Farsi visitare sempre dallo stesso medico allunga la vita

(da Quotidiano Sanità  e Reuters Health)   Avere lo stesso medico nel corso degli anni aiuterebbe le persone a vivere più a lungo. A suggerirlo è uno studio internazionale coordinato da Denis Pereira Gray, del St. Leonard’s Practice di Exeter, nel Regno Unito. I risultati della ricerca sono stati pubblicati da 'BMJ Open'. Lo studio. Gli autori hanno esaminato 22 studi relativi sia a medici di base, sia a specialisti. Diciotto delle ricerche hanno rilevato che un’associazione tra maggiore continuità assistenziale e minore mortalità. Tre studi, invece, non hanno trovato alcuna associazione, mentre uno studio basato su richieste di risarcimento dalle assicurazioni ha collegato, viceversa, una maggiore continuità delle cure a un aumento della mortalità. Le conclusioni. 
In realtà, date le ampie variazioni tra gli studi, non è stato possibile combinare i dati per quantificare l’effetto complessivo della continuità dell’assistenza sulla mortalità, ma, secondo Pereira Gray, ” i risultati dimostrano comunque che la continuità assistenziale è da perseguire e i sistemi sanitari nazionali dovrebbero favorirla”. Il motivo di questa associazione potrebbe essere duplice: “prima di tutto pensiamo che i pazienti parlino più liberamente con i medici che conoscono, anche di argomenti imbarazzanti. Quindi, il medico avrà una migliore comprensione e una migliore informazione e sarà in grado di adattare consigli e informazioni a ciascun paziente”.

Come gestire il tempo nello studio odontoiatrico

(da Odontoiatria 33)   Tenere sotto controllo tempo e stress, senza che siano questi ultimi a prendere il sopravvento, è fondamentale per una buona organizzazione dello studio, ma per farlo serve un metodo. Elemento determinante è la comunicazione interna e il lavoro di squadra, perché da qui deriva “la migliore motivazione” di chi opera nello studio, ma un grande valore è quello di prevedere i tempi di ogni attività, considerando che non c’è solo la clinica e la gestione dello studio, ma anche le relazioni, e in primis quella con il paziente.  
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Sta per nascere l’ospedale di comunità: al medico la responsabilità clinica e all’infermiere la gestione e l’assistenza.

Previsto dal regolamento sugli standard ospedalieri, dal Patto per la Salute e dal Piano nazionale della cronicità, aveva fatto capolino a inizio marzo all’ordine del giorno della conferenza delle Regioni, ma era stato poi lasciato in stand-by per una serie di interventi tecnici e di richieste dei governatori, quasi tutti recepite nell’ultima versione, quella definitiva, pronta per approdare in Stato-Regioni. E’ una struttura di ricovero breve e fa parte dell’assistenza territoriale.  Leggi l'articolo completo e il documento del ministero trasmesso alle Regioni al LINK

http://www.quotidianosanita.it/regioni-e-asl/articolo.php?articolo_id=63630&fr=n

Dopo endoscopie e colonscopie il rischio infettivo è maggiore di quanto si pensi

(da Doctor33)   I tassi di infezione a seguito di colonscopie e di endoscopie del tratto gastrointestinale superiore effettuate presso i centri di chirurgia ambulatoriale (ASC) statunitensi, popolari alternative più convenienti e meno costose alle cure ospedaliere per interventi ambulatoriali e altre procedure, sono di gran lunga superiori a quanto ritenuto in precedenza, secondo uno studio pubblicato su Gut.
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Vaccini, entro 10 luglio basterà autocertificazione per iscrizioni 2018/19

