Circonferenza del polpaccio sotto i 30 cm predice un alto rischio di mortalità negli anziani

(da DottNet)    Il polpaccio è il nuovo indicatore di buona salute. Negli anziani, la sua misura può predire la mortalità a 10 anni per tutte le cause: se la circonferenza è meno di 30 cm negli uomini e 28 cm nelle donne, il rischio è triplicato. A dimostrarlo i dati di nuovi studi presentati in occasione del 69° Congresso della Società Italiana di Gerontologia e Geriatria (SIGG), tenutosi a Firenze. La perdita di massa muscolare legata all'invecchiamento, spiegano i geriatri, ha infatti ripercussioni negative sulle capacità cognitive, la funzione cardiovascolare e respiratoria e una corretta risposta immunitaria, con un maggior rischio di mortalità, di cui la misura del polpaccio è appunto un nuovo indicatore.

Gli esperti hanno inoltre evidenziato un'associazione negli over 65 tra carenza di tessuto muscolare e insonnia che, riducendo la sintesi proteica, comporta un indebolimento del muscolo. «La perdita di massa muscolare è un processo inevitabile con l'avanzare dell'età. A partire dai 45 anni si verifica una perdita della forza muscolare pari all'8% ogni 10 anni, che può attestarsi al 60% superati i 75 anni - sottolinea Andrea Ungar, presidente Sigg e ordinario di Geriatria all'Università di Firenze -. Un ritmo di depauperamento del patrimonio muscolare che è possibile arginare grazie a un corretto e costante esercizio fisico e a una adeguata alimentazione».

Tatuaggi: un inchiostro non molto simpatico

(da Univadis)    Negli ultimi anni, i tatuaggi sono diventati sempre più popolari, arrivando a interessare fino al 20-25% della popolazione in alcuni Paesi, e addirittura il doppio tra le giovani generazioni. Tuttavia, la crescente popolarità dei tatuaggi solleva domande sulla loro sicurezza e sull'impatto a lungo termine sulla salute. A oggi, solo 3 studi hanno cercato di identificare un potenziale legame tra l'inchiostro dei tatuaggi e un aumento del rischio di cancro, in particolare linfoma, mieloma multiplo e carcinoma basocellulare. Gli studi hanno incontrato difficoltà metodologiche, non da ultimo a causa del gran numero di possibili fattori confondenti. Dalla pelle ai linfonodi  -  Quando si applica un tatuaggio, parte dell'inchiostro migra dalla pelle al flusso sanguigno e si accumula nei linfonodi regionali. Le particelle contenute nell'inchiostro possono quindi essere trasportate dalla circolazione generale ad altri organi.   L'inchiostro nero, in particolare, contiene nerofumo e idrocarburi policiclici aromatici, tra cui il benzo(a)pirene, classificato come cancerogeno dall'Agenzia Internazionale per la Ricerca sul Cancro. Vale quindi la pena di informarsi sugli effetti nocivi dei tatuaggi sulla pelle, sul sistema immunitario e su altri organi.  Inoltre, l'inchiostro utilizzato produce infiammazione nel punto di iniezione, portando a un'infiammazione cronica che potrebbe aumentare il rischio di proliferazione cellulare anomala, in particolare di cancro della pelle e linfoma.  Per migliorare il controllo dei fattori confondenti, un team nordico ha condotto due studi sui gemelli, che condividono un gran numero di fattori genetici e ambientali. Il primo è uno studio di coorte su oltre 2.300 gemelli, mentre il secondo è uno studio caso-controllo su 316 gemelli. Aumento del rischio di cancro -  Nello studio caso-controllo, l'analisi individuale ha mostrato un aumento del rischio di cancro della pelle indipendentemente dalla superficie coperta dal tatuaggio. Rispetto alle persone senza tatuaggi, il rischio di cancro della pelle (di tutti i tipi, tranne il carcinoma basocellulare) aumenta del 62% nelle persone con tatuaggi (HR 1,62 [95% IC: 1,08-2,41]). Il rischio appare ancora più elevato quando il tatuaggio è più grande della dimensione di una mano (HR 2,37 [da 1,11 a 5,06]).  Anche nello studio caso-controllo, il rischio di linfoma sembra dipendere dalle dimensioni del tatuaggio. Non è stato riscontrato nelle analisi che non tenevano conto delle dimensioni del tatuaggio, ma il rischio aumentava con una superficie superiore al palmo di una mano (HR 2,73 [da 1,33 a 5,60]). L'esiguo numero di casi di cancro alla vescica o al tratto urinario non ha permesso di studiare il legame tra tatuaggi e questi tipi di cancro.  Nello studio di coorte, il rischio di cancro della pelle (escluso il carcinoma basocellulare) è aumentato di quasi 4 volte rispetto all'assenza di tatuaggi (HR 3,91 [1,42-10,8]). Il rischio di carcinoma basocellulare è stimato a 2,83 [da 1,30 a 6,16]. In questa analisi non è possibile stimare gli effetti dei tatuaggi sul rischio di linfoma. I responsabili sono solo i pigmenti?  - In questo studio, gli autori sviluppano l'ipotesi che i depositi di inchiostro interagiscano con i tessuti vicini, causando un aumento della proliferazione cellulare e aumentando così il rischio di cancro.  Il meccanismo coinvolge una risposta immunologica, già studiata, per esempio, nel caso del linfoma anaplastico a grandi cellule, un raro tipo di linfoma a cellule T che può comparire dopo le protesi mammarie. Gli autori osservano che questa via non coinvolge necessariamente agenti specifici contenuti nell'inchiostro, anche se la presenza di una sostanza cancerogena aggiunge un elemento di rischio.  Ritengono quindi che gli effetti preventivi delle restrizioni europee (REACH), c he vietano l'uso di alcuni pigmenti e sostanze potenzialmente cancerogene e che sono state concepite per ridurre l'esposizione a un lungo elenco di composti cancerogeni noti o sospetti, possano essere meno efficaci di quanto si pensasse inizialmente. Oltre al meccanismo preciso del potenziale legame tra tatuaggi e cancro, restano da chiarire altre questioni, come la sicurezza delle procedure laser utilizzate per "cancellare" i tatuaggi: la riduzione delle dimensioni delle particelle di inchiostro aumenta ulteriormente il loro potenziale migratorio e ci si chiede dove finiscano queste particelle.  Per gli autori, è ora necessario informare le persone sui rischi associati all'inchiostro dei tatuaggi. (Clemmensen SB, Mengel-From J, Kaprio J, et al. Tattoo ink exposure is associated with lymphoma and skin cancers - a Danish study of twins. BMC Public Health. 2025 Jan 15;25(1):170. doi: 10.1186/s12889-025-21413-3.)    

