Sigarette elettroniche: non così innocue come sembra

(da M.D. Digital)  Il loro utilizzo è infatti legato a una riduzione della funzionalità polmonare e a un aumento della pressione arteriosa e della frequenza cardiaca.  Peggiorano anche la FEV1 e la tolleranza all’esercizio. Secondo i risultati pubblicati su Chest, dopo l’uso per 15 minuti di un sistema elettronico di somministrazione di nicotina (ENDS), la funzione polmonare è diminuita e la pressione arteriosa e la frequenza cardiaca sono aumentate negli utilizzatori a lungo termine rispetto ai non utilizzatori. “Un episodio di utilizzo di ENDS è associato a un peggioramento acuto degli indici di salute cardiovascolare e polmonare tra gli utenti a lungo termine di questi dispositivi”, hanno affermato gli autori.

In uno studio osservazionale, i ricercatori hanno valutato 164 utilizzatori esclusivi di ENDS (età media 27.4 anni; 39% donne; 86% bianchi), 117 utilizzatori esclusivi di sigarette (età media 42.8 anni; 44.4% donne; 55.6% bianchi) e 114 individui che non hanno riferito di fumare o svapare (età media 30.8 anni; 50% donne; 69.3% bianchi) per confrontare le misure di salute cardiovascolare e polmonare tra i gruppi dopo 15 minuti di utilizzo del prodotto. Durante il periodo di utilizzo di 15 minuti, le persone che non fumavano o vaporizzavano riposavano.   In particolare, la durata mediana dell’uso del prodotto era maggiore nella coorte delle sigarette rispetto alla coorte ENDS (21 anni contro 4 anni) e questi individui avevano misurazioni basali della funzione polmonare (FEV1 e flusso medio espiratorio forzato dal 25% al 75% della FVC più scadenti [FEF25-75]).

I ricercatori hanno osservato un numero significativamente più elevato di boccate effettuate durante il periodo di utilizzo di 15 minuti tra gli utilizzatori di sigarette rispetto agli utenti ENDS (mediana, 14 boccate contro 9 boccate; p<0.001).  Tra il gruppo di utilizzatori esclusivi di ENDS e il gruppo di individui che non usavano tabacco o vaporizzatore, tre misurazioni cardiovascolari sono aumentate significativamente dopo l’uso del prodotto per 15 minuti nella coorte ENDS: Pas (differenza media aggiustata 5.6 mmHg rispetto a 2.3 mmHg), Pad (4.2 mmHg rispetto a 2 mmHg) e frequenza cardiaca (4.8 battiti/minuto contro –1.3 battiti/minuto).   I ricercatori hanno notato risultati comparabili e significativi a quelli sopra riportati quando hanno valutato i consumatori di sigarette rispetto a individui che non avevano riferito di fumare o svapare.   Gli individui che utilizzavano ENDS rispetto a quelli che non utilizzavano tabacco o prodotti da vaporizzare avevano anche diametri dell’arteria brachiale significativamente peggiori (–0.011 cm rispetto a –0.006 cm), variabilità della frequenza cardiaca (–7.2 ms vs 3.6 ms) e FEV1 (–4.1 vs –1.1).

Per quanto riguarda queste tre misurazioni tra consumatori di sigarette e non consumatori di tabacco/vaping, i ricercatori hanno osservato valori diminuiti nella coorte di fumatori di sigarette.  Secondo gli autori, sia la dilatazione flusso-mediata dell’arteria brachiale che la variabilità della frequenza cardiaca in posizione eretta non differivano significativamente fra le tre coorti.  Dopo il periodo di utilizzo di 15 minuti, il rapporto FEV1 rispetto a FVC e FEF25-75 sono diminuiti significativamente e in misura maggiore nella coorte ENDS rispetto alla coorte dei non consumatori e alla coorte delle sigarette.  In termini di esercizio, i ricercatori hanno osservato prestazioni ridotte tra gli utilizzatori di ENDS rispetto ai non utilizzatori, con equivalenti metabolici significativamente ridotti (METS: differenza media aggiustata 1.28 MET) e recupero della frequenza cardiaca in 60 secondi (differenza media aggiustata 2.9 battiti/minuto) riscontrata in questa coorte.  “Gli utilizzatori di ENDS hanno mostrato un peggioramento acuto della pressione arteriosa, della frequenza cardiaca e della variabilità della frequenza cardiaca, nonché vasocostrizione, ridotta tolleranza all’esercizio fisico e aumento dell’ostruzione del flusso aereo dopo l’utilizzo di ENDS rispetto ai partecipanti di controllo”, hanno scritto gli autori. “Questi risultati sollevano preoccupazioni sui potenziali danni degli ENDS contemporanei”.(Tattersall MT, et al. Cardiovascular and Pulmonary Responses to Acute Use of Electronic Nicotine Delivery Systems and Combustible Cigarettes in Long-Term Users. Chest 2023. DOI:https://doi.org/10.1016/j.chest.2023.03.047

Anche un’attività fisica minima può ridurre il rischio di ictus

(da DottNet)   Anche livelli minimi di attività fisica possono ridurre il rischio di ictus: è il risultato principale dello studio condotto dai neurologi del dipartimento di Scienze cliniche applicate e biotecnologiche dell’Università dell’Aquila, pubblicato online sul ‘Journal of Neurology, Neurosurgery, and Psychiatry’.    

