Solo il 54% dei medici è in regola con i corsi di aggiornamento
(da DottNet) Solo il 54% dei medici risulta in regola nell'ultimo triennio con i corsi di aggiornamento di Educazione formativacontinua (Ecm). Sebbene i numeri siano in crescita, di fatto quasi la metà dei camici bianchi è ancora inadempiente. A poco più di un anno di distanza dall’entrata in vigore della legge 24/2017 (cosiddetta Legge Gelli), la formazione si conferma elemento chiave della norma che regola la responsabilità professionale in ambito medico-sanitario. È lo stesso articolo 3, infatti, a prevedere l’individuazione di idonee misure per la prevenzione e la gestione dell’errore sanitario e il monitoraggio delle buone pratiche per la sicurezza delle cure, nonché per la formazione e l'aggiornamento del personale esercente le professioni sanitarie. L’ultimo triennio formativo ECM si è concluso con solo il 54% dei medici in regola (dati CoGeAPS); sebbene i numeri siano in crescita, di fatto, quasi la metà dei camici bianchi risulta ancora inadempiente. «Al di là del dovere deontologico – spiega Consulcesi Club, realtà di riferimento per oltre 100mila medici – il mancato aggiornamento ECM, alla luce del nuovo dettato normativo, si profila come possibile elemento negativo, in caso di contenzioso, nell’accertamento della responsabilità professionale». Un’eventualità tutt’altro che remota visto che, secondo gli ultimi dati dell’Associazione nazionale imprese assicuratrici (Ania), solo nel 2016 si sono registrate oltre 15mila denunce di sinistri in ambito sanitario. Ed è proprio in ambito assicurativo che la formazione ECM gioca un ruolo sempre più fondamentale per quanto riguarda la stipula e i costi delle polizze. «La Legge Gelli, infatti, ha introdotto l’obbligo della copertura assicurativa della responsabilità professionale per colpa grave, - sottolinea Consulcesi Club - e le compagnie potrebbero contestare eventuali casistiche collegabili alla mancata formazione, oppure determinare costi più elevati per quanti non sono in regola con i crediti ECM, proprio in virtù del maggior rischio di errore». D’altro canto, invece, chi ha adempiuto all’obbligo formativo ha la concreta prospettiva di vedersi riconosciuti sconti sui premi assicurativi, infatti già diverse compagnie dichiarano di essere al lavoro in questo senso
Enpam garantisce già la pensione a Quota 100
Tar: illegittime le visite mediche a cronometro, violano il giudizio
ISS: nessun rischio con tanti vaccini insieme
(da Fimmg.org e Ansa.it) È uno dei principali dubbi di molti genitori, anche di quelli favorevoli ai vaccini: «Ma così tutti insieme, non saranno troppi?». A far chiarezza è stato, di recente, uno studio pubblicato sull'autorevole rivista JAMA, commentato ora dagli esperti dell'Istituto Superiore di Sanità (Iss): «è legittimo che i genitori si pongano queste domande» e «ci sono tutti gli elementi oggettivi per fornire loro una risposta rassicurante». I vaccini oggi disponibili, infatti, si legge sul portale dell'ISS, Epicentro, sono «controllati nella composizione» e hanno un ridotto numero di antigeni, ovvero le componenti costituiscono il principio attivo su cui si basa il vaccino, perché stimolano i meccanismi naturali di difesa del corpo. Nonostante il numero di malattie infettive contro cui si esegue la vaccinazione nei primi due anni di vita sia aumentato rispetto a qualche decennio fa (fino allo scorso anno l'obbligo era per 4, oggi è per 10), il numero massimo di antigeni, attualmente somministrati, «è inferiore a quello che i bambini italiani ricevevano in passato: è stato stimato che sommando tutti i vaccini