Le persone “gufo” muoiono prima di quelle “allodole”

(da AGI)  Coloro che tendono ad andare a letto tardi la sera e a svegliarsi tardi la mattina, i cosiddetti "gufi", hanno un rischio maggiore di morire prima delle "allodole", cioè delle persone che hanno una naturale preferenza ad andare dormire presto e alzarsi prima. Lo ha scoperto un nuovo studio della Northwestern Medicine e dell'Università del Surrey nel Regno Unito (Regno Unito), pubblicato sulla rivista 'Chronobiology International'. Lo studio, che ha preso in esame i dati di quasi mezzo milione di britannici, ha rilevato che i gufi hanno il 10 per cento di rischio in più di morire rispetto alle allodole. In pratica, 50mila persone del campione analizzato avevano più probabilità di morire in un periodo di tempo analizzato dagli studiosi, di circa 6 anni e mezzo. "I nottambuli che cercano di vivere in un mondo di allodole possono avere conseguenze sulla salute del loro corpo", ha detto Kristen Knutson, professore associato di Neurologia alla Northwestern University Feinberg School of Medicine e una delle autrici dello studio. Precedenti studi su questo argomento si sono concentrati sui piu' alti tassi di disfunzione metabolica e malattie cardiovascolari tra i gufi, ma questo è il primo a considerare il rischio di mortalità. "Questo e' un problema di salute pubblica che non puo' piu' essere ignorato", ha detto Malcolm von Schantz, professore di cronobiologia all'Università del Surrey. "Dovremmo discutere di consentire ai tipi serali di iniziare e finire di lavorare più tardi, se possibile, e abbiamo bisogno di più ricerche su come possiamo aiutare i tipi serali a far fronte allo sforzo maggiore di mantenere il loro orologio biologico in sincronia con il tempo solare", ha aggiunto.

Le prescrizioni di statine non rispettano la parità di genere

(da M.D.Digital)   Meno della metà delle donne che hanno avuto un attacco cardiaco ricevono la prescrizione di una statina ad alta intensità, a testimoniare che il sesso femminile ha molte meno probabilità di ricevere un'adeguata prevenzione secondaria con farmaci che, a piena ragione, possono definirsi dei veri e propri salvavita. Il divario persistente nel trattamento delle malattie cardiache tra donne e uomini continua nonostante la dimostrata efficacia di questo tipo di prevenzione e i recenti sforzi per ridurre le differenze di trattamento fra i sessi.  
Leggi tutto

Sanità senza medici? Anche i giudici dicono ‘no’ Fnomceo: “Saremo curati da medici centenari”

La Federazione nazionale degli Ordini dei Medici Chirurghi e degli Odontoiatri (Fnomceo) esprime “amara soddisfazione” per le sentenze del Tar di Bari  (566, 569, 571, 572 del 2018, Seconda Sezione, presidente Adamo) che hanno bocciato le dotazioni organiche delle Asl approvate dalla giunta Vendola tra 2011 e 2012, e nei fatti tuttora vigenti, perché non garantiscono la presenza del numero minimo di medici necessari a coprire i Livelli essenziali di assistenza. In particolare, condivide il principio della sentenza secondo cui il vincolo finanziario «resta un mezzo, non certo il fine delle scelte politico-amministrative della Regione in materia sanitaria». Ancora durante l’ultimo Consiglio nazionale, la Federazione ha ribadito che la tutela del diritto alla salute dei cittadini si garantisce se il sistema sanitario persegue obiettivi di salute e non obiettivi di bilancio, come purtroppo è accaduto negli ultimi anni a causa di un modello aziendalista di gestione della Sanità. Con i risultati che tutti conosciamo: sempre meno medici, sempre più anziani, sempre più ‘sfruttati’. Sino ad arrivare, a breve, al collasso del sistema, che non sarà più in grado di garantire ai cittadini un’assistenza di qualità.
Leggi tutto

Troppo alcol accorcia la vita anche di 4-5 anni. Gli esperti: non bere più di un litro di vino o tre litri di birra a settimana