Dolcificanti e pubertà precoce: un rischio emergente

(da M.D.Digital) Il consumo di alcuni dolcificanti, spesso presenti in cibi e bevande comuni, potrebbe aumentare il rischio di pubertà precoce nei bambini, specialmente in quelli geneticamente predisposti. Questo è quanto emerge da uno studio presentato al meeting annuale Endo 2025 e pubblicato sul Journal of Endocrinological Investigation. I ricercatori hanno scoperto che l'assunzione di aspartame, sucralosio, glicirrizina e zuccheri aggiunti è significativamente associata a un rischio maggiore di pubertà precoce centrale. È stato rilevato che maggiore è il consumo di questi dolcificanti, maggiore è il rischio. Il più vasto studio su dieta, geni e sviluppo Questo studio è "uno dei primi a collegare le moderne abitudini alimentari – in particolare l'assunzione di dolcificanti – con i fattori genetici e lo sviluppo precoce della pubertà in una vasta coorte del mondo reale". Lo ha affermato Yang Ching Chen, di Taipei. La ricerca evidenzia anche differenze di genere nell'influenza dei dolcificanti su ragazzi e ragazze. La pubertà precoce centrale è in aumento e può portare a disagio emotivo, altezza adulta ridotta e un maggiore rischio di disturbi metabolici e riproduttivi futuri. I dati provengono dal Taiwan Pubertal Longitudinal Study (Tpls), che ha coinvolto 1.407 adolescenti dal 2018, diagnosticando la pubertà precoce in 481 di essi. La predisposizione genetica è stata quantificata tramite punteggi di rischio poligenico basati su 19 geni. Ricerche precedenti del Dr. Chen hanno mostrato che alcuni dolcificanti possono influenzare direttamente gli ormoni e i batteri intestinali legati alla pubertà. Ad esempio, l'acesulfame potassio (AceK) è stato dimostrato attivare i percorsi del "gusto dolce" nelle cellule cerebrali, aumentando le molecole legate allo stress e scatenando il rilascio di ormoni legati alla pubertà. La glicirrizina, presente nella liquirizia, è stata collegata a cambiamenti nell'equilibrio dei batteri intestinali e a una riduzione dell'attività dei geni che innescano la pubertà. "Ciò suggerisce che ciò che i bambini mangiano e bevono, specialmente prodotti con dolcificanti, può avere un impatto sorprendente e potente sul loro sviluppo", ha affermato Chen. Differenze di genere e ripercussioni sulla salute Lo studio ha rivelato specifiche differenze di genere: il consumo di sucralosio è stato collegato a un rischio più elevato di pubertà precoce centrale nei ragazzi. Nelle ragazze, il consumo di glicirrizina, sucralosio e zuccheri aggiunti è stato associato a un rischio maggiore. Le conseguenze a lungo termine della pubertà precoce includono, come già menzionato, disagio emotivo, una statura adulta inferiore e un aumento del rischio di disturbi metabolici e riproduttivi in futuro. Verso nuove linee guida dietetiche e prevenzione "I risultati sono direttamente rilevanti per famiglie, pediatri e autorità di sanità pubblica", ha sottolineato Chen. La ricerca suggerisce che uno screening del rischio genetico e una moderazione dell'assunzione di dolcificanti potrebbero contribuire a prevenire la pubertà precoce e le sue conseguenze sulla salute a lungo termine. Questo potrebbe portare all'introduzione di nuove linee guida dietetiche o strumenti di valutazione del rischio specifici per i bambini, promuovendo uno sviluppo più sano. (Tsai YJ, et al. Sweeteners and puberty: investigating genetic and dietary influences on central precocious puberty. J Endocrinol Invest 2025. doi: 10.1007/s40618-025-02677-3.)

Cervello almeno un anno più vecchio dell’età se si dorme male

(da DottNet)  Dormire male potrebbe accelerare l'invecchiamento del cervello: un riposo di cattiva qualità si associa a un organo che appare più vecchio di un anno rispetto all'età della persona. È quanto riferito all'ANSA da Abigail Dove, autrice di un ampio studio di imaging cerebrale condotto presso il Karolinska Institutet e pubblicato sulla rivista eBioMedicine. Un aumento dell'infiammazione nell'organismo potrebbe in parte spiegare questa associazione tra sonno e invecchiamento cerebrale.  La scarsa qualità del sonno è stata associata alla demenza, ma non è chiaro se abitudini di sonno scorrette contribuiscano allo sviluppo della demenza o se siano piuttosto sintomi precoci della malattia.  Qui gli esperti hanno studiato il legame tra le caratteristiche del sonno e l'età apparente del cervello in relazione alla sua età cronologica, coinvolgendo 27. 500 persone di mezza età e anziane della Uk Biobank, sottoposte a risonanza magnetica cerebrale. Utilizzando l'intelligenza artificiale, i ricercatori hanno stimato l'età biologica del cervello sulla base di oltre mille immagini di risonanza magnetica cerebrale.  La qualità del sonno dei partecipanti è stata valutata in base a cinque fattori auto-riportati: cronotipo (essere una persona mattiniera/serale), durata del sonno, insonnia, russamento e sonnolenza diurna. I partecipanti sono stati poi divisi in tre gruppi: sonno sano (≥4 punti), intermedio (2-3 punti) o scarso (≤1 punto).  "Il divario tra l'età cerebrale e l'età cronologica si amplia di circa sei mesi per ogni punto in meno del punteggio del sonno sano - spiega Dove - Le persone con scarso sonno avevano un cervello che appariva in media un anno più vecchio della loro età effettiva".  

