Privacy, ecco che cosa rischiano i medici che pubblicano immagini dei pazienti senza consenso

(da Doctor33.it)  La diffusione non autorizzata di immagini o video dei pazienti da parte dei medici costituisce una violazione della normativa sulla privacy e può comportare sanzioni amministrative e penali. Secondo il Regolamento Generale sulla Protezione dei Dati (Gdpr), le informazioni relative alla salute sono considerate dati sensibili e la loro divulgazione senza il consenso esplicito dell’interessato è vietata. Il Garante per la protezione dei dati personali ha ribadito che tali dati possono essere comunicati a terzi solo sulla base di un idoneo presupposto di legge o su delega scritta dell’interessato, e in ogni caso non possono mai essere diffusi.  In ambito deontologico, il Codice di Deontologia Medica impone ai professionisti sanitari il rispetto della riservatezza dei pazienti, in particolare dei dati inerenti alla salute e alla vita sessuale. Il medico deve assicurare la non identificabilità dei soggetti coinvolti nelle pubblicazioni o divulgazioni scientifiche di dati e studi clinici.  Le sanzioni per la violazione della privacy dei pazienti possono variare. Ad esempio, il Garante ha sanzionato un centro di medicina estetica con una multa di 8.000 euro per aver pubblicato su un profilo social un video in cui il volto di un paziente era riconoscibile, senza che questi avesse rilasciato uno specifico consenso alle riprese e alla relativa diffusione. In un altro caso, un medico è stato multato di 14.000 euro per aver pubblicato su Internet i dati sensibili di un paziente senza il suo consenso.   È fondamentale che i professionisti sanitari prestino particolare attenzione nel diffondere immagini e informazioni riferite a casi clinici per scopi divulgativi o scientifici. Prima di farlo, è necessario accertarsi che il paziente sia stato preventivamente informato, abbia dato il proprio specifico consenso o che i suoi dati siano stati resi anonimi.

Tonnellate di antibiotici inquinano i fiumi del mondo

(da AGI)  Migliaia di tonnellate di antibiotici inquinano i fiumi del mondo, mettendo a rischio un numero elevatissimo di ecosistemi. È quanto emerge da uno studio guidato dalla McGill University, e pubblicato su ‘Pnas Nexus’.   Il consumo umano di antibiotici è aumentato del 65% tra il 2000 e il 2015. Questi farmaci non vengono completamente metabolizzati durante il passaggio attraverso l”organismo, né completamente distrutti o rimossi dalla maggior parte degli impianti di trattamento delle acque reflue. Gli autori della nuova ricerca hanno calcolato che gli esseri umani in tutto il mondo consumano circa 29.200 tonnellate dei 40 antibiotici più utilizzati. Dopo il passaggio nel nostro corpo e il trattamento delle acque reflue, stimano che 8.500 tonnellate (il 29% del consumo) raggiungono i sistemi fluviali mondiali e 3.300 tonnellate (l”11%) arrivano negli oceani o nei pozzi interni (come laghi o bacini idrici).  Sebbene le quantità totali di residui di antibiotici si traducano in concentrazioni molto piccole nella maggior parte dei fiumi – il che rende i farmaci molto difficili da rilevare – l”esposizione ambientale cronica a queste sostanze può comunque rappresentare un rischio assai serio. Gli antibiotici nei fiumi e nei laghi possono ridurre la diversità microbica, aumentare la presenza di geni resistenti agli antibiotici e influire sulla salute di pesci e alghe. Gli autori hanno calcolato che i livelli di antibiotici siano sufficientemente elevati da creare un potenziale rischio per gli ecosistemi acquatici e per la resistenza agli antibiotici in condizioni di bassa portata (ovvero, in periodi di minore diluizione) su 6 milioni di chilometri di fiumi. Corsi d”acqua con elevate concentrazioni si trovano in tutti i continenti, con le regioni più colpite situate nel Sud-est asiatico. L”amoxicillina è l”antibiotico che si trova più spesso a concentrazioni ad alto rischio ed è l”antibiotico più consumato al mondo.  Gli autori osservano che questa versione del loro modello non include gli antibiotici somministrati al bestiame, né gli scarti della produzione farmaceutica. Tuttavia, i risultati mostrano che l”inquinamento da antibiotici nei fiumi derivante dal solo consumo umano è già un problema critico. Secondo gli autori, sono urgentemente necessari programmi di monitoraggio e strategie per gestire la contaminazione da antibiotici dei corsi d”acqua, soprattutto nelle aree a rischio.