(da AdnKronos Salute) Basterà una dichiarazione sostitutiva di vaccinazione per la prima iscrizione alla scuola dei bambini dai 0 ai 6 anni. In caso di piccoli fra 6 e 16 anni, dunque non per la prima iscrizione, resta valida la certificazione presentata per l'anno scolastico 2017-2018 se il minore non deve effettuare nuovi vaccini o richiami. Ad annunciarlo il ministro della Salute, Giulia Grillo, in conferenza stampa oggi a Roma con il ministro dell'Istruzione Marco Bussetti. La modifica delle regole avverrà con una circolare interministeriale, che depotenzia dunque l'obbligo di presentare la documentazione che comprova le vaccinazioni entro il 10 luglio, termine che diventa "non perentorio" ha assicurato Grillo. "In alcuni casi" ha precisato il ministro Grillo, si potrà anche solo autocertificare di aver preso l'appuntamento con la Asl per effettuare la vaccinazione, e dunque non di averla già eseguita. "Chiaramente - ha ribadito il ministro - non bisogna fare certificazioni false, perché altrimenti si incorre nelle conseguenze previste dalla legge. Se ci sono dei genitori che hanno dei dubbi si rivolgano alle istituzioni, anche a noi, siamo disponibili a risolverli. Questa è la via da seguire: informarsi ed essere sereni sul fatto che i vaccini sono sicuri". Si prevede comunque di fare dei controlli a campione per verificare la regolarità delle autocertificazioni.

Fimmg, urgente riforma certificazione malattia

(da AdnKronos Salute) - "Stare a casa e curarsi è un diritto del lavoratore, ma non può diventare un incubo per chi lo deve certificare: è urgente una riforma della norma sui certificati di malattia". Lo sostiene il vice segretario nazionale vicario della Federazione dei medici di medicina generale, Pier Luigi Bartoletti dopo che nei giorni scorsi si è riaperto il dibattito su una sentenza della Corte dei Conti Umbria (n. 47 del 20 dicembre 2017) che addossa la colpa al medico di famiglia, reo di aver certificato la malattia di un dipendente pubblico, giudicandolo corresponsabile della condotta dolosa del dipendente che ha simulato, anche attraverso documentazione clinica, un lungo periodo di malattia. "E' ineludibile la necessità di rivedere un modello che scarica sul medico di famiglia le inefficienze di un sistema caricandolo di oneri e responsabilità burocratiche sempre più collidenti con il suo impegno di medico, togliendo tempo ed energia al lavoro clinico – sottolinea Bartoletti -.
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Fumare marijuana aumenta tosse, espettorato e dispnea

(da Quotidiano Sanità e Reuters Health)   Le sigarette di marijuana contengono particolato, gas tossici, specie reattive dell’ossigeno, idrocarburi policiclici aromatici a concentrazioni molto più elevate di quelle del tabacco. Diversi studi hanno evidenziato che la marijuana sia associata a un’infiammazione bronchiale simile a quella provocata dalle sigarette tradizionali. Per determinare se l’uso di marijuana fosse associato a sintomi respiratori, malattia ostruttiva polmonare e cambiamenti nella funzionalità polmonare, i ricercatori dell’Università della California di San Francisco, guidati da Mehrnaz Ghasemiesfe, hanno preso in considerazione 22 studi. Tra gli individui rientrati nell’osservazione, 1.255 avevano avuto più di 10 anni di esposizione continua, mentre per 756 fumatori solo di marijuana l’esposizione superava i 20 anni. Dal confronto tra i fumatori di marijuana e i non fumatori, è emerso per i primi un aumento del rischio di tosse pari a 2,04 volte, un aumento del rischio di una maggiore  produzione di espettorato di 3,84 volte e un aumento del 55% del rischio di dispnea. Analisi simili da studi cross-sectional hanno evidenziato che l’uso di marijuana è associato a un aumento del rischio di tosse di 4,37 volte, un aumento del rischio di espettorato di 3,4 volte e un 56% aumento del rischio di dispnea. La ricerca è stata pubblicata su 'Annals of Internal Medicine'

Ace-Inibitori e Sartani: tempo del sorpasso?

