Il “Dry January” prende piede in Francia, dopo UK e Scandinavia

(da DottNet)  Torna il “Dry January”, il mese di detox dall’alcol nel mese che segue il Capodanno. In Francia si ripete per il quinto annno consecutivo ed a invitare a non bere alcol per un mese sono una sessantina di organizzazioni che tuttavia lamentano la persistente assenza di sostegno da parte dello stato francese, in questa iniziativa che si ispira a precedenti esperienze nel mondo anglosassone e in Scandinavia.   

La pausa dal bere alcolici arriva a gennaio, periodo appropriato dopo gli eccessi delle ricorrenze di fine anno. “Questo tipo di campagna – secondo i promotori – sta dimostrando sempre più il suo valore in termini di salute pubblica. Invece di enfatizzare i rischi rappresentati da una sostanza – in questo caso l’alcol – enfatizziamo i vantaggi di rallentarne il consumo.

I partecipanti sono stimolati anche da una sfida che riunisce più persone contemporaneamente”. Ma l’obiettivo, sottolineano gli organizzatori, non è soltanto mettere a riposo il proprio corpo, ma anche di toccare con mano l’esperienza di una vita quotidiana senza assunzione di alcolici. Lo stesso principio della campagna “Un mese senza fumo”, proposta a novembre. La differenza è che il Dry January non è ufficialmente sostenuto dalle autorità sanitaria d’oltralpe, lamentano ricordando che l’abuso di alcol è la prima causa di ricovero ospedaliero e la seconda causa (dopo il tabacco) di mortalità evitabile in Francia, con circa 45mila decessi l’anno.

Intelligenza Artificiale evidenzia segnali nascosti di fibrillazione atriale

(da MSD Salute)  I ricercatori dello Smidt Heart Institute del Cedars-Sinai Medical Centre (USA) hanno messo a punto un algoritmo basato sull’intelligenza artificiale che è in grado di rilevare anomalie del ritmo cardiaco nelle persone asintomatiche, identificando segnali che sfuggono agli esami diagnostici e permettendo così di prevenire meglio ictus e altre complicanze cardiovascolari nei pazienti con fibrillazione atriale, il disturbo cardiaco più comune. Inoltre, l’algoritmo funziona in contesti e popolazioni di pazienti differenti. 

Secondo gli esperti, circa una persona su tre con fibrillazione atriale non sa di soffrire della patologia. Nella fibrillazione i segnali elettrici del cuore che regolano il pompaggio del sangue non sono regolari e questo può causare ristagno di sangue e formazione di coaguli all’interno delle camere cardiache; coaguli che possono arrivare al cervello e provocare un ictus ischemico.

Per mettere a punto l’algoritmo i ricercatori hanno programmato uno strumento basato sull’intelligenza artificiale che è stato ‘addestrato’ su quasi un milione di ECG, ricavati da due reti ospedaliere dei Veterans Affairs.  L’algoritmo ha previsto con precisione i casi di fibrillazione atriale che si sono verificati entro 31 giorni dall’osservazione. Applicando il metodo in modo retrospettivo sulle cartelle cliniche, il metodo ha mostrato lo stesso livello di performance.

“Questa ricerca consente una migliore identificazione di una malattia nascosta e fornisce indicazioni sul modo migliore per sviluppare algoritmi generalizzabili a tutti i pazienti”, conclude David Ouyang, autore senior della ricerca.

(https://jamanetwork.com/journals/jamacardiology/article-abstract/2810388)

L’obesità fa male al cuore, il peso ‘ruba’ 6 anni di vita

(da AGI – riproduzione parziale)  Si stima che entro il 2035 metà della popolazione mondiale sarà in sovrappeso o obesa raggiungendo i 3,36 miliardi. L”obesità è una malattia che provoca importanti patologie cardiovascolari. Sono almeno 400.000 gli italiani con obesità e scompenso cardiaco, due patologie legate a doppio filo ed entrambe in continua crescita nel nostro Paese, dove gli obesi sono circa 6 milioni e i pazienti con insufficienza cardiaca oltre 1 milione. I chili di troppo sono spesso il primo passo sulla strada che porta allo scompenso e si stima che fino all”80% dei pazienti con scompenso cardiaco e frazione di eiezione preservata, pari alla metà dei casi, sia anche obeso. La combinazione è molto pericolosa, perché può aumentare fino all”85% il rischio di eventi cardiovascolari fatali, “rubando” almeno 6 anni di aspettativa di vita. Lo ricordano gli esperti in occasione dell”84esimo congresso nazionale della Società Italiana di Cardiologia (SIC), a Roma fino al 17 dicembre, sottolineando che l”aspettativa di vita e quella di salute dei pazienti obesi sono più basse rispetto a chi è normopeso.

Il paradosso è nato perché l”indice di massa corporea non è l”indicatore più adeguato della reale obesità che si misura meglio con un metro: il girovita deve essere meno di 88 cm nelle donne e 102 cm negli uomini, ma soprattutto deve misurare meno di metà dell”altezza, per la salute del cuore e non solo. Il 2023 è stato però l”anno della svolta per le terapie: è ora possibile trattare i pazienti con scompenso cardiaco con un farmaco specifico anti-obesità, semaglutide, ottenendo un miglioramento dei sintomi e della funzionalità oltre che una riduzione significativa del peso corporeo. “Scompenso cardiaco e obesità sono due epidemie in rapidissima crescita: l”insufficienza cardiaca oggi colpisce oltre un milione di italiani e si stima un incremento del 30% dei casi entro il 2030?, osserva Pasquale Perrone Filardi, presidente SIC e direttore della scuola di specializzazione in malattie dell”apparato cardiovascolare dell”Università Federico II di Napoli. “L”aumento dei casi è trainato in parte dall”incremento dell”aspettativa di vita, perché la prevalenza della patologia raddoppia a ogni decade di età e dopo gli 80 anni lo scompenso colpisce il 20% della popolazione. Tuttavia l”insufficienza cardiaca – continua – ha anche l”obesità fra le sue cause principali perché i chili in eccesso comportano, fra le altre cose, un incremento dell”infiammazione generale, un maggiore stress su metabolismo e sistema cardiovascolare e un aumento del grasso viscerale anche a livello cardiaco”.

