Attività motoria come rimedio a ansia e depressione da Covid
(da DottNet) Se durante il lockdown dello scorso anno le persone avessero potuto mantenere gli stessi livelli di attività motoria, si sarebbero potuti evitare fino al 21% dei casi gravi di ansia o depressione. È il risultato più rilevante dell'indagine 'Io conto 2020' condotta fra studenti e dipendenti delle università di Pisa, Firenze, Torino, Genova e Messina, pubblicato sulla rivista scientifica 'Plos One'. Lo studio, spiega una nota, coordinato dall'Università di Pisa, ha consentito di raccogliere informazioni relative allo stile di vita della popolazione universitaria durante il lockdown tra aprile e maggio 2020 tramite un sondaggio online a cui hanno partecipato 18.120 tra studenti, docenti e personale tecnico-amministrativo delle università partecipanti. Il risultato pubblicato su 'Plos One' riguarda l'analisi dei dati relativi al disagio psicologico dei partecipanti da cui è risultato che elevati livelli di ansia o depressione erano presenti con maggiore frequenza fra gli studenti, fra i partecipanti con un basso reddito e fra coloro che, durante il lockdown, hanno interrotto la pratica dell'attività fisica. Rispetto a coloro che sono sempre stati inattivi, chi è riuscito a praticare con continuità attività fisica durante il lockdown ha avuto un rischio ridotto del 20% di soffrire di ansia e depressione, mentre chi ha interrotto la pratica dell'esercizio fisico ha avuto un rischio maggiore del 50%. Gli autori del lavoro hanno appunto stimato che, se durante il lockdown si fossero potuti mantenere gli stessi livelli di attività fisica, si sarebbero potuti evitare fino al 21% dei casi gravi di ansia o depressione.
Vaccinazioni e varianti, le 10 risposte dell’ISS ai dubbi dei medici
(da Univadis) Le Indicazioni ad interim sulle misure di prevenzione e controllo delle infezioni da SARS-CoV-2 in tema di varianti e vaccinazione anti-COVID-19 sono appena state aggiornate dall’Istituto superiore di sanità per riflettere la diversa condizione epidemiologica determinata dalla diffusione delle varianti virali. Il documento fornisce anche risposte chiare e semplici ad alcuni dei dubbi espressi dai medici.
- La circolazione delle varianti richiede una modifica delle misure di prevenzione e protezione non farmacologiche (distanziamento fisico, mascherine, igiene delle mani) in ambito comunitario e assistenziale?
No, non è indicato modificare le misure di prevenzione e protezione basate sul distanziamento fisico, sull’uso delle mascherine e sull’igiene delle mani; al contrario, si ritiene necessaria una applicazione estremamente attenta e rigorosa di queste misure.
- Test diagnostici e varianti
Per garantire la diagnosi d’infezione sostenuta da varianti virali con mutazioni nella proteina spike, i test diagnostici molecolari real-time PCR devono essere multi-target ovvero capaci di rilevare più geni del virus e non solo il gene spike (S) che potrebbe dare risultati negativi in caso di variante con delezione all’interno del gene S quale la variante inglese.
- I lavoratori vaccinati, inclusi gli operatori sanitari, devono mantenere l’uso dei DPI e dei dispositivi medici, l’igiene delle mani, il distanziamento fisico e le altre precauzioni sul luogo di lavoro?
Tutti i lavoratori, inclusi gli operatori sanitari, devono continuare a utilizzare rigorosamente i DPI, i dispositivi medici prescritti, l’igiene delle mani, il distanziamento fisico e le altre precauzioni secondo la valutazione del rischio, indipendentemente dallo stato di vaccinazione e aderire a eventuali programmi di screening dell’infezione.
- Una persona vaccinata, al di fuori dell’ambiente di lavoro, deve continuare a rispettare le misure di prevenzione per la trasmissione del virus (distanziamento fisico, mascherine, igiene delle mani)?
Una persona vaccinata con una o due dosi deve continuare a osservare tutte le misure di prevenzione quali il distanziamento fisico, l’uso delle mascherine e l’igiene delle mani, poiché, come sopra riportato, non è ancora noto se la vaccinazione sia efficace anche nella prevenzione dell’acquisizione dell’infezione e/o della sua trasmissione ad altre persone. Questo ancor più alla luce dell’attuale situazione epidemiologica che vede la comparsa e la circolazione di nuove varianti virali, che appaiono più diffusive rispetto al virus circolante nella prima fase della pandemia e per le quali la protezione vaccinale potrebbe essere inferiore a quella esercitata rispetto al ceppo virale originario.
- Se una persona vaccinata con una o due dosi viene identificata come contatto stretto di un caso positivo, bisogna adottare le misure previste per i contatti stretti?
Se una persona viene in contatto stretto con un caso positivo per SARS-CoV-2, secondo le definizioni previste dalle Circolari del Ministero della Salute, questa deve essere considerata un contatto stretto anche se vaccinata, e devono, pertanto, essere adottate tutte le disposizioni prescritte dalle Autorità sanitarie. Si mantiene la deroga alla quarantena per il personale sanitario, con il rispetto delle misure di prevenzione e protezione dell’infezione, fino a un’eventuale positività ai test di monitoraggio per SARS-CoV-2 o alla comparsa di sintomatologia compatibile con COVID-19.