(da Cardiolink)  Gli inibitori dell’enzima convertitore dell’angiotensina (ACE-inibitori) sarebbero prossimi a cedere il passo alla categoria farmacologica dei bloccanti del recettore dell’angiotensina (ARB), o sartani, dotati della medesima efficacia clinica e favoriti da una minore incidenza di effetti avversi. È quanto emerge da una recente revisione di letteratura, appena pubblicata su Journal of the American College of Cardiology. Gli Autori hanno revisionato dati provenienti da 119 trials clinici randomizzati, per un totale di oltre 500000 individui trattati con ACE-inibitori o sartani. I risultati dell’analisi indicano che non vi sono differenze in termini di efficacia clinica tra le due categorie farmacologiche, con particolare riferimento all’endpoint surrogato di controllo pressorio e all’incidenza di outcomes cardiovascolari, quali mortalità cardiovascolare o per tutte le cause, infarto del miocardio, scompenso cardiaco, stroke e malattia renale terminale. Di converso, l’incidenza di effetti avversi, principalmente rappresentati dalla tosse, molto più raramente da angioedema finanche fatale, era sbilanciata a discapito degli ACE-inibitori, maggiormente negli individui di colore e negli Asiatici. Sulla scorta di queste osservazioni, gli Autori concludono per l’assenza di solide ragioni per preferire ancora l’uso degli ACE-inibitori a quello degli ARBs. Considerazioni economiche potrebbero essere sollevate rispetto al costo più contenuto degli ACE-inibitori rispetto ai sartani, che, se di poco conto nell’opulento Occidente, potrebbero fare la differenza nei Paesi in via di sviluppo. Di contro, l’aumento del ricorso alla Sanità in caso di effetti avversi potrebbe vanificare il risparmio così ottenuto. Nell’ottica della salvaguardia della Salute dell’individuo, l’opportunità di applicare l’una o l’altra strategia terapeutica dovrebbe tener sì conto di fattori socio-demografici ed economici, ma, al contempo, verificare che ciascuna assicuri un adeguato beneficio pressorio, che è quanto fa la differenza rispetto all’incidenza di eventi cardiovascolari nel lungo temine.  (Messerli FH, et al - J Am Coll Cardiol. 2018 Apr3;71(13):1474-1482. doi: 10.1016/j.jacc.2018.01.058.)

Pronto soccorso, presto in tutta Italia il triage a cinque fasce di priorità

(da Doctor33)   Non solo Lazio e Veneto, di cui si è parlato in questi giorni: tutte le Regioni italiane si stanno attrezzando per l'aggiornamento del triage nei pronto soccorso degli ospedali, con il passaggio a un sistema a cinque strati rispetto ai quattro attualmente utilizzati. «Su questo tema c'è una commissione nazionale che sta lavorando già da tre o quattro anni - spiega Gian Alfonso Cibinel, consigliere della Società italiana di medicina di emergenza urgenza (Simeu), di cui è stato presidente - ed è in chiusura alla Conferenza Sato-Regioni un protocollo definitivo che sarà poi trasmesso a tutte le Regioni». Insomma, si sta solo aspettando l'indicazione ufficiale da parte del ministero della Salute per una trasformazione che riguarderà tutto il territorio nazionale. «Il sistema di triage - ricorda Cibinel - serve per assegnare una priorità ai pazienti che si recano in pronto soccorso, ma con l'attuale classificazione a quattro colori si è visto che la grande maggioranza dei pazienti finisce all'interno di una classe intermedia, quella dei codici verdi, che riguarda fino al 70% dei pazienti; è invece molto importante discriminare meglio all'interno della classe più numerosa». È prevista un'ulteriore innovazione: «Oltre a stabilire la priorità, il sistema a cinque codici definisce anche il potenziale assorbimento di risorse e l'impegno assistenziale richiesto dai pazienti; alcuni di loro possono essere priorità bassa ma aver bisogno di un'attenzione e una presa in carico particolare, come gli anziani, i disabili e, in generale, i pazienti più fragili; è un altro criterio importante che migliora la qualità del sistema». Secondo Cibinel non ci sarà bisogno di una sperimentazione particolare, intanto perché «il sistema a cinque strati è già adottato con successo nella maggior parte dei Paesi sviluppati e poi perché molti ospedali italiani adottano questo sistema da anni, distinguendo due popolazioni diverse all'interno della fascia dei codici verdi». In realtà, la nuova classificazione prevede di identificare gli strati di priorità con cifre, dall'1 al 5, «ma i codici colore non spariranno improvvisamente e continueranno a essere utilizzati, affiancati ai codici numerici, per favorire il passaggio da un sistema all'altro».

