Circonferenza del polpaccio sotto i 30 cm predice un alto rischio di mortalità negli anziani

(da DottNet)    Il polpaccio è il nuovo indicatore di buona salute. Negli anziani, la sua misura può predire la mortalità a 10 anni per tutte le cause: se la circonferenza è meno di 30 cm negli uomini e 28 cm nelle donne, il rischio è triplicato. A dimostrarlo i dati di nuovi studi presentati in occasione del 69° Congresso della Società Italiana di Gerontologia e Geriatria (SIGG), tenutosi a Firenze. La perdita di massa muscolare legata all’invecchiamento, spiegano i geriatri, ha infatti ripercussioni negative sulle capacità cognitive, la funzione cardiovascolare e respiratoria e una corretta risposta immunitaria, con un maggior rischio di mortalità, di cui la misura del polpaccio è appunto un nuovo indicatore.

Gli esperti hanno inoltre evidenziato un’associazione negli over 65 tra carenza di tessuto muscolare e insonnia che, riducendo la sintesi proteica, comporta un indebolimento del muscolo. «La perdita di massa muscolare è un processo inevitabile con l’avanzare dell’età. A partire dai 45 anni si verifica una perdita della forza muscolare pari all’8% ogni 10 anni, che può attestarsi al 60% superati i 75 anni – sottolinea Andrea Ungar, presidente Sigg e ordinario di Geriatria all’Università di Firenze -. Un ritmo di depauperamento del patrimonio muscolare che è possibile arginare grazie a un corretto e costante esercizio fisico e a una adeguata alimentazione».

Tatuaggi: un inchiostro non molto simpatico

(da Univadis)    Negli ultimi anni, i tatuaggi sono diventati sempre più popolari, arrivando a interessare fino al 20-25% della popolazione in alcuni Paesi, e addirittura il doppio tra le giovani generazioni. Tuttavia, la crescente popolarità dei tatuaggi solleva domande sulla loro sicurezza e sull’impatto a lungo termine sulla salute.

A oggi, solo 3 studi hanno cercato di identificare un potenziale legame tra l’inchiostro dei tatuaggi e un aumento del rischio di cancro, in particolare linfoma, mieloma multiplo e carcinoma basocellulare. Gli studi hanno incontrato difficoltà metodologiche, non da ultimo a causa del gran numero di possibili fattori confondenti.

Dalla pelle ai linfonodi  –  Quando si applica un tatuaggio, parte dell’inchiostro migra dalla pelle al flusso sanguigno e si accumula nei linfonodi regionali. Le particelle contenute nell’inchiostro possono quindi essere trasportate dalla circolazione generale ad altri organi.   L’inchiostro nero, in particolare, contiene nerofumo e idrocarburi policiclici aromatici, tra cui il benzo(a)pirene, classificato come cancerogeno dall’Agenzia Internazionale per la Ricerca sul Cancro. Vale quindi la pena di informarsi sugli effetti nocivi dei tatuaggi sulla pelle, sul sistema immunitario e su altri organi.  Inoltre, l’inchiostro utilizzato produce infiammazione nel punto di iniezione, portando a un’infiammazione cronica che potrebbe aumentare il rischio di proliferazione cellulare anomala, in particolare di cancro della pelle e linfoma.  Per migliorare il controllo dei fattori confondenti, un team nordico ha condotto due studi sui gemelli, che condividono un gran numero di fattori genetici e ambientali. Il primo è uno studio di coorte su oltre 2.300 gemelli, mentre il secondo è uno studio caso-controllo su 316 gemelli.

Aumento del rischio di cancro –  Nello studio caso-controllo, l’analisi individuale ha mostrato un aumento del rischio di cancro della pelle indipendentemente dalla superficie coperta dal tatuaggio. Rispetto alle persone senza tatuaggi, il rischio di cancro della pelle (di tutti i tipi, tranne il carcinoma basocellulare) aumenta del 62% nelle persone con tatuaggi (HR 1,62 [95% IC: 1,08-2,41]). Il rischio appare ancora più elevato quando il tatuaggio è più grande della dimensione di una mano (HR 2,37 [da 1,11 a 5,06]).  Anche nello studio caso-controllo, il rischio di linfoma sembra dipendere dalle dimensioni del tatuaggio. Non è stato riscontrato nelle analisi che non tenevano conto delle dimensioni del tatuaggio, ma il rischio aumentava con una superficie superiore al palmo di una mano (HR 2,73 [da 1,33 a 5,60]).