Stop allo spreco, il decalogo Iss per salvare il cibo. ‘Pianificare la spesa, valorizzare avanzi e tanta creatività’

(da Ansa.it)  Per contrastare lo spreco alimentare servono equilibrio negli acquisti, creatività e attenzione. Lo sottolineano gli esperti del Reparto Alimentazione, Nutrizione e Salute dell''Istituto Superiore di Sanità (Iss), diretto da Laura Rossi. In occasione della Giornata Internazionale della Consapevolezza sulle Perdite e gli Sprechi Alimentari, istituita dalle Nazioni Unite il 29 settembre, gli specialisti propongono un decalogo per ridurre l''impatto ambientale degli scarti di cibo.   Tra i consigli principali: pianificare la spesa in base a ciò che già si ha in casa, organizzare i pasti settimanali e valorizzare gli avanzi. È importante fare acquisti consapevoli, nelle quantità giuste, e consumare tempestivamente frutta fresca, verdure, pane, insalate, cipolle, aglio e tuberi, tra i prodotti più soggetti a spreco. Gli esperti raccomandano anche di prestare attenzione alle offerte e alle confezioni "giganti" o promozioni tipo "3x2", se non si è certi di poter consumare tutto in tempo. Invogliano a scegliere prodotti "brutti ma buoni", leggere attentamente le etichette per conservarli più a lungo e interpretare correttamente le scadenze: "da consumarsi entro" indica che il prodotto va consumato entro quella data (es. latte fresco), mentre "da consumarsi preferibilmente entro" significa che può essere consumato anche dopo, se conservato correttamente, senza rischi per la salute (es. biscotti o pasta). Infine, per ridurre i surplus: condividere gli avanzi con gli ospiti, chiedere la doggy bag al ristorante e, se il cibo in eccesso è ancora buono, informarsi sui programmi locali di recupero e donazione alimentare, aiutando così chi è in difficoltà.

Prevenzione vaccinale: dalle associazioni appello per aggiornare il Calendario Nazionale

(da Sanitainformazione.it)     Grande preoccupazione per la proposta, avanzata pochi giorni fa dal ministero della Salute, di mantenere l’attuale Piano di prevenzione vaccinale fino a dicembre 2026, prevedendo una proroga isorisorse. È quanto affermano oggi Cittadinanzattiva, insieme all’Associazione Pazienti BPCO e all’Associazione Respiriamo Insieme, in una lettera inviata al ministro della Salute Orazio Schillaci, nella quale chiedono, al contrario, di “intervenire presto e in modo risolutivo” per aggiornare il Calendario Nazionale di Immunizzazione e garantire a tutti – neonati, donne in gravidanza, adulti fragili e anziani – l’accesso agli strumenti di prevenzione contro il Virus respiratorio sinciziale.  L’impegno delle associazioni per la tutela dei pazienti fragili -  Cittadinanzattiva, insieme all’Associazione Pazienti BPCO – impegnata per la tutela dei pazienti fragili adulti e anziani affetti da Broncopneumopatia Cronica Ostruttiva – e all’Associazione Respiriamo Insieme – che opera prevalentemente nel campo delle malattie respiratorie pediatriche – sono da anni attente al tema della prevenzione vaccinale e recentemente, in particolare, al tema della prevenzione dal VRS. Tra le ultime iniziative, la promozione congiunta dell’Osservatorio VRS, a cui partecipano Regioni, società scientifiche, medici, pediatri e associazioni di pazienti. Di recente pubblicazione il secondo instant book a cura dell’Osservatorio VRS. Le richieste delle associazioni al ministero della Salute -  Nella lettera al ministro, le organizzazioni chiedono dunque: - la rinuncia alla proroga del PNPV; - l’aggiornamento urgente del Calendario Nazionale di Immunizzazione, con l’inclusione di tutte le categorie attualmente coperte da strumenti di prevenzione VRS efficaci: neonati, donne in gravidanza, adulti fragili e anziani; - l’emanazione di una circolare ministeriale contenente indicazioni operative chiare, che consenta a tutte le Regioni di attivarsi con criteri condivisi; - la definizione di un quadro economico certo, con risorse dedicate e modalità trasparenti di riparto e rendicontazione; -  l’attivazione di una campagna di informazione nazionale, per garantire alla popolazione una corretta conoscenza delle nuove opportunità preventive sul virus sinciziale. I casi e i decessi per virus respiratorio sinciziale -  Ogni anno, in Italia, si registrano circa 25.000 ricoveri per virus respiratorio sinciziale (VRS) tra i bambini sotto i 5 anni, con un’incidenza di circa 800 neonati ricoverati ogni 100.000. La scorsa stagione ha dimostrato l’efficacia di un anticorpo monoclonale in grado di prevenire oltre l’80% di questi ricoveri. La protezione dei neonati può essere garantita inoltre tramite la vaccinazione materna in gravidanza. Nella popolazione over 60, si contano ogni anno circa 26.000 ricoveri, 1.800 decessi legati al VRS in Italia e oltre 158.000 nell’Unione Europea.  

Hpv, vent’anni dopo il vaccino si vede l’immunità di gregge

(da Sanitàinformazione.it)   A quasi vent’anni dall’introduzione del vaccino contro il Papillomavirus, arrivano i primi segnali di quello che gli epidemiologi definiscono “immunità di gregge”. Significa che, una volta raggiunto un livello sufficiente di copertura vaccinale, la circolazione del virus si riduce così tanto da offrire una protezione indiretta anche a chi non si è vaccinato. È il dato incoraggiante che emerge da uno studio coordinato dal Cincinnati Children’s Hospital Medical Center e pubblicato sulla rivista 'Jama Pediatrics' Il Papillomavirus umano (Hpv) resta l’infezione sessualmente trasmessa più diffusa al mondo. Alcuni ceppi ad alto rischio sono responsabili di tumori orofaringei e anogenitali, tra cui il carcinoma della cervice uterina. Ogni anno, secondo le stime, circa 630mila nuovi casi di tumore sono legati a questo virus. Infezioni quasi azzerate nelle vaccinate, forte calo anche nelle non vaccinate - La ricerca ha seguito circa 2.300 ragazze e giovani donne considerate a rischio di infezione tra il 2006 e il 2023. I risultati parlano chiaro: nelle donne vaccinate le infezioni da Hpv si sono quasi azzerate. Ma la sorpresa è arrivata dal gruppo non vaccinato, dove si è osservata comunque una riduzione significativa dei casi, in alcuni casi superiore al 75%. Un dato che non può essere spiegato da cambiamenti nello stile di vita: le abitudini sessuali delle partecipanti, infatti, sono rimaste stabili nell’arco dei 17 anni osservati. “Due messaggi chiave: il vaccino funziona e protegge anche chi non lo fa” - “Ci sono due messaggi incoraggianti che arrivano dal nostro studio – spiega la coordinatrice della ricerca Jessica Kahn -. Il primo è che i vaccini contro l’Hpv funzionano molto bene anche nel mondo reale. Il secondo è che abbiamo trovato chiare prove di immunità di gregge: quando viene vaccinato un numero sufficiente di persone, anche chi non lo è riceve una protezione indiretta”. Prevenzione e prospettive - Il traguardo, sottolinea Kahn, è ambizioso ma concreto: ridurre drasticamente le infezioni da Hpv fino a rendere possibile, in prospettiva, l’eliminazione del cancro della cervice uterina a livello globale. Un obiettivo che richiede non solo programmi di vaccinazione estesi e continuativi, ma anche campagne di sensibilizzazione per superare resistenze culturali e disinformazione. “Questi risultati – conclude la studiosa – rafforzano il potenziale dei vaccini Hpv non solo per prevenire l’infezione, ma per ridurre il peso dei tumori Hpv-correlati a livello mondiale”.