Dallo studio emerge che gli effetti di riduzione del rischio di ictus cerebrale associati all’attività fisica sono indipendenti dall’età e dal sesso, il che significa che tutti dovrebbero essere incoraggiati a svolgere qualunque tipo di attività fisica nel loro tempo libero. Mentre le linee guida internazionali raccomandano 150 minuti o più a settimana di attività fisica di intensità moderata o 75 minuti o più di attività ad intensità vigorosa per ridurre il rischio di malattie cardiovascolari e cerebrovascolari, non molti adulti riescono a raggiungere questo obiettivo, affermano i ricercatori.   Eppure, anche le persone che portano avanti livelli di attività fisica inferiori, purché non siano del tutto sedentarie, hanno un ridotto rischio di ictus rispetto ai loro coetanei sedentari: per scoprire se livelli più bassi di attività fisica possano comunque avere un effetto protettivo contro l’ictus cerebrale, gli autori, cercando dati nei database internazionali, hanno riunito i risultati di 15 grandi studi osservazionali effettuati su un totale di 752.

052 adulti, la cui salute è stata monitorata per una media di 10,5 anni.   L’analisi dei dati aggregati ha mostrato che, rispetto all’assenza di attività fisica, la quantità “ideale” più alta riduce il rischio di ictus del 29%, ma che alcune attività “al di sotto del target” consigliato dalle raccomandazioni internazionali riducono comunque il rischio di ictus del 18%.    “Gli autori – precisa una nota Univaq – riconoscono diversi limiti ai loro risultati, tra cui la variabilità nelle definizioni dei livelli di attività fisica tra i diversi studi e il fatto che l’attività fisica era riportata in modo soggettivo, tramite questionari, dai soggetti inclusi”. Tuttavia, gli autori dello studio concludono che l’attività fisica ricreativa, anche in piccole quantità, potrebbe aiutare a scongiurare l’ictus nel lungo termine.

Scoperti i meccanismi molecolari del digiuno

(da AGI)  Il corpo subisce cambiamenti significativi e sistematici nei livelli di proteine associate a diversi organi, quando viene esposto a periodi prolungati senza cibo. A riportare benefici e rischi dell’assenza prolungata di calorie uno studio, pubblicato sulla rivista ‘Nature Metabolism’, condotto dagli scienziati del Precision Healthcare University Research Institute (Phuri) della Queen Mary University di Londra e della Norwegian School of Sports Sciences.

Il team, guidato da Claudia Langenberg, ha valutato le conseguenze della carenza di cibo in 12 volontari sani, che sono stati attentamente monitorati per sette giorni, durante i quali hanno assunto solo acqua. Questi risultati, commentano gli esperti, dimostrano che tre giorni di digiuno sono sufficienti a provocare cambiamenti significativi per la salute. Nel corso dei millenni, osservano gli autori, gli esseri umani hanno sviluppato la capacità di sopravvivere senza cibo per periodi di tempo prolungati.

I medici liberi professionisti chiedono uguale accesso a certificazioni e piani terapeutici

(da DottNet)  I medici liberi professionisti attualmente non hanno possibilità di redigere certificazioni per patologia ai fini di esenzione , né prescrivere farmaci dispensati dal SSN. Tale problematica è da sempre vissuta dalla categoria come una grave discriminazione, che lede la dignità del medico e i diritti dei pazienti, si legge in una nota del Direttivo di AMOlp.    “Partendo dal presupposto che si tratta di professionisti con pari competenze, uguali titoli di laurea e specializzazione, tale discriminazione può generare il dubbio legittimo di un diverso valore tra chi opera nel pubblico e chi opera nel privato, e al tempo stesso un senso di frustrazione nel libero professionista che non ha gli strumenti necessari per una gestione completa del paziente Ma l’aspetto socialmente più rilevante , per cui è sollecitata una soluzione a questo problema, è la volontà di contribuire a decongestionare il SSN lavorando in sinergia con i colleghi del pubblico in favore di tutti i pazienti. Consentire ai liberi professionisti di prescrivere e certificare ciò che adesso è loro precluso, contribuirebbe infatti a ridurre il numero di prestazioni richieste a tale scopo nel pubblico , alleggerendo le lunghissime liste di attesa”, riporta il comunicato.
“Già oggi, peraltro, i liberi professionisti hanno accesso a piattaforme del pubblico. Infatti attraverso il sistema tessera sanitaria possono redigere certificati per malattia fino a dieci giorni e produrre ricette dematerializzate. La richiesta della categoria è che si affronti al più presto il problema , e soprattutto che non si gettino più ombre sulla sanità privata che purtroppo ancora oggi risente di antichi e inaccettabili pregiudizi , nella piena consapevolezza di agire in scienza e coscienza, senza alcuna sorta di condizionamento. I liberi professionisti chiedono alle Istituzioni politiche e mediche di poter accedere come i loro colleghi del pubblico alle certificazioni per patologia e ai piani terapeutici, rivendicando pari dignità a parità di competenze, nel prioritario interesse del paziente che resta il fulcro centrale dell’ interesse di ogni medico e a tutela della propria professionalità”, conclude il testo firmato dal direttivo di AMOlp.

