Hpv, vent’anni dopo il vaccino si vede l’immunità di gregge

(da Sanitàinformazione.it)   A quasi vent’anni dall’introduzione del vaccino contro il Papillomavirus, arrivano i primi segnali di quello che gli epidemiologi definiscono “immunità di gregge”. Significa che, una volta raggiunto un livello sufficiente di copertura vaccinale, la circolazione del virus si riduce così tanto da offrire una protezione indiretta anche a chi non si è vaccinato. È il dato incoraggiante che emerge da uno studio coordinato dal Cincinnati Children’s Hospital Medical Center e pubblicato sulla rivista ‘Jama Pediatrics’ Il Papillomavirus umano (Hpv) resta l’infezione sessualmente trasmessa più diffusa al mondo. Alcuni ceppi ad alto rischio sono responsabili di tumori orofaringei e anogenitali, tra cui il carcinoma della cervice uterina. Ogni anno, secondo le stime, circa 630mila nuovi casi di tumore sono legati a questo virus.

Infezioni quasi azzerate nelle vaccinate, forte calo anche nelle non vaccinate – La ricerca ha seguito circa 2.300 ragazze e giovani donne considerate a rischio di infezione tra il 2006 e il 2023. I risultati parlano chiaro: nelle donne vaccinate le infezioni da Hpv si sono quasi azzerate. Ma la sorpresa è arrivata dal gruppo non vaccinato, dove si è osservata comunque una riduzione significativa dei casi, in alcuni casi superiore al 75%. Un dato che non può essere spiegato da cambiamenti nello stile di vita: le abitudini sessuali delle partecipanti, infatti, sono rimaste stabili nell’arco dei 17 anni osservati.

“Due messaggi chiave: il vaccino funziona e protegge anche chi non lo fa” – “Ci sono due messaggi incoraggianti che arrivano dal nostro studio – spiega la coordinatrice della ricerca Jessica Kahn -. Il primo è che i vaccini contro l’Hpv funzionano molto bene anche nel mondo reale. Il secondo è che abbiamo trovato chiare prove di immunità di gregge: quando viene vaccinato un numero sufficiente di persone, anche chi non lo è riceve una protezione indiretta”.

Prevenzione e prospettive – Il traguardo, sottolinea Kahn, è ambizioso ma concreto: ridurre drasticamente le infezioni da Hpv fino a rendere possibile, in prospettiva, l’eliminazione del cancro della cervice uterina a livello globale. Un obiettivo che richiede non solo programmi di vaccinazione estesi e continuativi, ma anche campagne di sensibilizzazione per superare resistenze culturali e disinformazione. “Questi risultati – conclude la studiosa – rafforzano il potenziale dei vaccini Hpv non solo per prevenire l’infezione, ma per ridurre il peso dei tumori Hpv-correlati a livello mondiale”.

Obesità riconosciuta come malattia. Il Senato approva in via definitiva il ddl per la prevenzione, la cura e l’inclusione sociale

(da Quotidiano Sanità)   Con l’approvazione definitiva da parte dell’Aula del Senato questa mattina, il disegno di legge sull’obesità diventa ufficialmente legge. Per la prima volta in Italia, l’obesità viene formalmente riconosciuta come una malattia cronica, progressiva e recidivante, al pari di altre patologie di interesse sociale, e diventa oggetto di un articolato programma nazionale di prevenzione, cura, educazione e inclusione.  Il testo, approvato in via definitiva senza modifiche rispetto a quanto già licenziato dalla Camera lo scorso 7 maggio, introduce una cornice normativa ampia e strutturata, con misure che toccano la sanità, la scuola, il lavoro, l’informazione pubblica e la formazione professionale.
Uno dei cardini della nuova legge è il riconoscimento esplicito del diritto delle persone con obesità ad accedere alle prestazioni sanitarie comprese nei Livelli essenziali di assistenza (Lea). Un passaggio fondamentale che conferma la presa in carico da parte del Servizio sanitario nazionale, in forma gratuita o con compartecipazione alla spesa, rendendo finalmente strutturale l’accesso a diagnosi, terapie e monitoraggio.   La norma prevede inoltre l’istituzione di un programma nazionale per la prevenzione e la cura dell’obesità, dotato di uno stanziamento iniziale di 700.000 euro nel 2025, che salirà a 800.000 nel 2026, fino ad arrivare a 1,2 milioni di euro annui a partire dal 2027.