Obesità riconosciuta come malattia. Il Senato approva in via definitiva il ddl per la prevenzione, la cura e l’inclusione sociale

(da Quotidiano Sanità)   Con l'approvazione definitiva da parte dell’Aula del Senato questa mattina, il disegno di legge sull’obesità diventa ufficialmente legge. Per la prima volta in Italia, l’obesità viene formalmente riconosciuta come una malattia cronica, progressiva e recidivante, al pari di altre patologie di interesse sociale, e diventa oggetto di un articolato programma nazionale di prevenzione, cura, educazione e inclusione.  Il testo, approvato in via definitiva senza modifiche rispetto a quanto già licenziato dalla Camera lo scorso 7 maggio, introduce una cornice normativa ampia e strutturata, con misure che toccano la sanità, la scuola, il lavoro, l’informazione pubblica e la formazione professionale. Uno dei cardini della nuova legge è il riconoscimento esplicito del diritto delle persone con obesità ad accedere alle prestazioni sanitarie comprese nei Livelli essenziali di assistenza (Lea). Un passaggio fondamentale che conferma la presa in carico da parte del Servizio sanitario nazionale, in forma gratuita o con compartecipazione alla spesa, rendendo finalmente strutturale l’accesso a diagnosi, terapie e monitoraggio.   La norma prevede inoltre l’istituzione di un programma nazionale per la prevenzione e la cura dell’obesità, dotato di uno stanziamento iniziale di 700.000 euro nel 2025, che salirà a 800.000 nel 2026, fino ad arrivare a 1,2 milioni di euro annui a partire dal 2027. Le risorse saranno ripartite tra le Regioni tramite un decreto del Ministero della Salute, d’intesa con il MEF e la Conferenza Stato-Regioni, e saranno destinate a una serie di azioni che vanno dalla promozione dell’attività fisica e di una corretta alimentazione fin dall’infanzia, alla sensibilizzazione dei genitori, al sostegno all’allattamento al seno, all’informazione pubblica tramite farmacie, medici e reti di prossimità. Non mancano misure di inclusione sociale: la legge incoraggia l’inserimento delle persone con obesità nei contesti scolastici, lavorativi e sportivo-ricreativi, contrastando pregiudizi e discriminazioni. La legge stanzia anche 400.000 euro annui, a partire dal 2025, per attività di formazione e aggiornamento dedicate a studenti universitari, medici di medicina generale, pediatri e personale del SSN. L’obiettivo è garantire competenze aggiornate nella prevenzione, nella diagnosi e nella gestione clinica dell’obesità.  Un altro elemento innovativo è l’istituzione dell’Osservatorio per lo Studio dell’Obesità (OSO) presso il Ministero della Salute, che avrà il compito di monitorare l’attuazione de lla legge, contribuire all’elaborazione del programma nazionale e fornire ogni anno una relazione al Parlamento con dati aggiornati ed evidenze scientifiche.  Infine, per contrastare la diffusione della malattia è previsto anche uno stanziamento permanente di 100.000 euro annui destinato a campagne di informazione, educazione alimentare e promozione dell’attività fisica, attuate in collaborazione con scuole, farmacie, medici di base e enti locali.

Un bambino su dieci soffre di obesità infantile

(da DottNet)  In Italia già a 9 anni un bambino su tre ha un eccesso di peso e 1 su 10 presenta obesità. Nel mondo Organizzazione Mondiale della Sanità e Unicef segnalano che il numero di bambini e adolescenti con obesità ha superato il numero dei coetanei con malnutrizione. Le cause non sono legate a pigrizia e golosità: l'obesità è una vera e propria malattia che con la giusta diagnosi può essere curata.  Delle prospettive di cura e prevenzione si è parlato a Verona in un convegno coordinato da Claudio Maffeis, direttore della Uoc Pediatria B sede del Centro Regionale di Diabetologia pediatrica. Due le malattie metaboliche che oggi hanno maggiore impatto sulla popolazione pediatrica: obesità e diabete tipo 1. La causa dell'obesità è un'alterazione dei meccanismi che regolano fame e sazietà, per cui l'ampia disponibilità di cibo e la sedentarietà fungono poi da fattori scatenanti. Prevenirla è possibile iniziando sin dalla gravidanza e, nei casi di obesità grave, sono oggi disponibili test genetici specifici.. Ma, come riportato da una ricerca pubblicata sulla rivista The Lancet, gli interventi preventivi precoci indirizzati ai soli genitori sono utili ma non sufficienti a prevenire l'obesità nei figli. L'obesità si cura grazie a nuovi farmaci utilizzabili già dai 12 anni di età. La terapia è efficace per il calo di peso e migliora anche tutti i fattori di rischio associati. Il diabete di tipo 1 è tipico dell'età pediatrica, da 0 a 18 anni, e ha un'incidenza di un caso ogni 800 giovani. Questa forma di diabete necessita della somministrazione di insulina più volte al giorno e del controllo costante della glicemia. Ci sono però delle novità; i test diagnostici permettono di identificare il diabete tipo 1 nei bambini prima che compaiano i sintomi, tramite un semplice esame del sangue. Se il test è positivo, ci sono terapie innovative con anticorpi monoclonali che rallentano la progressione della patologia. Questi farmaci non sostituiscono l'insulina, ma migliorano l'andamento della malattia anche a lungo termine. Oggi il controllo della glicemia è notevolmente facilitato e meno invasivo grazie a dispositivi indossabili che consentono un'iniezione continua di insulina, regolata da un algoritmo che usa i valori della glicemia registrati da un sensore. Maffeis osserva che "l'obesità è una vera e propria malattia neuroendocrina a predisposizione genetica, non un problema di stile di vita", mentre il diabete pediatrico di tipo 1" non va confuso con il diabete dell'adulto. Può venire a chiunque, soprattutto prima dei 20 anni e non ha nessuna relazione con il consumo di dolci perché è è una malattia autoimmune