Intelligenza artificiale, utile in medicina per 68% di italiani

(da Doctor33)   Il 68% degli italiani ritiene che la trasformazione digitale e l’Ia possano essere di aiuto all’assistenza sanitaria del nostro Paese; tuttavia, il 32% esprime preoccupazione, soprattutto per l’assenza di contatto umano e la difficoltà delle persone ad avere accesso agli strumenti digitali. Sono alcuni dei dati emersi dalla ricerca Ipsos ‘Priorità e aspettative degli italiani per un nuovo Ssn’, presentata in occasione della sesta edizione di ‘Inventing for Life Health Summit’, evento organizzato a Roma da Msd Italia. “La trasformazione digitale e l’intelligenza artificiale sono viste con grande attenzione da parte dei cittadini, ma ci sono elementi di preoccupazione – ha affermato Nando Pagnoncelli, presidente Ipsos – Preoccupa l’idea che venga meno il contatto umano. Quindi sì alla telemedicina, ma non bisogna impoverire la relazione”. In questo, ha aggiunto, “il medico di medicina generale ha un ruolo fondamentale anche nel contrastare le fake news. Il cittadino è vulnerabile verso le informazioni non veritiere. La prossimità del medico e la sua autorevolezza possono essere un antidoto alla diffusione di false notizie”.

Secondo l’indagine, per il 68% degli italiani la transizione digitale può ridurre il carico di lavoro del personale sanitari, identificare precocemente fattori di rischio, aiutare nella diagnosi, personalizzare i trattamenti. Mentre per il 32% del campione degli intervistati esprime preoccupazione, soprattutto per l’assenza di contatto umano e la difficoltà di accesso agli strumenti digitali. “Gli ospedali sono stati e sono il motore dell’innovazione, dell’eccellenza del servizio sanitario nazionale”. Nelle strutture italiane “l’utilizzo dell’intelligenza artificiale è già realtà”, ora “bisogna formare medici e personale sanitario”. Lo ha detto Giovanni Migliore, presidente della Federazione italiana aziende sanitarie e ospedaliere (Fiaso), a margine della presentazione di ‘Open meeting. Grandi ospedali”. “Adesso gli ospedali sono di fronte a una nuova sfida – dice Migliore – che è quella dettata dalla nuova riforma della sanità territoriale, che non può fare a meno della capacità, della competenza e soprattutto della consuetudine delle strutture ospedaliere a realizzare soluzioni flessibili nell’interesse del paziente. Attraverso gli strumenti messi a disposizione dalle nuove tecnologie di comunicazione applicate in sanità, gli ospedali potranno assicurare quella continuità assistenziale che in passato è stato più difficile realizzare, proprio per la difficoltà di mettere in relazione la medicina e gli specialisti del territorio con chi all’interno dei grandi ospedali offriva le cure di alta specializzazione”. “Con l’intelligenza artificiale – continua Migliore – abbiamo già consuetudine perché nei nostri ospedali di fatto è presente all’interno di tutte le tecnologie, per esempio, della terapia intensiva o della diagnostica per immagini. Oggi abbiamo l’opportunità di avere un ulteriore sviluppo di questa modalità operativa, che sfrutta le grandi capacità di calcolo. Può supportare i professionisti nei compiti di routine: attività di monitoraggio o la disamina di base di informazioni sanitarie che possono essere assolte più velocemente attraverso questi software”.

“L’intelligenza artificiale non è una scelta, ma una realtà” e per questo “dobbiamo governarla”: lo ha detto il ministro dell’Università e la Ricerca Anna Maria Bernini, nel convegno su ‘Intelligenza naturale e intelligenza artificiale come elementi di competitività del Paese’, organizzato presso la Camera da Valentina Aprea (Fi). “Non abbiamo paura dell’Intelligenza artificiale perché a monte e a valle dell’IA c’è sempre l’intelligenza umana”, ha detto ancora il ministro, confermando l’intenzione di organizzare nella sede del supercomputer Leonardo il G7 sulla Scienza e la Tecnologia durante il semestre di presidenza italiana. “L’intelligenza artificiale – ha proseguito – è importante in tutti i nuovi contesti della ricerca, dalla genomica all’agritech” ed è “un moltiplicatore di intelligenza umana.
Sulla stessa linea Alessandro Colucci, segretario di presidenza della Camera, che aprendo i lavori ha osservato che “è necessario utilizzare la capacità critica dell’intelligenza naturale nell’uso dell’intelligenza artificiale, che offre vantaggi e sfide etiche”, ha detto riferendosi in particolare ai temi della privacy, della trasparenza, dell’equità e della responsabilità. Per questo motivo, ha aggiunto, si auspica una “trasversalità del Palamento per normare con strumenti continuativi nel tempo”.

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