Intelligenza artificiale applicata alla telemedicina: le prospettive nel medio e lungo termine

(da MSN Salute)      Per funzionare al meglio, telemedicina, fascicolo sanitario ed ecosistema dei dati sanitari richiederanno l’implementazione di sistemi basati sull’intelligenza artificiale. Lo sottolinea Sergio Pillon, vicepresidente e responsabile relazioni istituzionali di Aisdet (Associazione Italiana della Sanità Digitale e Telemedicina), che in un’intervista descrive in che modo l’intelligenza artificiale potrà dare supporto alla pratica clinica, nel medio e nel lungo periodo.

In che modo l’intelligenza artificiale trasformerà la pratica clinica?

Oggi, quando si pensa all’Intelligenza artificiale, si pensa a sistemi come chatGPT che, interrogati dalle persone in merito a determinati disturbi, danno una serie di risposte. Per quanto il sistema stesso sottolinei che non è un medico, alla fine elenca i vari rimedi, ma la cosa grave è che non chiede quanti anni ha il paziente, se è maschio o femmina, quanto pesa, che medicine assume o che allergie ha. Ovviamente, non è questa l’intelligenza artificiale che sarà applicata alla pratica clinica nel prossimo futuro.  Quella che sta arrivando è prima di tutto un’intelligenza artificiale di supporto al medico nella diagnosi, con sistemi in grado, per esempio, di analizzare tre anni di esami fatti da un paziente e dire se la persona è a rischio di sviluppare nel medio e lungo periodo determinate patologie. Tutto questo prendendo in considerazione parametri come età, sesso e fattori di rischio, per guidare le persone verso un determinato percorso diagnostico. Quindi l’intelligenza artificiale, che per funzionare ha bisogno dei dati, sarà uno strumento di grande supporto alla diagnosi.

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Medici di famiglia in pensione un anno più tardi?

(da ilmessaggero.it)   I medici di famiglia potranno andare in pensione più tardi. Ha ricevuto disco verde l’emendamento della Lega al decreto Pa che apre alla possibilità per i medici di base di lavorare fino a 71 anni. «Le aziende del Servizio sanitario nazionale, fino al 31 dicembre 2026, possono prorogare, con il consenso degli interessati e comunque non oltre un anno successivo al raggiungimento del limite di età previsto dalla legge, il rapporto con il personale medico in regime di convenzionamento con il Ssn», così recita l’emendamento inserito nella legge di conversione del provvedimento.     La Federazione italiana dei medici di medicina generale (Fimmg) prevede che 7.345 medici di base raggiungeranno tra il 2024 e il 2027 il limite di età per la pensione fissato a 70 anni. Oggi mancano sul territorio più di 5.500 medici di medicina generale. Non sorprende perciò che in molte regioni, soprattutto quelle più grandi, la ricerca di un medico di famiglia sia diventata una caccia al tesoro. E a fronte degli oltre settemila pensionamenti che la Fimmg vede arrivare la situazione rischia di peggiorare ulteriormente, anche perché i giovani medici che scelgono di intraprendere questo tipo di carriera sono diventati una manciata. Ogni cittadino iscritto al Ssn ha diritto però a essere assistito da un medico di base, attraverso il quale poter accedere a servizi e prestazioni inclusi nei Lea, i livelli essenziali di assistenza.