Sorgenti d’acqua dolce sempre più salate. In un nuovo studio l’allarme sul cambiamento climatico

(da Quotidiano Sanità)   L'intrusione di sale nei fiumi rappresenta un pericolo per la disponibilità di acqua dolce nelle regioni costiere di tutto il mondo. Ricercatori e ricercatrici dell'Università di Utrecht e dell'Istituto di ricerca Deltares hanno condotto uno studio che mostra come questo processo nei prossimi decenni sia destinato ad aumentare a causa dei cambiamenti climatici. Da una serie di analisi e osservazioni sul clima emerge che entro la fine del ventunesimo secolo ci saranno un aumento della siccità in molte regioni del mondo, l'innalzamento del livello del mare e contemporaneamente un abbassamento degli estuari. Il risultato, secondo questo lavoro, è che il livello di salinizzazione delle foci sarà due volte maggiore rispetto alla riduzione degli scarichi fluviali. L’effetto sarà dannoso soprattutto per la vegetazione e le attività umane lungo le aree costiere. “Tecnicamente – spiega in una nota l’Università di Trento poiché tra gli autori dello studio c’è anche Henk Dijkstra, professore di Fisica climatica a Utrecht e legato da un contratto di doppia affiliazione all’Università di Trento, in particolare al Dipartimento di Ingegneria civile, ambientale e meccanica - si chiama 'intrusione salina'. È un fenomeno idrogeologico che si verifica lungo i litorali, dove l'acqua salata del mare, più densa, si infiltra nel sottosuolo, incuneandosi al di sotto dell'acqua dolce, più dolce, presente nelle falde acquifere sotterranee e penetrando nel suolo. Un processo spinto da una parte dall’innalzamento del livello del mare, dall’altra dalla riduzione del deflusso fluviale. Il rischio potenziale di un aumento dell'intrusione salina in seguito ai cambiamenti climatici è stato quantificato utilizzando studi di modellazione numerica”. Il gruppo di lavoro ha preso in considerazione diciotto sistemi fluviali in tutto il mondo (Nord e Sud America, Europa, Africa, Asia e Oceania). Ha determinato, attraverso modelli numerici, i cambiamenti nelle statistiche di intrusione salina sotto l'influenza dei mutamenti climatici e analizzato le statistiche. Il risultato è che per la maggior parte dei sistemi, i dati indicano che l'effetto combinato della variazione degli scarichi fluviali e dell'innalzamento del livello del mare porterà a un aumento dell'intrusione salina del 10-20 per cento entro il 2100. “Le conseguenze più preoccupanti - sottolinea la nota dell'ateneo di Trento - interessano le zone costiere, dove l’acqua dolce rischia di scomparire. L'avanzamento dell’intrusione salina verso l’entroterra mette infatti a repentaglio la sopravvivenza degli ecosistemi ed è pericolosa anche per l'agricoltura, rendendo il terreno incoltivabile”.  

Allarme ISS, 4 caregiver su 10 sviluppano malattie croniche

(da Fimmg.org)   Prendersi cura di un familiare non è solo un impegno emotivo e pratico: per molti caregiver significa anche mettere a rischio la propria salute. Quattro su dieci (41%) dichiarano infatti di aver sviluppato malattie croniche che prima non avevano e tra questi due su tre (66%) riportano l'insorgenza di più di una patologia. A soffrirne di più sono le donne (in particolare le più giovani) che spesso rinunciano a visite mediche e ricoveri. Lo rivela una survey dell'Istituto Superiore di Sanità, a cui hanno risposto 2033 persone (83% donne), presentata oggi a Roma in occasione del convegno "Promuovere la salute delle persone caregiver familiari in ottica di genere: prospettive future" promosso dal Centro di riferimento per la medicina di genere. In cima alle malattie più frequenti, quelle psichiatriche, seguite da quelle scheletro-muscolari, cardiovascolari e gastro-intestinali. "Le donne, in particolare, si fanno carico in maniera preponderante del lavoro di assistenza e cura all'interno delle famiglie - spiega Elena Ortona, direttrice del Centro di riferimento per la medicina di genere dell'Iss-. Questo impegno costante e spesso gravoso ha un impatto diretto e profondo sulla loro salute. La ricerca evidenzia che le donne che svolgono il ruolo di caregiver sono maggiormente esposte a problemi di salute fisica e psicologica; di conseguenza, le disuguaglianze di genere possono generare a loro volta disuguaglianze di salute. Fondamentale - aggiunge - è che le politiche socio-sanitarie rivolte ai caregiver e alle caregiver familiari considerino le differenze di sesso e genere basate sulle evidenze scientifiche". Al centro del dibattito, anche il contributo del medico di medicina generale e la mappatura dei servizi diretti ai caregiver.