nei primi due anni di vita si giunge a un numero complessivo di circa 250 antigeni». Al contrario, precisano gli esperti Iss, «qualsiasi malattia infettiva causata da un singolo agente patogeno comporta l'esposizione dell'organismo a migliaia di antigeni». Quanto al dubbio rispetto all'età a cui vengono somministrati, precisano, «a due mesi di vita, il sistema immunitario del bambino è già in grado di rispondere alla vaccinazione e aspettare non serve ad aumentare la sicurezza. Al contrario, rimandare le vaccinazioni prolunga il periodo in cui il bambino è suscettibile alle infezioni prevenibili, e alcune malattie sono molto più pericolose se contratte nei primi mesi di vita». Ma la domanda delle domande è: i vaccini multipli (come esavalente e trivalente) indeboliscono il sistema immunitario? Se così fosse, dovremmo osservare un aumento di infezioni batteriche e virali dopo le vaccinazioni. Ma così non è, come mostra un solido studio pubblicato su Jama. Gli autori hanno selezionato 193 bimbi tra 2 e 4 anni con una diagnosi di infezione non prevenibile con la vaccinazione (ad esempio delle vie respiratorie) e 751 casi senza: la probabilità di esser ricoverato era uguale tra chi era stato sottoposto a vaccini cumulativi nei primi mesi di vita e chi non lo era stato.
L’eccesso di alcol altera il microbioma orale e predispone ad alcuni tumori
(da Odontoiatria33) L’eccessivo consumo di alcol modifica il microbioma orale, aumentando la presenza di batteri patogeni; questa condizione può favorire lo sviluppo di tumori della testa, del collo e del tratto digestivo. È quanto si legge sul numero di aprile della rivista Microbiome dove viene presentata la ricerca di Jiyoung Ahn; l’autore da anni guida un team di scienziati del Perlmutter Cancer Center del Nyu Langone Health di New York City che studia i rapporti tra il microbioma umano (l’insieme dei microrganismi che vivono in simbiosi nel tratto digerente, dalla bocca all’ano) e numerose patologie neoplastiche. I ricercatori hanno analizzato il ruolo dell’alcol sul microbioma orale con uno studio trasversale su 1044 adulti statunitensi (età media 67,7 anni, 95% caucasici), che prendevano parte a due ricerche sul cancro, attualmente in corso. Al momento dell’adesione al progetto, tutti i partecipanti erano sani; hanno fornito campioni del loro microbioma orale e informazioni sul consumo di alcol: il 25,9% dei soggetti erano astemi, il 58,8% bevitori moderati e il 15,3% bevitori accaniti. Tra i consumatori di alcol, il 13% beveva solo vino, il 5% solo birra a il 3,4% solo liquori. Il gruppo dei bevitori presentava percentuali più elevate di uomini e di fumatori. Tra forti bevitori e astemi si registrava una spiccata diversità del microbioma orale e dei profili batterici in genere: una riduzione dei Lactobacilli commensali tra i consumatori di alcol; i bevitori accaniti presentavano una netta prevalenza di Actinomiceti, Leptotrichia, Cardiobacterium e Neisseria. Gli autori osservano che alcuni di questi generi contengono specie patogene, mentre la Neisseria può sintetizzare dall’etanolo l’acetaldeide, una sostanza cancerogena per gli uomini. Dopo avere verificato il livello di consumo di alcol, il team ha riscontrato che la diversità microbica e i profili differivano in modo significativo tra astemi e bevitori. Il consumo di alcol influisce sul microbioma orale, potenzialmente aumentando la potenza dei batteri patogeni presenti. “La disbiosi del microbioma orale può portare a patologia orale locale e potenzialmente a tumori della testa, del collo e del tratto digestivo” è la sintesi conclusiva di Jiyoung Ahn.