(da Quotidiano Sanità)   Sarebbero tutte da rivedere al ribasso le attuali soglie di sicurezza per il consumo di bevande alcoliche, stando ai risultati di una ricerca appena pubblicata su 'Lancet'   E forse andrebbero anche uniformati visto che gli attuali limiti raccomandati per il consumo di alcol sono molto diversi tra una nazione e l’altra.  Angela Wood (Dipartimento di Salute Pubblica, Università di Cambridge) e colleghi, allo scopo di definire meglio le soglie di sicurezza per il consumo di bevande alcoliche, cioè quelle associate al minor rischio di mortalità per tutte le cause e di malattie cardiovascolari, hanno analizzato i dati relativi a circa 600 mila bevitori attivi residenti in 19 nazioni ad alto reddito e senza pregresse patologie cardiovascolari.  
Leggi tutto

Le fake news sull’attività fisica. L’Iss smentisce dieci bufale

(da DottNet)  La sauna non scioglie i grassi, fare addominali non basta a ridurre la pancetta e chi ha l'artrosi dovrebbe fare, e non evitare, l'attività fisica. Le fake news corrono veloci sul web, per questo l'Istituto Superiore di Sanità (Iss) dedica a "Falsi miti e bufale" un'intera sezione sul nuovo portale di informazione online IsSalute.it. Tra vecchie e nuove credenze prive di prove scientifiche, queste sono le più frequenti in tema di attività fisica:
Leggi tutto

Metformina, le dosi sicure in pazienti con DMT2 e insufficienza renale cronica in stadio 3 e 4

(da Doctor33)   Sono stati appena pubblicati i risultati di uno studio in aperto, condotto presso un singolo centro, disegnato per testare la sicurezza della metformina nei pazienti con diabete mellito tipo 2 (DMT2) e insufficienza renale cronica (IRC). «Dopo oltre 60 anni, almeno in Europa, dall'ingresso nell'armamentario terapeutico del diabetologo, la metformina ancora oggi continua a essere a pieno titolo la terapia di prima scelta tra i farmaci per il trattamento del DMT2, quando ben tollerata e non controindicata» osserva Vincenzo Novizio della Commissione Farmaci AME(Associazione Medici Endocrinologi). «Malgrado anni di studio che non mostravano alcun aumento del rischio di acidosi lattica quando il farmaco veniva utilizzato in pazienti con IRC lieve-moderata, le linee guida ne vietavano l'uso una volta che la creatinina sierica raggiungeva 1.5 mg/dL negli uomini e 1.4 mg/dL nelle donne, in tal modo privando un notevole numero di pazienti di questo farmaco sicuro ed efficace». Dal 2016 la FDA è diventata più permissiva, prosegue Novizio, dando indicazioni sull'utilizzo del farmaco nei pazienti con DMT2 e IRC in relazione ai valori di velocità di filtrazione glomerulare stimata (eGFR): 1) > 60 mL/min: utilizzo libero; 2) 30-59 mL/min: riduzione del dosaggio; 3) < 30 mL/min: divieto.   Nello studio citato in apertura sono state condotte tre differenti analisi, ognuna con uno specifico obiettivo, spiega l'esperto. Primo: identificare la dose ottimale di metformina, dosandone le concentrazioni ematiche per una settimana dopo ciascun incremento di dose, nei pazienti con IRC di stadio 1-5. La dose ottimale di metformina per i pazienti con IRC è risultata: a) stadio 3A (eGFR 45-59): 1500 mg (500 mg la mattina e 1000 mg la sera); b) stadio 3B (eGFR 30-44): 1000 mg (500 mg la mattina e 500 mg la sera); c) stadio 4 (eGFR 15-29): 500 mg/die. Secondo: valutare se, monitorando mensilmente le concentrazioni ematiche di metformina, acido lattico e HbA1c, tali dosi di metformina permanessero ottimali a distanza di 4 mesi di terapia. Le concentrazioni di metformina sono rimaste stabili senza superare il limite di sicurezza di 5.0 mg/L e l'iperlattatemia (> 5 mmol/L) era assente (tranne che in un paziente con infarto del miocardio) e non ci sono state modificazioni dei livelli di HbA1c. Terzo: valutare i parametri farmacocinetici dopo la somministrazione di una singola dose di metformina in ciascuno dei tre stadi di IRC, 3A, 3B e 4. Gli autori dello studio non hanno osservato differenze significative nei parametri farmacocinetici tra i diversi stadi di malattia.  «Inoltre» riprende Novizio «gli autori sottolineano che nei pazienti con IRC in stadio 3 bisogna valutare l'eGRF ogni 6 mesi e bisogna sospendere la metformina nei pazienti con danno renale acuto. Infine, poiché le elevate concentrazioni plasmatiche del farmaco possono associarsi a iperlattatemia, nei pazienti fragili bisogna valutare il lattato» ovvero - riporta il diabetologo - se le concentrazioni sono > 5 mmol/L, bisogna sospendere la somministrazione di metformina mentre nei pazienti con livelli > 2.5 mmol/L, la misurazione deve essere ripetuta dopo poco tempo e la somministrazione di metformina deve essere interrotta dopo due misurazioni consecutive > 2.5 mmol/L. «Nel complesso» conclude Novizio «tali risultati supportano quanto indicato nelle recenti linee guida sull'utilizzo della metformina nei pazienti con DMT2 e IRC».

