Probabile che obesità sia una malattia neurologica

Probabile che obesità sia una malattia neurologica

(da AGI)  I meccanismi molecolari dello sviluppo del cervello durante i primi anni di vita potrebbero essere un fattore determinante per l’obesità. Lo dimostra uno studio, pubblicato sulla rivista ‘Science Advances’, condotto dagli scienziati del Baylor College of Medicine. Il team, guidato da Robert Waterland, ha proposto una nuova prospettiva sull’obesità. Negli ultimi decenni, affermano gli autori, il problema dell’obesità è aumentato notevolmente, tanto che oggi si contano circa due miliardi di casi a livello globale. Nonostante decenni di ricerche sulla dieta e sull’esercizio fisico, molte persone continuano a lottare per perdere peso. Lavori precedenti hanno mostrato che i geni più fortemente associati all’obesità sono espressi durante la fase di sviluppo neurologico. I ricercatori del Baylor College hanno utilizzato un modello murino per esaminare l’epigenetica e i meccanismi molecolari che guidano l’uso dei geni nei vari tipi cellulari. 

“La letteratura scientifica – afferma Waterland – mostra come le influenze ambientali durante i periodi critici di sviluppo possano avere un impatto significativo a lungo termine sulla salute e sulle malattie. La regolazione del peso corporeo è molto sensibile alla programmazione dello sviluppo”. “Nel nostro lavoro – aggiunge Harry MacKay, collega e coautore di Waterland – abbiamo esaminato una regione del cervello chiamata nucleo arcuato dell’ipotalamo, che regola l’assunzione di cibo, dell’attività fisica e del metabolismo. Abbiamo scoperto che questa struttura subisce un’ampia maturazione epigenetica durante l’inizio della vita postnatale. Abbiamo riscontrato notevoli differenze in base al genere sessuale, con le femmine che sembravano sviluppare questi cambiamenti in tempi anticipati rispetto ai maschi”.  I ricercatori hanno infine confrontato i dati epigenetici raccolti grazie ai modelli murini con delle informazioni provenienti da ampi studi di associazione sull’intero genoma umano. Questo approccio ha permesso agli esperti di riconoscere una forte sovrapposizione tra le regioni genomiche mirate alla maturazione epigenetica nel nucleo arcuato umano e murino. “Questi risultati – conclude MacKay – suggeriscono che il rischio di obesità potrebbe essere in parte collegato allo sviluppo epigenetico nel nucleo arcuato. Sforzi di prevenzione mirati a questi processi di sviluppo potrebbero essere la chiave per contrastare l’eccesso di peso”.

Carie. Il fardello che dovre(m)mo portare

(da Odontoiatria33)   Il termine anglosassone ‘burden’ può essere associato, come spesso accade, a vari vocaboli italiani: quello che meglio lo rappresenta è fardello, ovvero carico da sopportare. Questo peso, del quale dovrem(m)o farci carico è quello legato alla carie, entità nosologica in via d’estinzione nella nostra civiltà europea, ma elemento tutt’altro che indifferente nelle altre popolazioni mondiali.  La carie è problematica cogente in numerosi “mondi” diversi dal nostro, è fortemente connessa con le condizioni sociali delle persone e colpisce la parte più giovane delle popolazioni, generando un carico di patologia e di terapia progressivamente crescente nel corso degli anni. Tutto notorio, ma lo ri-afferma uno studio meta-analitico pubblicato sul ‘Journal of Dental Research’, che si rifà a lavori degli anni scorsi, ma che conserva intatta la propria validità. Questo significa – particolarmente in Italia, luogo di consistenti migrazioni – avere un fardello di possibile terapia in persone che svolgono lavori umili, con una capacità di spesa ridotta e una necessità di cura non facilmente rinvenibile nelle realtà cliniche nazionali. 