- Quali casi sono da considerarsi fallimenti vaccinali?
Anche i soggetti vaccinati, seppur con rischio ridotto, possono andare incontro a infezione da SARS-CoV-2 poiché nessun vaccino è efficace al 100% e la risposta immunitaria alla vaccinazione può variare da soggetto a soggetto. Inoltre, la durata della protezione non è stata ancora definita.
- I programmi di screening dell’infezione degli operatori sanitari, inclusi quelli delle strutture residenziali socioassistenziali e sociosanitarie, devono essere modificati dopo l’introduzione della vaccinazione?
Alla luce delle conoscenze acquisite, non si ritiene, al momento, di dovere modificare i programmi di screening dell’infezione da SARS-CoV-2 in atto per gli operatori sanitari mantenendo inalterata la frequenza dei test.
- Opportunità e tempistiche di rilevazione del titolo di anticorpi diretti verso la proteina spike (S) ed eventuale sorveglianza nel tempo nei soggetti vaccinati.
La valutazione e il monitoraggio del titolo anticorpale dopo la vaccinazione anti-COVID-19 non sono indicati nella pratica clinica se non nell’ambito di studi scientifici/epidemiologici. Poiché, al momento, è impossibile correlare in modo preciso il titolo di anticorpi con il livello di protezione, la presenza di anticorpi all’esame sierologico non esime la persona dall’uso dei DPI e dispositivi medici, nonché dal seguire tutte le precauzioni standard e specifiche per impedire la trasmissione dell’infezione da SARS-CoV-2. L’identificazione del titolo di anticorpi capace di attività neutralizzante sia nei sieri di pazienti in convalescenza a seguito dell’infezione da SARS-CoV-2 sia in sieri di individui vaccinati è tuttora in corso per le varianti virali note. Tuttavia, è necessaria la standardizzazione dei test, valutando lo stato immunitario in seguito a infezione naturale e a vaccinazione con i diversi vaccini disponibili e utilizzando le diverse varianti di SARS-CoV-2 identificate.
- I contatti stretti di un caso di COVID-19 quando possono essere vaccinati?
I contatti stretti di COVID-19 dovrebbero terminare la quarantena di 10-14 giorni secondo quanto previsto dalle normative ministeriali vigenti prima di potere essere sottoposti a vaccinazione.
- Chi ha avuto il COVID-19 deve comunque vaccinarsi? È a rischio di avere delle reazioni avverse più frequenti o gravi al vaccino?
La vaccinazione anti-COVID-19 si è dimostrata sicura anche in soggetti con precedente infezione da SARS-CoV-2, e, pertanto, può essere offerta indipendentemente da una pregressa infezione sintomatica o asintomatica da SARS-CoV-2. Ai fini della vaccinazione, non è indicato eseguire test diagnostici per accertare una pregressa infezione. È possibile considerare la somministrazione di un’unica dose di vaccino anti-COVID-19 nei soggetti con pregressa infezione da SARS-CoV-2 (decorsa in maniera sintomatica o asintomatica), purché la vaccinazione venga eseguita ad almeno 3 mesi di distanza dalla documentata infezione e, preferibilmente, entro i 6 mesi dalla stessa. Fanno eccezione i soggetti che presentino condizioni di immunodeficienza, primitiva o secondaria a trattamenti farmacologici, i quali, pur con pregressa infezione da SARS-CoV-2, devono essere vaccinati quanto prima e con un ciclo vaccinale di due dosi.
Lotto sospeso vaccino Astrazeneca, la Società Italiana di Igiene: “Ci vuole prudenza, ma il vero nemico è il COVID-19 non le vaccinazioni”
(da DottNet)“Bisogna adottare la giusta prudenza. Il vero nemico di questa pandemia è il SARS-CoV-2 e non la vaccinazione”. È questo il messaggio che la Società Italiana di Igiene, Medicina Preventiva e Sanità Pubblica (SItI) ha voluto veicolare a seguito del ritiro del lotto ABV2856 del vaccino anti Covid_19 di Astra Zeneca.
“La probabilità – dichiara il Dr. Antonio Ferro, Presidente della Società Italiana di Igiene, Medicina Preventiva e Sanità Pubblica – di avere eventi avversi gravi, dopo essersi vaccinati, sono esattamente le stesse di coloro che ricevono, come ‘vaccino’, una soluzione placebo. E’ quello che è emerso dagli studi scientifici che hanno autorizzato i vaccini contro Covid 19 attualmente in commercio. È estremamente improbabile, quindi, che si verifichino trombosi a seguito di una vaccinazione. Viene comunque tenuto tutto sotto controllo per indagare ciò che accade, procedendo anche con scrupolose verifiche del caso per analizzare ciò che è contenuto nel vaccino ed escludere il decesso a seguito della vaccinazione. I due casi che si sono verificati recentemente, molto vicini tra loro, dimostrano come il tutto non sia legato da un rapporto causa-effetto (a seguito della vaccinazione), ma molto probabilmente dalla propensione delle due persone di essere colpite da quella patologia”. Aifa ha comunicato che al momento non esiste alcun nesso di casualità.
