Turismo dentale. “Un rischio per la salute e la sicurezza dei pazienti”. Aio lancia l’allarme

(da Quotidiano Sanità)   “L’Associazione Italiana Odontoiatri (AIO) si oppone fermamente al fenomeno del turismo dentale: una pratica che apparentemente promette risparmio, ma che espone i pazienti a rischi significativi per la salute, la qualità delle cure e i propri diritti. È nostro dovere, come rappresentanti di una professione regolata da rigidi standard di qualità e sicurezza, sensibilizzare i cittadini sugli aspetti negativi di questa scelta, che troppo spesso si rivela un falso risparmio con gravi conseguenze a lungo termine”.  A lanciare l’allarme Vincenzo Musella, Segretario Culturale Nazionale AIO Presidente AIO Academy Turismo dentale: un risparmio che costa caro.A prima vista, il turismo dentale può sembrare una soluzione economica per ottenere cure odontoiatriche, ma questa visione è fuorviante” ha detto. I motivi? Costi nascosti: il prezzo inizialmente basso, ma spesso più alto di quello applicato ai cittadini locali, può aumentare considerevolmente a causa di eventuali complicazioni post-operatorie, viaggi ripetuti e correzioni necessarie una volta rientrati in Italia; qualità dei materiali: il costo ridotto delle cure in alcuni paesi può essere legato all’uso di materiali di bassa qualità o non certificati, con conseguenti rischi di infezioni, fallimenti del trattamento e danni permanenti, che non potranno essere risolti dove ci si è fatti curare; cure incomplete: le procedure odontoiatriche richiedono tempo e più fasi. Comprimere tutto in pochi giorni, come spesso accade nel turismo dentale, compromette la qualità e la precisione del lavoro.   Aio ribadisce quindi che i professionisti italiani operano in un contesto che garantisce: alta formazione professionale “gli odontoiatri italiani seguono un lungo percorso accademico e di aggiornamento continuo, sottoposti a rigorosi controlli. In molti paesi di destinazione del turismo dentale, tali standard non sono garantiti”; certificazione dei materiali: “i materiali utilizzati in Italia devono rispettare le normative europee e garantire la sicurezza del paziente. Questo non è sempre vero per le cliniche all’estero, dove i controlli possono essere meno rigorosi”. E ancora, igiene e sicurezza: “gli studi odontoiatrici italiani seguono protocolli stringenti di sterilizzazione e igiene, che in alcuni paesi potrebbero non essere rispettati o controllati da autorità indipendenti”. I rischi legali del turismo dentale  “Quando un paziente si rivolge a un odontoiatra in Italia – prosegue Musella – , gode di diritti e tutele precise, grazie a normative chiare e a un sistema di responsabilità professionale ben regolato. All’estero, invece, c’è poca protezione legale: è difficile, se non impossibile, ottenere risarcimenti in caso di errore medico o insoddisfazione per il trattamento ricevuto. Le normative differenti, ogni paese ha leggi diverse in merito alla responsabilità medica, il che rende complesso far valere i propri diritti in caso di controversie. Spesso poi i pazienti non conoscono la lingua locale, il che rende difficile comprendere i dettagli delle procedure o affrontare eventuali problemi legali”. Un approccio superficiale e pericoloso alla cura odontoiatrica  Le cure odontoiatriche non possono essere trattate come un servizio standardizzato da acquistare “al miglior prezzo”. La salute orale richiede: pianificazione personalizzata: ogni paziente ha esigenze specifiche che richiedono un approccio individualizzato, impossibile da garantire in un contesto di turismo dentale; continuità assistenziale: in caso di complicazioni o interventi successivi, il paziente deve poter contare sul proprio odontoiatra. Nel turismo dentale, questa continuità è assente; precisione e attenzione ai dettagli: le cure odontoiatriche