Recentemente, un gruppo di ricercatori italiani, facente capo a Guglielmo Campus e Maria Grazia Cagetti, coscienza storica dell’epidemiologia nazionale – ha esaminato un campione di bambini attorno ai quattro anni, sul territorio italiano, per saggiare la relazione tra prevalenza di carie e il contesto sociale in cui i bambini crescevano, rilevando una correlazione molto significativa con il grado di istruzione dei genitori e le disponibilità economiche degli stessi. Al diminuire di questi due valori si associava un graduale e importante aumento della prevalenza di carie; certamente non una sorpresa, ma un dato che fa comprendere quanto, ancor oggi, sia voluminoso il carico che spetterà alle nuove generazioni di odontoiatri.   Questi, volenti o nolenti, non potranno risolvere queste situazioni con comportamenti al di fuori della coscienza clinica. Egualmente, i sistemi sanitari dovranno adoperarsi per fornire soluzioni adeguate a quella fascia di popolazione, sia essa nativa o migrante, che chiede risposte a questo male che ha radici culturali, ancor oggi, ben più profonde di quanto possa apparire.

 Un problema formativo, prima che clinico, che richiederà interazioni molto complesse con modalità di comunicazione che siano adeguate alle nuove generazioni e a soggetti con formazioni cognitive molto distanti dalle nostre. E qui il problema culturale sarà anche dei clinici e non solo dei potenziali pazienti.   Al fine di codificare al meglio queste condotte preventive, Paesi illuminati potrebbero mettere a punto programmi formativi esportabili, da regione a regione, da nazione a nazione; poca cosa se pensiamo alla guerra nucleare incombente, molto se si riflette quanto dissimile da noi sia la cognizione di questo problema, per noi ormai derubricato a eccezione, per altri, purtroppo, dolorosa regola.   

Telemedicina. Dalle visite al monitoraggio. Arrivano le linee d’indirizzo per le Regioni

Telemedicina. Dalle visite al monitoraggio. Arrivano le linee d’indirizzo per le Regioni

Elaborate da Agenas le indicazioni hanno lo scopo di supportare Regioni e Province Autonome nella definizione e composizione delle iniziative progettuali sui servizi di telemedicina finanziate con 1 mld dal Pnrr. Sarà compito della stessa Agenzia di valutare le proposte progettuali regionali, monitorare le procedure e verificare i report regionali trasmessi durante la fase di attuazione dei progetti   Leggi L’articolo completo al LINK

Accesso alla facoltà di Medicina, cambia tutto con i Tolc

(da DottNet)   E’ stato pubblicato il decreto che riforma le prove di’ammissione ai corsi di laurea di Medicina e chirurgia, Odontoiatria e protesi dentaria e Medicina veterinaria messo a punto dal ministro uscente dell’Università Cristina Messa.  Per il prossimo anno accademico, 2023/2024, l’accesso avverrà dopo il superamento della prova d’esame “TOLC” (Test OnLine Cisia), ripetibile più volte.

 Possono partecipare ai Tolc coloro che sono iscritti all’ultimo o penultimo anno delle scuole superiori italiane o estere. Il decreto ha previsto che ci siano 2 sessioni di svolgimento; per il 2023 le sessioni sono fissate ad aprile e luglio. Le date verranno successivamente stabilite entro il mese di novembre 2022. Per ciascuna sessione dei Tolc la somministrazione dei test verrà effettuata in presenza presso la sede scelta dal candidato all’atto dell’iscrizione alla prova. Il test può essere sostenuto in una qualsiasi sede scelta dal candidato nel momento dell’iscrizione, anche se diversa da quella della futura immatricolazione.