(Diabetes Care, 2018; 41: 547-53. doi: 10.2337/dc17-2231. https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/29305402)

Cassazione: la responsabilità del medico non si limita alla sua specialità

(da Doctor33)    Magari non proprio prescrivere l'esame di un'altra branca, ma raccomandarlo: questo deve fare uno specialista che ha escluso una patologia di sua competenza di fronte a un problema clinico che non si risolve, sulla base delle conoscenze delle linee guida ma anche perché la posizione di garanzia che da medico ha verso il paziente non si esaurisce con il fatto che quest'ultimo lo ha visto una volta sola. Con una recente sentenza la Cassazione dà così torto a un neurologo che non ha indagato anche con elettrocardiogramma il caso di una giovane donna affetta da perdite di coscienza transitorie. Il medico di famiglia l'aveva inviata per indagare una sospetta epilessia. Il neurologo aveva escluso tale patologia e sospettando crisi vagali aveva prescritto il Tilt test. Non ha indagato un possibile problema al cuore che invece alla fine ha portato a morte la ragazza dopo altre sincopi. Al momento del decesso, nel 2007, viene infatti accertata una cardiopatia aritmogena maligna che si sarebbe potuta rendere reversibile con un defibrillatore cutaneo. In 1° grado il neurologo, citato dai familiari della donna, è condannato anche per colpa grave, in appello la pena è estinta per prescrizione ma il medico è condannato a risarcire per colpa grave pagando una provvisionale di 70 mila euro. Gli si imputa di non aver prescritto un elettrocardiogramma a 12 derivazioni che avrebbe consentito una diagnosi differenziale rispetto a quella fatta di sincope neuromediata vasovagale, poi rivelatasi errata.   Il medico ricorre in corte d'appello, con i seguenti argomenti: lui non è il curante ma uno specialista interpellato per branca; non si desume un affidamento incondizionato della paziente a lui; l'ha visitata una volta e non ne è stato più ricontattato; ha chiesto il Tilt test convinto che la paziente avrebbe effettuato anche l'ecg. Lo specialista contesta la presunzione secondo cui uno specialista di una branca - neurologia - possa prescrivere un esame di altra branca - cardiologia. Ricorda che le società cardiologiche nel 2004 nelle loro raccomandazioni per queste sincopi includono il Tilt test. Ma il 3 novembre 2016 la Corte d'appello conferma la sentenza di primo grado definendo il Tilt test "esame di secondo livello a bassa sensibilità e specificità" e ricordando che anche da specialista inoltre il medico ha una posizione di garanzia verso il suo paziente: tale funzione non si interrompe perché la paziente non torna più. Senza essere "pressata" verso l'effettuazione dell'ecg dopo il test neurologico che escludeva patologie la paziente si sentì rassicurata e non approfondì. Secondo le Linee guida, sintetizza la Corte d'Appello, l'unico accertamento idoneo a escludere l'origine cardiaca delle sincopi era l'ecg, che, invece, non fu mai eseguito. Il medico viene condannato, e la condanna è stata ora confermata il 12 gennaio scorso in Cassazione con la sentenza numero 15178/2018. La Suprema Corte non solo conferma i margini di discrezionalità del giudice sulla scelta di linee guida validate per i casi concreti, ma ribadisce che non si può parlare di colpa lieve in caso di negligenza quale quella configurata da una diagnosi la cui incompletezza "determinò il successivo sviluppo degli eventi, con esito infausto per la donna". E cita il principio di causalità della colpa: il nesso tra un'omissione e un evento infausto non è determinato da un calcolo delle probabilità statistico, ma anche da un calcolo "logico" che a sua volta dev'essere fondato non solo su deduzioni logiche basate su generalizzazioni scientifiche, ma anche "su un giudizio induttivo elaborato sull'analisi della caratterizzazione del fatto storico e sulla particolarità del caso concreto".