Malati di (troppi) farmaci. Negli ultimi 20 anni moltiplicate le prescrizioni per molte patologie: dal diabete alle displipidemie

(da Quotidiano Sanità)   E’ un articolo volutamente provocatorio, a cominciare dal titolo – ‘La medicalizzazione di massa è una catastrofe iatrogena’ - ma anche ricco di spunti di riflessione. Per medici e pazienti. A firmarlo è James Le Fanu, un medico di famiglia inglese in pensione che, dalle pagine del 'British Medical Journal', punta il dito sull’epidemia silenziosa di effetti indesiderati provocata dall’eccesso di medicalizzazione, a fronte di benefici spesso assenti nella maggior parte dei ‘consumatori seriali’ di farmaci.
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Le creme solari forse causano carenza vitamina D

(da AGI)   Le creme ad elevata protezione solare rappresentano uno scudo importantissimo contro i tumori della pelle. Ma cominciano ad accumularsi prove di un loro effetto indesiderato: impedirebbero la corretta produzione di vitamina D da parte dell'organismo. A discutere della questione sono stati gli esperti riuniti in occasione del congresso della Societa' Italiana di Medicina Estetica (SIME) che ha chiuso i battenti a Roma il mese scorso. "Cominciano ad accumularsi evidenze scientifiche che suggeriscono una possibile correlazione tra uso di creme con filtri solari ad elevata protezione (SPF 50+) e carenza di vitamina D", ha detto il presidente della SIME Emanuele Bartoletti ad un simposio su questo argomento. "Ma rimane ancora controverso il ruolo dei filtri solari nell'influenzare i livelli di vitamina D", ha aggiunto. "Sembra un paradosso ma l'Italia, Paese baciato dal sole, e' anche uno di quelli con la maggior prevalenza di carenza di vitamina D in Europa", ha sottolineato Domenico Centofanti, vicepresidente SIME. "Esporsi al sole almeno per 20 minuti a giorni alterni aiuta a 'ricaricare' l'organismo di vitamina D; tenendo pero' presente che la pelle delle mani o del viso e' meno 'efficiente' di quella del tronco nel produrre vitamina D", ha aggiunto. Ma i medici consigliano giustamente di non esporsi al sole senza aver prima applicato sulla pelle una crema con filtro solare. "Di recente - ha ricordato Centofanti - e' stato pubblicato un documento sull'effetto dei filtri solari sulla vitamina D. Scopo di questo studio era quello di valutare l'effetto di una protezione solare SPF50+ sulla produzione di vitamina D cutanea e sui livelli circolanti di 25(OH)D3 (la vitamina D trasformata in forma attiva dal fegato) in base alle diverse aree superficiali del corpo (BSA, body surface area)

Corte dei Conti: per i certificati medici facili responsabile è l’Mmg

(da DottNet)   Il medico di base che certifichi lo stato di malattia senza effettuare scrupolose verifiche può concorrere al danno erariale anche se vittima di raggiro da parte del dipendente, che mente deliberatamente su sintomi e condizioni di salute. Lo ha stabilito la Corte dei Conti Umbria sez. giurisd., con la sentenza n. 47 del 20 dicembre 2017, ampliando così i profili di responsabilità per gli Mmg.   La vicenda trae origine da un procedimento, prima disciplinare e poi penale, avviato contro un dipendente pubblico che svolgeva le sue mansioni presso la Direzione Territoriale del lavoro dell’Umbria. Nello specifico, il soggetto aveva prodotto false attestazioni di malattia redatte da lui con firma e timbro di sanitari ignari, nonché certificati prodotti effettivamente da un medico che ne aveva invece confermato la provenienza. La Procura regionale si è rivolta alla Corte dei Conti competente per ottenere la condanna per danno erariale non soltanto nei confronti del dipendente pubblico, ma persino del sanitario che aveva emesso le relative certificazioni.   Il medico in sede di giudizio si è difeso sostenendo di non essere stato coinvolto nel procedimento penale e di aver scrupolosamente verificato le condizioni fisiche del paziente. Ma, sulla base degli atti del procedimento penale acquisiti, la Corte dei Conti ha stabilito come emergesse un quadro diverso: in particolare, il paziente aveva palesato, in alcune intercettazioni telefoniche, la volontà di dichiarare al medico stati patologici inesistenti, certo che avrebbe emesso le relative certificazioni.  La Corte dei Conti ha quindi giudicato il medico corresponsa­bile dell'attuazione del disegno criminoso del lavoratore, seppur non dolosa­mente ma soltanto colposamente, condannandolo in via sussidiaria al risarcimento del danno patrimoniale all’Erario, pari alla metà dello stipendio indebitamente percepito dal lavoratore nel periodo coperto dalle sue certificazioni.