Le risorse saranno ripartite tra le Regioni tramite un decreto del Ministero della Salute, d’intesa con il MEF e la Conferenza Stato-Regioni, e saranno destinate a una serie di azioni che vanno dalla promozione dell’attività fisica e di una corretta alimentazione fin dall’infanzia, alla sensibilizzazione dei genitori, al sostegno all’allattamento al seno, all’informazione pubblica tramite farmacie, medici e reti di prossimità. Non mancano misure di inclusione sociale: la legge incoraggia l’inserimento delle persone con obesità nei contesti scolastici, lavorativi e sportivo-ricreativi, contrastando pregiudizi e discriminazioni.

La legge stanzia anche 400.000 euro annui, a partire dal 2025, per attività di formazione e aggiornamento dedicate a studenti universitari, medici di medicina generale, pediatri e personale del SSN. L’obiettivo è garantire competenze aggiornate nella prevenzione, nella diagnosi e nella gestione clinica dell’obesità.  Un altro elemento innovativo è l’istituzione dell’Osservatorio per lo Studio dell’Obesità (OSO) presso il Ministero della Salute, che avrà il compito di monitorare l’attuazione de lla legge, contribuire all’elaborazione del programma nazionale e fornire ogni anno una relazione al Parlamento con dati aggiornati ed evidenze scientifiche.  Infine, per contrastare la diffusione della malattia è previsto anche uno stanziamento permanente di 100.000 euro annui destinato a campagne di informazione, educazione alimentare e promozione dell’attività fisica, attuate in collaborazione con scuole, farmacie, medici di base e enti locali.

Un bambino su dieci soffre di obesità infantile

(da DottNet)  In Italia già a 9 anni un bambino su tre ha un eccesso di peso e 1 su 10 presenta obesità. Nel mondo Organizzazione Mondiale della Sanità e Unicef segnalano che il numero di bambini e adolescenti con obesità ha superato il numero dei coetanei con malnutrizione. Le cause non sono legate a pigrizia e golosità: l’obesità è una vera e propria malattia che con la giusta diagnosi può essere curata.  Delle prospettive di cura e prevenzione si è parlato a Verona in un convegno coordinato da Claudio Maffeis, direttore della Uoc Pediatria B sede del Centro Regionale di Diabetologia pediatrica.

Due le malattie metaboliche che oggi hanno maggiore impatto sulla popolazione pediatrica: obesità e diabete tipo 1. La causa dell’obesità è un’alterazione dei meccanismi che regolano fame e sazietà, per cui l’ampia disponibilità di cibo e la sedentarietà fungono poi da fattori scatenanti. Prevenirla è possibile iniziando sin dalla gravidanza e, nei casi di obesità grave, sono oggi disponibili test genetici specifici.. Ma, come riportato da una ricerca pubblicata sulla rivista The Lancet, gli interventi preventivi precoci indirizzati ai soli genitori sono utili ma non sufficienti a prevenire l’obesità nei figli.

L’obesità si cura grazie a nuovi farmaci utilizzabili già dai 12 anni di età. La terapia è efficace per il calo di peso e migliora anche tutti i fattori di rischio associati. Il diabete di tipo 1 è tipico dell’età pediatrica, da 0 a 18 anni, e ha un’incidenza di un caso ogni 800 giovani. Questa forma di diabete necessita della somministrazione di insulina più volte al giorno e del controllo costante della glicemia. Ci sono però delle novità; i test diagnostici permettono di identificare il diabete tipo 1 nei bambini prima che compaiano i sintomi, tramite un semplice esame del sangue. Se il test è positivo, ci sono terapie innovative con anticorpi monoclonali che rallentano la progressione della patologia. Questi farmaci non sostituiscono l’insulina, ma migliorano l’andamento della malattia anche a lungo termine.