Bisogna quindi procedere adottando la giusta prudenza, ma l’auspicio della Società Italiana di Igiene è che si continuino le vaccinazioni anche con questo vaccino che è già stato somministrato a più di 8 milioni di persone con risultati di sanità pubblica straordinari e con reazioni collaterali equivalenti se non inferiori a quelle del vaccino Pfizer. Teniamo sempre ben presente che, se si dovessero mettere sulla bilancia i “rischi” derivanti dal contrarre il Coronavirus o dall’assunzione del vaccino, sarebbe sempre da privilegiare il vaccino.
Fanno più vittima obesità e sovrappeso che non il fumo
Fanno più vittima obesità e sovrappeso che non il fumo (da M.D.Digital) L'obesità e il sovrappeso potrebbero aver contribuito a più morti in Inghilterra e Scozia rispetto al fumo dal 2014: lo evidenzia una ricerca pubblicata su BMC Public Health. Tra il 2003 e il 2017 è stato calcolato che la percentuale di decessi attribuibili al fumo sia diminuita dal 23.1% al 19.4% a fronte però di un rilevante aumento delle morti attribuibili all'obesità e al sovrappeso, che sono aumentate dal 17.9% al 23.1%. Percentuali che hanno portato gli autori a sostenere che, nel 2014, le morti attribuibili all'obesità e al sovrappeso abbiano superato quelle attribuibili al fumo.
Per diversi decenni, ha commentato Jill Pell, dell’Università di Glasgow, uno degli autori dello studio, il fumo è stato uno dei principali obiettivi degli interventi di salute pubblica in quanto è una delle principali cause di decessi evitabili. Di conseguenza, nel Regno Unito si è registrata una riduzione della prevalenza del fumo.
Per esaminare i cambiamenti nella prevalenza del fumo, dell'obesità e del sovrappeso negli adulti, gli autori hanno analizzato i dati raccolti tra il 2003 e il 2017 nell'ambito degli Health Surveys for England e Scottish Health Surveys, su 192.239 adulti in Inghilterra e Scozia, che avevano un’età media di 50 anni. Ai partecipanti è stato chiesto se avevano fumato regolarmente mentre altezza e peso sono stati misurati da intervistatori o infermieri addestrati.
I ricercatori hanno combinato questi dati con le stime del rischio di morte per fumo (17 studi) o obesità e sovrappeso (198 studi), per calcolare il numero di decessi attribuibili al fumo, all'obesità e al sovrappeso.
I risultati hanno indicato due tipi di tendenza: mentre l'obesità e il sovrappeso probabilmente hanno causato più morti rispetto al fumo dal 2006 tra gli adulti più anziani, è ancora probabile che il fumo contribuisca a più morti rispetto all'obesità e al sovrappeso tra i giovani adulti. Gli autori suggeriscono che tra le persone di età pari o superiore a 65 anni e tra i 45 e i 64 anni, l'obesità e il sovrappeso hanno contribuito, rispettivamente, al 3.5% e al 3.4% in più di morti stimate rispetto al fumo nel 2017, mentre il fumo ha rappresentato il 2.4% in più di morti stimate rispetto all'obesità e al sovrappeso tra i soggetti di età compresa tra 16 e 44 anni.
Un altro elemento emerso da questa analisi è l’influenza del genere su fumo, obesità e sovrappeso in relazione alle morti stimate. L'obesità e il sovrappeso potrebbero aver causato il 5.2% di decessi in più nel 2017 rispetto al fumo negli uomini, rispetto al 2.2% in più di decessi nelle donne. Si ritiene che le morti stimate dovute all'obesità e al sovrappeso siano aumentate del 25.9% per le donne e del 31% per gli uomini tra il 2003 e il 2017, mentre si ritiene che le morti dovute al fumo siano diminuite del 18.1% per le donne e del 14.9% per gli uomini.
Secondo il parere degli autori l'aumento delle morti stimate dovute all'obesità e al sovrappeso è probabilmente dovuto al loro contributo al cancro e alle malattie cardiovascolari. I risultati, inoltre, suggeriscono che la sanità pubblica e gli interventi politici volti a ridurre la prevalenza del fumo hanno avuto successo e che le strategie nazionali per affrontare l'obesità e il sovrappeso, in particolare concentrandosi su uomini e gruppi di mezza età e anziani, dovrebbero essere una sanità pubblica priorità.