L’esiguo numero di casi di cancro alla vescica o al tratto urinario non ha permesso di studiare il legame tra tatuaggi e questi tipi di cancro.  Nello studio di coorte, il rischio di cancro della pelle (escluso il carcinoma basocellulare) è aumentato di quasi 4 volte rispetto all’assenza di tatuaggi (HR 3,91 [1,42-10,8]). Il rischio di carcinoma basocellulare è stimato a 2,83 [da 1,30 a 6,16]. In questa analisi non è possibile stimare gli effetti dei tatuaggi sul rischio di linfoma.

I responsabili sono solo i pigmenti?  – In questo studio, gli autori sviluppano l’ipotesi che i depositi di inchiostro interagiscano con i tessuti vicini, causando un aumento della proliferazione cellulare e aumentando così il rischio di cancro.  Il meccanismo coinvolge una risposta immunologica, già studiata, per esempio, nel caso del linfoma anaplastico a grandi cellule, un raro tipo di linfoma a cellule T che può comparire dopo le protesi mammarie. Gli autori osservano che questa via non coinvolge necessariamente agenti specifici contenuti nell’inchiostro, anche se la presenza di una sostanza cancerogena aggiunge un elemento di rischio.  Ritengono quindi che gli effetti preventivi delle restrizioni europee (REACH), c he vietano l’uso di alcuni pigmenti e sostanze potenzialmente cancerogene e che sono state concepite per ridurre l’esposizione a un lungo elenco di composti cancerogeni noti o sospetti, possano essere meno efficaci di quanto si pensasse inizialmente.

Oltre al meccanismo preciso del potenziale legame tra tatuaggi e cancro, restano da chiarire altre questioni, come la sicurezza delle procedure laser utilizzate per “cancellare” i tatuaggi: la riduzione delle dimensioni delle particelle di inchiostro aumenta ulteriormente il loro potenziale migratorio e ci si chiede dove finiscano queste particelle.  Per gli autori, è ora necessario informare le persone sui rischi associati all’inchiostro dei tatuaggi.

(Clemmensen SB, Mengel-From J, Kaprio J, et al. Tattoo ink exposure is associated with lymphoma and skin cancers – a Danish study of twins. BMC Public Health. 2025 Jan 15;25(1):170. doi: 10.1186/s12889-025-21413-3.)

 

 

Dolcificanti e pubertà precoce: un rischio emergente

(da M.D.Digital) Il consumo di alcuni dolcificanti, spesso presenti in cibi e bevande comuni, potrebbe aumentare il rischio di pubertà precoce nei bambini, specialmente in quelli geneticamente predisposti. Questo è quanto emerge da uno studio presentato al meeting annuale Endo 2025 e pubblicato sul Journal of Endocrinological Investigation. I ricercatori hanno scoperto che l’assunzione di aspartame, sucralosio, glicirrizina e zuccheri aggiunti è significativamente associata a un rischio maggiore di pubertà precoce centrale. È stato rilevato che maggiore è il consumo di questi dolcificanti, maggiore è il rischio.

Il più vasto studio su dieta, geni e sviluppo

Questo studio è “uno dei primi a collegare le moderne abitudini alimentari – in particolare l’assunzione di dolcificanti – con i fattori genetici e lo sviluppo precoce della pubertà in una vasta coorte del mondo reale”. Lo ha affermato Yang Ching Chen, di Taipei. La ricerca evidenzia anche differenze di genere nell’influenza dei dolcificanti su ragazzi e ragazze. La pubertà precoce centrale è in aumento e può portare a disagio emotivo, altezza adulta ridotta e un maggiore rischio di disturbi metabolici e riproduttivi futuri. I dati provengono dal Taiwan Pubertal Longitudinal Study (Tpls), che ha coinvolto 1.407 adolescenti dal 2018, diagnosticando la pubertà precoce in 481 di essi. La predisposizione genetica è stata quantificata tramite punteggi di rischio poligenico basati su 19 geni.