 

Vaccini, Andriukaitis: dia consigli chi è competente

(da Ansa.it)   «Lo sapete cosa penso sia pericoloso? Un esempio è dare consigli medici senza avere qualifiche mediche. Ancor di più, quando il risultato peggiore sono i bambini che muoiono perché non ottengono vaccinazioni salvavita». Così in un tweet il commissario Ue alla salute Vytenis Andriukaitis interviene sulla vicenda postando un articolo che riporta le dichiarazioni del ministro dell'interno Matteo Salvini contro le vaccinazioni obbligatorie.

I medici di famiglia inglesi propongono tassa su appuntamenti non necessari

(da Doctor33)   Studi e ambulatori dei medici di famiglia inglesi sempre affollati e spesso da persone che non necessitano dell'intervento di un dottore. Così i medici di medicina generale hanno proposto una tassa di 5 sterline per scoraggiare la popolazione a recarsi nello studio o a prenotare un appuntamento inappropriato dal medico, optando invece per la farmacia. L'iniziativa dovrebbe essere votata oggi dalla British Medical Association (Bma). Secondo i rappresentati dei camici bianchi di famiglia, l'obiettivo è far riflettere i pazienti sul reale bisogno del medico, suggerendo che la loro richiesta può essere soddisfatta anche da una farmacia. Inoltre, si potrebbe liberare il dottore dalle visite inutili e aumentare il tempo da dedicare a chi ha davvero bisogno di un consulto. «Ai tempi dei nostri nonni andavi dal dottore solo se eri veramente malato. Oggi vai dal medico per problemi molto semplici», spiega sul Daily Mail Mike Foster del Gloucestershire Local Medical Committee, che rappresenta 600 medici di famiglia di quell'area. La proposta arriva dopo che un sondaggio curato da Ipsos Mori Research Highlights ha svelato come il 70% dei cittadini sia d'accordo con la proposta di un ''balzello'' per diminuire le visite inutili dal medico di famiglia.

Al mio paziente ignoto

(di Atul Gawande, New Yorker 2 giugno 2018)   Il principio fondamentale della medicina, da molti secoli a questa parte, è che tutte le vite hanno lo stesso valore. Non sempre noi che ci occupiamo di medicina teniamo fede a questo principio. Lo sforzo per colmare il divario tra aspirazione e realtà ha occupato l'intero corso della storia. Ma quando questo divario viene messo in luce - quando si scopre che alcuni vengono curati peggio di altri, o non vengono curati affatto, perché non hanno soldi o le conoscenze giuste, per la loro estrazione sociale, perché hanno la pelle scura o un cromosoma X in più - quanto meno ci vergogniamo. Al giorno d'oggi non è per niente facile sostenere che tutti siano ugualmente degni di rispetto. Eppure non è necessario provare simpatia o fiducia nei confronti di una persona per credere che la sua vita meriti di essere difesa. Pensare che tutte le vite abbiano lo stesso valore significa riconoscere che c'è un nucleo comune di umanità. Se non si è aperti all'umanità delle persone, è impossibile curarle in modo adeguato. E per vedere la loro umanità bisogna mettersi nei loro panni. Ciò richiede la disponibilità a domandare alle persone come si trovano, in quei panni. Richiede curiosità nei confronti degli altri e del mondo. Viviamo in un momento pericoloso, in cui ogni genere di curiosità - scientifica, giornalistica, artistica, culturale - è sotto attacco. Questo succede quando rabbia e paura diventano emozioni prevalenti. Sotto la rabbia e la paura c'è spesso la sensazione fondata di essere ignorati e inascoltati, l'impressione diffusa che agli altri non importi come si sta nei nostri panni. E allora perché offrire la nostra curiosità a qualcun altro? Nel momento in cui perdiamo il desiderio di capire - di lasciarci sorprendere, di ascoltare e testimoniare perdiamo la nostra umanità.  (articolo ripreso da Giovanni De Mauro, su 'Internazionale' n.1260, 15/21 giugno 2018).                 