Stress e ansia rafforzano i tumori e indeboliscono le cure

(da DottNet)   Il cancro si nutre di emozioni negative e le “sfrutta” per proteggersi dagli attacchi del sistema immunitario che tentano di fermarlo. E’ per questo che lo stress, l’ansia e la depressione possono compromettere l’esito dei trattamenti immunoterapici, rendendoli meno efficaci e la cura dello stato emotivo diventa centrale come l’uso delle altre terapie. A dimostrarlo è uno studio condotto dal Netherlands Cancer Institute di Amsterdam e recentemente pubblicato sulla rivista ‘Nature Medicine’. I risultati sono stati discussi in occasione della nona edizione dell’Immunotherapy e Melanoma Bridge che si è conclusa il 6 Dicembre, alla presenza dell’autore del lavoro, Christian U. Blank. Questi studi non riguardano il melanoma ma indicazioni in tal senso arrivano anche da ricerche sul tumore al polmone non a piccole cellule e sul tumore del colon. Paolo Ascierto, presidente del convegno e direttore del dipartimento di oncologia melanoma, immunoterapia oncologica e terapie innovative dell’Istituto Nazionale dei Tumori IRCCS Fondazione Pascale di Napoli, spiega che “lo stress può favorire la crescita e la resilienza del tumore, sia attraverso la produzione di una serie di ormoni (come il cortisolo) che lo ‘nutrono’, sia promuovendo la creazione di un microambiente vantaggioso per la proliferazione di metastasi e sia ‘indebolendo’ e ‘corrompendo’ le cellule del sistema immunitario.   Il supporto psicologico dall’inizio del percorso di cura può dunque avere una triplice funzione: da un lato può migliorare la qualità della vita del paziente, dall’altro può ridurre il ‘nutrimento’ del tumore e dall’altro ancora sostenere e tutelare la risposta ai trattamenti immunoterapici”.   “E’ quindi indispensabile che lo stato emotivo e psicologico del paziente non venga trascurato, ma bisogna considerarlo a tutti gli effetti parte integrante del percorso di cura”, evidenzia Ascierto

I pericoli delle feste natalizie: più morti per cause cardiache e aumento delle malattie cardiocircolatorie

(da Univadis – riproduzione parziale)  La stagione di Natale, è sempre attesa con ansia ma è anche una delle più pericolose per la nostra salute. Molti studi sottolineano come questa stagione, caratterizzata dal consumo di cibi con un’alta percentuale di grassi, calorie, sale in eccesso e alcol, aumentati rischi cardiovascolari.   Secondo l’America Heart Association gli ultimi giorni dell’anno sono quelli con il maggior numero di decessi dovuti a infarto del miocardio. Questo fenomeno è supportato da ricerche condotte nell’ultimo decennio. Come conclude uno  studio americano del 2004, il 25 dicembre è il giorno dell’anno con il maggior numero di decessi per infarto.  

Questi risultati sono molto simili a quelli riportati in un altro articolo del ‘British Medical Journal’ (https://www.bmj.com/content/363/bmj.k4811 che ha esaminato i dati registrati nella popolazione svedese nel corso di 16 anni. Secondo i loro risultati, durante le festività natalizie si è registrato un aumento complessivo del 15% degli infarti del miocardio, che è salito al 37% il 24 dicembre, con un’incidenza maggiore nelle persone di età superiore ai 75 anni, con diabete o malattie cardiovascolari preesistenti.  Per evitare questi esiti fatali, in linea con l’American Heart Association, anche la Fondazione spagnola per il cuore (FEC) ha lanciato le sue raccomandazioni per prendersi cura del cuore nei prossimi giorni ed evitare che l’assunzione sproporzionata di sale, alcol, zuccheri e grassi produca scompensi nell’organismo, generando gravi problemi nei pazienti con fattori di rischio cardiovascolare. 

Tra i gruppi più vulnerabili a soffrire di questo tipo di disturbi ci sono, tra gli altri, i pazienti con pressione alta, insufficienza cardiaca, cardiopatia ischemica, angina pectoris e i diabetici, che sono suscettibili di squilibri nei livelli di glucosio nel sangue. Per ridurre al minimo questi rischi, gli esperti raccomandano di ricordare ai pazienti di controllare e adattare la dose di insulina e il contenuto di carboidrati di ogni pasto.  Oltre ai profili più vulnerabili, anche le persone sane che non presentano rischi cardiovascolari dovrebbero controllare la propria dieta.

Durante il periodo natalizio, le persone tendono a consumare molte più calorie del solito, determinando un aumento di peso che di solito incrementa il grasso viscerale, aumentando il rischio di malattie del cuore e dei vasi cerebrali. Secondo la stessa FEC, durante le festività il colesterolo è uno degli indicatori di rischio che aumenta di più, raggiungendo un incremento fino al 10%. 

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