Oggi il controllo della glicemia è notevolmente facilitato e meno invasivo grazie a dispositivi indossabili che consentono un’iniezione continua di insulina, regolata da un algoritmo che usa i valori della glicemia registrati da un sensore. Maffeis osserva che “l’obesità è una vera e propria malattia neuroendocrina a predisposizione genetica, non un problema di stile di vita”, mentre il diabete pediatrico di tipo 1″ non va confuso con il diabete dell’adulto. Può venire a chiunque, soprattutto prima dei 20 anni e non ha nessuna relazione con il consumo di dolci perché è è una malattia autoimmune

Sorgenti d’acqua dolce sempre più salate. In un nuovo studio l’allarme sul cambiamento climatico

(da Quotidiano Sanità)   L’intrusione di sale nei fiumi rappresenta un pericolo per la disponibilità di acqua dolce nelle regioni costiere di tutto il mondo. Ricercatori e ricercatrici dell’Università di Utrecht e dell’Istituto di ricerca Deltares hanno condotto uno studio che mostra come questo processo nei prossimi decenni sia destinato ad aumentare a causa dei cambiamenti climatici. Da una serie di analisi e osservazioni sul clima emerge che entro la fine del ventunesimo secolo ci saranno un aumento della siccità in molte regioni del mondo, l’innalzamento del livello del mare e contemporaneamente un abbassamento degli estuari. Il risultato, secondo questo lavoro, è che il livello di salinizzazione delle foci sarà due volte maggiore rispetto alla riduzione degli scarichi fluviali. L’effetto sarà dannoso soprattutto per la vegetazione e le attività umane lungo le aree costiere.
“Tecnicamente – spiega in una nota l’Università di Trento poiché tra gli autori dello studio c’è anche Henk Dijkstra, professore di Fisica climatica a Utrecht e legato da un contratto di doppia affiliazione all’Università di Trento, in particolare al Dipartimento di Ingegneria civile, ambientale e meccanica – si chiama ‘intrusione salina’. È un fenomeno idrogeologico che si verifica lungo i litorali, dove l’acqua salata del mare, più densa, si infiltra nel sottosuolo, incuneandosi al di sotto dell’acqua dolce, più dolce, presente nelle falde acquifere sotterranee e penetrando nel suolo. Un processo spinto da una parte dall’innalzamento del livello del mare, dall’altra dalla riduzione del deflusso fluviale. Il rischio potenziale di un aumento dell’intrusione salina in seguito ai cambiamenti climatici è stato quantificato utilizzando studi di modellazione numerica”.

Il gruppo di lavoro ha preso in considerazione diciotto sistemi fluviali in tutto il mondo (Nord e Sud America, Europa, Africa, Asia e Oceania). Ha determinato, attraverso modelli numerici, i cambiamenti nelle statistiche di intrusione salina sotto l’influenza dei mutamenti climatici e analizzato le statistiche. Il risultato è che per la maggior parte dei sistemi, i dati indicano che l’effetto combinato della variazione degli scarichi fluviali e dell’innalzamento del livello del mare porterà a un aumento dell’intrusione salina del 10-20 per cento entro il 2100.
“Le conseguenze più preoccupanti – sottolinea la nota dell’ateneo di Trento – interessano le zone costiere, dove l’acqua dolce rischia di scomparire. L’avanzamento dell’intrusione salina verso l’entroterra mette infatti a repentaglio la sopravvivenza degli ecosistemi ed è pericolosa anche per l’agricoltura, rendendo il terreno incoltivabile”.

 

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