(Microbiome 2018 6:59. Drinking alcohol is associated with variation in the human oral microbiome in a large study of American adults - Xiaozhou Fan, Brandilyn A. Peters, Eric J. Jacobs, Susan M. Gapstur, Mark P. Purdue, Neal D. Freedman, Alexander V. Alekseyenko, Jing Wu, Liying Yang, Zhiheng Pei, Richard B. Hayes and Jiyoung Ahn)
Privacy, attenzione: il GDPR è pienamente operativo dal 25 maggio
Pronto soccorso, aumentano pazienti over 80. Simeu: serve nuovo modello cure
(da Doctor33) I pazienti con più di 80 anni sono in Italia circa 5 milioni e aumentano nei Pronto soccorso nazionali al ritmo di circa 100.000 all'anno. Di questi circa il 50% vengono ricoverati dopo le cure in urgenza. Il dato emerge da una ricerca presentata dalla Società italiana di medicina di emergenza-urgenza (Simeu) in occasione del congresso nazionale di Roma. Si tratta di pazienti particolari, affermano gli esperti, che presentano varie comorbilità, che comportano politerapia farmacologica, fattori che determinano un quadro clinico complesso. Si definiscono "fragili" perché spesso al problema sanitario si associano stress psichico, disabilità scarso o assente sostegno familiare e quindi alto rischio di ricovero in lungodegenza. La compresenza di questi fattori determina un aumento della mortalità. Per questi pazienti, che assorbono una rilevante percentuale delle risorse sanitarie totali, avverte la Simeu, «è urgente un approccio specifico: in conseguenza del declino fisiologico di molteplici organi e apparati, presentano manifestazioni patologiche nel 90% dei casi differenti dalle manifestazioni in un paziente più giovane. Così come sono differenti gli esiti dei farmaci». Dunque, «non bisogna curare una determinata patologia nell'anziano» afferma Francesco Rocco Pugliese, presidente nazionale Simeu «ma bisogna curare l'anziano che presenta quella patologia. È necessaria una presa in carico globale del paziente anziano, tenendo conto delle caratteristiche legate all'età. Quindi innanzitutto deve cambiare l'approccio culturale a questo particolare tipo di paziente, ma poi necessariamente bisogna immaginare una differente organizzazione delle cure». Nell'ottica di sviluppare percorsi di cura dedicati a questo particolare tipo di paziente, Simeu ha iniziato a lavorare con la Società italiana di geriatria ospedale e territorio (Sigot). Inoltre, Simeu ha inaugurato durante il Congresso in corso il primo corso per professionisti sanitari sulla gestione del Grande Anziano in urgenza. Il punto, conclude Pugliese, è che «gli ospedali, in collaborazione stretta con i servizi territoriali, devono trasformarsi per accogliere questo nuovo tipo di paziente per affrontarne la patologia acuta».
Definita la frequenza di esercizio fisico per rimanere giovani
(da M.D.Digital) Quattro o cinque sessioni di attività fisica alla settimana sono quanto basta a mantenere giovane il cuore. Lo afferma una ricerca pubblicata sul Journal of Physiology i cui risultati potrebbero rappresentare un importante passo avanti per sviluppare strategie di esercizio in grado di rallentare l'invecchiamento. La frequenza ottimale di allenamento è stato per lungo tempo oggetto di un acceso dibattito: questa nuova ricerca ha dimostrato che i diversi calibri delle arterie sono influenzati in modo differente da diverse “quantità” di esercizio: praticare 30 minuti di esercizio per 2-3 giorni alla settimana può essere sufficiente per ridurre al minimo l'irrigidimento delle arterie di medie dimensioni, mentre aumentare la frequenza a 4-5 giorni alla settimana permette di mantenere giovanile le arterie centrali più grandi. Gli autori hanno seguito un gruppo di 102 persone di età superiore a 60 anni, per i quali era disponibile la registrazione della cronologia degli esercizi di lunga durata. In tutti i partecipanti sono state raccolte misure dettagliate della rigidità arteriosa. In base alla frequenza di esercizio fisico sono state