Profilo sanitario sintetico, arriva la proroga. Nuovo termine tra dicembre e marzo

(da Doctor33)   Slitta l’entrata in vigore del Profilo sanitario sintetico (Pss), inizialmente prevista per il 30 settembre. Secondo quanto appreso dall’Adnkronos Salute, la proroga sarà formalizzata con un decreto in Conferenza Stato-Regioni il 2 ottobre. Il termine potrebbe essere spostato a dicembre o addirittura a marzo, per consentire il completamento delle attività di implementazione.Il Pss, integrato nel Fascicolo sanitario elettronico 2.0, raccoglie dati clinici essenziali del paziente – anagrafica, patologie croniche, allergie, terapie farmacologiche, trapianti, anamnesi familiare – ed è accessibile anche in pronto soccorso senza consenso esplicito, per garantire la presa in carico in caso di emergenza.  La decisione di rinviare arriva dopo le criticità sollevate dal presidente dell’Ordine dei medici di Milano, Roberto Carlo Rossi, che ha avvertito: “Potrà apportare migliorie nell’assistenza dei cittadini italiani, ma presenta numerose e pesanti criticità connesse con cybersicurezza, privacy, aspetti etici e medico-legali. Sarà uno strumento a cui approcciarsi con grande cautela da parte dei colleghi che si troveranno a compilarlo”.  Il rinvio recepisce anche le difficoltà operative segnalate dalla Fimmg, che aveva giudicato “impossibile” l’avvio a causa dell’inadeguatezza dei software gestionali degli studi di medicina generale, con rischio di aggravio burocratico. Più positivo il commento dell’Ordine dei medici di Roma: per il presidente Antonio Magi, il Pss “rappresenta un passo importante verso un Ssn più efficiente e integrato”, a patto però di includere anche i dati della specialistica ambulatoriale e ospedaliera e di vigilare su privacy e carichi amministrativi.

Dopo l’ipotesi dell’infermiere anche il farmacista prescrittore?

(da Sanitainformazione.it)   In Italia la prescrizione di un farmaco è una prerogativa esclusiva del medico. È il medico che formula la diagnosi e decide la terapia, mentre al farmacista spetta il compito di dispensare il medicinale, vigilare sulla correttezza del trattamento, monitorare le possibili interazioni e accompagnare il paziente nel percorso di cura. Questo confine tra chi prescrive e chi dispensa ha rappresentato a lungo un cardine del Servizio sanitario nazionale, una sorta di garanzia di equilibrio tra competenze e responsabilità.  Negli ultimi anni, però, questo scenario è stato messo in discussione. In diversi Paesi europei ed extraeuropei, il farmacista ha visto progressivamente ampliarsi le proprie competenze, fino a diventare, in certi contesti, anche prescrittore. L’idea di fondo è apparentemente semplice: consentire a professionisti con solide basi scientifiche e un rapporto diretto con i cittadini di alleggerire il carico della medicina di base, migliorando al tempo stesso l’accesso alle cure. Italia tra riforme e attese - Nel nostro Paese non esiste ancora una legge che attribuisca ai farmacisti il potere di prescrivere. Il DM 77 del 2022 ha rafforzato il ruolo della farmacia nell’assistenza territoriale, rendendola un avamposto del Servizio sanitario nazionale ma non ha toccato la questione prescrittiva. Ora, però, il recente Testo Unico della Farmaceutica, approvato in Consiglio dei Ministri, potrebbe rappresentare la base di partenza per una riforma più ampia. Non è un caso che il sottosegretario alla Salute, Marcello Gemmato, abbia parlato di un futuro in cui il farmacista prescrittore potrà avere un ruolo chiave nell’integrazione tra farmacia e sanità pubblica.   Se mai venisse introdotto, il farmacista prescrittore in Italia non avrebbe poteri illimitati. Le ipotesi in discussione guardano soprattutto a contesti di bassa complessità e a funzioni di supporto alla continuità terapeutica. In particolare, si pensa a: - farmaci per patologie minori e autolimitanti, come infezioni leggere delle vie respiratorie, congiuntiviti, dermatiti o allergie stagionali; - rinnovo delle terapie croniche già diagnosticate dal medico, per pazienti stabilizzati che necessitano solo di continuità; - alcuni farmaci da banco o di fascia C, oggi soggetti a ricetta, che il farmacista potrebbe gestire sotto protocolli condivisi e con obbligo di tracciabilità digitale. L’idea, quindi, non è quella di trasformare il farmacista in un “medico in farmacia”, ma di rendere più semplice la vita al paziente, soprattutto cronico, e più efficiente il sistema sanitario.  Il dibattito europeo di Assofarm a Napoli - Il tema è stato al centro del consesso europeo delle Farmacie Sociali (UEFS), ospitato da Assofarm a Napoli nei giorni scorsi. L’incontro ha messo a confronto esperienze estere già consolidate con le prospettive italiane. Proprio Gemmato, aprendo i lavori, ha ribadito che il nuovo Testo Unico della Farmaceutica è la cornice su cui costruire una riforma della farmacia territoriale che includa anche la prescrizione.  Il vicepresidente di Assofarm, Andrea Porcaro D’Ambrosio, ha ricordato i lavori dell’“Officina di Galeno” a Pisa, sottolineando come il tema sia maturo e supportato dai casi di successo di diversi Paesi del Nord Europa. Per Venanzio Gizzi, presidente UEFS, l’Italia sconta un certo ritardo, ma questo non significa arretratezza: ogni Paese ha punti di forza e debolezze e il valore della federazione sta proprio nello scambio di esperienze. A livello territoriale, Domenico Della Gatta ha rimarcato che la proposta non deve essere divisiva, ma rafforzare la collaborazione tra professionisti.  