Tatuaggi, nelle persone immunodepresse possibili gravi complicanze

(da Doctor33)    Fare un tatuaggio può avere complicazioni inattese se il sistema immunitario non è completamente a punto, secondo un articolo pubblicato su BMJ Case Reports. «È improbabile che i pazienti discutano di volersi fare un tatuaggio con il loro medico. I pazienti immunodepressi a lungo termine sono spesso giovani adulti che potrebbero valutare la possibilità di farne uno, ed è noto che siano a maggior rischio di infezione, comprese le infezioni micobatteriche cutanee. Rappresentano quindi un gruppo che è potenzialmente a rischio più elevato di complicanze legate al tatuaggio e merita un'attenzione particolare» spiegano William Thomas Wilson, Mannix O'Boyle e William Leach, dello NHS Greater Glasgow and Clyde, Glasgow, autori del documento. I tre medici hanno gestito una paziente per dolore cronico all'anca sinistra, al ginocchio e alla coscia alcuni mesi dopo essere stata tatuata. La donna era stata in trattamento con farmaci immunosoppressori per diversi anni dopo aver ricevuto un doppio trapianto di polmone nel 2009. La paziente, che aveva già fatto un tatuaggio parecchi anni prima alla gamba destra senza alcun effetto negativo, ha deciso di farne un altro alla coscia sinistra, e dopo nove giorni ha sviluppato dolore al ginocchio sinistro e alla coscia, con necessità di forti antidolorifici. Dopo 10 mesi, ancora sofferente, si era rivolta a una clinica reumatologica, ma i test a cui si è sottoposta sono risultati negativi.  In seguito, una biopsia del muscolo della coscia ha rivelato che soffriva di una miopatia infiammatoria cronica muscolare. Questa patologia può insorgere spontaneamente, ma in questo caso i medici ritengono che sia stata probabilmente collegata al processo del tatuaggio stesso, con effetti aggravati da un sistema immunitario compromesso. Trattata con fisioterapia, la donna dopo tre anni non ha più avuto dolore. «Riconosciamo che non ci sono prove per dimostrare in modo definitivo l'effetto causale, ma i tempi di insorgenza e la localizzazione dei sintomi erano ben correlati con il tatuaggio e non c'erano altri fattori identificati che potessero causare la malattia» scrivono gli autori. Non è chiaro in che modo il tatuaggio possa aver contribuito ai sintomi, ma è noto che il tipo di inchiostro o colorante utilizzato nei tatuaggi possa causare reazioni, in particolare se non viene utilizzato un materiale adatto. (BMJ Case Rep. 2018. doi: 10.1136/bcr-2018-224968 https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/29914878

Bere 4 tazze di caffè al giorno fa bene al cuore

(da DottNet)   Bere 4 tazze di caffè al giorno fa bene: aiuta a proteggere dai danni le cellule cardiovascolari.  E' quanto emerge da uno studio tedesco pubblicato su Plos Biology. I ricercatori della Heinrich-Heine-University e dello Iuf-Leibniz Research Institute di medicina ambientale di Duesseldorf sono arrivati a capirne il perché. La caffeina, infatti, promuove il movimento della P27, una proteina regolatrice nei mitocondri (le centrali energetiche della cellula), migliorando la loro funzione e proteggendo così le cellule cardiovascolari dai danni.   Le quattro tazze di caffè quotidiane hanno sviluppato la capacità funzionale delle cellule endoteliali (che rivestono l'interno dei vasi sanguigni) con un effetto diretto nei mitocondri, che proteggono le cellule del muscolo cardiaco dalla morte. Tutto ciò è innescato dalla caffeina, il cui effetto protettivo è stato dimostrato contro i danni del cuore nei topi pre-diabetici, obesi e nei topi anziani. "Questi risultati dovrebbero portare a strategie migliori per proteggere il muscolo cardiaco da danni, inclusa la considerazione del consumo di caffè o di caffeina come fattore dietetico addizionale nella popolazione anziana. Inoltre, l'aumento del P27 mitocondriale potrebbe servire come una potenziale strategia terapeutica non solo nelle malattie cardiovascolari ma anche nel miglioramento della salute", ha commentato Judith Haendeler, della facoltà di medicina della Heinrich-Heine-University.

