FNOMCeO e Società Scientifiche: “5 milioni di visite specialistiche subito a disposizione dei cittadini togliendo i piani terapeutici”. La proposta al Parlamento
In un documento la Federazione e le Società scientifiche propongono di limitare la necessità del piano terapeutico ai primi 12 mesi di terapia, per aprire poi la prescrizione a tutti i medici, ferme restando le condizioni di rimborsabilità stabilite dall’Agenzia italiana del farmaco Leggi L’articolo completo al LINK
https://www.quotidianosanita.it/lavoro-e-professioni/articolo.php?articolo_id=130280&fr=n
Medici di famiglia fannulloni? Un sondaggio smonta un falso mito
(da M.D.Digital) L’idea che un medico di medicina generale lavori solo poche ore al giorno è smentita dai numeri. Secondo un sondaggio condotto dalla Federazione italiana medici di medicina generale del Lazio nella provincia di Latina, un medico con 1.000-1.500 assistiti impiega mediamente oltre 10 ore al giorno tra visite, consulenze e attività amministrative. La ricerca, che ha coinvolto 55 professionisti nel mese di marzo, ha rilevato che ogni medico effettua quotidianamente 27 visite in studio, di cui 16 programmate e 11 urgenti, oltre a 1,3 visite domiciliari. A queste si aggiungono 28 consulenze telefoniche o via email, 78 prescrizioni farmaceutiche, oltre a certificati di malattia e richieste di visite specialistiche ed esami.
Le criticità: burocrazia e carenza di copertura territoriale
Non è solo il numero di pazienti a gravare sui medici di medicina generale, ma anche il sovraccarico amministrativo. La Fimmg Lazio denuncia che molte prescrizioni vengono delegate ai medici di famiglia dagli specialisti e dalle assicurazioni, aumentando il carico di lavoro. Nella settimana del sondaggio i medici hanno emesso 4.466 ricette molte delle quali ripetitive e richieste dagli specialisti. Inoltre, la mancata copertura delle zone carenti da parte della Regione contribuisce a rendere il sistema ancora più fragile.
L’analisi dei dati con IA. Un’analisi indipendente condotta con il supporto dell’intelligenza artificiale ha confermato la validità dei numeri: calcolando il tempo medio per ogni prestazione, ChatGPT ha stimato che il lavoro complessivo di un medico di famiglia supera le 10,5 ore giornaliere. Secondo una seconda valutazione, il carico di lavoro post-Covid è aumentato fino al 70%, facendo lievitare l’impegno quotidiano oltre le 11 ore.
“Dire che il medico di medicina generale lavora solo 2-3 ore al giorno è falso e dannoso per la categoria”, affermano i rappresentanti della Fimmg. “Questa narrativa mina la credibilità dei professionisti e scoraggia i giovani dal prendere questa strada. La medicina generale garantisce cure territoriali a milioni di cittadini ogni giorno”.
Per il sindacato, alla luce di questi dati, pensare di risolvere le criticità insite nell’esercizio della Mg con la dipendenza è fuori dalla realtà. Inoltre sottolinea che le critiche alla categoria derivano da chi non conosce la realtà del servizio sanitario pubblico.
“Non è un caso che i portavoce di questa campagna denigratoria appartengano a élite che possono permettersi assicurazioni private e non hanno mai avuto necessità di affidarsi ai Mmg”, accusano i leader della Fimmg.
Malgrado ciò, la Medicina generale continua a rivestire un ruolo cruciale nel sistema sanitario italiano, nonostante le difficoltà strutturali e burocratiche che ne complicano il lavoro quotidiano.
Vuoti di memoria: “Stress, invecchiamento o Alzheimer precoce?”
(da SanitàInformazione.it) Analisi matematiche e EEG (elettroencefalogramma) personalizzato potrebbero offrire una svolta per la diagnosi precoce dell’Alzheimer senza l’utilizzo di mezzi più invasivi. Lo dimostra una ricerca condotta dalla Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa, insieme all’Azienda Ospedaliero Universitaria Careggi e all’Università di Firenze, e pubblicata su ‘Alzheimer’s & Dementia: Diagnosis, Assessment & Disease Monitoring‘
Un nuovo passo verso l’identificazione precoce
Spesso, confondere normali vuoti di memoria o amnesie transitorie, legate allo stress o all’età, con i primi sintomi dell’Alzheimer può ritardare l’accesso alle cure. Per questo il gruppo, guidato da Alberto Mazzoni della Scuola Sant’Anna, ha ideato un metodo innovativo: un modello matematico del cervello che interpreta i segnali EEG a riposo per predire, con accuratezza crescente, la biomarkerizzazione del liquido cerebrospinale (CSF). “Abbiamo utilizzato un modello matematico che descrive il cambiamento dell’attività del cervello al progredire dell’Alzheimer. Combinando EEG e analisi personalizzate, siamo riusciti a capire quali di loro fossero a rischio di sviluppare l’Alzheimer”, spiega Lorenzo Gaetano Amato, dottorando in biorobotica e primo autore dello studio.