di qualità non possono essere accelerate o ridotte a una visita frettolosa. Le conseguenze economiche e sociali del turismo dentale  Scegliere di rivolgersi a professionisti all’estero non danneggia solo il paziente, ma ha anche un impatto negativo sul sistema sanitario e sull’economia nazionale, sottolinea ancora Aio. Depauperamento del sistema sanitario nazionale: optare per cure all’estero riduce il sostegno economico agli odontoiatri italiani, che investono risorse nella formazione e nell’innovazione e che pagano le tasse in Italia rifinanziando anche la sanità pubblica. Perdita di fiducia nella professione: il turismo dentale alimenta la percezione che le cure italiane siano troppo costose, senza considerare il livello di qualità e sicurezza che offrono. Difficoltà per i giovani professionisti: rivolgersi all’estero penalizza soprattutto i giovani odontoiatri italiani, che faticano a emergere in un mercato già competitivo. AIO si impegna quindi a informare i cittadini promuovendo campagne di sensibilizzazione per far comprendere i rischi reali del turismo dentale. Sostenere la qualità delle cure italiane. Promuovere l’accessibilità economica: collaborando con istituzioni e partner per rendere le cure di qualità più accessibili, riducendo così l’attrattiva del turismo dentale.    “Il turismo dentale non è la soluzione – conclude – si tratta di una scorciatoia che compromette la sicurezza, la qualità e la serenità del paziente. AIO invita i cittadini a riflettere attentamente prima di affidare la propria salute orale a professionisti sconosciuti e a rinunciare alle garanzie offerte dal sistema odontoiatrico italiano. Scegliere un odontoiatra italiano significa scegliere competenza, sicurezza e rispetto per il paziente. AIO è al fianco dei cittadini per garantire cure di qualità e per proteggere la salute di tutti, senza compromessi”.

Convenzione tra UNIBO e OMCeO Forlì-Cesena per il tirocinio pratico valutativo del Corso di Laurea in Medicina e Chirurgia sede di Forlì

Nel corso della seduta consiliare di Martedì 14 Gennaio è stata presentata la Convenzione firmata tra il nostro Ordine e la Alma Mater Studiorum - Università di Bologna per la attivazione del tirocinio pratico valutativo di tutti gli studenti della Facoltà di Medicina e Chirurgia - Sede di Forlì. Il documento è consultabile in allegato. Ogni tirocinio pratico valutativo si svolge per un periodo anche non consecutivo di tre mesi: il laureando è impegnato un mese in Area Ospedaliera Chirurgica, un mese in Area Ospedaliera Medica, un mese, da svolgersi non prima del sesto anno di corso, nello specifico ambito della Medicina Generale. Il mese svolto nell’ambito della Medicina Generale deve tenersi presso l’ambulatorio di un medico di Medicina Generale avente i seguenti requisiti: almeno cinque anni di attività convenzionale, numero di assistiti nella misura almeno pari alla metà del massimale vigente, disponibilità di almeno tre mesi all'anno per la attività di tutoraggio. Ai fini dell’individuazione delle sedi di tirocinio (ambulatori di Medicina Generale), il nostro Ordine deve predisporre un elenco di medici di Medicina Generale disponibili alla attività di tutoraggio, che sarà tempestivamente comunicato alla Segreteria della Università di Bologna - Facoltà di Medicina e Chirurgia - Sede di Forlì, per iniziare le assegnazioni degli studenti tirocinanti. Invitiamo tutti i colleghi iscritti Medici di Medicina Generale a considerare attentamente la proposta della Università di Bologna e ad accettare l'inserimento nell'elenco dei medici tirocinanti, se possibile inviando l'adesione all'Ordine entro la fine del mese di Gennaio via email: info@ordinemedicifc.it

Quattro opzioni impopolari per cambiare il Sistema Sanitario Nazionale