(Ho FK, et al. Changes over 15 years in the contribution of adiposity and smoking to deaths in England and Scotland. BMC Public Health 2021. DOI: 10.1186/s12889-021-10167-
Pressione arteriosa, il limite di normalità femminile è più basso
da M.D.Digital) Uno studio dello Smidt Heart Institute del Cedars-Sinai pubblicato su Circulation ha dimostra che nelle donne l’intervallo di pressione arteriosa "normale" è inferiore rispetto a quello degli uomini. Lo studio dunque, evidenziando differenze di genere nei valori pressori, è in controtendenza alle definizioni contenute nelle linee guida per la pressione arteriosa, che indicano sia per le donne che per gli uomini lo stesso limite di pressione considerata normale. Questi risultati, commentano gli autori, suggeriscono che un approccio unico per entrambi i sessi nella definizione di normotensione può essere dannoso per la salute di una donna. Aggiungendo che in base a questi dati sarebbe opportuna una rivalutazione delle linee guida sull’ipertensione che non tengono conto delle differenze di sesso. Per anni, 120 mmHg è stato considerato il limite superiore normale per la PAS negli adulti, al di sopra del quale si definiscono i diversi gradi di ipertensione. In questo recente studio, il team di ricercatori ha esaminato le misurazioni della pressione arteriosa condotte in quattro studi di comunità, comprendenti più di 27.000 partecipanti, il 54% dei quali erano donne. L’analisi ha permesso di confermare il valore soglia di 120 mmHg nell’uomo mentre nella donna il rischio di sviluppare qualsiasi tipo di malattia cardiovascolare (inclusi infarto, insufficienza cardiaca e ictus) correlato all’ipertensione inizia a manifestarsi con valori superiori a 110 mmHg. Precedenti studi degli stessi ricercatori avevano suggerito i vasi sanguigni della donna invecchiano più velocemente rispetto a quanto accade nell’uomo, confermando che le donne hanno una biologia e una fisiologia diverse rispetto agli uomini e possono essere più suscettibili di sviluppare alcuni tipi di malattie cardiovascolari e in diversi momenti della vita. In tutti gli studi del team il confronto dei valori pressori è stato effettuato nel medesimo sesso (donne con donne e uomini con uomini) piuttosto che con il modello comune di confronto tra donne e uomini. Se il range fisiologico ideale della pressione arteriosa femminile è davvero inferiore rispetto a quello maschile, gli attuali approcci terapeutici per il controllo dell’ipertensione devono essere rivalutati. Il passo successivo cui i ricercatori intendono dedicarsi è valutare se le donne debbano essere trattate per l'ipertensione quando la PAS è superiore a 110 mmHg, ma ancora inferiore al valore di 120 mmHg dell’uomo.
(Hongwei Ji, et al. Sex Differences in Blood Pressure Associations With Cardiovascular Outcomes, Circulation 2021. DOI: 10.1161/CIRCULATIONAHA.120.049360)
Herpes Zoster. Ministero: “In arrivo nuovo vaccino, efficacia fino al 97%”
Con una circolare dalla Salute informa che quest’anno sarà commercializzato in Italia, tramite il canale pubblico, un nuovo vaccino ricombinante adiuvato contro HZ, indicato nelle persone a partire da 50 anni d’età e negli individui ad aumentato rischio di HZ a partire da 18 anni d’età. Ricordiamo che la vaccinazione anti HZ deve essere offerta attivamente ai soggetti di 65 anni d’età e ai soggetti a rischio a partire dai 50 anni di età. Leggi L'articolo completo al LINK
Medici internisti Fadoi, ‘troppa burocrazia intralcia vaccinazioni’
(da Adnkronos Salute) - "Sui vaccini una burocrazia imperante sta distogliendo i medici, ospedalieri e di famiglia, da quelli che dovrebbero essere i loro veri compiti: curare e, per l'appunto, vaccinare". A denunciare "il peso dei tanti adempimenti amministrativi che distraggono i medici dalle loro attività assistenziali" è Dario Manfellotto, presidente della Fadoi, la Federazione dei medici internisti ospedalieri che "hanno in carico il 70% dei pazienti Covid - ricordano - hanno aderito al 100% alla vaccinazione e sono in prima fila nella campagna vaccinale" anti-Covid. Il presidente Draghi, evidenzia la Fadoi in una nota, proprio ieri ha sottolineato la necessità di privilegiare nella profilassi anti-Covid le persone più fragili e le categorie a rischio. "Però la selezione delle persone estremamente vulnerabili, che giustamente insieme agli ultraottantenni devono avere accesso privilegiato all'immunizzazione - spiega Manfellotto - viene richiesta da Regioni e Asl imponendo una procedura burocratica eccessiva con la richiesta di dati anagrafici, codice fiscale, codici di esenzione e altre informazioni che dovrebbero essere invece già a portata di click delle aziende sanitarie, se non fosse che solo un quarto dei fascicoli sanitari elettronici sono stati implementati con le informazioni sanitarie complete su ciascun assistito". "Purtroppo questi dettagli prevalgono sulla valutazione clinica dei medici", osserva il numero uno della Fadoi che aggiunge: "Oggi è di nuovo il momento del 'whatever it takes'. Non lasciamo prevalere il 'whatever it blocks' della burocrazia", invita, parafrasando le parole più note di Mario Draghi. "L'impressione" del presidente degli internisti ospedalieri italiani "è che tutta questa burocrazia serva a mascherare il problema irrisolto della carenza dei vaccini e i criteri poco uniformi con i quali vengono distribuiti e somministrati, e a guadagnare tempo nell'attesa delle forniture di vaccini. E' chiaro che bisogna dare delle priorità, ma bisogna indicare veri e propri criteri clinici condivisi e di facile applicazione". "Mi chiedo infatti - riflette Manfellotto - che senso abbia ad esempio aprire le prenotazioni per immunizzare gli over 70 quando fino ad oggi è stato vaccinato appena il 23% degli ultraottantenni. Il ministero della Salute ha stilato una lista delle priorità in base al livello di esposizione al rischio: si segua quella senza creare ulteriore confusione e perdite di tempo. Abbiamo sempre affermato la necessità di un coordinamento unico per affrontare l'emergenza Covid. La nostra piena disponibilità al lavoro del generale Figliuolo - conclude il numero uno della Fadoi - nella speranza che semplifichi i percorsi e agevoli il lavoro di noi medici".
