SSN: Servizio o Sistema? Perché le parole sono importanti

(da Sanità Informazione)   Quando il Parlamento approvò la legge 833 il 23 dicembre 1978, battezzò il SSN come Servizio Sanitario Nazionale. La scelta sembrò quasi ovvia: lo Stato si assumeva il compito di servire il diritto alla salute di ogni cittadino, senza distinzioni di reddito, luogo di residenza o condizione lavorativa. Col tempo, però, un’altra etichetta ha preso piede – Sistema Sanitario Nazionale – e, a prima vista, potrebbe sembrare un sinonimo inoffensivo. In realtà, dietro le parole si celano visioni diverse di che cosa significhi curare e farsi carico di una collettività di quasi 59 milioni di abitanti, sempre più anziani e con bisogni sanitari complessi. Il peso delle parole “Servizio” viene dal latino servitium e richiama l’idea del prendersi cura, dell’agire in favore di qualcun altro. “Sistema”, dal greco sýstēma, mette invece l’accento sull’insieme di ingranaggi necessari a far funzionare un’organizzazione vasta e articolata. Dire servizio orienta lo sguardo verso il singolo paziente che entra in ambulatorio, mentre dire sistema invita a pensare a bilanci, logistica, flussi informativi e governance. La nascita di un diritto universalistico La riforma del 1978 si fondava su tre valori cardine – universalità, solidarietà, equità – e la parola “servizio” ne era il vessillo. A differenza dei modelli assicurativi puramente contributivi, l’Italia scelse di finanziare la sanità attraverso la fiscalità generale: ognuno paga secondo le proprie possibilità, tutti ricevono secondo il bisogno. Mettere “servizio” nel nome ricordava che la salute non è una merce, ma un diritto sociale. Quando comparve il termine “sistema” All’inizio degli anni Novanta i costi sanitari crescevano più in fretta del PIL e i conti pubblici erano sotto pressione. Con i decreti legislativi 502/1992 e 517/1993 lo Stato introdusse l’aziendalizzazione: le unità sanitarie locali e molti ospedali divennero aziende pubbliche dotate di autonomia gestionale, contabilità economico-patrimoniale e responsabilità sui risultati. In quel contesto “sistema” divenne utile perché descriveva la nuova cassetta degli attrezzi manageriale – budget, indicatori di performance, reti informatiche – senza la quale l’universalismo rischiava di implodere. Aziendalizzazione non è privatizzazione Il termine “aziendalizzazione” suscita talvolta diffidenza, come se coincidesse con un arretramento dello Stato e con l’ingresso del profitto privato. Ma l’intento originario era ben diverso: dotare il servizio di strumenti di governo in grado di renderlo sostenibile nel medio-lungo periodo. Bilanci trasparenti indicano dove finiscono i soldi dei contribuenti; misurare tempi di attesa ed esiti clinici permette di individuare inefficienze o iniquità (anche se per entrambi gli strumenti ci abbiamo messo un po’ di tempo…); responsabilizzare i professionisti su obiettivi di qualità incentiva soluzioni organizzative sensibili ai bisogni locali. L’aziendalizzazione, insomma, non nega l’ispirazione solidaristica: la rende praticabile in un contesto demografico, tecnologico ed economico molto diverso da quello degli anni Settanta. Sistema e servizio: una convivenza possibile Oggi l’espressione “sistema sanitario” è utile quando parliamo dell’architettura che tiene insieme medici di famiglia, ospedali, assistenza domiciliare, farmaci innovativi, banche dati e telemedicina. Senza un sistema efficiente, il servizio fatica a raggiungere davvero tutti. Ma proprio perché quella macchina organizzativa serve a garantire un diritto, è opportuno che il suo nome ufficiale continui a mettere in primo piano la finalità e non il meccanismo. Perché la parola “servizio” resta essenziale Continuare a chiamarlo Servizio Sanitario Nazionale ci ricorda ogni giorno che bilanci, algoritmi di ottimizzazione e riorganizzazioni territoriali hanno senso solo se aiutano a curare meglio e in modo più giusto. La bussola etica impressa nella legge 833 – universalità, solidarietà, equità – rimane il punto di riferimento a cui ancorare anche le scelte più tecniche. Servizio mantiene al centro la persona; sistema ricorda che servire milioni di persone richiede ingegneria organizzativa. Tenerli insieme è la sfida di oggi, ma la priorità non cambia: prima viene la cura, poi tutto il resto.  