(da Secondo Welfare)   Il Rapporto OASI 2024 del CERGAS SDA Bocconi non offre un quadro rassicurante sul futuro del SSN, ma propone alcune strade possibili per affrontare la situazione: governare le aspettative, proseguire con l’efficientamento, aumentare le risorse attraverso compartecipazioni e trasformare la geografia dei servizi.  La diagnosi è spietata: un servizio sanitario universalistico che riceve il 6,3% del PIL e che serve il secondo Paese più anziano al mondo non può riuscire a soddisfare i bisogni. Nel frattempo, in molti ambiti i servizi appaiono non seguire alcun criterio di priorità e la crescente distanza tra prescrizioni e capacità erogativa del Sistema Sanitario Nazionale (SSN)  disorienta cittadini e professionisti.   Partendo da questo quadro il Rapporto OASI 2024 del CERGAS, della SDA Bocconi, avanza quattro proposte di policy e management per affrontare la situazione. Opzioni che i coordinatori del Rapporto, Francesco Longo e Alberto Ricci, definiscono “tecnicamente realistiche, attuabili” ma largamente “impopolari”. Per questo la loro attuazione richiede “un parallelo lavoro per cambiare il public discourse”. Le criticità del SSN     Il Rapporto descrive anzitutto quelle che sono ritenute le quattro criticità strategiche principali del SSN. Queste, spiega il documento, sono largamente fuori dal dibattito mediatico e politico e soprattutto dalla consapevolezza dell’opinione pubblica. Una situazione che non fa altro che peggiorare le diverse problematiche. Situazione demografica     L’Italia è il secondo Paese più anziano al mondo dopo il Giappone, con un’incidenza degli over 65 sul totale della popolazione al 24%, in rapida ascesa al 30%. Questo comporta un trasferimento netto dalla fiscalità generale dello Stato all’INPS di 165 miliardi all’anno perché i contributi dei (pochi) lavoratori non sono sufficienti a coprire pensioni e spese assistenziali. Pertanto, è “difficile aumentare significativamente la spesa sanitaria pubblica”, spiega il Rapporto OASI. Allora “come erogare buoni servizi sanitari pur destinando alla sanità pubblica il 6,3% del PIL?”. Priorità casuali   Inevitabilmente, occorre definire e selezionare le priorità di intervento, ad esempio, rispetto ad aree di patologia, setting assistenziali o cluster di popolazione. La verità è però che oggi, “non essendoci all’opera alcun processo consapevole di selezione delle priorità, queste ultime emergono casualmente, senza nessun processo esplicito di valutazione capace di massimizzare il beneficio sociale ottenibile con le risorse date”. Oggi rischia di prevalere la logica della risposta a chi per primo accede al sistema, senza valutare se ciò corrisponde a una priorità o meno. “L’intera filiera istituzionale opera delle prioritizzazioni implicite e casuali”. Discrasia tra bisogni e consumi   Il Rapporto OASI osserva come considerando il regime SSN, comparando diverse tipologie di prestazioni, confrontando diverse regioni o territori di una stessa regione, si registrino differenze ampie nei volumi pro-capite, senza una relazione significativa con il quadro della domanda potenziale e dei bisogni. Oggi è il governo della produzione a dominare “l’agenda di policy, e di conseguenza, l’agenda manageriale”. Al contrario, “il governo della domanda risulterebbe decisamente più rilevante.” Distanza tra prescrizioni e capacità erogativa    Da rilevare, infine, che anche la produzione del SSN è scesa se paragoniamo il 2023 con il 2019, “soprattutto in ambito ambulatoriale (-8%), pur essendoci più medici in servizio nel SSN rispetto al periodo pre-Covid”. Eppure, le ricette tendono ad aumentare, ad esempio le prime visite prescritte da specialisti ospedalieri e MMG sono aumentate del 31% a fronte di un calo nelle prestazioni del 10%. Questo significa che un alto numero di ricette non trovano una risposta nel SSN. Del resto, il 48% delle visite specialistiche