Yoga e meditazione invertono invecchiamento cerebrale

(da AGI)  Un nuovo studio, pubblicato dai ricercatori del Massachusetts General Hospital e del Beth Israel Deaconess Medical Center, affiliati all''Università di Harvard, ha scoperto che le pratiche avanzate di yoga e meditazione possono invertire l''invecchiamento cerebrale in media di circa 5,9 anni. Pubblicato sulla rivista Mindfulness, lo studio è stato accolto con entusiasmo in vista della Giornata internazionale dello yoga delle Nazioni Unite Lo studio si è concentrato su individui che hanno partecipato al Samyama Sadhana, un ritiro intensivo di yoga e meditazione ideato dallo yogi indiano Sadhguru e offerto dalla Fondazione Isha. Utilizzando scansioni EEG basate sul sonno, i ricercatori hanno scoperto che questi meditatori esperti avevano un''età cerebrale significativamente più giovane rispetto alla loro età cronologica. I risultati principali dello studio hanno dimostrato che il cervello dei meditatori esperti appare più giovane di 5,9 anni rispetto alla loro età effettiva, il che indica un rallentamento, se non un''inversione, del processo di invecchiamento cerebrale. Inoltre, la qualità del loro sonno è migliorata, con un sonno più profondo e rigenerante che favorisce il benessere cerebrale: presentavano una memoria più acuta, un pensiero più chiaro e provavano meno stress e solitudine rispetto ad altre persone della loro età.  

Salute mentale. In Europa la situazione è allarmante.

Una persona su 6 soffre di un disturbo, ma una su 3 non riceve cure adeguate. Firmata a Parigi una dichiarazione congiunta tra 31 Paesi affinché la salute mentale “sia priorità in tutte le politiche pubbliche”. L’obiettivo è ambizioso: fare in modo che il benessere psicologico diventi una componente strutturale e trasversale di tutte le decisioni politiche, indipendentemente dal settore di riferimento, che si tratti di sanità, istruzione, giustizia, urbanistica o cultura. Leggi L'articolo completo al LINK https://www.quotidianosanita.it/studi-e-analisi/articolo.php?articolo_id=130350&fr=n  

Aspirina e prevenzione del tromboembolismo venoso

(da Univadis)  Il tromboembolismo venoso (TEV) comprende la trombosi venosa profonda e l’embolia polmonare (EP) ed è una complicanza nota e potenzialmente fatale dopo un trauma ortopedico, ma anche in altre condizioni ad alto rischio come l’immobilizzazione prolungata, le neoplasie maligne, i traumi, l’obesità e le patologie critiche con necessità di terapia intensiva.   Le linee guida cliniche raccomandano la terapia trombo-profilattica con eparina a basso peso molecolare o metodi di compressione meccanica per ridurre il rischio di morte e complicanze associate a TEV dopo lesioni ortopediche traumatiche, con raccomandazioni sulla durata del trattamento post-dimissione variabili in base al tipo di intervento chirurgico.   La recidiva di TEV può verificarsi dopo l'interruzione della terapia anticoagulante, anche successivamente al trattamento a lungo termine raccomandato di almeno tre mesi, per un rischio tromboembolico che spesso persiste oltre il periodo standard di terapia antitrombotica. L’aspirina, secondo quanto suggeriscono i risultati di recenti studi e metanalisi, potrebbe rappresentare un'alternativa efficace alla trombo-profilassi con eparina a basso peso molecolare nei pazienti sottoposti ad artroplastica totale, con un profilo di sicurezza più favorevole. I risultati dello studio pragmatico PREVENT CLOT hanno rafforzato questa ipotesi dimostrando, nei pazienti con fratture degli arti trattate chirurgicamente o con qualsiasi frattura pelvica o acetabolare, come la trombo-profilassi con aspirina non fosse inferiore all'eparina a basso peso molecolare nel prevenire la mortalità e fosse associata a una bassa incidenza di TEV e EP, con una bassa mortalità a 90 giorni. Tuttavia, in letteratura esistono dati contrastanti riguardo al reale profilo rischio-beneficio dell'aspirina nella prevenzione del TEV. Ruolo dell’aspirina nella prevenzione del TEV Uno studio di revisione e metanalisi ha identificato inizialmente 5.527 report, di cui 5.522 sono stati esclusi, lasciando 5 RCT da includere, per un totale di 68.554 pazienti, di cui 34.274 sono stati assegnati al trattamento con aspirina e 34.280 al controllo con placebo. L'endpoint primario della meta-analisi era l'incidenza di TEV sintomatica di nuova diagnosi, inclusi TVP ed EP. Gli endpoint secondari includevano mortalità per tutte le cause, mortalità cardiovascolare, mortalità correlata a TEV, sanguinamenti maggiori e altri esiti di sicurezza come ictus, ictus emorragico ed eventi avversi cardiovascolari maggiori. Sintesi dei risultati della metanalisi L'aspirina (100-160 mg) ha ridotto il rischio di TEV del 20%, di TVP del 18%, di EP del 21% e di mortalità correlata a TEV del 56% rispetto al placebo. L'aspirina a basso dosaggio (100 mg) non ha ridotto significativamente la TEV, la TVP o l'EP rispetto al placebo. L'aspirina (100-160 mg) è stata associata a un aumento del sanguinamento complessivo del 13% e del sanguinamento maggiore del 18%, senza aumentare i tassi di trasfusione, rispetto al placebo. Anche l'aspirina a basso dosaggio (100 mg) ha aumentato il rischio di sanguinamento nel contesto della prevenzione della TEV rispetto al placebo. L’analisi del rapporto NNTB/NNTH (number needed to treat to benefit and to harm) per livelli di rischio basale basso, moderato e alto ha confermato un profilo beneficio/rischio favorevole della terapia prolungata con aspirina nella prevenzione del TEV. Punti di attenzione per la pratica  La terapia prolungata con aspirina (da 100 a 160 mg) riduce significativamente il rischio di TEV, TVP ed EP rispetto al placebo, soprattutto nella prevenzione primaria nei pazienti chirurgici. L'aspirina è efficace nel ridurre il rischio di TEV provocato, incluse TVP ed EP, e mostra un beneficio significativo per il TEV non provocato. L'aspirina a basso dosaggio (100 mg) non riduce significativamente il rischio di TEV, TVP o EP. L'aspirina non ha alcun impatto sulla mortalità complessiva o cardiovascolare, tuttavia riduce significativamente la mortalità correlata a TEV . L'uso di aspirina a qualsiasi dosaggio aumenta il rischio di sanguinamento, ma non aumenta il fabbisogno trasfusionale. L’aspirina, dai risultati della metanalisi, potrebbe avere un ruolo nella trombo-profilassi in pazienti selezionati, soprattutto quando l'anticoagulazione è controindicata o rifiutata. Tuttavia, l'aumentato rischio emorragico sottolinea l'importanza di un'attenta selezione e monitoraggio dei pazienti.