Ricerche precedenti del Dr. Chen hanno mostrato che alcuni dolcificanti possono influenzare direttamente gli ormoni e i batteri intestinali legati alla pubertà. Ad esempio, l’acesulfame potassio (AceK) è stato dimostrato attivare i percorsi del “gusto dolce” nelle cellule cerebrali, aumentando le molecole legate allo stress e scatenando il rilascio di ormoni legati alla pubertà. La glicirrizina, presente nella liquirizia, è stata collegata a cambiamenti nell’equilibrio dei batteri intestinali e a una riduzione dell’attività dei geni che innescano la pubertà. “Ciò suggerisce che ciò che i bambini mangiano e bevono, specialmente prodotti con dolcificanti, può avere un impatto sorprendente e potente sul loro sviluppo”, ha affermato Chen.

Differenze di genere e ripercussioni sulla salute

Lo studio ha rivelato specifiche differenze di genere: il consumo di sucralosio è stato collegato a un rischio più elevato di pubertà precoce centrale nei ragazzi. Nelle ragazze, il consumo di glicirrizina, sucralosio e zuccheri aggiunti è stato associato a un rischio maggiore. Le conseguenze a lungo termine della pubertà precoce includono, come già menzionato, disagio emotivo, una statura adulta inferiore e un aumento del rischio di disturbi metabolici e riproduttivi in futuro.

Verso nuove linee guida dietetiche e prevenzione

“I risultati sono direttamente rilevanti per famiglie, pediatri e autorità di sanità pubblica”, ha sottolineato Chen. La ricerca suggerisce che uno screening del rischio genetico e una moderazione dell’assunzione di dolcificanti potrebbero contribuire a prevenire la pubertà precoce e le sue conseguenze sulla salute a lungo termine. Questo potrebbe portare all’introduzione di nuove linee guida dietetiche o strumenti di valutazione del rischio specifici per i bambini, promuovendo uno sviluppo più sano.

(Tsai YJ, et al. Sweeteners and puberty: investigating genetic and dietary influences on central precocious puberty. J Endocrinol Invest 2025. doi: 10.1007/s40618-025-02677-3.)

Cervello almeno un anno più vecchio dell’età se si dorme male

(da DottNet)  Dormire male potrebbe accelerare l’invecchiamento del cervello: un riposo di cattiva qualità si associa a un organo che appare più vecchio di un anno rispetto all’età della persona. È quanto riferito all’ANSA da Abigail Dove, autrice di un ampio studio di imaging cerebrale condotto presso il Karolinska Institutet e pubblicato sulla rivista eBioMedicine. Un aumento dell’infiammazione nell’organismo potrebbe in parte spiegare questa associazione tra sonno e invecchiamento cerebrale.  La scarsa qualità del sonno è stata associata alla demenza, ma non è chiaro se abitudini di sonno scorrette contribuiscano allo sviluppo della demenza o se siano piuttosto sintomi precoci della malattia.  Qui gli esperti hanno studiato il legame tra le caratteristiche del sonno e l’età apparente del cervello in relazione alla sua età cronologica, coinvolgendo 27.

500 persone di mezza età e anziane della Uk Biobank, sottoposte a risonanza magnetica cerebrale. Utilizzando l’intelligenza artificiale, i ricercatori hanno stimato l’età biologica del cervello sulla base di oltre mille immagini di risonanza magnetica cerebrale.  La qualità del sonno dei partecipanti è stata valutata in base a cinque fattori auto-riportati: cronotipo (essere una persona mattiniera/serale), durata del sonno, insonnia, russamento e sonnolenza diurna. I partecipanti sono stati poi divisi in tre gruppi: sonno sano (≥4 punti), intermedio (2-3 punti) o scarso (≤1 punto).  “Il divario tra l’età cerebrale e l’età cronologica si amplia di circa sei mesi per ogni punto in meno del punteggio del sonno sano – spiega Dove – Le persone con scarso sonno avevano un cervello che appariva in media un anno più vecchio della loro età effettiva”.