è ottenuta in regime privato, ricorda il Rapporto. Non solo: “I dati delle regioni che hanno analizzato questo fenomeno fanno intravedere che, nei territori dove sono maggiori le prescrizioni, sono spesso elevati anche i consumi pubblici per abitante, ovvero vi è una maggiore produzione in regime SSN, ma cresce anche la distanza tra prescritto ed erogato, e dunque si riscontrano le liste di attesa sostanziali maggiori”, spiega il Rapporto OASI. Ciò significa che senza aver riorganizzato le prescrizioni, la pressione sulle liste di attesa rischia di essere “controproducente rispetto agli obiettivi di appropriatezza, equità ed costo-efficacia clinica”. Quatto proposte impopolari per il SSN    Una analisi severa, dunque, laddove i coordinatori del Rapporto scrivono che l’Italia ha “da lungo tempo, preferito un sistema pensionistico generoso, bonus edilizi e una crescente enfasi sulla riduzione del cuneo fiscale all’incremento del fondo sanitario”. Dunque, quali sono le prospettive che restano per frenare la deriva attuale? - Governare le aspettative     Questo significa anzitutto “prendere consapevolmente atto” della scelta di finanziare in modo modesto il SSN, esplicitando senza mezzi termini cosa il servizio pubblico sia in grado di coprire e cosa no. In altre parole, allineare le aspettative dei cittadini alla realtà dei fatti. Una volta definiti i diritti esigibili e le aree di intervento, il SSN dovrebbe esplicitare quali siano i target prioritari. Ed esplicitare quali sono i criteri di accesso, “che dovrebbero essere diversi dalla disponibilità a pagare cifre davvero consistenti” come adesso capita in alcuni segmenti, come le residenze sociosanitarie. In questo modo, progressivamente, dovremmo determinare una convergenza tra il prescritto e l’erogabile dal SSN, attraverso maggiore chiarezza nei cittadini e nei professionisti. - Efficienza impopolare    Il SSN è su un sentiero di efficientamento da ormai 30 anni e “i ‘frutti bassi’ sono stati in gran parte colti”. Se si vuole proseguire sull’efficienza, allora, non resta che prendere la scala verso i rami alti dell’albero, dove le scelte sono politicamente costose perché impopolari. Un esempio? “Nella rete di offerta ospedaliera del SSN si contano ancora oltre 100 ospedali a gestione diretta con meno di 50 posti letto. Altrettanti sono tra i 50 e i 100 posti. Si tratta del 40% degli stabilimenti di ASL e ASST: è irrealistico pensare che tutti siano in condizioni di isolamento e che almeno una parte di essi non possa riorientare i propri servizi e il proprio personale sul versante territoriale”. Anche sul territorio è necessario riflettere, considerando che gli ambulatori e i laboratori SSN sono aumentati di 287 unità tra il 2019 e il 2022: il rapporto è ormai di circa 1 ogni 7.000 abitanti. - Compartecipazioni ridotte e capillari    Certo, si può sempre fare. Tuttavia, appare “poco plausibile economicamente e politicamente introdurre ulteriori prelievi dalle aree geografiche e dalle fasce sociali che già molto sostengono il Welfare”. In che modo, dunque, è possibile “articolare un sistema di ridotte, ma più capillari compartecipazioni, che riequilibri i contributi forniti e i benefici ottenuti tra cittadini-pazienti e SSN?”, si domandano gli esperti del CERGAS SDA Bocconi. - Trasformare la geografia dei servizi     Con un sistema ospedaliero “più asciugato e accentrato”, equipe mediche “itineranti tra stabilimenti ospedalieri”, una ampia diffusione di “servizi specialistici da remoto per pazienti che rimangono a casa o vanno in casa della comunità se non hanno una buona connessione”. Tenendo però presente che una tale modifica radicale implica “una trasformazione delle competenze professionali necessarie”. Indispensabile, “l’abbattimento di moltissimi dei silos professionali oggi presenti”. Appare necessario “più