Morti sospette per vaccino AstraZeneca. Non si sa ancora nulla ma per i medici già scatta l’accusa di omicidio colposo. Serve norma di tutela subito
Prima ancora del pronunciamento dell’Ema e dell’Aifa sulla rilevanza scientifica e statistica dell’evento, prima ancora del riscontro autoptico e della valutazione dell’eventuale nesso di causalità, la magistratura italiana, anche per la forza delle norme in cui agisce, è intervenuta considerando la responsabilità inerente l’atto medico con lo stesso metro adottato per le lesioni personali derivanti da un pestaggio o da un omicidio Leggi L'articolo completo al LINK
Vaccino, Aifa: ricavare più dosi possibile da ogni fiala
(da AdnKronos) "Si sottolinea l'opportunità di cercare di ricavare il maggior numero possibile di dosi da ciascun flaconcino di vaccino" anti-Covid, "fatta salva la garanzia di iniettare a ciascun soggetto la dose corretta e la disponibilità di siringhe adeguate". E' quanto indica l'Agenzia italiana del farmaco, "secondo il parere espresso dalla Commissione tecnico scientifica (Cts) il 4 marzo 2021". L'Aifa, che affronta il tema del numero di dosi da ricavare per flaconcino nello spazio dedicato alle domande e risposte sui vaccini anti-Covid, ribadisce anche un punto fermo: "Resta inteso - spiega l'ente regolatorio italiano - che eventuali residui provenienti da flaconcini diversi non potranno essere mescolati".
Tar Lazio contro Aifa: i medici hanno il diritto di prescrivere farmaci idonei
(da DottNet) Lo scorso dicembre l'Aifa ha diffuso un documento destinato in particolare ai medici di famiglia, con le linee guida da osservare con un paziente nella fase inziale della malattia. Il testo"principi di gestione dei casicovid19 nel setting domiciliare" precisava, tra l'altro, che nei primi giorni di malattia da Sars-covid, ci debba essere unicamente una "vigilante attesa" e somministrazione di fans e paracetamolo, e nella parte in cui pone indicazioni di non utilizzo ditutti i farmaci generalmente utilizzati dai medici di medicina generaleper ipazienti affetti da covid. Ma il Tar del Lazio, in seguito al ricorso di alcuni medici, ha emesso un'ordinanza(https://www.dottnet.it/file/99920/ordinanza-tar-mmg-aifa/) che di fatto smentisce le linee guida dell'Aifa, non nel contenuto, ma nella forma. Per il Tribunale amministrativo, infatti, così si viola il diritto e dovere del medico di prescrivere i farmaci più idonei: “Considerato che, a una valutazione sommaria propria della fase cautelare, il ricorso appare fondato, in relazione alla circostanza che i ricorrenti fanno valere il proprio diritto/dovere, avente giuridica rilevanza sia in sede civile che penale, di prescrivere i farmaci che essi ritengono più opportuni secondo scienza e coscienza, e che non può essere compresso nell’ottica di una attesa, potenzialmente pregiudizievole sia per il paziente che, sebbene sotto profili diversi, per i medici stessi”.
Covid-19, Cricelli (Simg): no al criterio dell’età. Le nostre proposte per stabilire chi vaccinare prima
(da Doctor33) Per individuare le categorie da vaccinare per prime contro il Covid-19 è erroneo usare il criterio dell'età e della fragilità ad essa presumibilmente legata. I decessi arrivano tra i pazienti vulnerabili a partire dai 60 anni, (qualcosa di meno tra i maschi), affetti da malattie croniche la cui gravità, pur in parte legata all'età, è intercettabile e misurabile dal medico di famiglia. A quest'ultimo, più che alle tabelle ministeriali, andrebbe quindi affidato il compito di individuare i soggetti vulnerabili da avviare per primi alla vaccinazione. Lo spiega Claudio Cricelli presidente della Società italiana di medicina generale-Simg in una lettera al ministro della Salute Roberto Speranza dove chiede tra l'altro di consentire ai medici di famiglia di "utilizzare e prescrivere tutte le risorse terapeutiche e tutti i farmaci - ad esempio per diabete e Bpco - sinora riservati alla prescrizione degli specialisti" in quanto a tutti i malati cronici andrebbe garantito il diritto di accesso "attraverso il loro Mmg a farmaci e terapie indispensabili per la buona cura delle cronicità e fortemente protettivi e decisivi contro Covid 19".
Utilizzando i dati relativi ad ospedalizzazioni e decessi per Covid relativi a un campione di 5 milioni di assistiti, la Simg in un Rapporto steso con ricercatori dell'Università Cattolica del Sacro Cuore ha operato il procedimento inverso a quello del ministero della Salute, che aveva diviso in sei categorie sulla base delle statistiche anagrafiche i pazienti sui quali intervenire con i vaccini dopo gli over 80 anni. L'idea "governativa" di dare la precedenza alle persone estremamente vulnerabili per danno d'organo o patologia grave, poi ai 70-79enni, di qui ai malati cronici e infine ai 65-69enni e al resto della popolazione, fa in realtà riferimento alle liste anagrafiche e alla presunzione di una generica fragilità legata ad età, sesso e al più a patologie intercorrenti visualizzate nelle banche dati assistito delle (poche) regioni che le hanno. "In Simg abbiamo fatto il percorso contrario, siamo andati a vedere quali patologie pregresse avevano i nostri pazienti che una volta contratto il coronavirus hanno sviluppato malattia grave e sono stati ospedalizzati, costruendo un nesso causa-effetto non presuntivo, ma legato a reali situazioni di vulnerabilità che hanno portato ad un maggior rischio reale e ad una maggiore letalità Covid correlata", spiega Cricelli a Doctor 33. A Speranza sono stati inoltrati dati di Health Search, il database dei medici Simg, sugli impatti delle malattie croniche su mortalità ed ospedalizzazione, dalla cui pesatura origina un indice di morbidità molto sofisticato ma agevole da calcolare che tiene conto dell'osservazione diretta della popolazione degli studi dei medici di famiglia.