Lo studio
Il metodo è stato applicato su 124 persone (tra questi 86 avevano disturbi cognitivi lievi soggettivi), consentendo di predire con l’88 % di accuratezza il risultato del test CSF basandosi solo sull’EEG. In tutti i sette casi di conversione a declino cognitivo, il modello ha anticipato correttamente l’evento. “La tecnologia è promettente e può essere un ulteriore strumento per aiutare nella diagnosi, identificando l’Alzheimer quando i segni clinici sono ancora lieve. Consente l’accesso a trattamenti innovativi che potrebbero rallentare la progressione”, aggiunge Valentina Bessi, responsabile del Centro Demenze di Careggi, questo tipo di tecnologia rappresenta un grande potenziale. Effettivamente, l’approccio emergente si inserisce nel filone dei “digital twin” – gemelli digitali del cervello – che modellano parametri come degenerazione sinaptica e connessioni globali, tracciando la progressione neurodegenerativa in modo personalizzato.
Verso una diagnosi accessibile e tempestiva
Nuove conferme arrivano anche da un lavoro pubblicato il 5 aprile 2025 su ‘Alzheimer’s Research & Therapy‘, a firma di Amato e colleghi, dove il modello è stato esteso a 145 soggetti, tra controlli sani e persone a diverso stadio di declino cognitivo. Il nuovo studio ha dimostrato che il modello distingue con precisione crescente soggetti affetti da deterioramento lieve (MCI) da quelli sani, e individua con più accuratezza (87 %) i marker biologici presenti nel liquido cerebrospinale rispetto ai metodi EEG tradizionali (58 %). Ha anche previsto casi di conversione cognitiva futura con altissima fidelità. Verso una diagnosi accessibile e tempestiva. Questa linea di ricerca apre la porta a un approccio diagnostico che combina economicità, non invasività e capacità predittiva, elementi essenziali per uno screening diffuso. Come evidenziano gli stessi esperti della Sant’Anna, questi strumenti “potenzialmente molto più semplici da utilizzare per ospedali e pazienti rispetto ai metodi attualmente in uso”.
(https://pubmed.ncbi.nlm.nih.gov/38371358/
https://alzres.biomedcentral.com/articles/10.1186/s13195-025-01765-z )
Diabete: arriva la prima insulina settimanale al mondo. Italia prima in Europa ad averla resa disponibile con il Ssn, da 365 iniezioni l’anno si passa a 52
Un’innovazione che è stata considerata una priorità di salute per il Paese sia dalle autorità sanitarie che dalla comunità scientifica. Il primato italiano nel completamento del processo autorizzativo per l’accesso a questa terapia, a meno di 1 anno dalla sua approvazione in Europa. Leggi L’articolo completo al LINK
https://www.quotidianosanita.it/scienza-e-farmaci/articolo.php?articolo_id=130194&fr=n
Ema, stretta sull’azitromicina: rischia l’inefficacia
(da DottNet) Stretta per l’uso dell’antibiotico azitromicina, della famiglia dei macrolidi, con una lunga lista di indicazioni e ampiamente usato fra gli adulti e i bambini. L’Agenzia europea del farmaco (Ema) ha annunciato di aver raccomandato di rivederne le modalità d’uso per ottimizzarne l’utilizzo ed evitare il rischio che possa diventare diventare un’arma spuntata a causa dell’antibiotico resistenza. E così Ema ha disposto che non possa essere più prescritto in alcuni casi come per la cura dell’acne. Il suo utilizzo verrà ridefinito in tutta l’Unione europea.
Lo ha raccomandato il Comitato per i medicinali per uso umano (Chmp) dell’Ema, che ha concluso una revisione approfondita delle indicazioni autorizzate per i medicinali contenenti questo principio attivo, somministrati per via orale o endovenosa. L’azitromicina è tra gli antibiotici elencati dall’Oms come “essenziali”, per la sua importanza nella pratica clinica. Ma è anche classificata nella categoria Watch dell’elenco AwARe dell’Oms: farmaci a maggior rischio di favorire lo sviluppo di resistenze e quindi da riservare a indicazioni selezionate, monitorando i consumi.
