalmente ai decessi attribuibili a COVID-19 e altre cause connesse alla pandemia.
In particolare, il tasso di mortalità standardizzato per età da COVID-19 nel 2021 è stato il più elevato in Africa subsahariana e America Latina e Caraibi, rispettivamente con 271,0 e 195,4 decessi per 100.000 abitanti. La variazione regionale nella speranza di vita è stata notevole, con l’Asia sudorientale, est asiatica e Oceania che ha registrato l’aumento maggiore di speranza di vita dal 1990 e la riduzione più modesta dovuta a COVID-19, pari solo a 0,4 anni.
Lo studio ha utilizzato il modello Cause of Death Ensemble (CODEm) per stimare le morti specifiche per causa, integrando i dati da 56.604 fonti diverse, tra cui registrazioni vitali e autopsie. Nonostante gli approcci metodologici avanzati, gli autori segnalano limitazioni legate alla disponibilità e qualità dei dati in alcune regioni, che potrebbero influenzare la precisione delle stime di mortalità. “La pandemia di COVID-19 ha alterato profondamente i pattern di mortalità globale” commentano Wool e colleghi. “Questi dati non solo mettono in luce l’urgenza di strategie sanitarie mirate per combattere il COVID-19 e altre patologie gravi, ma offrono anche una base cruciale per migliorare le politiche sanitarie a livello globale”.
Lo studio mette in luce come, nonostante i progressi compiuti in varie aree della salute globale nel corso degli anni, eventi pandemici come quello di COVID-19 possano rapidamente invertire i trend positivi, incidendo drasticamente sulla mortalità e sulla speranza di vita a livello globale. Il lavoro sottolinea l’importanza di una preparazione efficace e di risposte sanitarie coordinate a livello internazionale per fronteggiare future emergenze di salute pubblica. Infine, le evidenze presentate nel documento supportano l’urgenza di investimenti continui nella ricerca e nello sviluppo di sistemi sanitari che siano non solo capaci di gestire le malattie esistenti ma anche di adattarsi rapidamente a nuove minacce.
(Lancet 2024. Doi: 10.1016/S0140-6736(24)00367-2 https://doi.org/10.1016/S0140-6736(24)00367-2)