I candidati, invece, dei Paesi non UE residenti all’estero sono tenuti all’iscrizione e al successivo svolgimento del test TOLC presso la sede in cui intendono presentare istanza di inserimento nella graduatoria di merito locale. Per poter partecipare ai test, i candidati devono iscriversi attraverso il sito web del CISIA www.cisiaonline.it entro i termini e nel rispetto delle procedure che verranno indicate, per ogni anno accademico, con un provvedimento della competente Direzione generale del ministero dell’Università e della Ricerca. L’iscrizione al test TOLC consentirà al candidato di accedere anche alle esercitazioni, ai MOOC (Massive Open Online Courses) disciplinari per ogni materia contenuta nel test TOLC, agli esiti delle prove sostenute anche in confronto ai risultati in forma aggregata ottenuti dagli altri partecipanti nello stesso periodo, che costituiscono uno strumento per valutare il proprio posizionamento, al materiale e alle iniziative in tema di orientamento e accesso predisposte dagli atenei.

In aggiunta, indipendentemente dalla richiesta di iscrizione al test TOLC – fa sapere il dicastero – saranno disponibili sul sito dedicato all’accesso programmato gestito dal Mur (https://accessoprogrammato.miur.it/2022/) informazioni e strumenti gratuiti, messi a disposizione dalle diverse sedi universitarie, come supporto all’orientamento in ingresso e per il miglioramento della preparazione iniziale dei candidati. Sia per il TOLC-MED (accesso a medicina e chirurgia, odontoiatria e protesi dentaria) sia per il TOLC-VET (accesso a medicina veterinaria) le prove dureranno 90 minuti nel corso dei quali i candidati dovranno rispondere a 50 quesiti divisi in 4 principali sezioni: comprensione del testo e conoscenze acquisite negli studi, biologia, chimica e fisica, matematica e ragionamento. Una volta sostenuta la prova, il candidato deve compilare, online attraverso il portale Universitaly (www.universitaly.it), l’istanza di inserimento nella graduatoria di merito. Infine, per formare le graduatorie nazionali di accesso, viene utilizzato, su indicazione del candidato, il miglior punteggio ottenuto tra quelli conseguiti nell’anno 2023 per l’anno accademico 2023/2024, mentre per il 2024/2025 viene usato il miglior punteggio ottenuto nell’anno 2024 o in quello precedente.

Omceo Padova: ecco come devono vestirsi i medici e come apparire in foto

(da DottNet – riproduzione parziale)   Da Padova arriva la stretta sul look dei camici bianchi. “Medici con barbe sfatte, canottiere, maglie della salute, trecce, piercing, gente spettinata. Molti proponevano un’immagine poco decorosa e non in linea con l’etica medica, che prevede proprio da codice deontologico un habitus preciso. Allora ho pensato che è il momento di dare un segnale preciso, perché poi quelle foto finiscono nel tesserino”, afferma senza mezzi termini Domenico Crisarà, presidente Omceo della città veneta. “Ho fatto inserire all’interno della domanda chiare indicazioni su come debbano vestirsi per la foto: giacca e cravatta, stop. Niente scolli strani, anelli al naso, insomma, chiedo che tutti abbiano un aspetto pulito e rispettabile: un volto curato con capelli in ordine e pettinature consone, visto che si tratta di un documento ufficiale e molto importante. Del resto, anche per altri titoli identificativi si richiedono dei parametri, altrimenti il documento non può essere rilasciato e per il tesserino dell’Ordine deve valere il medesimo rispetto”.