definite quattro categorie: sedentario (meno di 2 sessioni di allenamento/settimana), esercizio occasionale (2-3 sessioni di allenamento/settimana), esercizio impegnato (4-5 sessioni di allenamento/settimana) e Masters Athletes (6-7 sessioni di allenamento a settimana). Le sessione di allenamento avevano una durata di almeno 30 minuti. Dopo aver analizzato i risultati, il team di ricercato ha rilevato che una lunga storia di esercizi casuali (2-3 volte a settimana) determinava una condizione di minore rigidità delle arterie di medio calibro che irrorano collo e testa (la rigidità o stifnness è da considerarsi una conseguenza dell'invecchiamento); nei soggetti che si allenavano 4-5 volte alla settimana la minore rigidità coinvolgeva anche le avevano anche arterie centrali del torace e dell'addome. Il fatto che per mantenere in buone condizioni le arterie di calibro maggiore sia necessario aumentare la frequenza degli allenamenti aiuterà lo sviluppo di programmi di esercizi a lungo termine. Inoltre, sarà interessante approfondire l'eventualità che l'invecchiamento del cuore possa essere invertito o meno grazie a un programma di un esercizio fisico mantenuto per un lungo periodo di tempo. Rimangono ancora da valutare alcuni aspetti: lo studio infatti ha alcune limitazioni, a partire dal fatto che gli individui sono stati assegnati a gruppi in base alla frequenza degli esercizi passati, al contrario di altri componenti di programmi di allenamento che considerano l'intensità, la durata o la modalità, ognuno dei quali potrebbe avere grandi impatti sugli adattamenti vascolari. Inoltre, altri elementi che non misurati - come l'assunzione di alimenti e il background sociale - potrebbero influenzare indirettamente la compliance arteriosa. Questi risultati sono davvero di grande interesse, commentano gli autori, perché consentono di sviluppare programmi di allenamento per mantenere il cuore giovane e addirittura per far regredire l'invecchiamento. Studi precedenti avevano dimostrato che un intervento messo in atto dopo 70 anni è troppo tardi per invertire l'invecchiamento del cuore, in quanto è difficile cambiare la struttura cardiovascolare anche con un anno di allenamento. Questo studio si è concentrato su due anni di attività in uomini e donne di mezza età, con e senza fattori di rischio per le malattie cardiache, per valutare se è possiamo invertire l'invecchiamento dell'apparato cardiocircolatorio utilizzando la giusta intensità di frequenza di allenamento. (Shibata S, et al. The effect of lifelong exercise frequency on arterial stiffness. J Physiol 2018; https://doi.org/10.1113/JP275301)
Frutta e verdura: attenzione a quella sporca dozzina!
(da M.D.Digital) La maggior parte dei consumatori non sa che i residui dei pesticidi sono una presenza comune nella frutta e nella verdura che viene acquistata e consumata. E purtroppo non serve che i vegetali vengano lavati o pelati: un'analisi condotta da un'associazione ambientalista americana, l'Environmental Working Group (EWG), ha messo in evidenza che circa il 70% dei campioni di prodotti coltivati convenzionalmente risulta contaminato con residui di pesticidi. I test condotti dal dipartimento dell'agricoltura degli Stati Uniti d'America (United States Department of Agriculture, USDA) hanno riscontrato un totale di 230 diversi pesticidi e prodotti della loro degradazione in migliaia di campioni di prodotti analizzati. L'analisi dei test condotti dall'EWG ha rilevato che esistono nette differenze tra i vari tipi di sostanze tossiche presenti e sulla base di questi risultati ha compilato una Guida per gli acquirenti che include frutta e verdura in due categorie: quella definita “la sporca dozzina” (Dirty Dozen) che include prodotti con il maggior numero di residui di antiparassitari, e un secondo elenco di 15 prodotti “puliti” (Clean Fifteen), nei quali i residui erano presenti in basse quantità se non addirittura assenti.