 

Stop allo spreco, il decalogo Iss per salvare il cibo. ‘Pianificare la spesa, valorizzare avanzi e tanta creatività’

(da Ansa.it)  Per contrastare lo spreco alimentare servono equilibrio negli acquisti, creatività e attenzione. Lo sottolineano gli esperti del Reparto Alimentazione, Nutrizione e Salute dell”Istituto Superiore di Sanità (Iss), diretto da Laura Rossi. In occasione della Giornata Internazionale della Consapevolezza sulle Perdite e gli Sprechi Alimentari, istituita dalle Nazioni Unite il 29 settembre, gli specialisti propongono un decalogo per ridurre l”impatto ambientale degli scarti di cibo.   Tra i consigli principali: pianificare la spesa in base a ciò che già si ha in casa, organizzare i pasti settimanali e valorizzare gli avanzi. È importante fare acquisti consapevoli, nelle quantità giuste, e consumare tempestivamente frutta fresca, verdure, pane, insalate, cipolle, aglio e tuberi, tra i prodotti più soggetti a spreco. Gli esperti raccomandano anche di prestare attenzione alle offerte e alle confezioni “giganti” o promozioni tipo “3×2”, se non si è certi di poter consumare tutto in tempo.

Invogliano a scegliere prodotti “brutti ma buoni”, leggere attentamente le etichette per conservarli più a lungo e interpretare correttamente le scadenze: “da consumarsi entro” indica che il prodotto va consumato entro quella data (es. latte fresco), mentre “da consumarsi preferibilmente entro” significa che può essere consumato anche dopo, se conservato correttamente, senza rischi per la salute (es. biscotti o pasta).

Infine, per ridurre i surplus: condividere gli avanzi con gli ospiti, chiedere la doggy bag al ristorante e, se il cibo in eccesso è ancora buono, informarsi sui programmi locali di recupero e donazione alimentare, aiutando così chi è in difficoltà.

Prevenzione vaccinale: dalle associazioni appello per aggiornare il Calendario Nazionale

(da Sanitainformazione.it)     Grande preoccupazione per la proposta, avanzata pochi giorni fa dal ministero della Salute, di mantenere l’attuale Piano di prevenzione vaccinale fino a dicembre 2026, prevedendo una proroga isorisorse. È quanto affermano oggi Cittadinanzattiva, insieme all’Associazione Pazienti BPCO e all’Associazione Respiriamo Insieme, in una lettera inviata al ministro della Salute Orazio Schillaci, nella quale chiedono, al contrario, di “intervenire presto e in modo risolutivo” per aggiornare il Calendario Nazionale di Immunizzazione e garantire a tutti – neonati, donne in gravidanza, adulti fragili e anziani – l’accesso agli strumenti di prevenzione contro il Virus respiratorio sinciziale.  L’impegno delle associazioni per la tutela dei pazienti fragili –  Cittadinanzattiva, insieme all’Associazione Pazienti BPCO – impegnata per la tutela dei pazienti fragili adulti e anziani affetti da Broncopneumopatia Cronica Ostruttiva – e all’Associazione Respiriamo Insieme – che opera prevalentemente nel campo delle malattie respiratorie pediatriche – sono da anni attente al tema della prevenzione vaccinale e recentemente, in particolare, al tema della prevenzione dal VRS. Tra le ultime iniziative, la promozione congiunta dell’Osservatorio VRS, a cui partecipano Regioni, società scientifiche, medici, pediatri e associazioni di pazienti. Di recente pubblicazione il secondo instant book a cura dell’Osservatorio VRS.