E sono stati proprio i dati più recenti ad avere scatenato la preoccupazione delle istituzioni: uno studio commissionato dall’Ema ha mostrano un incremento dell’utilizzo dell’azitromicina in Europa, sia nella popolazione adulta sia in quella pediatrica. Questo antibiotico infatti è utilizzato da decenni per il trattamento di un’ampia gamma di malattie infettive, sia nei bambini che negli adulti. I dati mostrano che “la resistenza antimicrobica a questo antibiotico è aumentata negli ultimi anni”. Il Comitato ha raccomandato di interrompere l’uso di azitromicina per via orale (attualmente autorizzata in alcuni Stati membri) per l’acne vulgaris moderata, condizione in cui i pori della pelle si ostruiscono a causa di un eccesso di sebo e cellule cutanee; per l’eradicazione dell’Helicobacter pylori, batterio che causa infezioni gastriche che possono portare a infiammazione cronica e ulcera; e per la prevenzione delle riacutizzazioni (attacchi) di asma eosinofila e non eosinofila. Ma ci saranno modifiche anche per l’uso contro le infezioni delle vie respiratorie superiori e inferiori (naso, gola, vie aeree e polmoni). Il parere del Comitato sarà ora trasmesso alla Commissione europea, che emetterà una decisione definitiva giuridicamente vincolante applicabile in tutti gli Stati membri dell’Ue. Alcuni medicinali a base di azitromicina sono approvati nell’Ue anche per uso topico (come collirio), ma, ha spiegato l’Ema, non rientrano nell’ambito di questa procedura di revisione, avviata il 30 ottobre 2023 su richiesta dell’Istituto federale tedesco per i farmaci e i dispositivi medici.
Enpam, tutte le novità: dagli incentivi per il pensionamento oltre l’età di vecchiaia all’inabilità temporanea per medici convenzionati
(da DottNet) A breve distanza dall’approvazione dell’ultimo bilancio consuntivo della Fondazione Enpam (quello relativo all’esercizio 2024), può essere utile ricordare alcune fra le più significative novità recentemente introdotte nei regolamenti delle gestioni previdenziali e già in vigore, così come illustrate nell’ultima Assemblea Nazionale di fine aprile.
Incentivi per il pensionamento oltre l’età di vecchiaia.
L’Enpam ha introdotto una modifica regolamentare per incentivare i convenzionati ed i liberi professionisti a rimandare la pensione a dopo il compimento dei 68 anni. Le aliquote di rendimento sono state aumentate del 2 per cento per ogni anno di permanenza in attività oltre l’età ordinaria di pensionamento (oggi 68 anni) e fino a:
– 72 anni di età per i medici e pediatri di famiglia e specialisti ambulatoriali convenzionati;
– 75 anni di età per la gestione Quota B del Fondo generale (attività libero professionale).
Rimane per ora fuori dall’incentivo la proroga a 73 anni prevista dalla recente normativa per i medici convenzionati, mentre i liberi professionisti debbono valutare personalmente la convenienza di ritardare la decorrenza del proprio trattamento pensionistico.
Modifiche al regolamento sull’inabilità temporanea per i medici convenzionati.
Le modifiche hanno riguardato fra l’altro:
– l pagamento dell’indennità di malattia ai medici Inps (fiscali e delle commissioni) recentemente iscritti all’Enpam;
– l’aumento del limite di età entro cui viene riconosciuta l’indennità di inabilità, così da assicurare la tutela anche ai professionisti che decidono di continuare a lavorare;
– la possibilità che, in caso di decesso dell’iscritto durante il periodo di malattia, la domanda possa essere presentata dagli eredi entro 6 mesi dal decesso;
– l’introduzione per tutti gli iscritti di un importo minimo garantito di € 33,50 al giorno, annualmente indicizzati.
Riforma della Gestione “Quota B” del Fondo generale (liberi professionisti).
Questi i principali interventi:
– Estensione dell’indennità di malattia fino a 68 anni per i pensionati di Quota B che continuano a contribuire alla gestione;
– Ampliamento della tutela assistenziale in caso di infortunio o malattia per i giovani professionisti neoiscritti;
– Eliminazione dell’aliquota agevolata (9,75% anziché 19,50%) per gli iscritti in pensione anticipata di Quota B, e conseguente equiparazione dell’aliquota di rendimento con quella degli iscritti in attività;
– Per poter andare in pensione è necessario essere in regola con i contributi; le domande dei morosi vengono respinte e vanno ripresentate dopo la regolarizzazione;
– Viene aumentato il limite reddituale entro il quale è dovuto il contributo in misura intera (attualmente pari ad € 140.000 e che sui redditi 2027 arriverà ad € 170.000 indicizzati);
– Le aliquote di rendimento annue vengono progressivamente incrementate, e dal precedente 1,25% arriveranno a regime (sui redditi 2029) all’1,40%.