Infarto: probabilità decesso doppia per donne under 60
(da AGI) Per le donne sotto i sessant'anni la probabilità di decesso dopo aver subito un infarto è doppia rispetto agli uomini. Lo rivela uno studio messo a punto da un gruppo di ricerca dell'Università di Bologna in collaborazione con l'Università della California e da poco pubblicato su JAMA Internal Medicine. Un risultato, questo, che restituisce importanti indicazioni per lo sviluppo di nuovi farmaci più efficaci e mirati. L'alta mortalità delle donne colpite da infarto miocardico è un fatto noto da tempo: fino ad oggi, però, la spiegazione di questo fenomeno era attribuita principalmente ad una disparità di trattamento ospedaliero a sfavore delle donne, dovuta a sintomi che sono spesso più difficili da individuare. Al posto del "classico" dolore toracico, infatti, l'infarto nelle donne può manifestarsi inizialmente con segnali più generici, ad esempio respiro corto, nausea, vomito, dolore alla schiena, al collo o alla mascella. Tutto questo però - sostengono i ricercatori che hanno messo a punto lo studio - non è comunque sufficiente per giustificare l'elevata mortalità delle donne under 60 che subiscono un infarto: si sono così ipotizzati anche fattori biologici che renderebbero le donne più vulnerabili rispetto agli uomini. Per arrivare a questa conclusione, i ricercatori hanno preso in considerazione i dati di 2.657 donne e 6.177 uomini trattati per infarto miocardico in oltre quaranta ospedali di dodici diversi paesi europei. Utilizzando tecniche di sequenziamento statistico e di machine learning hanno quindi elaborato le oltre venti variabili fisiopatologiche elencate per ciascun paziente, arrivando a dimostrare che nessuna di queste giustifica del tutto il diverso livello di mortalità tra uomini e donne. "Le donne under 60 colpite da infarto miocardico hanno quasi il doppio delle probabilità di morire in ospedale rispetto agli uomini della stessa età, con una incidenza di decessi di circa il 12% contro il 6% degli uomini", spiega Edina Cenko, giovane ricercatrice dell'Università di Bologna che ha lavorato allo studio. "Quando l'infarto si presenta nelle donne, quindi, oltre a stili di vita scorretti, una discreta quota di responsabilità è da ascrivere alla biologia e alla genetica". Il risultato di questa analisi può portare a importanti ripercussioni nel processo di sviluppo di nuovi farmaci per l'infarto. "Il sesso femminile è un fattore biologico e va tenuto in considerazione per capire se un farmaco per l'infarto è realmente utile anche nelle donne", spiega ancora Edina Cenko. "I nuovi farmaci dovranno essere studiati separatamente sulle donne e sugli uomini. Un processo che per le industrie farmaceutiche vorrà dire più spese e tempi più lunghi di esecuzione delle fasi di test. Ma vorrà dire anche più salute per le donne".