Circonferenze addominali eccessive e deficit di vitamina D

(da :M.D.Digital)  Nei soggetti obesi gli elevati livelli di adiposità a livello addominale si associano a livelli più bassi di vitamina D, secondo i dati presentati a Barcellona alla riunione annuale dell'European Society of Endocrinology, ECE 2018. E questo suggerisce l'opportunità che in questi soggetti si provveda a monitorare i livelli di vitamina D in modo da evitare che si manifestino gli effetti negativi di uno stato carenziale.  Le stime indicano che a livello globale l'obesità provoca 2.8 milioni di morti all'anno mentre il deficit di vitamina D è in genere associato a una compromissione della salute ossea, a rischi più elevati di infezioni acute del tratto respiratorio, malattie autoimmuni e malattie cardiovascolari. Il legame tra bassi livelli di vitamina D e obesità era già stato segnalato, ma ancora non si disponeva di informazioni relative a quale tipo di deposito adiposo e a quale localizzazione fosse dovuta la correlazione.   In questo studio i ricercatori del VU University Medical Center e del Centro medico universitario di Leiden nei Paesi Bassi hanno esaminato come la quantità di grasso corporeo totale e quella grasso addominale - misurata nei partecipanti allo studio sull'epidemiologia dell'Obesità dei Paesi Bassi - si correlava ai loro livelli di vitamina D. Dopo aggiustamento dei dati per una serie di possibili fattori confondenti, tra cui malattie croniche, assunzione di alcol e livelli di attività fisica, hanno scoperto che le quantità di grasso sia totale che addominale erano associate a livelli più bassi di vitamina D nelle donne, ma che era la localizzazione a livello addominale ad avere un impatto maggiore: in tutti i casi maggiore è la quantità di grasso in questa sede, minori sono i livelli di vitamina D rilevata.  Le future direzioni della ricerca saranno indirizzate allo studio dei meccanismi in grado di spiegare questa forte associazione, per verificare se sia la carenza di vitamina D a favorire l'accumulo di grasso addominale o se sia vero il contrario. (Rafiq R, et al. Associations of different body fat deposits with serum 25-hydroxyvitamin D concentrations. Endocrine Abstracts 2018; 56 OC6.5; DOI: 10.1530/endoabs.56.OC6.5)