"Non serve una classica classificazione del rischio ma un'analisi su eventi reali. I fattori di rischio che abbiamo riscontrato sui nostri pazienti Covid-19 - diabete, obesità, e poi altre patologie croniche - non sono esattamente le stesse malattie citate dalle raccomandazioni ad interim del Ministero né sono sovrapponibili alle sei categorie ministeriali. Non alla prima, che riguarda malati con danno d'organo molto grave e compromissione del sistema immunitario, situazioni circoscritte (e talora fuori del raggio della medicina generale ndr), né alle altre categorie, scalate per età". Seguendo il ragionamento di Cricelli, le categorie di vulnerabilità Simg non sono del tutto sovrapponibili nemmeno alla quarta categoria che inquadra 11 milioni di 16-69enni con generiche cronicità acclarate da esenzioni, con presunto rischio aumentato se infettati da Covid-19. "La nostra sorveglianza deve orientarsi a tutta la popolazione generale", sintetizza Cricelli. "Solo noi possiamo sapere se un sessantenne con quattro patologie recenti e un'esenzione in fieri sia più vulnerabile di un assistito ugualmente cronico con qualche anno in più e debba avere la precedenza nel vaccino". Cricelli nella lettera chiede dunque al Ministro di fornire indicazioni per inserire tra le priorità nel piano vaccinale i pazienti che al rischio costituito da età, sesso, mono o plurimorbilità correli quello di "vulnerabilità e letalità per Covid 19 riscontrato a partire dai dati su ospedalizzazioni e decessi, facilmente calcolabile dai Software di cartella clinica di oltre 29 mila medici italiani".
Quella di Simg non è la sola richiesta di modificare le priorità sancite dal Ministero giunta in questi giorni dal mondo medico. Un gruppo di studio dell'Università di Milano Bicocca guidato dal professor Gianni Corrao ordinario di Statistica medica ha calcolato l'indice di fragilità che correla a un maggior rischio di letalità da Covid incrociando le categorie a rischio per una o più patologie croniche censite dalle banche dati assistito di Lombardia, Sicilia, Valle d'Aosta, Puglia e Marche, un totale di 16 milioni di abitanti, censendo anche i tamponi, i ricoveri e i decessi per Covid, quindi con un percorso in parte simile a quello Simg. Ha così identificato 23 condizioni patologiche a maggior rischio, tra le quali se ne evidenziano alcune non esplicitate nelle tabelle ministeriali ma ugualmente letali quali epilessia e Parkinson, attuale terapia con oppioidi, fragili in trattamento per disturbi mentali, malattie che richiedono trattamenti prolungati con corticosteroidi, artrite reumatoide, lupus, anemia, gotta. Infine, il presidente della Società italiana di cardiologia, professor Ciro Indolfi, chiede di mettere in prima fila i malati cardiologici, oncologici ed ematologici, sia perché talora grandi dimenticati a causa dell'emergenza Covid, sia perché una ricerca della Società europea di cardiologia conferma come i pazienti con insufficienza cardiaca, avendo rischio doppio, risulterebbero prioritari rispetto agli altri pazienti cardiologici.
Cassazione: è sempre obbligatorio versare alla propria Cassa
(da enpam.it) La sezione Lavoro della Suprema corte ha rimarcato la legittimità delle norme che regolano il pagamento dei contributi minimi agli Enti di previdenza dei professionisti. Con sentenza 4568/2021 dello scorso 19 febbraio, la Corte di Cassazione ha respinto il ricorso di un geometra contro la sentenza della Corte di appello di Firenze, che validava una cartella con la quale la Cassa professionale aveva preteso i contributi relativi a un periodo di quattro anni (dal 2008 al 2012), durante i quali il contribuente aveva svolto attività professionale, senza però essere iscritto all’ente di previdenza. Superando un precedente orientamento (espresso con la sentenza 5375/2019), i giudici di legittimità hanno stabilito che l’iscrizione all’albo professionale è condizione sufficiente al fine dell’obbligatorietà dell’iscrizione alla Cassa. Inoltre, l’ipotetica natura occasionale dell’esercizio della professione è irrilevante ai fini dell’obbligatorietà dell’iscrizione e del pagamento della contribuzione minima. Ne deriva, secondo la Corte, che per i soggetti tenuti all’iscrizione alla Cassa non è rilevante la mancata produzione effettiva di reddito professionale, essendo comunque dovuto un contributo minimo. La sentenza ha quindi sottolineato la potestà regolamentare delle Cassa privatizzate nel tracciare i criteri per l’obbligatorietà dell’iscrizione e dunque per il versamento del contributo minimo, che può essere disposto anche in assenza di reddito, a seguito della mera iscrizione all’albo professionale. Anche l’aver lavorato per i parenti non esime l’iscritto dai versamenti. In merito, infatti, la Corte ha ribadito come il principio fondamentale che determina l’obbligo di contribuzione sia quello della oggettiva riconducibilità delle attività svolte alla professione, a prescindere dall’assenza di reddito e dall’ambito familiare in cui l’attività si è svolta.