(JAMA Internal Medicine - "Sex Differences in Outcomes After STEMI: Effect Modification by Treatment Strategy and Age")
Pagare meno tasse! Come? Con Fondosanità. Fondo pensione complementare per i medici
(da Fimmg.org e Ilsole24ore) Fondosanità rappresenta da sempre una opportunità per risparmiare cifre considerevoli sull’Irpef da pagare. Si può dedurre ogni anno fino a 5.164,57 euro senza vincoli di versamento. Abbattere il proprio imponibile di 5.164,57 euro significa risparmiare, ogni anno, fino a circa 2.220 euro di tasse. Quale investimento dà una resa immediata così cospicua? Meno tasse da pagare e più soldi per la nostra previdenza personale. Fondosanità è il fondo pensione complementare per i medici e gli odontoiatri che consente di accantonare, negli anni, un capitale rivalutato per avere una pensione integrativa a quella obbligatoria. Fondosanità è un fondo di categoria, non ha fini di lucro e pertanto ha spese di commissione molto basse, circa 0,38% (a differenza di quei fondi pensione a fini di lucro, promossi da Assicurazioni o Banche, che erodono i rendimenti con spese di commissione elevate che arrivano fino a oltre il 2%). Quando le commissioni rimangono contenute si hanno più soldi da investire e la rendita può essere fino al 20% più alta rispetto alla rendita di questi altri fondi “commerciali”. Il patrimonio gestito è circa 180 milioni di euro. Sono sempre più numerosi i medici che comprendono i vantaggi di Fondosanità e le adesioni sono in costante crescita, anche da parte di coloro che già hanno un fondo presso un altro gestore e lo trasferiscono in Fondosanità, che con il suo comparto Espansione, nel 2017 è risultato il secondo miglior fondo italiano per rendimento
https://fondosanita.it/ Via Torino, 38 00184 Roma tel. 06 42150573
Dopo i casi Charlie e Alfie il Bambino Gesù presenta la Carta dei diritti del bambino inguaribile
(da Sanità24-IlSole 24ore) Curare non significa necessariamente guarire. Nasce da questo assunto la «domanda provocatoria» - come ha tenuto a sottolineare la presidente dell'Ospedale pediatrico Bambino Gesù, Mariella Enoc - alla base della "Carta dei diritti del bambino inguaribile", presentata all'Ircss romano e nata dall'elaborazione delle precedenti carte nazionali e internazionali dei diritti dei bambini in ospedale, alla luce dei progressi compiuti dalla medicina e delle più recenti direttive europee nel campo dei diritti dell'assistenza sanitaria transfrontaliera. Gli ultimi casi di cronaca hanno indotto i dirigenti dell'ospedale della Santa Sede a fare chiarezza: «Casi drammatici come quelli di Charlie Gard e Alfie Evans -spiega ancora Enoc - hanno dimostrato la necessità di un dialogo e di un confronto lontani dai conflitti ideologici e giudiziari, con l'obiettivo di trovare ragioni comuni e soluzioni condivise nel quadro dell'alleanza fondamentale tra il medico, il paziente e la sua famiglia».
Le carte dei diritti del bambino, e del bambino in ospedale, negli anni non sono mancate. Ma la progressiva cronicizzazione di malattie fino a pochi anni fa acute, la presa in carico sempre più puntuale delle malattie rare, così come l'incremento delle patologie indotte da stili di vita scorretti o legate alla diversità, imponevano un aggiornamento. La "curabilità", e non soltanto la guarigione, è un concetto da tenere sempre più presente, in particolare in età pediatrica e adolescenziale. E la famiglia, affermano dall'ospedale pediatrico romano, diventa inevitabilmente protagonista insieme al team che cura il piccolo paziente. La nuova "Carta" nasce da queste considerazioni e vuole dichiaratamente costituire «una proposta di aggiornamento», in continuità innanzitutto con la Carta di Each (European Association for Children in Hospital), elaborata dalle associazioni che si occupano di bambini ricoverati in ospedale in applicazione della risoluzione del Parlamento europeo 8/7/1992.
Da qui, al primo punto del Decalogo appena presentato, deriva il rilancio dell'alleanza terapeutica come elemento fondamentale di ogni processo di cura che coinvolga un minore. mentre si ribadisce che «il tempo della comunicazione tra medico e paziente costituisce tempo di cura». La famiglia e il bambino devono poi essere messi in grado di capire "cosa sta succedendo", grazie all'educazione sanitaria di cui è responsabile il personale, secondo le migliori evidenze e competenze. Ancora: si afferma il diritto del paziente e dei genitori a una second opinion e a ricevere il miglior approfondimento, ma anche - e qui i casi di Charlie e Alfie sono presentissimi - «a essere indirizzati e di consultare le strutture che abbiano maggiore esperienza e qualificazione, anche in ambito extranazionale». Così come la famiglia deve poter esercitare il diritto di scelta di un medico, di una équipe e di una struttura sanitaria di propria fiducia, anche trasferendosi in un altro Paese grazie alla mobilità sanitaria transfrontaliera. e ovunque dovrà poter avvalersi dei protocolli sperimentali diagnostico-terapeutici approvati da Comitati etici che facciano riferimento alle migliori evidenze della letteratura internazionale.