spazio ad esperti di service design, di ecosistemi digitali, ma soprattutto una incidenza maggiore del lavoro ‘laico’, come può essere un case manager amministrativo del 116117 o di un service center”. Fatto questo, “progressivamente, è fondamentale introdurre a tutti i livelli indicatori” che misurino l’appropriatezza, l’equità, l’aderenza e la qualità, anche percepita, della presa in carico. La consapevolezza necessaria    In conclusione, come sottolineano Elio Borgonovi ed Amelia Compagni, presidente e direttrice del CERGAS, il Rapporto vuol diffondere conoscenza per fare in modo che chi crede nel SSN non debba accettare le scelte di altri. Il Rapporto spinge a pensare che ruolo è possibile giocare nel rilancio del SSN, quali soluzioni ricercare per la salute dei cittadini, per il benessere organizzativo del SSN e per la sua sostenibilità economica, sociale ed istituzionale. Citando don Milani “se sai sei, se non sai sei di un altro”. Il Rapporto OASI 2024 è scaricabile gratuitamente a https://cergas.unibocconi.eu/oasi-2024

I pazienti fermi al Pronto Soccorso fanno aumentare la mortalità del 4,5 per cento

(da DottNet)    Ogni paziente fermo al pronto soccorso in attesa di essere trasferito in un letto di un reparto di ospedale causa un ritardi di almeno 12 minuti sugli accessi successivi, facendo crescere anche la mortalità fino al 4,5%.  Ciò si traduce in ore di ritardo con i pronto soccorso pieni di decine di persone in attesa di ricovero. Una situazione esplosiva, riferisce Alessandro Riccardi, nuovo presidente Simeu (la società che rappresenta i medici dell'emergenza e urgenza), che conferma le tensioni in crescita in questi giorni festivi, quanto il pronto soccorso diventa l'unica ancora di salvezza per tanti malati che non riescono a trovare assistenza sul territorio. In sostanza, spiega Riccardi, si crea un ritardo sull'intera catena dell'assistenza, con un peggioramento non solo dell'assistenza ma della salute dello stesso paziente "Durante le feste la situazione e' sempre critica, segno di un problema costante sull'aggressività dell'utenza" spiega Riccardi riferendosi ai diversi casi di aggressione che hanno colpito diversi operatori sanitari. "Non si riescono a trovare i posti nei reparti, ed e' evidente che chi ha bisogno di assistenza si trova in difficoltà, con un'assistenza non adeguata" spiega. I pazienti restano in aree molto spesso improvvisate in attesa del trasporto nel reparto di assegnazione definitiva. In presenza del fenomeno chiamato dei tecnici "boarding" dei pazienti che aspettano in Pronto Soccorso di essere ricoverati, numerosi studi documentano un allungamento ingiustificato dei tempi di attesa alla visita medica, una marcata difficoltà di gestione dei percorsi di tutti gli altri pazienti, un incremento delle complicanze di malattia sia per i casi che verranno ospedalizzati sia per quelli che al termine dell'osservazione verranno dimessi al domicilio. Ulteriori associazioni statistiche, pubblicate anche sul sito della stessa Simeu, dimostrano il legame tra un maggior numero di giorni di degenza e una maggior incidenza di complicanze. In uno studio recente si è dimostrato che la mortalità dei pazienti in attesa di ricovero aumentava dal 2.5% al 4.5% nei casi in cui il tempo di boarding superava le 12 ore. Al momento gli interventi messi in campo per alleggerire la pressione sulle strutture e le difficoltà degli operatori sembrano lontane dall'essere risolutive. "Non sono ancora sufficienti e adeguati anche se sono arrivati segnali di attenzione nei confronti del nostro lavoro. Intanto i professionisti vanno via, non per burnout: siamo abituati a gestire lo stress. Lo facciamo perchè non sopportiamo più di vedere certe situazioni come la perdita della dignita' del malato. Non si può fare un'abitudine a questa situazione", conclude.