Vaccinazione contro l’herpes zoster: una possibile strategia per ridurre il rischio di demenza

(da pharmastar.it)    Uno studio pubblicato su Nature ha offerto nuove evidenze sul possibile legame tra il virus dell’herpes e lo sviluppo della demenza, analizzando l’effetto della vaccinazione contro l’herpes zoster – utilizzata per prevenire il fuoco di Sant’Antonio e la nevralgia post-erpetica – sulla riduzione del rischio di questa patologia neurodegenerativa. I ricercatori hanno osservato che la somministrazione del vaccino era associata a una diminuzione del 20% della probabilità di ricevere una diagnosi di demenza, con un effetto più pronunciato nelle donne rispetto agli uomini.   Questi risultati rafforzano l’ipotesi che alcuni vaccini possano avere effetti immunologici off-target, influenzando processi biologici al di là della loro indicazione primaria.
Un’opportunità unica per valutare l’impatto dell’immunoprofilassi
Lo studio – coordinato da Pascal Geldsetzer, Dipartimenti di Medicina ed Epidemiologia e Salute della Popolazione, Università di Stanford in California – ha sfruttato una condizione unica presente in Galles, dove l’assegnazione del vaccino contro l’herpes zoster è stata determinata rigidamente in base alla data di nascita.   Gli individui nati prima del 2 settembre 1933 risultavano esclusi per tutta la vita, mentre coloro che erano nati a partire da questa data potevano ricevere il vaccino per almeno un anno.  Questa distinzione ha consentito ai ricercatori di confrontare gruppi di persone pressoché identiche per caratteristiche generali, con l’unica differenza rappresentata dalla possibilità di ricevere o meno il vaccino.  L’analisi dei dati sanitari elettronici ha mostrato che la vaccinazione era estremamente limitata tra coloro che erano nati prima del 2 settembre 1933, con una copertura dello 0,01%. Al contrario, tra chi era nato appena dopo quella data, la percentuale di vaccinati saliva al 47,2%. Questa netta differenza ha fornito un’opportunità ideale per valutare gli effetti del vaccino, riducendo al minimo le interferenze derivanti da fattori confondenti.
Analisi statistica rigorosa con risultati affidabilità
Attraverso un approccio basato sulla regressione a discontinuità, i ricercatori hanno esaminato la probabilità di ricevere una nuova diagnosi di demenza nel corso dei sette anni successivi alla vaccinazione. I risultati hanno evidenziato una riduzione del rischio di 3,5 punti percentuali, corrispondente a una diminuzione relativa del 20%. Inoltre, l’effetto protettivo risultava più marcato tra le donne, suggerendo possibili differenze di risposta immunitaria tra i sessi.  Per confermare la validità di questi risultati, gli studiosi hanno ampliato l’analisi includendo un’altra popolazione, quella combinata di Inghilterra e Galles, e hanno utilizzato un set di dati differente: i certificati di morte.
Questa ulteriore verifica ha mostrato una correlazione tra la vaccinazione contro l’herpes zoster e una ridotta incidenza di decessi con demenza indicata come causa principale, suggerendo che l’effetto del vaccino non si limitava alla prevenzione della diagnosi, ma poteva avere un impatto più ampio sulla progressione della malattia.  Nuovo tassello nella comprensione del legame tra herpesvirus e neurodegenerazione   L’ipotesi che i virus neurotropici, come quelli della famiglia degli herpesvirus, possano contribuire allo sviluppo della demenza è stata oggetto di crescente interesse scientifico negli ultimi anni. Alcuni studi hanno suggerito un possibile ruolo dell’infezione virale nella neuroinfiammazione, un processo che potrebbe favorire l’accumulo di proteine anomale nel cervello e la degenerazione dei neuroni.
Questo nuovo studio rafforza tali ipotesi, fornendo prove più solide che indicano una possibile interazione tra la risposta immunitaria indotta dalla vaccinazione e i meccanismi biologici alla base della demenza.  Grazie all’utilizzo di un esperimento naturale che ha ridotto le interferenze derivanti da fattori confondenti, i ricercatori hanno potuto fornire evidenze più robuste rispetto agli studi precedenti basati su associazioni statistiche.  Se ulteriori ricerche confermeranno questi risultati, la vaccinazione contro l’herpes zoster potrebbe rappresentare una strategia preventiva complementare per ridurre il rischio di demenza nelle popolazioni anziane.
(Eyting M, Xie M, Michalik F, Heß S, Chung S, Geldsetzer P. A natural experiment on the effect of herpes zoster vaccination on dementia. Nature. 2025 Apr 2. doi: 10.1038/s41586-025-08800-x. Epub ahead of print)

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