Gli articoli da 7 a 9 della Carta del Bambino inguaribile sono dedicati all'accompagnamento verso la fine della vita: dal diritto a restare nella propria casa e a cure palliative di qualità, al rispetto della persona, senza accanimenti terapeutici, preservando il legame affettivo e il rapporto di accudimento tra il piccolo e il genitore, fino al sostegno garantito da psicologi, assistenti sociali, educatori, assistenti spirituali, personale di accoglienza e volontariato.
Infine, la piena partecipazione del paziente pediatrico e della sua famiglia nelle attività di cura, ricerca e accoglienza, stimolando al contempo la formazione di pazienti esperti per tutte le patologie croniche.
Un sunto dei principi della carta a questo LINK
Il testo completo a questo LINK
Forza di presa della mano, indicatore stato salute a tutte le età
La carenza di vitamina D in post-menopausa favorisce la sindrome metabolica
(da Nutrizione33) Le donne in post-menopausa con carenza di vitamina D potrebbero avere un rischio maggiore di sviluppare la sindrome metabolica rispetto a quelle con valori sufficienti, come suggerisce uno studio osservazionale pubblicato su Maturitas. «I nostri risultati ci portano a pensare che il mantenimento di adeguati livelli sierici di vitamina D nelle donne in post-menopausa possa ridurre il rischio di sviluppare la sindrome metabolica, una patologia notoriamente correlata a eventi cardiovascolari e mortalità in questo gruppo di pazienti» afferma Eneida Boteon Schmitt, della São Paulo State University's Botucatu Medical School in Brasile, primo nome dello studio.
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NUOVO BANDO DI FINANZIAMENTO PER I PROFESSIONISTI DELLA REGIONE EMILIA-ROMAGNA
è stato pubblicato il 3° bando di finanziamento per i professionisti della Regione Emilia-Romagna finalizzato a promuovere l’innovazione, l’ampliamento e il potenziamento dei servizi offerti per la crescita delle attività libero professionali.
Al di là dei tradizionali investimenti finanziabili (innovazione tecnologica, ristrutturazione, organizzazione e riposizionamento strategico delle attività libero professionali, diffusione della cultura dell’organizzazione e della gestione/valutazione economica dell’attività professionale), il bando di quest’anno si pone l’obiettivo di promuovere anche le iniziative atte a creare le forme di aggregazione e la diversificazione dei servizi, le azioni di comunicazione e marketing, i servizi promozionali, i servizi di supporto alle decisioni, i processi di internazionalizzazione.
I contributi sono previsti a fondo perduto nella misura del 40% dell’investimento ritenuto ammissibile.
La percentuale di contributo è elevata al 45% nel caso di:
- beneficiario che realizzi un incremento occupazionale;
- beneficiario con rilevante componente femminile/giovanile;
- beneficiario in possesso del rating di legalità;
- nel caso in cui la sede operativa o unità locale oggetto dell’intervento sia localizzata in area montana
I progetti dovranno avere una dimensione minima di investimento ammesso pari a € 15.000, mentre l’importo massimo del contributo concedibile per ciascun progetto non potrà eccedere la somma complessiva di € 25.000.
La presentazione della domanda deve essere effettuata dalle ore 10,00 del giorno 22 maggio 2018 alle ore 17,00 del giorno 26 giugno 2018.
I termini di chiusura saranno anticipati al raggiungimento di 200 domande.