Covid-19 e Ecm, dal recupero crediti alla formazione sul campo. Ecco cosa cambia
Covid-19 e Ecm, dal recupero crediti alla formazione sul campo. Ecco cosa cambia
(da Doctor33) Dal recupero dei crediti alla formazione sul campo, dai requisiti per chi svolge attività saltuaria ed è in pensione ai provider. Sono diversi gli ambiti su cui la Commissione nazionale Ecm, nella seduta del 4 febbraio è intervenuta, dando organicità alle regole e fornendo indicazioni interpretative, con una serie di delibere che sono state rese pubbliche. Un primo punto su cui si registrano interventi riguarda il tema del recupero dei crediti, cioè la possibilità di ottemperare al debito formativo relativo a trienni passati, utilizzando crediti maturati successivamente. In particolare, nella Delibera relativa alla emergenza Covid si legge che "il termine del 31 dicembre 2020 riconosciuto ai professionisti sanitari per il recupero del debito formativo relativo al triennio 2017-2019 nonché per lo spostamento dei crediti maturati per il recupero del debito formativo relativamente al triennio formativo 2014-2016 è prorogato a fine 2021". Con la successiva delibera, viene poi specificato che "sul recupero del debito formativo pregresso, non è possibile applicare le riduzioni (par. 1.1, 1 e 2 del Manuale) al professionista che abbia provveduto allo spostamento dei crediti acquisiti mediante eventi che durino fino alla fine di quest'anno". In merito poi allo spostamento dei crediti "successivamente alla certificazione da parte di Cogeaps, i crediti imputati al recupero dell'obbligo potranno essere solo quelli acquisiti in eccedenza rispetto al quantum necessario per l'assolvimento".
Un altro punto di interesse è relativo alla formazione sul campo, su cui è stato espresso un orientamento interpretativo. Come si legge nella nota, La "Formazione sul Campo va svolta in contesti lavorativi qualificati. Si tratta in sostanza di tutte quelle attività di formazione che hanno luogo all'interno del contesto lavorativo del discente, al quale sono strettamente connesse, e che sono finalizzate a migliorare le competenze professionali nello specifico ambito di pertinenza. Considerato, quindi, che la formazione sul campo esplica la propria efficacia negli ambiti lavorativi ove quotidianamente il personale sanitario si trova ad operare", è evidente che non ricade nell'ambito di applicazione della normativa sulle misure di contenimento del Covid-19". Inoltre, come specificato da alcune circolari del Ministero della salute (23 giugno 2020 e del 7 gennaio 2021) che contengono le "indicazioni emergenziali per il contenimento del contagio da Sars-CoV-2 nelle operazioni di primo soccorso e per la formazione In sicurezza dei soccorritori, viene specificato che la formazione continua del personale sanitario dei sistemi di emergenza territoriale non può essere sospesa o rimandata. Resta ferma la responsabilità del provider nell'organizzazione e nell'erogazione dell'evento di formazione sul campo che avvenga nel rispetto delle prescrizioni".
Tra le altre novità, è stata ufficializzata l'approvazione del "Manuale delle verifiche dei provider", che disciplina le attività di vigilanza e verifica compiute dagli enti accreditanti e dai loro organismi ausiliari circa il rispetto della normativa Ecm da parte dei provider. Inoltre, sono state definiti meglio i criteri relativi alla riduzione dell'obbligo individuale in caso di collaborazione saltuaria per il personale sanitario in pensione.
Vaccino Covid, quando è possibile somministrare un’unica dose. Le indicazioni del ministero
(da Doctor33) Per coloro che hanno già avuto un'infezione da virus Sars-Cov2 è prevista la possibilità di somministrazione di un'unica dose di vaccino anti-Covid, senza dunque effettuare alcun richiamo. È arrivato il via libera dal ministero della Salute che, in una nuova circolare firmata dal direttore della Prevenzione del dicastero Giovanni Rezza, chiarisce che «è possibile considerare la somministrazione di un'unica dose di vaccino» anti-Covid-19 nei soggetti con «pregressa infezione da Sars-CoV-2 (decorsa in maniera sintomatica o asintomatica)», «purché la vaccinazione venga eseguita ad almeno 3 mesi di distanza dalla documentata infezione e preferibilmente entro i 6 mesi dalla stessa».
L'assunto di base è che i soggetti che abbiano già contratto l'infezione e ne siano guariti abbiano al contempo sviluppato anche una certa immunità. Da qui la possibilità di non effettuare la seconda dose e di ricevere la prima ad una certa distanza di tempo dall'infezione. La possibilità di un'unica dose non vale, però, per i soggetti con particolari problemi di salute: «Ciò non è da intendersi applicabile - precisa, infatti, il ministero - ai soggetti che presentino condizioni di immunodeficienza, primitiva o secondaria a trattamenti farmacologici». In questi soggetti, non essendo prevedibile la protezione immunologica conferita dall'infezione da Sars-CoV-2 e la durata della stessa, si raccomanda dunque di proseguire con la schedula vaccinale proposta, ovvero la doppia dose per i tre vaccini a oggi disponibili.