Chi si vuole iscrivere, dovrà attenersi alle regole altrimenti sarà confinato ma non escluso dalla professione. .L’operazione decoro delle fototessere si inserisce in un campo molto più ampio, che riguarda la proiezione esterna di dottoresse e dottori che lavorano in ambulatori e reparti. “In questa professione anche l’immagine è sostanza”, continua Crisarà. “La prima impressione che ha un paziente quando ci si presenta, è fondamentale. A maggior ragione in una società in cui l’immagine è così centrale. Del resto, il concetto di decoro professionale c’è anche nel giuramento di Ippocrate”.    In questo contesto s’inserisce l’utilizzo dei social network. “Profili Facebook in cui medici postano foto delle vacanze e compaiono in costume da bagno: anche questo è sbagliato. Un medico lo è sempre, anche quando non è in servizio. Tutto quello che fa, dice o posta, deve essere consono alla professione che rappresenta. Vedere un medico in mutande è poco decoroso e delude profondamente il potenziale paziente. Un altro problema sono i selfie in corsia: magari non ci si pensa, ma dietro una foto scattata in reparto ci sono molte implicazioni”. Crisarà sta quindi avviando con l’Università di Padova una serie di incontri per gli iscritti agli ultimi due anni di corso: l’obiettivo di queste sessioni extra curricolari è insegnare ai futuri camici bianchi come utilizzare i social, ma soprattutto ciò che sia o meno etico diffondere, specialmente se un profilo è pubblico e quindi visibile da chiunque.

Vaccino anti influenza può proteggere da rischio ictus

(da  AGI)   Il vaccino antinfluenzale annuale può essere associato a un minor rischio di ictus, secondo uno studio pubblicato nel nuovo numero di ‘Neurology’, la rivista medica dell’American Academy of Neurology. “Gli studi hanno dimostrato che contrarre l’influenza aumenta il rischio di avere un ictus, ma la ricerca è ancora in corso per stabilire se il vaccino antinfluenzale può aiutare a proteggere contro un ictus”, ha affermato l’autore dello studio Francisco J. de Abajo, professore dell’Università di Alcalá a Madrid, Spagna: “Questo studio osservazionale suggerisce che coloro che hanno un vaccino antinfluenzale hanno un rischio inferiore di ictus. Per determinare se ciò sia dovuto a un effetto protettivo del vaccino stesso o ad altri fattori, sono necessarie ulteriori ricerche”.    Lo studio ha esaminato l’ictus ischemico, che è causato da un blocco del flusso sanguigno al cervello ed è il tipo più comune di ictus. Per le indagini, i ricercatori hanno identificato, all’interno di un database sanitario in Spagna, persone che avevano almeno 40 anni e che avevano avuto un primo ictus nei 14 anni precedenti. Ognuna di queste persone è stata confrontata con cinque persone della stessa età e sesso, senza esperienza di ictus.

In totale, c’erano 14.322 persone con esperienza di un ictus e 71.610 persone che invece non avevano avuto un ictus. Quindi, i ricercatori hanno esaminato se le persone avevano ricevuto il vaccino antinfluenzale almeno 14 giorni prima dell’ictus o prima della stessa data per coloro che non avevano avuto un ictus. Un totale del 41,4% di coloro che hanno avuto un ictus aveva ricevuto il vaccino antinfluenzale, rispetto al 40,5% di coloro che non hanno avuto un ictus. Ma le persone che hanno ottenuto l’iniezione avevano maggiori probabilità di essere più anziane e di avere altre condizioni come la pressione sanguigna alta e il colesterolo alto che avrebbero aumentato le probabilità di avere un ictus.   Una volta che i ricercatori si sono adeguati a questi fattori, hanno scoperto che coloro che hanno ricevuto un vaccino antinfluenzale avevano il 12% in meno di probabilità di avere un ictus. I ricercatori hanno anche esaminato se il vaccino contro la polmonite avesse alcun effetto sul rischio di ictus e non hanno riscontrato alcun effetto protettivo. “Questi risultati sono un altro motivo per cui le persone devono farsi il vaccino antinfluenzale annuale, soprattutto se sono a maggior rischio di ictus”, ha detto de Abajo.    Poiché lo studio è osservazionale, non dimostra che il vaccino antinfluenzale riduce il rischio di ictus. Mostra solo un’associazione. Potrebbero esserci altri fattori che non sono stati misurati che potrebbero influenzare il rischio di ictus.  Lo studio è stato sostenuto dalla Fondazione per la ricerca biomedica dell’ospedale universitario Prince of Asturias di Madrid e dall’Istituto di salute Carlos III di Madrid.

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