Le spese andranno realizzate entro e non oltre il 31 dicembre 2018
Calcoli renali in aumento anche a causa degli antibiotici. Rischio maggiore tra bambini e adolescenti
(da Doctor33) Cinque classi di antibiotici sono associate a un rischio aumentato di calcoli renali, e il rischio è particolarmente pronunciato con i farmaci sulfamidici e tra i bambini e gli adolescenti, secondo uno studio pubblicato sul Journal of the American Society of Nephrology. «I nostri risultati suggeriscono che l'esposizione ad alcuni antibiotici per via orale sia un nuovo fattore di rischio per la nefrolitiasi, fattore che può essere modificabile per il 30% dei pazienti che ricevono prescrizioni ambulatoriali inadeguate per antibiotici» afferma Gregory Tasian, del Children's Hospital of Philadelphia (CHOP) in Pennsylvania, Stati Uniti, autore principale del lavoro. La prevalenza di calcoli renali è aumentata del 70% negli ultimi 30 anni, parallelamente all'utilizzo sempre più diffuso degli antibiotici; in particolare, i calcoli renali erano in precedenza più rari nei bambini. Per valutare il potenziale effetto degli antibiotici sul rischio di nefrolitiasi, i ricercatori hanno analizzato i dati del The Health Improvement Network (THIN), un registro contenente informazioni su 13,8 milioni di pazienti trattati in 641 ambulatori di base nel Regno Unito. Lo studio ha incluso 25.981 pazienti con calcoli renali e 259.797 partecipanti non affetti come controllo, con un tempo medio di follow-up di 5,4 anni. Circa il 35% dei casi e dei controlli era composto da donne e l'età media al primo calcolo era di 51,6 anni. L'indice di massa corporea medio in entrambi i gruppi era superiore a 27 kg/m2. Le prescrizioni di antibiotici ambulatoriali erano più comuni per tosse e tonsillite, infezioni del torace, del tratto respiratorio superiore e delle vie urinarie. Controllando per 12 classi di antibiotici, i ricercatori hanno osservato un'associazione tra rischio di nefrolitiasi e cinque di queste classi assunte da tre a 12 mesi prima della data del calcolo renale indice. Il rischio relativo in eccesso variava dal 27% per le penicilline ad ampio spettro al 133% per i farmaci sulfamidici. I rischi più alti erano associati all'uso di antibiotici nelle età più giovani e nei tre o sei mesi prima della data indice. Il rischio di calcoli renali per tutte le classi, ad eccezione delle penicilline ad ampio spettro, è rimasto statisticamente significativo per tre o cinque anni dall'esposizione, sebbene i rischi siano andati diminuendo nel tempo. Gli autori sospettano che le riduzioni indotte dagli antibiotici nel microbioma intestinale possano essere responsabili di questo effetto. (J Am Soc Nephrol. 2018. doi: 10.1681/ASN.2017111213 https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/29748329)
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Privacy, dubbi su obbligo Data protection officer. Per medici in rete o in gruppo non sembra necessario
(da Doctor33) Per i medici in rete o in gruppo non pare necessaria la nomina entro il 25 maggio di un Data protection officer, nemmeno se condividono i software. Lo afferma un parere dell'avvocato Gennaro Messuti fatto proprio dall'Ordine dei Medici di Milano alla vigilia dell'entrata in vigore, il 25 maggio, del regolamento Ue sulla privacy. Il parere, un po' controcorrente, parla anche di informativa, consenso, trattamenti di persone decedute ed offre una analisi del nuovo apparato sanzionatorio. E conferma l'obbligo per tutti i medici di tenere ed aggiornare il registro dei trattamenti riguardanti dati sensibili (salute). C'è poi la questione del Data Protection Officer DPO): esperto di privacy con compiti consultivi, assiste il titolare e vigila sul rispetto del regolamento. Dipendente o con contratto di servizi, va designato sempre nella Pa; nel privato lo è dove si trattino su larga scala categorie particolari di dati personali come quelli sensibili, e per trattamenti richiedenti monitoraggi regolari e sistematici.