La nuova strategia vaccinale dell'Italia prenderebbe in considerazione il modello britannico della dose unica di vaccino, ritardando la somministrazione della seconda. Utilizzo dunque anche delle scorte destinate ai richiami, nell'attesa che arrivi il via libera dell'Ema al vaccino monodose Johnson&Johnson. Ipotesi non ancora approvata dall'Ema che si dice ancora scettica sulla questione. Nonostante il pressing degli Stati dopo i dati positivi sul livello di protezione di una singola dose, l'Ema «non vede ancora prove sufficienti per raccomandare modifiche» e passare ad un solo shot. Si sta valutando però l'autorizzazione d'emergenza Ue per i vaccini Covid sia per gli adeguamenti per le varianti, sia per i nuovi sieri che fanno parte della strategia dell'Unione. Si tratta di una pista su cui la Commissione europea è al lavoro, e che presenta però molti scogli legali, soprattutto sotto il profilo delle responsabilità, che i 27 leader dovranno valutare insieme di assumere, forse già al prossimo vertice del 25 marzo. La scorciatoia, utilizzata dall'Ungheria di Viktor Orban per sdoganare lo Sputnik russo ed il Sinopharm cinese, è prevista per gli Stati, ma ha carattere solo temporaneo e valore a livello nazionale. L'iniziativa, lanciata da Ursula Von der Leyen, è stata spinta dalla richiesta dei 27 capi di Stato e di governo di accelerare su via libera, produzione e distribuzione degli immunizzanti di fronte all'incalzare dell'emergenza mutazioni e alle forniture che arrivano a singhiozzo. Forte è lo scetticismo anche sullo Sputnik V, in merito al quale fonti a Bruxelles sottolineano che le capacità di produzione russa è molto limitata. Può contribuire a rafforzare le vaccinazioni in Paesi di piccole dimensioni, ma non sarebbero mai sufficienti a coprire le esigenze per esempio dell'Italia.
Covid. Soggetti obesi rispondono meno al vaccino.
Lo evidenziano i dati dello studio dell’Istituto Nazionale Tumori Regina Elena (Ire) e dell'Istituto Dermatologico San Gallicano (Isg) di Roma condotto su 250 operatori sanitari vaccinati. A fronte di una buona risposta anticorpale al vaccino nel 99% dei vaccinati (risultati migliori tra le donne e i più giovani) la risposta si è dimezzata nei soggetti sovrappeso o obesi. Leggi L'articolo completo al LINKhttp://www.quotidianosanita.it/scienza-e-farmaci/articolo.php?articolo_id=93047&fr=n
Uno spray nasale potrebbe impedire il contagio da Sars-CoV-2
(da Doctor33) Un antivirale a base di lipopeptidi da spruzzare nel naso è stato in grado di bloccare la trasmissione di Sars-CoV-2 nei furetti, e potrebbe prevenire l'infezione nelle persone esposte al nuovo coronavirus, comprese le varianti più recenti, secondo uno studio pubblicato su Science. «Le persone che non possono essere vaccinate o che non sviluppano l'immunità potranno trarre particolare beneficio dallo spray. L'antivirale è facilmente somministrabile e, sulla base della nostra esperienza con altri virus respiratori, darebbe una protezione immediata che potrebbe durare per almeno 24 ore» spiegano Matteo Porotto, della Columbia University e della Università della Campania Luigi Vanvitelli, Caserta, e Anne Moscona, della Columbia University, autori senior dello studio.
Il lipopeptide antivirale è poco costoso da produrre, ha una lunga durata di conservazione e non necessita di refrigerazione, e proprio per queste caratteristiche si distingue dagli altri approcci antivirali in fase di sviluppo, inclusi molti anticorpi monoclonali, e potrebbe essere particolarmente utile nelle popolazioni rurali, a basso reddito e difficili da raggiungere. Porotto e Moscona hanno precedentemente creato lipopeptidi simili per prevenire l'infezione di cellule da altri virus, e quando è emerso Sars-CoV-2, hanno adattato i loro progetti alla nuova minaccia. I lipopeptidi agiscono impedendo a un virus di fondersi con la membrana cellulare del suo ospite. Per fondersi, il nuovo coronavirus dispiega la sua proteina spike prima di contrarsi in un fascio compatto. Il composto riconosce lo spike di Sars-CoV-2, si incunea nella regione dispiegata e impedisce alla proteina spike di adottare la forma compatta necessaria per la fusione. Negli esperimenti sui furetti, il lipopeptide è stato somministrato nel naso di sei furetti. Coppie di furetti trattati sono stati quindi sistemati in gabbie con due furetti di controllo che avevano ricevuto uno spray nasale salino, e un furetto infettato da Sars-CoV-2. Dopo 24 ore, nessuno dei furetti trattati è stato contagiato, mentre tutti gli animali di controllo sono risultati altamente infetti. Il lipopeptide è stato testato anche su cellule infettate con una gamma di varianti Sars-CoV-2, e ha funzionato in maniera efficace. Gli autori sperano di passare presto a test sull'uomo.
(Science 2021. Doi: 10.1126/science.abf4896 http://doi.org/10.1126/science.abf4896 )