Le richieste delle associazioni al ministero della Salute –  Nella lettera al ministro, le organizzazioni chiedono dunque:

– la rinuncia alla proroga del PNPV;

– l’aggiornamento urgente del Calendario Nazionale di Immunizzazione, con l’inclusione di tutte le categorie attualmente coperte da strumenti di prevenzione VRS efficaci: neonati, donne in gravidanza, adulti fragili e anziani;

– l’emanazione di una circolare ministeriale contenente indicazioni operative chiare, che consenta a tutte le Regioni di attivarsi con criteri condivisi;

– la definizione di un quadro economico certo, con risorse dedicate e modalità trasparenti di riparto e rendicontazione;

–  l’attivazione di una campagna di informazione nazionale, per garantire alla popolazione una corretta conoscenza delle nuove opportunità preventive sul virus sinciziale.

I casi e i decessi per virus respiratorio sinciziale –  Ogni anno, in Italia, si registrano circa 25.000 ricoveri per virus respiratorio sinciziale (VRS) tra i bambini sotto i 5 anni, con un’incidenza di circa 800 neonati ricoverati ogni 100.000. La scorsa stagione ha dimostrato l’efficacia di un anticorpo monoclonale in grado di prevenire oltre l’80% di questi ricoveri. La protezione dei neonati può essere garantita inoltre tramite la vaccinazione materna in gravidanza. Nella popolazione over 60, si contano ogni anno circa 26.000 ricoveri, 1.800 decessi legati al VRS in Italia e oltre 158.000 nell’Unione Europea.

 

Hpv, vent’anni dopo il vaccino si vede l’immunità di gregge

(da Sanitàinformazione.it)   A quasi vent’anni dall’introduzione del vaccino contro il Papillomavirus, arrivano i primi segnali di quello che gli epidemiologi definiscono “immunità di gregge”. Significa che, una volta raggiunto un livello sufficiente di copertura vaccinale, la circolazione del virus si riduce così tanto da offrire una protezione indiretta anche a chi non si è vaccinato. È il dato incoraggiante che emerge da uno studio coordinato dal Cincinnati Children’s Hospital Medical Center e pubblicato sulla rivista ‘Jama Pediatrics’ Il Papillomavirus umano (Hpv) resta l’infezione sessualmente trasmessa più diffusa al mondo. Alcuni ceppi ad alto rischio sono responsabili di tumori orofaringei e anogenitali, tra cui il carcinoma della cervice uterina. Ogni anno, secondo le stime, circa 630mila nuovi casi di tumore sono legati a questo virus.

Infezioni quasi azzerate nelle vaccinate, forte calo anche nelle non vaccinate – La ricerca ha seguito circa 2.300 ragazze e giovani donne considerate a rischio di infezione tra il 2006 e il 2023. I risultati parlano chiaro: nelle donne vaccinate le infezioni da Hpv si sono quasi azzerate. Ma la sorpresa è arrivata dal gruppo non vaccinato, dove si è osservata comunque una riduzione significativa dei casi, in alcuni casi superiore al 75%. Un dato che non può essere spiegato da cambiamenti nello stile di vita: le abitudini sessuali delle partecipanti, infatti, sono rimaste stabili nell’arco dei 17 anni osservati.

“Due messaggi chiave: il vaccino funziona e protegge anche chi non lo fa” – “Ci sono due messaggi incoraggianti che arrivano dal nostro studio – spiega la coordinatrice della ricerca Jessica Kahn -. Il primo è che i vaccini contro l’Hpv funzionano molto bene anche nel mondo reale. Il secondo è che abbiamo trovato chiare prove di immunità di gregge: quando viene vaccinato un numero sufficiente di persone, anche chi non lo è riceve una protezione indiretta”.

Prevenzione e prospettive – Il traguardo, sottolinea Kahn, è ambizioso ma concreto: ridurre drasticamente le infezioni da Hpv fino a rendere possibile, in prospettiva, l’eliminazione del cancro della cervice uterina a livello globale. Un obiettivo che richiede non solo programmi di vaccinazione estesi e continuativi, ma anche campagne di sensibilizzazione per superare resistenze culturali e disinformazione. “Questi risultati – conclude la studiosa – rafforzano il potenziale dei vaccini Hpv non solo per prevenire l’infezione, ma per ridurre il peso dei tumori Hpv-correlati a livello mondiale”.

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