Il presidente dell’Ordine dei Farmacisti di Napoli, Vincenzo Santagada, ha ricordato un articolo del 2010 in cui si parlava della “superfarmacia”, allora visionaria e oggi sempre più concreta. Ma per arrivare davvero al farmacista prescrittore servono formazione specialistica e un quadro normativo stabile. A dare respiro internazionale, il farmacista scozzese Jonathan Burton ha raccontato come in Scozia la domanda di prescrizioni in farmacia sia in costante aumento, portando però con sé sfide tecniche e morali: il farmacista deve interrogarsi sul perché voglia assumersi una responsabilità così grande e su quale valore aggiunto porti alla società. A confermare la complessità della questione sono stati anche tre giovani farmacisti italiani che già lavorano come prescrittori all’estero: secondo loro, competenze tecnico-scientifiche elevate e un’infrastruttura tecnologica solida sono condizioni imprescindibili.   Le conclusioni sono state affidate al segretario generale di Assofarm, Francesco Schito, che ha ricordato un dato eloquente: oltre l’80% dei farmacisti italiani si dice favorevole all’introduzione di questa figura. Segno che, almeno all’interno della categoria, il terreno è pronto. L’ipotesi degli infermieri prescrittori - Parallelamente al dibattito sul farmacista prescrittore, in Italia si è affacciata anche la possibilità di estendere alcune forme di prescrizione agli infermieri. In diversi convegni nazionali, tra cui il Congresso FNOPI di Rimini, è stata avanzata l’idea che l’infermiere possa prescrivere presidi e ausili sanitari in autonomia, sul modello già adottato in alcuni Paesi europei. Questa proposta nasce dalla constatazione che l’infermiere, spesso in prima linea nell’assistenza al paziente cronico o fragile, si trova già a gestire quotidianamente strumenti come cateteri, medicazioni avanzate o dispositivi di supporto. Riconoscere formalmente la possibilità di prescriverli potrebbe snellire le procedure e migliorare l’efficienza del sistema. La posizione della FNOMCeO e il documento con FISM Di fronte a questa ipotesi la FNOMCeO, la Federazione degli Ordini dei Medici, ha espresso con chiarezza la propria contrarietà. Nell’ottobre 2024 il presidente Filippo Anelli ha parlato di “sconcerto e rammarico” per non essere stato consultato prima di annunciare aperture in questa direzione. La prescrizione, ha ricordato, implica una diagnosi, e la diagnosi è competenza esclusiva del medico.  La Federazione ha persino ventilato l’ipotesi di impugnare eventuali provvedimenti che introducano la prescrizione infermieristica senza un confronto ampio tra le professioni. Quanto al farmacista prescrittore, FNOMCeO non ha ancora preso una posizione ufficiale, ma il principio ribadito è lo stesso: ogni spostamento di competenze prescrittive deve avvenire in un quadro normativo chiaro, con regole che garantiscano la sicurezza dei pazienti e non creino sovrapposizioni.  Insieme alla FISM, FNOMCeO ha inoltre redatto un position paper nel 2023 (VEDI SOTTO) con proposte di semplificazione per i farmaci sottoposti a piano terapeutico. L’idea è che, dopo un anno dalla prescrizione iniziale dello specialista, quei farmaci possano essere prescritti da qualsiasi medico del SSN, riducendo la burocrazia ma mantenendo la prescrizione nell’alveo strettamente medico. Equità e accesso alle cure - La discussione non riguarda soltanto i confini professionali, ma anche l’uguaglianza nell’accesso ai servizi sanitari. Antonio Gaudioso, docente alla Luiss, sempre a Napoli ha portato un esempio significativo: lo screening del colon retto raggiunge il 75% della popolazione in Friuli Venezia Giulia, ma appena il 10% in Calabria. Dove i farmacisti sono stati coinvolti, la copertura è aumentata sensibilmente. Ecco perché ripensare il ruolo della farmacia non significa solo ridefinire poteri e responsabilità, ma anche garantire pari diritti di cura a tutti i cittadini, indipendentemente dal territorio in cui vivono.  Anche dal punto di vista imprenditoriale il tema è centrale: secondo Massimo Mercati, presidente di Apoteca Natura e AFAM, rafforzare la dimensione consulenziale del farmacista non giova solo alla salute pubblica, ma rende più solide anche le farmacie come aziende. Uno sguardo oltreconfine -  Per capire meglio quale potrebbe essere la traiettoria italiana, basta guardare ai modelli esteri. Nel Regno Unito esistono farmacisti che prescrivono in autonomia dopo specifici master universitari, in Canada le competenze variano da provincia a provincia ma includono già la possibilità di gestire disturbi comuni, in Francia dal 2019 i farmacisti prescrivono vaccini e in alcune regioni farmaci per patologie minori, in Svizzera i cantoni hanno autorizzato la prescrizione per piccoli disturbi, mentre in Scozia il modello è tra i più avanzati: i farmacisti di comunità seguono pazienti cronici in stretta integrazione con il servizio sanitario. Un dibattito (più o meno) aperto -  Il futuro del farmacista prescrittore in Italia resta per il momento un cantiere aperto. Da un lato, l’esperienza internazionale dimostra che un modello regolato e ben formativo è possibile e per certi versi vantaggioso. Dall’altro, le comprensibili resistenze delle professioni mediche e le complessità normative e di responsabilità professionale rendono il percorso lungo e delicato.   Se il medico resta oggi il fulcro della prescrizione, altri professionisti, come farmacisti e infermieri, potrebbero essere chiamati domani a condividere alcune responsabilità, in un sistema che ha bisogno di più prossimità, più equità e più rapidità di risposta. La sfida, allora, sarà quella di costruire modelli di collaborazione che non dividano, ma rafforzino il sistema, mettendo sempre al centro la sicurezza, la qualità e il diritto alla cura del paziente.  