Tetto ai contributi degli specialisti esterni. Nel 2022 era stato introdotto un contributo nella misura del 4% del fatturato soggetto a rimborso da parte del Servizio Sanitario Nazionale, speculare a quello del 2% a carico delle società accreditate, a carico degli iscritti che beneficiano appunto del versamento del 2% (ex art. 1, comma 39, legge 23 agosto 2004, n. 243). Grazie ad una delibera del 2024, l’iscritto ha avuto la possibilità di scegliere di limitare l’importo del contributo al 10% del compenso effettivamente percepito per l’attività professionale relativa alle prestazioni in convenzione. Per gli iscritti in pensione è possibile scegliere il tetto del 5%.
Contro gli effetti delle terapie oncologiche più esercizio fisico
(da DottNet) Secondo una metanalisi pubblicata sul ‘British Medical Journal of Sports Medicina’ «l’esercizio fisico sembra ottenere un miglioramento generale del benessere psicologico e della qualità di vita, la qual cosa ne raccomanda l’inclusione sistematica nei protocolli di terapia oncologica». «Già diverse metanalisi avevano valutato l’impatto dell’esercizio fisico sulla salute dei malati di cancro, ma permanevano lacune significative nella nostra comprensione di questa relazione» spiegano i ricercatori, che aggiungono: «A tutt’oggi, non era stata pubblicata alcuna valutazione completa dei dati esistenti su esercizio fisico e salute di pazienti con un’ampia gamma di tumori. Per colmare questa lacuna, con l’obiettivo di rafforzare la base di evidenze e migliorare l’assistenza clinica, abbiamo condotto una metanalisi generale degli studi clinici randomizzati e controllati pubblicati tra il 2012 e il 2024, tutti di qualità da moderata ad alta».
Tra queste associazioni, le tipologie di esercizio di qualsiasi lunghezza, intensità e durata includevano attività mente-corpo come Qigong, Tai-Chi e yoga (28,5%), esercizi aerobici e di resistenza (48%), allenamento a intervalli ad alta intensità (18,4%) e altre tipologie (59%). Queste associazioni sono state esplorate in pazienti con tumori alla mammella (50%), all’apparato digerente (20%), al sangue (3%), al polmone (47%), alla prostata (2,5%) e altri (31%). Secondo i criteri GRADE, che si utilizzano per valutare la certezza delle prove scientifiche e la forza biostatistica delle raccomandazioni in ambito sanitario, nel complesso, il 54% delle associazioni è risultato statisticamente significativo, mentre il 17% e il 31% hanno evidenziato rispettivamente una certezza elevata e moderata, pur senza raggiungere la significatività statistica.
Nelle persone malate di cancro, l’esercizio fisico ha inoltre ridotto in misura significativa diversi effetti collaterali associati al cancro e al suo trattamento rispetto alle cure tradizionali o all’assenza di esercizio fisico; per esempio, ha ridotto i danni cardiaci e ai nervi periferici associati alla chemioterapia, il deterioramento cognitivo e la dispnea. Ha inoltre modificato la composizione corporea e alcuni tra i principali indicatori fisiologici di salute, come la concentrazione plasmatica dell’insulina, del fattore di crescita insulino-simile e della proteina C-reattiva. Ha migliorato la qualità del sonno, il benessere psicologico, la funzionalità fisiologica dell’organismo e l’interazione sociale, favorendo al contempo la qualità della vita complessiva. Sono anche emerse prove con un grado di certezza da moderato a elevato che l’esercizio fisico pre-operatorio riduca il rischio di complicazioni postoperatorie, il dolore, la durata della degenza ospedaliera e il rischio di morte.
I ricercatori riconoscono comunque svariati limiti ai loro risultati. Le analisi dei dati inclusi nella revisione differivano in misura considerevole, incluso il numero di studi su cui si basavano. I ricercatori ipotizzano che i partecipanti affetti da cancro in grado di fare esercizio fisico potrebbero essere stati in migliori condizioni generali. E sottolineano che gli effetti collaterali della terapia variano secondo il tipo di cancro e lo stadio più o meno avanzato della malattia. Malgrado ciò concludono: «Incorporare esercizi mente-corpo nelle linee guida per l’esercizio fisico da raccomandare alle persone malate di cancro potrebbe essere un’opportunità da non lasciarsi sfuggire. In ogni caso sono necessarie future ricerche di alta qualità per esplorare ulteriori risultati, chiarire i meccanismi retrostanti e perfezionare le prescrizioni di esercizio fisico su misura per ciascun tipo di cancro, la tempistica, la modalità e le caratteristiche individuali dell’esercizio fisico, garantendo interventi più precisi e di alto rilievo clinico per le diverse popolazioni oncologiche».