ISS, 3 over 65 su 10 hanno fragilità o disabilità

(da AGI)   In Italia 14 over 65 su 100 hanno una disabilità, intesa come l''incapacità di svolgere una attività fondamentale della vita quotidiana, e a questi si aggiungono 16 su 100 che invece sono considerati fragili. Inoltre circa 1 persona ultra 65enne su 4 ha almeno un problema di tipo sensoriale (fra vista, udito o masticazione) che non risolve neppure con il ricorso ad ausili, come occhiali, apparecchio acustico o dentiera. Questo il quadro relativo al biennio 2023-2024 tracciato dalla sorveglianza Passi d'Argento coordinata dall''Istituto Superiore di Sanità. "L''analisi temporale- spiega Maria Masocco, responsabile della sorveglianza - mostra una riduzione, lenta ma significativa, della quota di fragili e disabili dal 2016 ad oggi e in questa lenta riduzione si osserva un calo repentino del 2021 che non si può escludere possa essere associato all''eccesso di morbosità e/o mortalità correlata al COVID-19 che ha investito il nostro Paese colpendo le persone più anziane e certamente più vulnerabili per condizioni di salute rendendo meno probabile intercettarle durante il picco pandemico". Negli ultra 65enni, la perdita di autonomia nello svolgimento anche di una sola delle sei attività fondamentali della vita quotidiana (ovvero delle ADL, come mangiare, vestirsi, lavarsi, spostarsi da una stanza all''altra, essere continenti, usare i servizi per fare i propri bisogni) è considerato dalla letteratura internazionale una condizione di disabilità. Dai dati di PASSI d''Argento 2023-2024 emerge che la condizione di disabilità, così definita, coinvolge 14 persone su 100. La disabilità cresce con l''età, in particolar modo dopo gli 85 anni interessa 4 anziani su 10 (42%); è mediamente più frequente fra le donne (17% vs 10% uomini), fra le persone socio-economicamente svantaggiate per difficoltà economiche (31% fra chi ha molte difficoltà economiche vs 9% tra chi non ne riferisce) o per bassa istruzione (26% vs 7% fra chi ha un livello di istruzione alto). La quasi totalità delle persone con disabilità (99%) riceve aiuto, ma questo carico di cura e di assistenza è per lo più sostenuto dalle famiglie, molto meno dal servizio pubblico di ASL e Comuni. Il 95% delle persone con disabilità dichiara di ricevere aiuto dai propri familiari per le attività della vita quotidiana per cui non è autonomo, il 37% di essere aiutato da badanti e il 12% da conoscenti.

Ondate di calore notturne. Con minime fino a 25°C rischio +10% di mortalità per malattie respiratorie.