Una dieta sana riduce significativamente la gengivite

(da Odontoiatria33)  Secondo uno studio che verrà presentato a "EuroPerio9", il principale congresso mondiale in parodontologia e implantologia, una dieta sana di solo quattro settimane può ridurre significativamente la gengivite (1). La gengivite è l'infiammazione delle gengive. Gengive sanguinanti, gonfie e difficoltà a masticare sono i principali sintomi della gengivite. Se non trattata, può sfociare in parodontite. La gengivite ha molte cause, tra le quali la principale è l'accumulo di batteri negli spazi tra le gengive e i denti.  "Ricerche precedenti (2) hanno mostrato come interventi sulla dieta abbiano un effetto pronunciato sull'infiammazione gengivale. Questi studi infatti non hanno mostrato alcuna correlazione tra la placca e l’infiammazione gengivale, e questo è piuttosto rivoluzionario. Tuttavia, i meccanismi biologici alla base del processo sono ampiamente sconosciuti.  Poiché sappiamo che esiste un'associazione tra i parametri infiammatori sistemici come CRP, IL-6 e TNF-a, abbiamo voluto scoprire come una dieta ottimizzata per la salute orale possa influenzare sia l'infiammazione parodontale sia quella sistemica ", ha spiegato l'autore principale, il dott. Johan Wölber, del Dipartimento di Odontoiatria Operativa e Parodontologia, Centro di Medicina Dentale, Centro Medico Universitario di Friburgo, Germania. "Per fare ciò, abbiamo condotto uno studio clinico randomizzato utilizzando il disegno del nostro precedente studio (2) su un gruppo di pazienti a cui abbiamo chiesto di seguire una dieta speciale a basso contenuto di carboidrati e proteine animali, ma ricca di acidi grassi Omega 3, vitamine C e D, antiossidanti, nitrati e fibre vegetali", ha affermato il dott. Wölber.  "Le persone del gruppo controllo non hanno invece cambiato le loro abitudini alimentari, seguendo una dieta occidentale comune, ricca di carboidrati raffinati, acidi grassi saturi e di micronutrienti a basso contenuto di alcol. Abbiamo chiesto ad entrambi i gruppi di non usare alcun dispositivo per la pulizia interdentale durante lo studio. Abbiamo poi valutato i parametri clinici parodontali e i parametri infiammatori sistemici all’inizio e dopo quattro settimane." Commentando i risultati, il dott. Wölber ha dichiarato: "Siamo rimasti stupiti nello scoprire che -dopo solo quattro settimane - una dieta sana riduceva sostanzialmente l'infiammazione delle gengive. Nel complesso, abbiamo riscontrato, che senza pulizia interdentale, si otteneva nel gruppo test una significativa riduzione della gengivite di circa il 40%, che era, come nel precedente studio, significativamente diversa dal gruppo controllo. Per quanto riguarda i parametri sierologici, non abbiamo riscontrato differenze tra il gruppo di controllo e quello sperimentale, ad eccezione di un aumento significativo della vitamina D nel gruppo che mangiava in modo sano. In altre parole, una dieta ottimale sembra influenzare la gengivite precoce, prima che si instauri l'infiammazione sistemica”.   Alla domanda sui prossimi passi, il dott. Wölber ha dichiarato che spera di convalidare queste scoperte in studi più ampi, per un periodo più lungo. "Effettueremo anche analisi sul microbioma, per vedere cosa succede alla placca sopra e sotto-gengivale“.  Riguardo al messaggio "da portare a casa" per pazienti e professionisti, il dott. Wölber ha dichiarato: "Per i pazienti, sembra chiaro che la dieta occidentale promuova l'infiammazione. Questo studio dimostra che un cambiamento nella dieta è un bene per i pazienti con gengivite, ma può anche rivelarsi favorevole per i pazienti con parodontite. La dieta ottimale consiste nell'evitare i carboidrati raffinati (come zucchero o farina bianca) e gli acidi grassi saturi ed aumentare i micronutrienti da piante, vitamina D, acidi grassi Omega-3, fibre e nitrati vegetali.  A causa del basso contenuto di carboidrati raffinati, questa dieta aiuta anche a prevenire la carie e favorisce la perdita di peso." Il dott. Wölber ha concluso: "I professionisti della salute orale dovrebbero sentirsi sicuri nel raccomandare una dieta sana ai loro pazienti, nello stesso modo in cui promuovono l'igiene orale, perché andrà a beneficio sia della salute orale che generale".

(1) EuroPerio9 abstract PD019: The effect of an oral health optimised diet on periodontal and serological parameters. A randomized controlled trial. Johan Wölber. Session on Adjunctive Periodontal Therapies, 20 June 2018, at 15:45 CEST.

2) Woelber, J. et al. (2016). An oral health optimized diet can reduce gingival and periodontal inflammation in humans - a randomized controlled pilot study. BMC Oral Health. 17. 28. 10.1186/ s12903-016-0257-1.)

La Ausl Romagna si attiva per garantire più sicurezza nelle sedi di Continuità Assistenziale

Facendo seguito alla formale richiesta fatta dal nostro Presidente nel corso di una riunione con i Presidenti OMCeO Romagna, seguita da una ulteriore comunicazione di solllecito, la Azienda Ausl Romagna, nella persona del D.G. Marcello Tonini, risponde con la comunicazione in allegato alle preoccupazioni sollevate dagli Ordini sulla sicurezza degli operatori sanitari nelle strutture aziendali ed in particolare nelle sedi di Continuità Assistenziale.

Sicurezza

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