Expired: Pubblicazione Graduatorie Regionali PROVVISORIE Medicina Generale, Pediatria di libera scelta e Specialistica Ambulatoriale Interna valevoli per l’anno 2026

Si comunica che le graduatorie regionali provvisorie per la Medicina Generale, la Pediatria di Libera Scelta, per gli Specialisti Ambulatoriali Interni, Veterinari ed altre professionalità sanitarie (Biologi, Chimici, Psicologi), valevoli per l'anno 2026 sono pubblicate nel BUR - parte terza - n.244 del 30 settembre 2025, al seguente link:

https://bur.regione.emilia-romagna.it/dettaglio-bollettino?b=33eb351ae0c64a9f99491b5cd82a4458

Si evidenzia che, così come previsto all’art.19, comma 5 dell’ACN per la Medicina Generale 04.04.2024 e all’art.19, comma 6 dell’ACN per la Pediatria di Libera Scelta 25.07.2024, nonché all’art. 19, comma 9 dell’ACN per la Specialistica Ambulatoriale Interna 2024 vigente, i medici che vorranno presentare istanza motivata di riesame della loro posizione in graduatoria avranno a disposizione 15 giorni. Pertanto, la scadenza per la presentazione di tali istanze è fissata nel 15 ottobre p.v.

Un algoritmo per prevedere la fragilità dell’anziano

(da M.D.Digital)  I ricercatori sono riusciti a migliorare l'Indice di Fragilità Elettronica (eFI), uno strumento che utilizza i dati per prevedere i rischi dei pazienti anziani di convivere con la fragilità, in modo che i professionisti medici possano fornire cure olistiche, aiutare a prevenire le cadute, ridurre i farmaci onerosi e fornire programmi di esercizio mirati per massimizzare l'indipendenza. L'innovativo eFI è stato sviluppato per la prima volta dagli accademici di Leeds e introdotto nel 2016 in tutto il Regno Unito. In un solo anno di utilizzo da parte dell'Nhs England, più di 25.000 persone con fragilità sono state indirizzate a un servizio di caduta, con una prevenzione stimata di circa 2.300 cadute future. I ricercatori stimano che solo nel 2018 questi interventi abbiano fatto risparmiare al Nhs quasi 7 milioni di sterline. Il primo sistema eFI al mondo ha influenzato anche approcci simili negli Stati Uniti, in Canada, in Spagna e in Australia. Ora, un nuovo sistema eFI2 migliorerà l'accuratezza del servizio integrando i dati su 36 problemi di salute tra cui demenza, cadute e fratture, perdita di peso e numero di prescrizioni regolari che le persone hanno.  Un articolo pubblicato su Age and Ageing da ricercatori di Leeds e University College London (Ucl) conferma che l'eFI2 può prevedere in modo più accurato la necessità di assistenza domiciliare degli anziani, il rischio di cadute, il ricovero in casa di cura o la morte.  Gli autori sperano che l'eFI2, che è ora disponibile per tre medici di base su cinque in Inghilterra attraverso il software Optum (precedentemente noto come Emis), aiuterà più persone anziane a rimanere indipendenti più a lungo. Andrew Clegg, che ha guidato lo studio, è professore di ricerca Nihr e responsabile della ricerca sull'invecchiamento e l'ictus presso la School of Medicine dell'Università di Leeds e consulente onorario geriatra presso il Bradford Royal Infirmary. Il professor Clegg ha dichiarato: "Questo studio di riferimento sui dati sanitari ... è un importante passo avanti nella trasformazione dei servizi sanitari e di assistenza sociale per gli anziani con fragilità. L'eFI2 è un miglioramento significativo rispetto all'eFI originale e sarà estremamente prezioso per aiutare i Mmg a identificare le persone anziane che vivono con fragilità in modo che possano essere fornite loro trattamenti personalizzati per prevenire la costosa perdita di indipendenza e le cadute in età avanzata. Siamo lieti che l'eFI2 sia già stato reso disponibile al 60% dei Mmg ed è un esempio del previsto passaggio dall'analogico al digitale dell'Nhs". La professoressa Marian Knight, direttore scientifico dell'infrastruttura Nihr, ha dichiarato: "L'eFI ha già dimostrato di poter migliorare i risultati dei pazienti e far risparmiare milioni di sterline al Nhs. Questa evoluzione dello strumento è estremamente entusiasmante, in quanto consente alle persone di ricevere trattamenti personalizzati dai loro medici di base e di mantenere la loro indipendenza più a lungo, portando risparmi cruciali sui costi del sistema sanitario". La fragilità viene identificata quando le persone anziane hanno un alto rischio di una serie di esiti avversi come la necessità di servizi di assistenza domiciliare, cadute e ricovero in ospedale o in una casa di cura. Si stima che la fragilità costi al Nhs 6 miliardi di sterline ogni anno. L'algoritmo eFI2 si basa sui dati di routine di Connected Bradford e sul set di dati Welsh Secure Anonymized Information Linkage, attingendo a 750.000 record collegati tra dati medici, comunitari e di assistenza sociale per assegnare categorie di fragilità alle persone anziane.  Utilizza 36 variabili, tra cui demenza, cadute e fratture, perdita di peso e il numero di prescrizioni regolari che le persone hanno per prevedere quali gruppi di persone hanno maggiori probabilità di vivere con la fragilità. I medici di base sono quindi incoraggiati a utilizzare il loro giudizio clinico per applicare un approccio personalizzato a ciascun paziente. La precisione dell'eFI2 è notevolmente migliorata rispetto al primo modello. Kate Walters, professoressa di cure primarie ed epidemiologia presso l'Ucl, ha dichiarato: "L'eFI2 ha un grande potenziale come strumento semplice per supportare i medici di base nell'identificazione delle persone che vivono con fragilità che potrebbero beneficiare di un ulteriore supporto per aiutarle a rimanere indipendenti". (Best K, et al. Development and external validation of the electronic Frailty index 2 (eFI2) using routine primary care electronic health record data, Age and Ageing 2025. DOI: 10.1093/ageing/afaf077.)

La quantità corretta di dentifricio da utilizzare

(da Odontoiatria33)   Nonostante la domanda su quale sia la quantità corretta di dentifricio da utilizzare torni ciclicamente nel dibattito pubblico, l’American Dental Association (ADA) ha ritenuto opportuno intervenire nuovamente sul tema. Lo ha fatto in seguito a una serie di articoli e servizi televisivi che hanno riportato l’attenzione su un problema tutt’altro che trascurabile: l’uso eccessivo di dentifricio durante la spazzolatura. Le indicazioni degli odontoiatri e degli igienisti dentali sono da tempo molto chiare, ma l’ADA sottolinea come molti pazienti continuino ad associare una maggiore quantità di dentifricio a una pulizia più efficace.A chiarire la questione è Lancette VanGuilder, presidente dell’American Dental Hygienists’ Association, che in un’intervista a NBC News ribadisce: “La quantità corretta di dentifricio da utilizzare è pari alle dimensioni di un pisello”. Il motivo? L’ADA spiega che, sebbene il fluoro sia fondamentale nella prevenzione della carie, un eccesso di dentifricio può compromettere l’efficacia della spazzolatura. Troppa pasta dentifricia, infatti, può ostacolare la rimozione meccanica della placca, rendendo la pulizia meno efficiente. Inoltre, l’eccesso di dentifricio genera una schiuma abbondante che può mascherare i primi segni di infiammazione gengivale, dando al paziente un falso senso di pulizia profonda. Sul sito dell’ADA, il prof. Fridus van der Weijden, ricercatore in parodontologia, evidenzia un altro aspetto importante: “i dentifrici contengono tensioattivi che rendono i denti lisci. I pazienti hanno quindi la sensazione quasi immediata di averli puliti, anche quando probabilmente non lo hanno fatto”.  
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