(da Quotidiano Sanità)    Quando pensiamo all’impatto che il caldo ha, in particolare sulla salute respiratoria, tendiamo naturalmente a preoccuparci delle ore più roventi della giornata, con il sole a picco sulle nostre teste e la colonnina di mercurio che, come in questi giorni, schizza su valori impressionanti. In realtà, uno degli aspetti delle ondate di caldo che influisce in modo molto grave sulle patologie respiratorie, è quello legato alle elevate temperature notturne, che spesso vengono sottovalutate, nonostante provochino il peggioramento dei sintomi respiratori durante la notte. A mettere in guardia sull’aumento dei rischi per la salute polmonare, quando il caldo resta intenso anche nelle ore notturne, è Giovanna Elisiana Carpagnano, Professore ordinario e direttore della Pneumologia del Policlinico di Bari. “Sappiamo che le ricadute delle ondate di calore risultano particolarmente pericolose per l’apparato respiratorio, in quanto primo organo bersaglio dei cambiamenti climatici e del degrado ambientale. Ciò che è meno noto è, invece, che le temperature minime notturne stanno crescendo ancora più rapidamente delle massime diurne e che le notti “tropicali”, con minime fino ai 25°C, hanno un grave impatto sulla salute respiratoria, pari a quello delle ondate di calore diurne”, sottolinea Carpagnano. A causa della crisi climatica infatti, il nostro Paese, in base ai dati dell’Agenzia Europea per l’Ambiente, si colloca al terzo posto in Europa per numero di notti tropicali annuali, dietro solo a Grecia e Cipro. Già nel trentennio 1981–2010 l’Italia aveva raggiunto una media di 41,6 notti l’anno sopra ai 20°C. Un dato, questo, che è andato aumentando negli anni, soprattutto nelle città, dove l’effetto “isola di calore” amplifica il problema. “Nelle ultime estati si è arrivati infatti anche a 48 notti “roventi”, pari al 52% della stagione, di cui 13 notti con temperature superiori ai 23°C, con un bilancio sulla salute e di vittime che spesso si rivela sconcertante”, puntualizza Carpagnano. A rivelarlo, uno studio pubblicato su Environmental Health Perspectives, che ha preso in considerazione i dati sulle temperature minime e massime giornaliere registrate in Giappone, con latitudini simili a quelle del nostro Paese, in un periodo di oltre 40 anni, dal 1973 al 2015. Secondo la ricerca, le ondate di calore notturne, con minime fino ai 25°C, farebbero infatti salire del 10% il tasso di mortalità per malattie respiratorie, indipendentemente dalla temperatura diurna. “Ciò è dovuto al fatto che la notte è, di per sé, un elemento critico, perché durante il riposo, il calibro dei bronchi, anche negli individui sani, si riduce fino all’8%. Questo restringimento delle vie aeree, legato al ritmo circadiano, è aggravato in chi soffre di asma dal caldo estremo notturno che, provocando un aumento della temperatura all’interno del torace, attiva le fibre nervose dei muscoli respiratori, che non rilassandosi non permettono il normale svuotamento polmonare, rendendo difficile la respirazione, con crisi asmatiche gravissime che possono risultare anche fatali”, spiega l’esperta. “È quindi importante incoraggiare i soggetti più vulnerabili a prendere precauzioni come l'uso di ventilatori o deumidificatori durante la notte, specialmente quando si tratta di anziani e bambini asmatici. Questi pazienti devono cercare di creare, all’interno della propria casa, specialmente nella camera da letto, un ambiente fresco per ridurre l’impatto delle ondate di calore notturne e minimizzare possibili disagi e danni per la salute”, conclude Carpagnano.

Yoga e meditazione invertono invecchiamento cerebrale

(da AGI)  Un nuovo studio, pubblicato dai ricercatori del Massachusetts General Hospital e del Beth Israel Deaconess Medical Center, affiliati all''Università di Harvard, ha scoperto che le pratiche avanzate di yoga e meditazione possono invertire l''invecchiamento cerebrale in media di circa 5,9 anni. Pubblicato sulla rivista Mindfulness, lo studio è stato accolto con entusiasmo in vista della Giornata internazionale dello yoga delle Nazioni Unite Lo studio si è concentrato su individui che hanno partecipato al Samyama Sadhana, un ritiro intensivo di yoga e meditazione ideato dallo yogi indiano Sadhguru e offerto dalla Fondazione Isha. Utilizzando scansioni EEG basate sul sonno, i ricercatori hanno scoperto che questi meditatori esperti avevano un''età cerebrale significativamente più giovane rispetto alla loro età cronologica. I risultati principali dello studio hanno dimostrato che il cervello dei meditatori esperti appare più giovane di 5,9 anni rispetto alla loro età effettiva, il che indica un rallentamento, se non un''inversione, del processo di invecchiamento cerebrale. Inoltre, la qualità del loro sonno è migliorata, con un sonno più profondo e rigenerante che favorisce il benessere cerebrale: presentavano una memoria più acuta, un pensiero più chiaro e provavano meno stress e solitudine rispetto ad altre persone della loro età.  

Salute mentale. In Europa la situazione è allarmante.

Una persona su 6 soffre di un disturbo, ma una su 3 non riceve cure adeguate. Firmata a Parigi una dichiarazione congiunta tra 31 Paesi affinché la salute mentale “sia priorità in tutte le politiche pubbliche”. L’obiettivo è ambizioso: fare in modo che il benessere psicologico diventi una componente strutturale e trasversale di tutte le decisioni politiche, indipendentemente dal settore di riferimento, che si tratti di sanità, istruzione, giustizia, urbanistica o cultura. Leggi L'articolo completo al LINK https://www.quotidianosanita.it/studi-e-analisi/articolo.php?articolo_id=130350&fr=n